STEFANO di Novara
STEFANO di Novara. – S’ignora l’esatto anno di nascita, che tuttavia potrebbe essere posto attorno al 920, e la famiglia di origine. È certa invece la città di nascita, come si evince dall’epitafio autografo posto nella c. 115v del cod. theol. quart. 6 (secolo IX) della Biblioteca universitaria di Würzburg, ove Stefano si definisce «Novariae genitus» (MGH, Poetarum Latinorum Medii Aevi, a cura di K. Strecker, 1937, p. 555).
Si trasferì in seguito a Pavia, centro culturale a cui gli studenti di Novara facevano capo per gli studi superiori. Qui si formò culturalmente e, ottenuto il titolo di doctor, esercitò poi nelle predette due città il proprio magistero («utraque ut potui doctor in urbe fui», ibid.). Tale dato conferma come nella prima metà del X secolo anche in Novara operassero, presso la scuola della cattedrale, magistri dall’ottima formazione intellettuale. Il suo primo periodo di attività in Novara va collocato durante l’episcopato di Rodolfo (940-957); in ogni caso avanti la metà del secolo, quando Ottone I di Sassonia e/o il vescovo Poppone di Würzburg lo dovettero conoscere come magister a Pavia, e, apprezzandone le doti, lo invitarono in Germania per rivestire la carica di insegnante presso la cattedrale di quella città.
È l’epitafio inserito nel codice di Würzburg che attribuisce a Poppone l’iniziativa; ma di Stefano esistono altri due epitafi, traditi (c. 117r) dal codice XXX della Biblioteca capitolare di Novara, risalente alla seconda metà del IX secolo, che contiene una serie di collezioni canoniche; il primo di questi, di mano di Stefano, dichiara che fu il re sassone a invitarlo a svolgere il suo magistero nella città tedesca. Secondo la retta interpretazione di Luigi Foscolo Benedetto (1908-1911), la differenza tra le due versioni è data dal fatto che il testo di Novara è da ritenersi scritto successivamente al 16 luglio 970, data apposta al termine dell’epitafio di Würzburg. La variante apposta dovette essere motivata dal fatto che nella sua città natale non poteva dirsi universalmente noto il vescovo Poppone, che egli preferì dunque sostituire con Ottone I.
Se si prendono alla lettera le parole dell’epitafio di Novara («me rex Otto potens Francorum duxit in urbem», MGH, Poetarum Latinorum Medii Aevi, cit., p. 556), l’arrivo di Stefano a Würzburg sarebbe da fissarsi nel 952, anno in cui Ottone I tornò in Germania dopo essere stato incoronato re a Pavia il 23 settembre dell’anno precedente. Ci è inoltre stato tramandato un preciso episodio, accaduto prima del 956 e relativo al periodo in cui egli soggiornò in Germania e alle sue modalità di insegnamento.
Otlone di S. Emmerano, autore della Vita di Wolfgang, vescovo di Regensburg, scrisse che quest’ultimo in gioventù avrebbe lasciato l’abbazia della Reichenau con il compagno Enrico, fratello del vescovo Poppone, per recarsi a Würzburg, ove ascoltò gli insegnamenti del maestro Stefano. Giunti nella città i due si posero «sub eius disciplina» (Othloni Vita, a cura di D.G. Waitz, 1841, p. 528), e seguirono la lettura e il commento che egli fece del testo di Marziano Capella De nuptiis Mercurii et Philologiae. Poiché il «magister» in un passo non riuscì a dare una esaustiva spiegazione riguardo alla metrica dell’opera, gli scolari si rivolsero a Wolfgang, il quale risolse con facilità e in modo scrupoloso la difficoltà. Stefano, «ira commotus», proibì immediatamente a questi di frequentare le sue lezioni. Pur ammettendo una certa parzialità della fonte, una parte della moderna critica storica ha voluto intravvedere in tale episodio una contrapposizione tra la cultura italiana dell’epoca, veicolata dallo stesso Stefano, e l’avanzare di nuove istanze culturali, rappresentate da Wolfgang, entro la civiltà sassone.
Dopo circa vent’anni di insegnamento, nel luglio 970 Stefano abbandonò la Germania, ma prima di fare rientro in patria volle, in atto di omaggio, donare a S. Chiliano, patrono di Würzburg, e alla omonima chiesa cattedrale, presso la cui scuola episcopale egli aveva insegnato, alcuni dei pochi codici di sua proprietà («Quos habui paucos decrevi tradere libros, / Martyr sancte dei, en, Kiliane, tibi», MGH, Poetarum Latinorum Medii Aevi, cit., p. 555). Giunto a Novara, egli continuò il proprio insegnamento presso la locale cattedrale.
Nella città piemontese, il vescovo Aupaldo promosse Stefano a magister della scuola della cattedrale di S. Maria. Come egli stesso scrisse, poté così continuare la sua attività di insegnante, dedicandosi all’istruzione sia dei giovani sia degli adulti («Erudiens pueros instituensque viros», p. 556). A Novara Stefano era presente ancora nel 985. Si tratta dell’ultima testimonianza nota del grammatico novarese: insieme agli altri canonici diaconi e ai vassalli episcopali, egli sottoscrisse con la formula «Ego Stephanus grammaticus huic decreto consentiens subscripsi» (Le carte dell’Archivio capitolare di Santa Maria di Novara, a cura di F. Gabotto et al., 1913, n. 92, pp. 154-157) un’importante donazione effettuata dal vescovo Aupaldo alla Chiesa di Novara.
Preso atto delle difficili condizioni economiche in cui versava il capitolo di S. Maria, Aupaldo (stretto collaboratore di Ottone I e già abate di S. Ambrogio di Milano), decise di risollevare le sorti della chiesa matrice e del suo clero assegnandole la chiesa di S. Ippolito di Lumellogno, a cui era legata una curtis con servi e ancelle, nonché la basilica di S. Pietro di Pagliate. Inoltre, il vescovo Aupaldo concesse anche una piccola corte sul Lago Maggiore, quella di Cannero, a cui era aggiunto il villaggio di Oggiono, con oliveti, vigne e diritti di pesca. Condizione obbligatoria imposta ai canonici fu che tali beni fossero mantenuti in comune, così che essi nel tempo dell’Avvento potessero tutti sedere a un’unica mensa.
Per quanto attiene all’attività di magister grammaticae e alla cultura dello stesso Stefano, senz’altro ampia per l’epoca e di una rilevanza tale da avergli assicurato la chiamata a Würzburg, dalla citata opera di Otlone ci è noto che egli commentò Marziano Capella, mentre lui stesso ricordò di avere approfondito il proprio bagaglio culturale tramite la lettura di molti altri volumi e testi di cui era dotata la ricca biblioteca della località tedesca («Qua legi multos mente vigente libros», MGH, Poetarum Latinorum Medii Aevi, cit., p. 556).
Nell’attuale prezioso patrimonio librario della cattedrale di Würzburg non vi è traccia dei pauci libri che Stefano generosamente lasciò. Come rilevato da Ettore Cau (1979), i codici di origine italiana ivi conservati presentano una provenienza troppo varia per poterli inserire in un unico corpus attribuibile a Stefano.
Durante il periodo di permanenza in Germania Stefano fece presumibilmente confezionare anche altri testi. Inoltre, secondo una proposta di Cau (ibid., pp. 93 s.), il manoscritto dei Sermoni tramandato nel cod. lat. 1616 della Nationalbibliothek di Vienna (fine VIII secolo), appartenuto alla Biblioteca della cattedrale di Würzburg in pieno X secolo, va identificato con uno dei volumi del maestro trasferito in terra tedesca: il codice è stato infatti attribuito su basi paleografiche all’Italia nord-occidentale e per caratteristiche avvicinato ad alcuni codici considerati di origine novarese.
Lo stesso autore, nel suo studio sulla scrittura e sulla cultura della cattedrale novarese nel secolo X, ha formulato l’ipotesi che il testo di Marziano Capella «cum commento et barbarismo» (Cau, 1971-1974, p. 70), citato alla fine del XII secolo nel catalogo scritto dal tesoriere Gaidone e ora perduto, potesse essere quello che Stefano utilizzò a Würzburg, dato che tale codice non compare più tra quelli superstiti di quella biblioteca. Ha inoltre supposto che il Maior Priscianus, meglio noto come codice capitolare CI, del XII secolo, possa essere una copia tarda del testimone che Stefano ebbe tra le mani durante il suo insegnamento. Analizzando infine il ductus della scrittura presente nei tre epitafi citati, redatti in tempi diversi, egli ha inoltre rilevato l’importanza per esemplarità della ‘carolina usuale’ impiegata da Stefano, che si distanzia dalla ricerca calligrafica tipica degli scriptores di professione. È vero che l’epitafio del codice di Würzburg presenta una scrittura molto posata, mentre la mano dei testi novaresi, contenuti nel codice XXX, appare più nervosa e spezzata, ma ciò potrebbe essere attribuito alla tarda età dell’autore.
A ogni buon conto l’importanza di Stefano, la cui cultura non trascurabile traspare dagli epitafi autografi, non va ricercata in un diverso indirizzo dato alla ‘carolina libraria’ quanto nell’impulso organizzativo impresso allo studio scolastico presso la scuola della cattedrale di S. Maria, sfociato poi in una intensa attività dello scriptorium novarese tra il X e l’XI secolo.
La figura di Stefano è dunque da annoverarsi fra quelle di primo piano non solo entro il panorama culturale novarese ma anche in quello in pieno rinnovamento e dall’apertura internazionale del periodo ottoniano, al quale egli apportò il proprio fondamentale contributo durante il lungo periodo di insegnamento a Würzburg.
Dopo la sottoscrizione del 985, non si hanno più notizie di Stefano.
Fonti e Bibl.: Othloni Vita Sancti Wolfkangi episcopi, in MGH, Scriptores, IV, a cura di D.G. Waitz, Hannoverae 1841, pp. 521-542 (in partic. p. 528); Le carte dell’Archivio capitolare di Santa Maria di Novara, I, (729-1034), a cura di F. Gabotto et al., Pinerolo 1913, n. 92, pp. 154-157; MGH, Poetarum Latinorum Medii Aevi, V, 1, 2, a cura di K. Strecker, Lipsiae 1937, pp. 554-556 (ed. epitafi).
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