Talice, Stefano da Ricaldone
, Per primo il Renier, nel 1884, dette notizia di Un commento a D. del sec. XV inedito e sconosciuto, contenuto in un codice palatino, " opus " e " lectura " (secondo la dizione dell'explicit) " scriptum " ed " expletum " da certo Stefano T. da Ricaldone in " burgo Liagniaici, 1474, 15 kalendis novembris, hora 12 ", ma avanzò il sospetto, data la somiglianza riscontrabile con il commento di Benvenuto (non ancora edito), che non si trattasse di opera autonoma e originale.
Il codice " in formato di piccolo quarto... di carte 219, ossieno pagine 438 ") fu pubblicato nel 1886 (poi, in seconda edizione, nel 1888, con pagine aggiunte alla prima prefazione) a c. di V. Promis e di C. Negroni, che attribuirono la paternità del commento al T. e, pur ammettendo " che molte delle cose contenute nel commento del Talice... s'incontrano anche in quello di Benvenuto ", sostennero che " moltissime cose " si potevano trovare nel T. " che invano si ricercherebbero nel Benvenuto ", affermando l'importanza della conoscenza di uno dei " rari " commenti del sec. XV (" non ne abbiamo a stampa se non due; e sono quelli di Guinoforte Barziza e di Cristoforo Landino ").
I due curatori si preoccuparono anzitutto di dare una connotazione storica al nome posto nell'explicit del commento; e trovarono che " nel paese di Ricaldone, posto nell'alto Monferrato a poca distanza dalla città d'Acqui... la famiglia dei Talice " era " tra le più antiche e cospicue " e ancora esistente al tempo della loro pubblicazione; trovarono poi notizia (" nel volume di appendice alla... storia Acquese " di G. Biorci) di uno Stefano T. da Ricaldone, uomo " assai dotto di Medicina e di Agricoltura ", " il quale, dimorando nel 1474 in Lagnasco [nello stesso anno, cioè, in cui è datato il commento dantesco], vi trascrisse il libro latino di Pier Crescenzio Delle comodità della villa " e di uno Stefano T. d'Acqui (nella Storia della poesia in Piemonte del Vallauri), " grammatico del secolo XV ", un cui discepolo, Arrigo Ratero, aveva trascritto nel 1503 le Interpretationes dignae annotatu in ortographiam, stampate poi nel 1513: entrambi, in realtà, una stessa persona, cui poter riferire anche il nome di quello Stefano T., che essi consideravano senz'altro come " l'autore del Commento Dantesco ".
Sulla base di questa pretesa certezza ai due curatori apparve anche " indebitato " che Stefano T. avesse esposto il suo commento " per via di lezioni orali " (con riferimento alle parole dell'explicit: " hoc opus, et lectura Dantis Aldigherii ", e a ricorrenti espressioni del tipo di: " et hoc sufficit quantum ad praesentem lectionem; ut heri dictum est; ut dixi heri "; ecc.); e che egli avesse tenuto le sue lezioni, " non certamente a Lagnasco, piccola borgata di circa due mila abitanti ", ma a Saluzzo, " vicinissima a Lagnasco... città illustre, con una Corte principesca delle più splendide che fossero a quel tempo nell'Italia superiore ". Tuttavia essi si dichiararono persuasi che il codice fosse apografo, data la presenza di " frequentissimi... errori " (del tipo di " humor unus ", invece di " humor vitis " o " uvae " al commento di Pg XXV 78; " facit viridem ", invece di " facit iridem " a Pg XXIX 78; " caecus tantus ", invece di " caecus taurus " a Pd XVI 70; ecc.) e di numerose " omissioni " (" qua e là mancano le intiere pagine, senza che nel codice appaia alcuna discontinuità... nel XIX del Paradiso... manca il consueto preambolo "; ecc.). Nei Prolegomeni alla seconda edizione del 1888, V. Promis e C. Negroni, a parte l'aggiunta di alcune nuove notizie storiche secondarie sulla persona del T., trascrittore di Crescenzio, non fecero che confermare la loro tesi, nonostante che nel 1887 fosse stata pubblicata una redazione del commento di Benvenuto curata da J.P. Lacaita, senza tuttavia cercare di dimostrare, ancora una volta, quanto affermavano con un raffronto puntuale, ora certo anche più agevole, tra il testo del commento da loro pubblicato e quello di Benvenuto. In realtà la debolezza di tali argomentazioni non ebbe nessuna capacità di convincimento e altri studiosi (Plebani, Gabotto) negli anni successivi si dichiararono ancora sicuri che il T. fosse solo un copista e non l'autore del commento pubblicato.
Fu poi il Barbi, nel 1908, a chiarire, finalmente con raffronti concreti e puntuali, che il commento pubblicato sotto il nome del T. " altro non è che il testo della lettura fatta nel 1375 a Bologna da Benvenuto da Imola ". A facilitare il compito del Barbi c'era stato, nel 1891, uno studio di L. Rocca (Di alcuni commenti della D.C.) in cui si discuteva di una " nuova redazione " del commento di Benvenuto contenuta nel codice Laurenziano Ashburnhamiano 839, molto più vicina al testo recante il nome del T. di quella pubblicata dal Lacaita, e che il T. " avrebbe in gran parte ricopiata, ‛ poche cose mutate ' ". " Il testo Ashburnhamiano ", però, precisò il Barbi, " non è già una nuova redazione, più compendiosa, del commento che Benvenuto compose... posteriormente alla lettura fatta a Bologna; ma è la lettura stessa, o meglio, come il Novati notò già, la ‛ recollectio ' di uno scolare che assisté nel 1375 al corso dantesco dell'Imolese " (senza escludere l'ipotesi " di un primo adattamento o rifacimento della lettura bolognese da parte dell'autore, su appunti propri o su quelli presi da scolari "); e il testo firmato dal T., così simile al testo del codice ashburnhamiano, fa supporre piuttosto un'ulteriore diversa stesura dell'esposizione da parte di un altro uditore e discepolo dell'Imolese.
Il Barbi, prima di procedere ai raffronti dimostrativi tra i tre testi in discussione, Ashburnhamiano, Talice, Lacaita, e in particolare tra i primi due, sgombra il campo rapidamente dalle fragili argomentazioni e ipotesi del Promis e del Negroni.
L'esame più interno, poi, del commento taliciano condotto dal Barbi, tenendo anche presenti le diverse lezioni del commento di Benvenuto, non " fornisce argomenti che valgano ad assegnarlo al Talice ", mentre presenta numerose spie a conferma che si tratti di una diversa stesura della lettura dantesca tenuta a Bologna dall'Imolese.
Il Barbi fa infatti rilevare i passi del commento dove, senza che il testo di D. lo suggerisca, si fa cenno alla realtà bolognese, si adottano termini in uso a Bologna o si allude a Benvenuto come a persona nota all'uditorio; e fa anche rilevare che alcuni passi del commento taliciano, pur non riscontrabili nel testo Lacaita, si ritrovano viceversa, in termini pressoché identici, nel testo del codice Ashburnham 839.
Le differenze tra il testo taliciano e quello fornito dal codice Ashburnham 839 del commento di Benvenuto si riducono a varianti formali del tipo ora indicato, e sono tali da far credere al Barbi, con la riprova di diversi raffronti, trattarsi, come si è già accennato, di " due diverse stesure dell'esposizione " bolognese di Benvenuto " per opera di due diversi uditori ".
Il testo del T., dunque, restituito alla sua autentica paternità, conserva tuttavia un suo valore precipuo, come uno dei documenti più fedeli della lettura del poema dantesco tenuta a Bologna da Benvenuto nel 1375; documento certamente prezioso, data la sua maggiore aderenza al testo di Benvenuto fornito dal codice Ashburnham 839. " E gioverà sempre confrontare - con questo invito, restato inascoltato, concludeva il Barbi - la lettura col commento, e dove l'autore ha mutato, indagare perché, e tener conto delle chiose e dei particolari in più che nel testo del Talice si hanno per una parte del Purgatorio e per tutto il Paradiso, dove il commento non fu portato a quell'ampiezza e compiutezza che si ammira per quasi tutte e due le prime parti: così si potrà fare una giusta valutazione dell'opera di Benvenuto ".
V. anche BENVENUTO DA IMOLA.
Bibl. - R. Renier, Un commento a D. del sec. XIV inedito e sconosciuto, in " Giorn. stor. " IV (1884) 56-80; La Commedia di D.A., col commento inedito di S. T. da Ricaldone, a c. di V. Promis e C. Negroni, Milano 1888²; Benvenuto De' Rambaldi da Imola, Comentum super D.A. Comoediam nunc primum integre in luce editum..., a c. di J. P. Lacaita, Firenze 1887; L. Rocca, Di alcuni commenti della D.C., ibid. 1891; B. Plebani, Se il commento palatino alla D.C. possa attribuirsi a T. da Ricaldone, in " Gazzetta Letteraria ", Torino, 14 gennaio 1893 (a. XVII, n. 2); F. Gabotto, Alcuni appunti sul Teatro in Piemonte nel sec. XV e su S. T. da R., in " Biblioteca delle Scuole Ital. " V (1893) 11; L. Rossi-Casè, Ancora di maestro Benvenuto da Imola commentatore dantesco, Imola 1893 (recens. di F. Novati, in " Bull. " n.s., I [1893-94] 64-65); M. Barbi, Benvenuto da Imola e non S.T. da R. [1908], in Problemi I 429-453; ID., La lettura di Benvenuto da Imola e i suoi rapporti con altri commenti [1932 e 1934], ibid. II 435-470; F. Mazzoni, La critica dantesca del secolo XIV, in " Cultura e Scuola " 13-14 (1965) 285-297.