STEFANO da Fossanova
STEFANO da Fossanova (Stefano da Ceccano). – Appartenente alla famiglia comitale dei da Ceccano, nacque certamente prima del 1181, probabilmente negli anni Settanta del XII secolo. Egli era imparentato per parte di padre con Giordano, abate di S. Stefano di Fossanova e cardinale prete di S. Pudenziana. Riguardo agli altri suoi legami familiari, non è ancora possibile stabilire l’identità dei genitori; noti sono invece il fratello Ruggero, il cugino Lando e i nipoti Pietro e Stefano.
Sull’inizio della sua carriera ecclesiastica non si hanno notizie sicure. Fu monaco cistercense, ma Agostino Paravicini Bagliani (1980, p. 117) sostiene che Stefano fu un canonico regolare, seguendo Mauro Sarti e Mauro Fattorini (1896, p. 200). Tale proposta, però, non si concilia del tutto con i dati in nostro possesso relativi alla sua prolungata vicinanza all’Ordine cistercense.
La prima notizia sicura risale al 1203, quando Stefano è attestato presso la Curia pontificia in qualità di nunzio del re d’Inghilterra, Giovanni Senzaterra. Per questo suo servizio il sovrano gli provvide un canonicato a York, dando inizio a un solido rapporto tra Stefano e la Corona inglese. Stando alla documentazione isolana sarebbe stato un magister.
Era diacono della chiesa di S. Elia di Ceccano quando Innocenzo III lo chiamò come suo camerario nel maggio del 1206. La scelta del papa aveva lo scopo di rafforzare il rapporto con la famiglia ceccanese dopo la morte del cardinale Giordano, avvenuta in aprile (Maleczek, 1984, p. 88).
Il pontefice, infatti, stava per liquidare le ultime resistenze filoimperiali nel Lazio meridionale e l’appoggio dei conti di Ceccano era fondamentale per l’attuazione di tale progetto. In quest’ottica l’azione di Stefano divenne centrale, perché investiva la gestione dei rapporti con le comunità del Patrimonium Petri.
Stefano iniziò la sua attività nel settembre, quando a Ferentino incassò il rinnovo della sottomissione del Comune di Frosinone alla signoria papale. Nelle prime settimane del 1208 partecipò alla commissione per la liquidazione della contea di Sora, incarico da inquadrare nell’attiva partecipazione della sua famiglia all’azione del pontefice. In questa si inserì anche l’intervento di Innocenzo III alla consacrazione della nuova abbaziale di Fossanova, alla cui guida era giunto proprio Stefano appena pochi mesi prima (Parziale, 2007, p. 180).
L’attività diplomatica del camerario presso le comunità del Patrimonium s’intensificò dopo l’incoronazione imperiale di Ottone IV, quando la tenuta dell’agglomerato feudale pontificio fu messa in pericolo dalla politica aggressiva del nuovo imperatore. In questo periodo (1209-10) Stefano fu piuttosto attivo in Toscana e in Umbria. Nel 1210 ottenne un solenne atto di sottomissione della città di Perugia alla signoria papale. Sulla via del ritorno dall’Umbria, inoltre, partecipò all’arbitrato tra Amelia e Lugnano.
La sua prolungata attività, però, ebbe un effetto deleterio sull’amministrazione della badia di Fossanova. Nel 1211, infatti, il capitolo generale dell’Ordine cistercense mosse alcune accuse di cattiva amministrazione contro di lui. È plausibile che tali accuse riguardassero disordini nella gestione abbaziale, soprattutto nell’applicazione dell’officium visitationis alle badie figlie in Calabria e Sicilia. Stefano fu messo sotto inchiesta e chiamato a rispondere della propria attività, ma Innocenzo III lo chiamò presso la Curia e lo sottrasse al processo, sollevandolo dall’incarico abbaziale già prima del capitolo generale del 1212. Superato questo delicato passaggio, Innocenzo lo elevò al soglio cardinalizio col titolo di cardinale prete dei Ss. Dodici apostoli. Inoltre, lo confermò nel suo ufficio di camerario.
È probabile che il nuovo cardinale si trattenne a Roma nella tarda primavera del 1213, poiché contrattò a nome dell’appena sospeso arcivescovo di Colonia, Dietrich von Hengebach, un prestito presso il prestatore romano Giovanni Boboni. Dall’agosto riprese la sua attività indirizzandola in particolare verso le aree del Patrimonium. Intervenne a Viterbo, ai cui mercanti concesse alcuni importanti diritti di mercatura a Tarquinia; nella stessa città fu autore della pace tra i milites e il resto del popolo. Le sue capacità diplomatiche furono fondamentali anche nelle trattative tra Frosinone e Alatri nell’ottobre del 1213 e nella pacificazione interna di Perugia. Nell’estate del 1215, ancora, ottenne la sottomissione di Narni all’autorità papale e incassò la rinuncia di Gimondo de Fummone sulla rocca di Fumone e sul suo territorio. Partecipò in quello stesso anno al capitolo generale dell’Ordine cistercense in vece dell’abate di S. Galgano presso Siena, a cui il cardinale era particolarmente legato. Nel 1216, invece, presenziò come delegato al giudizio per la lite tra i vescovi di Veszprém e Gran.
In questi stessi anni i rapporti con la Corona inglese s’intensificarono. Giovanni Senzaterra, infatti, si rivolse a lui e a Giovanni Colonna per impetrare la causa dell’unione delle diocesi di Bath e Glastonbury, da lui promossa e non accettata dal pontefice; poco dopo si rivolse ancora a lui chiedendo 500 marche come anticipo per i suoi legati. È probabile che Stefano abbia continuato a coltivare le sue buone relazioni inglesi se è vero che Walter Mauclerc, uno degli agenti della Corona inglese presso la Curia papale, gli riservò parole lusinghiere nei suoi resoconti al re Giovanni (Rotuli litterarum clausarum, a cura di T.D. Hardy, 1833, p. 29).
L’elezione di Onorio III cambiò la sua posizione. La solida alleanza tra i conti ceccanesi e Innocenzo aveva rappresentato un saldo strumento per il controllo papale del Lazio meridionale. Il nuovo pontefice, invece, tolse il proprio sostegno al conte Giovanni e sollevò Stefano dall’incarico di camerario, destinandolo al tribunale curiale in qualità di uditore. Con questa mossa Onorio limitava l’influenza dei da Ceccano sui territori del Patrimonium. Nella sua nuova veste il cardinale ceccanese giudicò valida e confermò l’elezione dell’abate Giovanni alla guida della canonica premonstratense di S. Leucio di Todi nel maggio del 1221 e l’anno successivo sentenziò sul conflitto tra i signori di Sermoneta e il rettore della città di Ninfa.
Accanto all’attività per la Curia, Stefano fu attivo nel sostegno ai monasteri del proprio Ordine di provenienza. Favorì, infatti, le abbazie cistercensi di S. Martino al Cimino, presso Viterbo, e S. Sebastiano alle catacombe sulla via Appia. Inoltre fu uno dei principali sostenitori del monastero senese di S. Galgano e di quello femminile romano di S. Sisto.
Per quanto riguarda il primo, Stefano entrò probabilmente in contatto con la piccola fondazione senese durante le sue pellegrinazioni come camerario negli anni dello scontro tra Innocenzo e Ottone IV. Nel 1214 acquistò per il monastero alcuni beni della chiesa di S. Paolo di Siena e lì fece erigere una cappella, S. Maria la Rotunda, ove si fece effigiare assieme a s. Galgano e alla Vergine (Ciaconius, 1677, p. 31).
L’intervento a favore di S. Sisto, invece, s’inseriva nel progetto religioso per Roma pensato da Innocenzo III e portato avanti dal suo successore. Tra il 1219 e il 1220, infatti, Onorio III incaricò Domenico di Calaruega di procedere alla stesura di una forma vitae e all’organizzazione pratica di una nuova comunità di monache, alloggiate presso S. Sisto. Affidò, poi, a Stefano, a Ugolino, cardinale d’Ostia, e a Niccolò, cardinale di Frascati, la cura materiale e giuridica di questa fondazione. Per questo Stefano concesse alle monache la propria porzione sul diritto di presentazione di un canonicato presso una chiesa di Bamberg, detenuto in condivisione col monastero di S. Oswald di Nostel per concessione dell’ormai defunto Giovanni Senzaterra (Le più antiche carte del convento di San Sisto, a cura di C. Carbonetti Vendittelli, 1987, pp. 87-89).
Negli ultimi anni di vita Stefano continuò la propria attività di uditore presso la Curia, occupandosi anche di arbitrati tra le comunità del Patrimonium; intervenne per esempio nella soluzione della lite a proposito dell’uso delle acque del fiume Amaseno tra le comunità di Priverno e Sonnino. L’ultima attestazione certa è dell’agosto del 1227.
Morì il 23 novembre 1227 (Sarti-Fattorini, 1896, p. 291) e fu sepolto nella chiesa di S. Maria Maggiore di Roma.
Fonti e Bibl.: Rotuli litterarum clausarum in Turri Londonensi asservati, a cura di T.D. Hardy, I, London 1833, p. 204; Rotuli litterarum patentium in Turri Londinensi asservati, a cura di T.D. Hardy, London 1835, ad ind.; Innocentii III Regestorum sive Epistolarum (1203-1208), a cura di J.P. Migne, in PL, CCXV, Paris 1855, col. 182a; Innocentii III Regestorum sive Epistolarum (1209-1213), a cura di J.P. Migne, ibid., CCXVI, Paris 1855, col. 894; Annales Ceccanenses, a cura di G.H. Pertz, in MGH, Scriptores, XIX, Hannover-Leipzig 1866, pp. 275-302 (in partic. pp. 297 s.); V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d’altri edifici in Roma dal secolo XI fino ai giorni nostri, XI, Roma 1877, p. 10, n. 2; Regesta Honorii papae III, a cura di P. Pressutti, I-II, Roma 1888-1895, ad ind.; Monumenta Romana Episcopatus Vesprimiensis. A veszprémi püspökség Római oklevéltára, I, Budapest 1896, p. 35, n. 20; Statuta capitulorum generalium ordinis Cisterciensis, a cura di J.M. Canivez, I, Löwen 1903, p. 442; Regestum Senense. Regesten der Urkunden von Siena, a cura di F. Schneider, I, Roma 1911, p. 227, n. 521; Die Regesten der Erzbischöfe von Köln im Mittelalter, a cura di R. Knipping, III, Bonn 1913, n. 168; L’Obituaire de l’abbaye de Prémontré, a cura di R. van Waefelghem, Louvain 1913, pp. 55-57; Selected letters of pope Innocent III concerning England, a cura di C.R. Cheney - W.H. Semple, London-Edinburgh 1953, p. 60; P. Chaplais, Diplomatic documents, I, (1201-1272), London 1964, ad ind.; Codice diplomatico del comune di Perugia, a cura di A. Bartoli Langeli, Perugia 1983, p. 57; Le più antiche carte del convento di San Sisto in Roma (905-1300), a cura di C. Carbonetti Vendittelli, Roma 1987, pp. 84 s. (in partic. pp. 87-89); Le carte dell’Archivio di Castel Sant’Angelo relative all’Italia, I, Documenti privati (sec. XIII), a cura di A. Piazza, Roma 2013, pp. 37-41, 57-59.
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