DELLA BELLA, Stefano
Figlio di Francesco, scultore, scolaro del Giambologna, nacque a Firenze nel 1610: fu incisore e disegnatore, e si dedicò solo saltuariamente alla pittura. Anche i fratelli furono artisti: Giovan Pietro scultore, Girolamo pittore e Ludovico orefice, ma nessuno della famiglia ottenne neppur minimamente la sua fama. Fu tenuto a battesimo da Ferdinando Tacca, segno di buone relazioni familiari nel mondo degli artisti, ma la precoce morte del padre nel 1613 gli negò ogni possibilità di validi insegnamenti, cosicché il ragazzo fu posto alla bottega di un oscuro orefice Giovan Battista e solo in seguito a quella di "Gasparo Mola, improntatore rinomatissimo, che operava nella real galleria" (Baldinucci, IV, p. 603) e a quella del gioielliere Orazio Vanni, allora assai celebrata: qui dette gran prova nel disegnare ex voto "di sottilissima piastra d'argento... con tanta grazia, che a tutti era d'ammirazione" (ibid.).
Queste e le altre fondamentali notizie sulla vita e sull'opera del D. si ricavano dal Baldinucci (1681 e 1686), il quale ne dette anche un primo, positivo e non inesatto giudizio critico e ci testimoniò di una fama che, alta fra i contemporanei e per tutto il '600, fu altissima nel '700, specialmente in Francia: fu qui che vennero redatti i primi esaurienti cataloghi della sua opera incisoria, a cura del Mariette (manoscritto, Paris, Bibl. nationale, Cabinet des estampes) e del Jombert (1772); e fu qui che vennero collezionati suoi disegni in gran numero, a gara con la raccolta granducale fiorentina, ora agli Uffizi, che è certo tuttora la più vasta.
La fama di D. fu ridimensionata nel secolo scorso e solo agli inizi del nostro venne riesumata, per merito di pochi "addetti ai lavori" di collezioni grafiche e particolarmente del De Vesme, che stese un catalogo ragionato delle sue incisioni tuttora valido (1906). Salvo rare eccezioni, fra cui è da ricordare il catalogo dei suoi disegni a Windsor Castle (Blunt, 1954), l'interesse per il D. è stato piuttosto scarso fino agli anni intorno al 1960, per poi vedere una eccezionale crescita dopo il 1970, sia con studi monografici (Massar, Viatte, Forlani Tempesti), sia con una fitta presenza di suoi fogli disegnati e incisi in mostre e in cataloghi di collezioni e di vendite. Le notizie su di lui sono quindi oramai ben chiare, benché restino ancora da approfondire alcuni punti e incontri, in momenti anche fondamentali della sua vita.
L'apprendistato presso le botteghe degli orefici gli fu utilissimo per prendere dimestichezza con strumenti tecnici affini a quelli della sua futura professione di grafico e con temi ornamentali che gli saranno fino all'ultimo congeniali, ma di fatto il D. fu un autodidatta. Pare che si esercitasse da solo a disegnare figure (le iniziava curiosamente dai piedi), salvo "qualche assistenza di Remigio Cantagallina... al quale egli di quando in quando era solito mostrare le cose sue" (Baldinucci, IV, p. 1605) e il quale, forse, lo indirizzò a studiare le incisioni, cosicché il D. mise "tanta facilità in copiare le bellissime carte, pure allora uscite fuori, di Jacopo Callot (delle quali disegnava quante mai ne poteva avere), che era cosa da stupire" (ibid., p. 606). Si meritò così l'interessamento di Michelangelo Buonarroti il Giovane e del pittore Giovan Battista Vanni, figlio del suo maestro gioielliere, il quale se lo prese a bottega e gli fornì i primi insegnamenti della pittura e del disegno (come documenta uno Studio di nudo agli Uffizi, n. 8171 F, con una antica scritta "Stefanino della Bella gio.o quando studiava dal Vanni"), probabilmente verso la metà del terzo decennio. Pare che abbia studiato pittura anche presso Cesare Dandini, ma questi non aveva allora dato il meglio di sé, e d'altronde il D. aveva già scoperto la sua vocazione di grafico, se "la prima opera che uscisse dalla sua ancor tenera mano, fu un Santo Antonino arcivescovo di Firenze" (ibid., p. 606), da identificarsi forse con un disegno della Biblioteca Marucelliana (D. 113), e se comunque la sua prima opera sicuramente datata fu proprio un'incisione, il Banchetto dei piacevoli, dedicata a Giovan Carlo de' Medici, del 1627 (De Vesme, 1906, n. 43). Del 1628 è un'altra incisione, raffigurante la "presa delle due galere di Biserta fatta dalle galere della sacra Relig.ne di S. Stefano" (ibid., n. 877), e fra l'anno 1628 e il 1632 sono collocabili le illustrazioni delle feste fatte per la canonizzazione di s. Andrea Corsini (ibid., nn. 884-904), mentre rispettivamente del 1630 e del 1632 sono due frontespizi, per i Commentari di Blaise de Montluc, dedicati a don Lorenzo de' Medici (al quale proprio l'anno precedente il D. aveva indirizzato una supplica per ottenere una provvigione), e per il Dialogo di Galileo, dedicato al granduca Ferdinando II (ibid., nn. 883, 905).
Già queste prime incisioni ci dicono abbastanza della sua tematica preferita (le scene della vita contemporanea, le feste e le battaglie, la decorazione) e della sua formazione.
È probabile che proprio il Cantagallina sia stato il tramite perché il D. studiasse, oltre alle prestigiose e per luifondamentali incisioni del Callot, anche quelle dello stesso Cantagallina, del Brill, del Tempesta o del Villamena, ma anche dipinti di paesaggio e di battaglie, specialmente marine, che andavano per la maggiore nella Firenze di Cosimo II e in cui eccellevano i fiamminghi e, fra gli operosi in Toscana, Filippo Napoletano e Agostino Tassi. I suoi maestri, i pittori Vanni e Dandini, devono invece avergli fornito, oltre a un generico apprendistato tecnico, la possibilità di incontri con i pittori fiorentini contemporanei, fra i quali i più congeniali a lui furono F. Furini e Giovanni da San Giovanni, mentre C. Dolci, che era allora appena quindicenne, gli fece un bel ritratto nel 1631 (Firenze, Gall. Palatina). Proprio con il Furini il D. condivise verso il 1630 una basilare scoperta, quella della pittura e dei disegni di Leonardo, del quale entrambi copiarono il Trattato, apprendendone varietà di gesti e verità di affetti, nonché idee sulla pittura atmosferica e sul modo di far le figure "caricate": un interesse questo che il D. condivise con Baccio Del Bianco e in cui gli fu maestro anche il Callot.
Che il Callot sia stato un elemento importantissimo per la cultura del D. è indubitato, ma che questi ne fosse un mero imitatore è assolutamente falso - anche se è un luogo comune ben duro a morire fuori della critica più avvertita -, tanti furono gli altri stimoli che il D. ebbe dalla tradizione e dalla cultura contemporanea e tanto comuni furono le fonti a cui entrambi si abbeverarono. Unico punto fermo è che, per ragioni di precedenza cronologica, il Callot fu un esempio per il D. e che entrambi furono gli unici grafici "puri" del loro tempo (altri grandissimi incisori, e disegnatori, del sec. XVII furono soprattutto pittori), sia come specialità professionale sia come scelta di mezzi tecnici. Per i disegni, di cui ci restano alcune migliaia, il D. usò le materie più tradizionali: la matita nera, la penna, le acquerellature di inchiostro bruno e grigio, sulla carta bianca solo raramente resa più calda da lievi tinteggiature o tocchi di bianco. Per le incisioni, che secondo il catalogo del De Vesme (1906) sono circa 1060, più un centinaio su sua invenzione e due centinaia di attribuzione errata, il D. adottò la tecnica dell'acquaforte a vernice molle, con sottili varianti.
Queste vanno da una sorta di "puntinato", che negli anni giovanili lo affrancò dalla mera imitazione callottiana, a un tramato morbido di punti e ad effetti di macchia nel periodo maturo, fino ad un tipo di acquerellatura con aspetto di acquatinta, ottenuto spennellando la lastra con acido diluito, oppure non togliendo completamente la pellicola d'inchiostro prima della stampa, caratteristico della sua produzione più tarda.
Particolarmente importante per aprire la cultura del D. oltre il mero orizzonte dell'arte fiorentina fu il viaggio di studio che egli fece a Roma nel 1633. Qui egli andò con provvigione del suo patrono don Lorenzo, ospitato nel mediceo palazzo Madama, "per imparare a dipingere" (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo 5186, Ordini e Riscritti dal 1629 al 1645, c. 39; cfr. Borea, 1975, p. 28), ma a quanto risulta vi eseguì soltanto disegni e vi prese appunti per le sue incisioni, ritornandovi a più riprese almeno fino al 1636.
A Roma il D. fece molti disegni dal vero en plein air, come facevano gli olandesi e Claude Lorrain, con scene di vita contemporanea, con paesaggi, con monumenti antichi e rovine; fece anche copie da Raffaello e dai fregi di Polidoro, secondo la tradizione cinquecentesca, e copie dalle sculture classiche, secondo un definito interesse "antiquario" e fu in contatto con Cassiano Del Pozzo e la sua cerchia di artisti ed eruditi; ma fece anche copie, o meglio schizzi, dai contemporanei, secondo personali scelte: Domenichino e Reni, Rubens e Bernini, arricchendo sempre più la sua cultura e intessendo nuove amicizie, con Pietro Liberi, pittore padovano, avventuriero e gran viaggiatore, e con mercanti di stampe, come i francesi Israël Henriet e François Langlois detto Chartres, che in seguito saranno fra i suoi editori. Il frutto più famoso del soggiorno romano è la grande stampa con l'Entrata in Roma dell'eccel.mo ambasciatore di Pollonia l'anno MDCXXXIII (De Vesme, 1906, nn. 44-49), probabilmente eseguita più tardi: esistono molti appunti e studi preparatori nei quali il D. ritrae le originali fogge dei cavalieri polacchi, le fantasiose bardature dei loro cavalli, lo snodo del lunghissimo corteo.
Del 1634 sono altre celebri incisioni edite invece a Firenze, come le otto Vedute di mare (De Vesme, 1906, nn. 810-817), che verranno poco dopo copiate dal francese F. Collignon, o gli Apparati per le esequie di Francesco de' Medici (ibid., nn. 36, 74, 971-978), a cui faranno seguito quelli per l'imperatore Ferdinando II (ibid., nn. 75-77, 926) e altre illustrazioni di apparati e feste fiorentine, come quelle per le nozze del granduca Ferdinando con Vittoria Della Rovere, che segnarono il primo incontro del D. con il mondo del teatro (ibid., nn. 50, 918-925 con frontespizio e scene per il melodramma Le nozze degli Dei, 969), nel 1637. Intorno alla metà del quarto decennio è anche da datare l'unico suo dipinto finora rintracciato, un Incendio di Troia, su pietra di paragone, che, eseguito per don Lorenzo de' Medici a pendant con un Inferno di Vincenzo Mannozzi (ambedue i quadri agli Uffizi; Borea, 1975) documenta la sua verve narrativa anche in formato maggiore e la sua brillante abilità pittorica, presto tuttavia trascurata per dedicarsi solo all'incisione. Esclusivamente acqueforti e disegni il D. eseguì nei dieci anni che visse in Francia.
Partì nel 1639 per Parigi, al seguito dell'inviato granducale Alessandro Del Nero, e, pur continuando ad esser stipendiato dai Medici, iniziò presto a lavorare per stampa tori francesi e per commissioni di gran prestigio, come quelle del 1641 per il cardinale Richelieu - che gli affidò le illustrazioni delle sue imprese guerresche, l'Assedio della Rochelle e l'Assedio di Arras (De Vesme, 1906, nn. 879, 880), e della tragicommedia Mirame (ibid., nn. 936-941) che inaugurò il nuovo teatro del suo palazzo - e come quelle per la corte e per il cardinale Mazarino, che lo avrebbe voluto maestro di disegno per il delfino (i Giochi di carte [ibid., nn. 489-687] del 1644 furono ideati come divertimento istruttivo appunto per il delfino). Accanto a incisioni "ufficiali" come la Prospettiva del Pont-Neuf (ibid., n. 850), che venne dedicata nel 1646 a Luigi XIV, o il Deposito del Ss. Sacramento (ibid., n. 73), abbondano le serie per gli amatori: vedute e capricci, paesaggi e battaglie, frontespizi e studi didattici, scene sacre (fra cui bellissimi gruppi di Madonna col Bambino e di Fuga in Egitto; ibid., nn. 4-16), piani topografici, ritratti, animali, e fantasiose invenzioni ornamentali (ibid., nn. 979-1050) che saranno importantissime per lo sviluppo del gusto rococò, mentre altre, di tema macabro (ibid., nn. 1014, 1023, 1024, e 87-91), riaffermano i legami del D. con la cultura barocca.
Fece un viaggio in Olanda nel 1645, dove pare incontrasse Rembrandt, di cui già ben conosceva le stampe, e uno in Medio Oriente, nel 1647. Iniziati in Francia i moti antitaliani della Fronda e morto nel 1648 il suo protettore don Lorenzo, il D. decise di tornare in patria nel 1650, favorevolmente riaccolto dai Medici che non mancheranno di dargli commissioni, intrecciate tuttavia con una intensa attività personale, anche per i suoi editori francesi.
Accompagnata da un folto lavoro disegnativo, preparatorio o di mera fantasia, si ha ancora una ricca produzione incisoria sui temi abituali, ma con una progressiva apertura spaziale e fusione pittorica di figure e paesaggi: famosissime le Cacce (De Vesme, 1906, nn. 732-740), le vedute della Villa medicea di Pratolino (ibid., nn. 838-843), le vedute del Porto di Livorno del 1655 (ibid., nn. 844-849), o le sei grandi splendide Vedute di Roma e della Campagna romana del 1656 (ibid., nn. 832-837).
A Roma il D. farà ancora visite appassionate, forse già nel 1650 e poi nel 1656 per accompagnarvi il principino Cosimo, suo discepolo nel disegno: sappiamo poco di questi viaggi, ma il grande clima barocco dovette impressionarlo tanto da fargli rimpiangere di non poter vivere a Roma, dove fra l'altro passavano disegnatori-incisori che avevano continuato a dipingere, come Salvator Rosa o come il Grechetto, e dove la pittura aveva il suo trionfo. Pare infatti che il D. rimpiangesse anche di aver abbandonato la pittura e ricominciasse ad usare i pennelli (fece un ritratto di Cosimo a cavallo, perduto, di cui restano i bei disegni preparatori). Fece comunque moltissimi disegni acquerellati, come quelli per gli spettacoli del nuovo teatro della Pergola voluto dalla Accademia degli Immobili nel 1657, quelli di caramogi "caricati" o quelli preparatori alle acqueforti più tarde: frontespizi, ritratti, illustrazioni di feste, come quelle per le nozze di Cosimo III nel 1661 (De Vesme, 1906, nn. 70-72), paesaggi e meditazioni sulla morte (ibid., nn. 92 e 92 bis).
Dopo una lunga malattia morì a Firenze nel 1664, senza lasciare una vera e propria scuola, ma una produzione esemplare di cui molti profitteranno, in Italia e fuori, fino al secolo XVIII e oltre.
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