STEFANO di Protonotaro
STEFANO di Protonotaro (Stefano Protonotaro). – Nativo di Messina; non si conosce la data di nascita di questo poeta della scuola siciliana, che comunque è menzionato in documenti datati tra il 1261 e il 1280. Come per altri poeti duecenteschi, le testimonianze sono avare di notizie biografiche sul suo conto.
Le varianti con cui il nome si presenta nei canzonieri hanno complicato le ricerche degli eruditi otto- e novecenteschi: nella rubrica del manoscritto Vat. lat. 3793 (c. 10v), il nome del poeta è scritto «sser istefano dipronto notaio dimesina»; analoga la forma onomastica che si legge nel manoscritto Laur. Red. 9 di Firenze (mano b, c. 104r): «Notaro Stefano di Pronto di Messina». Nello stesso codice − ma in una sezione copiata dalla mano a (c. 79r) − si legge semplicemente «Istefano dimessina».
L’appellativo «Protonotaro» è tramandato dalla rubrica del ms. Vat. Barb. lat. 3953 («Stefano protonotaro da mesina», p. 48), che è confermata dalla didascalia delle cosiddette carte Barbieri (c. 40r, su cui v. infra).
Ernesto Monaci (1844-1918, 1897) formulò l’ipotesi che le varianti delle rubriche celassero, in realtà, il cognome della famiglia messinese dei «Proto» (forma corrotta da alcuni copisti in «Pronto», da altri inopinatamente univerbata con il titolo di «notaro»). Francesco Torraca (1902, p. 141) suggerì di riconoscere in «Pronto» una forma sincopata per «Pironto», altro nome di famiglia attestato in Sicilia nei secoli interessati.
Lasciando poi da parte questa congettura (approfondita parallelamente da Carlo Alberto Garufi, 1906-1907), il medesimo Torraca (1902, p. 142) riprese una notizia già prodotta da Monaci (1844-1918, 1897) a proposito di uno Stefano da Messina traduttore di un compendio astrologico per Manfredi. Anche questa pista (ancora dubitativamente accolta da Santorre Debenedetti nel 1932) non ha tuttavia trovato «giustificazioni più probanti di una genericissima omonimia» (Calenda, 2005, p. 776). Per il traduttore − a cui si attribuisce la versione in latino (1262) del De revolutionibus annorum nativitatum di Albumasar e di un fortunato Centiloquium Hermetis (florilegio dedicato a Manfredi e tratto dal Liber rememorationum di Sadan, precedentemente tradotto dal medesimo Stefano: cfr. Lucentini, 2007, p. 264) – è stata proposta l’identificazione con uno «Stephanus Takki de Messana» che fu traduttore e interprete per Carlo d’Angiò, come risulta da un documento di pagamento del 1270 (cfr. Scandone, 1903, 1904, p. 133).
Lo «Stephanus de Messana» nominato notaio del porto di Messina il 26 ottobre 1275 (Registri Angioini, XXIV, f. 37) non può essere identificato con il poeta, anche perché l’appellativo de Messana non indicherebbe, qui, la provenienza, ma sarebbe un cognome (cfr. Scandone, 1903, 1904, pp. 131 s.).
Vi è oggi un consenso unanime circa il fatto che «Protonotaro» dev’essere la forma originaria, fraintesa dai copisti che hanno spezzato il nome, interpretando il secondo elemento come titolo professionale (in ogni caso, non vi è traccia di uno Stefano protonotario regio). La forma onomastica e l’identificazione accolte dagli studiosi si appoggiano, in particolare, su un manipolo di testimonianze archivistiche prodotte da Francesco Scandone prima della distruzione nel 1943 dei Registri Angioini (cfr. Scandone, 1900 e 1903, 1904).
Un documento datato al 24 ottobre 1275 (Registri Angioini, XXIV, f. 39) contiene l’ordine, emanato da Carlo I d’Angiò, di confiscare le terre e i beni di alcuni traditori filosvevi. Nell’elenco dei terreni si fa menzione di un «Casale quod dicitur in Protonotario in plano Melacii» (è l’odierna frazione di Protonotaro nel comune di Castroreale), già appartenuto a un «Franciscus Filmangerius» durante il regno di Manfredi, quindi passato, dopo l’avvento di Carlo I, nelle mani di «Bartholomeus de Tancredo». Dopo il tradimento di quest’ultimo (1268), il feudo di Protonotaro fu occupato fino al 1275 da uno «Stephanus de Nigro de Messana», insieme alla sua «consobrina» Giovanna (cfr. Scandone, 1900, p. 23). Stefano de Nigro poteva dunque essere indicato con la denominazione del feudo di cui era titolare, e anzi il nome del poeta andrebbe corretto in «Stefano di Protonotaro» (così per Contini, 1960). Secondo Scandone (1903, 1904, pp. 126 s.) il fatto che nel 1268 Stefano e Giovanna abbiano ottenuto il feudo fa anche sospettare che i due potessero accamparvi qualche diritto ereditario, forse in virtù di una titolarità precedente all’epoca di Manfredi.
Il poeta avrebbe fatto parte, quindi, di quel vasto ceto di «homines novi, provenienti comunque tutti o quasi tutti dalle antiche famiglie, [che] sostituirono il vecchio ceto dirigente compromesso con Manfredi», costruendo la propria fortuna «sull’acquisto delle sostanze dei proditores filosvevi del 1268 e sull’usurpazione di molti beni demaniali» (Pispisa, 1996).
Se Stefano de Nigro e di Protonotaro sono la stessa persona, la più antica attestazione in vita risale al novembre 1261, quando una pergamena del Tabulario di S. Maria di Malfinò fa cenno di alcuni beni siti «secus domum Stephani de Protho[notario]» (il manoscritto ha una macchia, ma la lettura è ragionevolmente sicura per Ciccarelli, 1984, p. 107). Insieme a un «Guillelmus de Nigro», Stefano compare nell’elenco dei testimoni di uno strumento dato a Messina nel 1264 da Malgerio di Altavilla, relativo a una donazione (cfr. Tromby, 1775).
Si fa ancora menzione di Stefano nel giugno del 1269 (cfr. Scandone, 1903, 1904, pp. 124 s.), quando Carlo I rimprovera lo stratigoto di Messina per non aver ancora confiscato un terzo dei beni mobili di Filippo Mostacci e di «Stephan[us] Protonotari[us] de Messana», entrambi condannati in contumacia in seguito a una contesa «super quibusdam victualibus» sorta con il protocappellano Giovanni de Mesnil. Su base puramente congetturale, Scandone ritiene che il documento del 1275, citato più sopra, potrebbe attestare la confisca del feudo di Protonotaro, motivata proprio dal prolungarsi della contesa di cui si ha notizia nel 1269.
A Stefano di Protonotaro sono attribuibili le canzoni Assai cretti celare, Assai mi placeria e Pir meu cori allegrari, unico testo della scuola siciliana di cui si sia integralmente conservata la veste linguistica originaria (per la prima, l’attribuzione è contesa con Pier delle Vigne; ma cfr. l’edizione di Mario Pagano in I Poeti della Scuola siciliana, II, 2008, p. 327, che risolve l’attribuzione a favore del nostro). Sostenendo la possibile identificazione con lo Stefano da Messina traduttore, Debenedetti (1932, 1986, p. 62) fa notare la ricorrenza del cursus nelle clausole di alcuni versi, a dimostrare una probabile familiarità con la composizione di testi anche latini.
La canzone Pir meu cori allegrari è copiata da Giovanni Maria Barbieri (1519-1574) nelle carte dell’Arte di rimare: la lingua del testo si presenta, straordinariamente, in una veste siciliana che non ha subito la toscanizzazione toccata in sorte a pressoché tutti i componimenti usciti dallo stesso ambiente. Barbieri menziona come fonte un «Libro siciliano», che è andato perduto; secondo Glauco Sanga (1992) la presenza di alcuni iper-sicilianismi tradirebbe, però, una tardiva ritraduzione dal toscano al siciliano, che potrebbe dimostrare la falsità, almeno sul piano linguistico, della canzone trascritta da Barbieri; ulteriori verifiche di Pagano (2001) hanno tuttavia ridimensionato i presunti tratti aberranti, che trovano attestazione in testi siciliani trecenteschi.
Il nostro doveva essere ancora vivo nel settembre del 1280, quando un documento menziona uno Stefano di Protonotaro in un elenco di cittadini che rendevano tributo a Henri de Boiat (cfr. Catalioto, 1995). In ogni caso, morì prima dell’11 luglio 1301, quando un altro documento (cfr. Scandone, 1903, 1904, p. 128) fa menzione delle vigne «quondam Stephani de Prothonotario», confermate, insieme ad altri beni, al giudice «Iohannes de Laburczi de Messana».
Fonti e Bibl.: Le «carte Barbieri» sono conservate a Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, ms. B 3467 (su di esse cfr. la messa a punto di A. Cipollone, Appunti per una rilettura delle carte Barbieri, in Medioevo romanzo, XXVII (2003), pp. 200-220).
B. Tromby, Storia critico-cronologica diplomatica del Patriarca S. Brunone e del suo Ordine Cartusiano, Napoli 1775, t. V, pp. CCLV s.; E. Monaci, Crestomazia italiana dei primi secoli; con prospetto delle flessioni grammaticali e glossario, I-III, Città di Castello 1844-1918, II, 1897, p. 212; F. Scandone, Ricerche novissime sulla Scuola poetica siciliana del sec. XIII [...] con molti documenti inediti, Avellino 1900, pp. 22-24; F. Torraca, Studi su la lirica italiana del Duecento, Bologna 1902, pp. 141 s., 202 s.; F. Scandone, Notizie biografiche di rimatori della scuola siciliana (1903), in Id., Notizie biografiche di rimatori della scuola poetica siciliana, con documenti, Napoli 1904, pp. 123-134; C.A. Garufi, Stefano di Pronto notaro o S. di P., in Studi medievali, II (1906-1907), pp. 461-463; S. Debenedetti, Le canzoni di S. P. Parte prima: la canzone siciliana, in Studj romanzi, XXII (1932), pp. 5-68 (poi in Id., Studi filologici, a cura di C. Segre, Milano 1986, pp. 27-64, da cui si cita); G. Contini, in Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, I-II, Milano 1960, I, p. 129; D. Ciccarelli, Teodoro il filosofo, Mazzeo di Ricco, S. di P.: nuovi apporti documentali, in Schede medievali, VI-VII (1984), pp. 103-107; G. Sanga, La rima trivocalica. La rima nell’antica poesia italiana e la lingua della Scuola poetica siciliana, Venezia 1992, pp. 202 s.; L. Catalioto, Terre, baroni e città in Sicilia nell’età di Carlo I d’Angiò, Messina 1995, p. 157, n. 342; E. Pispisa, Messina medievale, Galatina 1996, p. 53; M. Pagano, «Pir meu cori allegrari» di S. P.: tra filologi interventisti e conservatori, in Convergences médiévales: épopée, lyrique, roman. Mélanges offerts à Madeleine Tyssens, a cura di N. Henrard, P. Moreno - M. Thiry-Stassin, Bruxelles 2001, pp. 367-376; C. Calenda, S. P., in Enciclopedia fridericiana, I-II, Roma 2005, II, pp. 776-778; P. Lucentini, L’ermetismo magico nel secolo XIII, in Id., Platonismo, ermetismo, eresia nel Medioevo, Louvain-la-Neuve 2007, pp. 264-310; I poeti della Scuola siciliana, II, Poeti della corte di Federico II, direttore C. Di Girolamo, Milano 2008, pp. 325-365 (l’edizione delle rime di Stefano Protonotaro è a cura di M. Pagano; lo specchietto biografico a p. 326 è di F. Carapezza).