DORIA, Stefano
Nobile genovese, nacque, probabilmente nel feudo avito di Dolceacqua (od. prov. di Imperia), tra il marzo e l'aprile del 1522, terzogenito di Bartolomeo e di Peretta Doria di Stefano, dopo Camilla ed Imperiale.
L'infanzia del D. fu segnata dalla sventura: il fallito tentativo del padre di impadronirsi di Monaco con l'uccisione dello zio Luciano Grimaldi, messo in atto nell'agosto del 1521 costrinse la famiglia alla fuga e all'esilio. Nel 1525 anche il padre del D. fu assassinato, per vendetta del vescovo Agostino Grimaldi, fratello dell'ucciso Luciano e nuovo signore di Monaco. In entrambe le circostanze fu vitale per il D. e i suoi la protezione del duca di Savoia, Carlo II, e, più indirettamente ma forse più efficacemente, di Andrea Doria. Andrea in persona aveva raccomandato al duca la sorte del padre dei D., suggerendo la procedura per consentirgli la reintegrazione dei diritti feudali di Dolceacqua (attraverso la dichiarazione di vassallaggio resa da Bartolomeo al duca, che subito lo reinvestì dei feudi, il 1° luglio 1524).
Dopo gli anni bui seguiti alla morte del padre, la sorte del D. e dei fratelli cambiò positivamente, grazie ai rivolgimenti internazionali e alla diretta protezione di Andrea Doria. Infatti, dopo il ritorno dei Francesi a Genova nel 1527., l'ammiraglio si preoccupò di cacciare i Grimaldi da Dolceacqua e dai castelli dipendenti e di restituirli, nel settembre, alla famiglia del Doria.
Data la minore età del primogenito, la tutela e il governo furono assunti dallo zio Lamberto Doúa, commendatore dell'Ordine di Malta, appositamente giunto da Napoli. Lamberto operò poi in modo esemplare: fece sposare Camilla al patrizio ventimigliese Luca Sperone, assecondò la carriera militare di Imperiale, fece ammettere il D. giovinetto come paggio alla corte di Carlo V; poi, alla maggiore età di Imperiale, Lamberto tornò alla sua commenda di Napoli.
Il D. fu affidato dall'imperatore al celebre capitano Emanuele Filiberto di Savoia, che ne fece un valente soldato. Nel 1547 il D. partecipò all'assedio del castello di Montoggio, dove si erano asserragliati i congiurati dei Fieschi, e si distinse per il coraggio e l'abilità dimostrati. Perciò Andrea Doria lo raccomandò, con una lettera del 28 giugno 1547, a Ferrante Gonzaga affinché lo assumesse nelle milizie imperiali: e il Gonzaga inviò il D. come comandante al castello di Loano. Ma, due mesi dopo, Andrea lo reclamava a Genova per "almeno un mese, con qualche pochi fanti" (Lettere, 1886, p. 172) al fine di formare un corpo di guardia personale di assoluta sicurezza per il periodo di entrata in vigore della nuova riforma costituzionale. In seguito il D. passò di nuovo al servizio dei Savoia: il duca Carlo II, che lo aveva protetto bambino, lo nominò il 30 luglio 1551 governatore della città di Nizza, seguendo anche le indicazioni di Emanuele Filiberto.
La fortezza, una delle poche rimaste al duca, era stata precedentemente governata da Cristoforo Pallavicini e da Erasmo Galleani, sperimentati condottieri: il fatto che fosse ora affidata al D., in un momento in cui rivestiva un'importanza strategica vitale, conferma la fama di alta professionalità e di assoluta onestà di cui egli godeva: doti che confermò e nell'espletamento dell'incarico e in altre circostanze, legate alle fasi conclusive del conflitto franco-asburgico: nell'affrontare vittoriosamente navi francesi condotte dal Cursez che avevano assalito, davanti a Villafranca, alcune navi cariche di oggetti preziosi diretti a Ferdinando I d'Asburgo; in una spedizione congiunta contro Ajaccio, nel 1554, al comando di navi spagnole e infine nella difesa di Cuneo dall'attacco francese nel 1557. In quest'ultima circostanza pagò di suo i soldati alienando rendite paterne e impegnando preziosi della dote della seconda moglie, Caterina Del Carretto.
Tanta fedeltà fu compensata, dopo la conclusione della pace di Cateau-Cambrésis (1559), e dal nuovo re di Spagna Filippo II (con la nomina a cavaliere di Santiago di Compostela e una pensione annua di 600 ducati) e dal nuovo duca di Savoia, Emanuele Filiberto, con la contea della Rocchetta, confinante con Dolceacqua, con la nomina a consigliere di Stato e ciambellano e infine, il 5 dic. 1560, con quella di capitano generale della città e provincia di Nizza. Le capacità politicoamministrative dimostrate dal D., a complemento di quelle militari, spinsero il duca sabaudo ad affidargli la delicata pratica dell'acquisto del territorio di Oneglia da altro ramo dei Doria: acquisto che avrebbe permesso al duca un più sicuro accesso al mare, ma che era ovviamente ostacolato dall'atteggiamento di Genova. La condotta del D., improntata all'assoluta discrezione, fu tanto abile da meritare insieme la riconoscenza del duca e la stima della Repubblica, nonché l'apprezzamento del giovane Giovan Andrea Doria, che era appena succeduto di fatto al vecchio principe defunto.
Probabilmente proprio Andrea prima di morire aveva raccomandato il D. al suo delfino: così, all'inizio del 1561, allorché Giovan Andrea, con l'intenzione da lui dichiarata di avere figli, decise di restare a casa per un certo tempo e di affidare il governo delle galee che aveva ereditato da Andrea a persona di assoluta fiducia, dopo aver scartato lo zio Filippo (figlio del conte Filippino) ritenuto poco coraggioso, e Pier Francesco Doria, nipote di Antonio, per non meglio specificati "altri rispetti", fece cadere sul D. la sua scelta.
Questa ebbe il benestare del re di Spagna e l'approvazione del polemico suocero di Giovan Andrea, Marcantonio Del Carretto, che mise in guardia il genero solo dalla fama di "largo spenditore" del D., peraltro compensata dal "molto credito" di cui godeva tra i soldati. Il D., che probabilmente desiderava allentare i propri legami col duca sabaudo, accettò l'incarico delle galee di Giovan Andrea per un compenso di 250 scudi d'oro al mese. Ma alla fine dell'estate dello stesso 1561, mentre il D. era a Napoli con la flotta, Giovan Andrea, a bordo dell'armata spagnola comandata dal suocero, ritornò a prelevarla. Il D., con signorile iniziativa, gli rimise subito l'incarico e si fece congedare, guadagnandosi ulteriore stima.
Meno di tre anni dopo Giovan Andrea lo indicava alla Repubblica come il condottiero in grado di soffocare la nuova rivolta di Sampiero della Bastelica in Corsica. Il D. chiesta e ottenuta licenza dal duca sabaudo, accettò l'incarico: alla decisione dovette concorrere un certo desiderio di vendetta, poiché alcuni anni prima, nel 1558, in Corsica, all'assedio di San Fiorenzo, aveva trovato la morte il fratello Imperiale.
La Repubblica temeva che i Turchi, impegnati a sostenere Dragut e Algeri, approfittassero della spedizione nel Mediterraneo occidentale per dar man forte a Sampiero che, ritornato da Istambul e riorganizzata la ribellione con l'appoggio della corte francese, era sbarcato in Corsica il 12 giugno 1564.
Il D., nominato comandante supremo dell'esercito genovese, dopo aver scritto personalmente al viceré di Sicilia, don Garcia de Toledo, e ad Alberico Cibo (con cui aveva militato negli anni giovanili) per ottenere aiuti e truppe, sbarcò a San Fiorenzo il 29 luglio. La sua dura condotta di guerra consentì una serie di successi alle armi genovesi, anche se ottenuti con incendi e rapine che gli guadagnarono fama di crudeltà presso le popolazioni corse. I capi ribelli amici di Sanipiero cercarono invano di fermarlo, tentando di coinvolgere altri principi cui offrirono la signoria dell'isola: Emanuele Filiberto (che rifiutò forse non solo per precise ragioni politico-diplomatiche, ma anche per rispetto del D.) e Cosimo I (cui fu vietato dalla Spagna). Le operazioni militari del D. intanto continuavano soprattutto contro uno dei capi, Achille Campocasso, che fu più volte sconfitto dalla cavalleria genovese guidata da Andrea Centurione; poi, alla fine del novembre 1564, giunse anche Giovan Andrea con la flotta: la loro azione combinata consentì rapidamente la non facile occupazione di Portovecchio, di Ajaccio e del castello d'Istria, che Sampiero fu costretto ad abbandonare, e la riconquista del territorio fino a Bastelica.
Ma il sopraggiungere dell'inverno fermò le operazioni; poi lo svanire del timore che la flotta turca si muovesse in soccorso dei ribelli corsi contribuì a rallentare l'impegno militare di Genova, dove si andava diffondendo l'opinione che il D., privilegiando la soluzione di forza, trascurasse di agire diplomaticamente sfruttando le rivalità dei capi. Perciò, a metà del 1565, nonostante la nuova vittoria di Corte, il D. venne richiamato a Genova e sostituito con Gian Pietro Vivaldi, cui era affidata la direttiva di favorire tradimenti e defezioni tra i ribelli e sopra tutto quella di Achille Campocasso, che si imputava al D. di aver trascurato.
Dopo il ritorno dalla Corsica, il D. si chiuse nel feudo di Dolceacqua, ereditato alla morte di Imperiale, senza prole, nel 1558 (che, come già detto, il duca sabaudo aveva ampliato nel 1560 con la contea della Rocchetta). Vi applicò le doti del "buon governo": regolò i rapporti tra le varie Comunità (specie quelli secolarmente conflittuali tra Apricale e Isolabona), costituì una propria corte (cui impose il minuzioso rispetto dell'etichetta spagnola che aveva appreso negli anni giovanili), provvide all'abbellimento del suo castello (i cui affreschi commissionò a Luca Cambiaso), mantenne buoni rapporti coi paesi confinanti, specie con Ventimiglia: anzi, durante la peste del 1579, collaborò attivarnente con le autorità sanitarie della città. Morì a Dolceacqua il 26 luglio 1580 (forse in conseguenza del contagio), dopo aver lasciato in testamento la signoria al cugino Giulio Doria, primogenito dello zio Luca che, a suo tempo, aveva seguito il padre nell'esilio.
Il D. infatti non aveva avuto figli né dalla prima moglie, Apollonia Grimaldi (morta poco dopo le nozze, celebrate nel 1552) né dalla seconda, Caterina Del Carretto, figlia del marchese del Finale. A lei lasciò l'usufrutto della contea della Rocchetta, gli 8.000 scudi di dote e vari legati; a un altro Doria, Gerolamo conte di Cirié, lasciò 150 balle di papiri della sua cartiera di Dolceacqua. Fu sepolto nella locale chiesa di S. Giorgio, dove sono ancora il sepolcro e l'epigrafe.
Contemporanei al D. operarono almeno due omonimi: uno Stefano Doria, signore per un terzo del Sassello, fu protagonista di una tormentata vendita alla Repubblica negli anni 1595-96 (vendita che sarà oggetto di annose questioni diplomatico-finanziarie, che si trascineranno fino ai primi decenni del sec. XVII; cfr. R. Ciasca, I, pp. 279 s., 287, 301, 338, 366), e uno Stefano fu Giovanni (citato sempre dal Ciasca e anche lui erroneamente assimilato al D., in II, p. 189) fu testimone dei diritti di precedenza dello stendardo genovese. Un terzo omonimo, di una generazione più giovane (ma sempre assimilato al D. dal Ciasca, II, pp. 46 s.), figlio di Marco Doria e di Caterina Pinelli, fu ambasciatore straordinario in Spagna nel 1621 e commissario delle galee nella guerra savoiarda del 1625.
Fonti e Bibl.: Genova, Bibl. civ. Berio, m.r. XIV, 3, 13: G. A. Doria, Vita scritta da lui medesimo, cc. 90, 91, 94; Documenti ispano-genovesi dell'Archivio di Simancas, in Atti d. Soc. ligure di storia patria, VIII (1886), pp. 371 s.; Lettere di Andrea e di Antonio Doria, a cura di A. Neri, in Giorn. ligustico, XII (1886), pp. 170 ss.; Istruzioni e relazioni degli ambasciatori genovesi, a cura di R. Ciasca, Roma 1951, I, p. 147 (le altre indicazioni ad Indicem riguardano gli omonimi); M. Merello, Della guerra fatta dai Francesi, Genova 1607, pp. 371 s.; G. Cambiagi, Istoria del Regno di Corsica, Firenze 1770, pp. 170 ss.; C. Manfroni, Storia della marina ital., Roma 1897, III, p. 428; G. Rossi, Il marchesato di Dolceacqua, Bordighera 1903, pp. 99, 109-117; L. Staffetti, Il Libro dei ricordi della famiglia Cybo, in Atti di Soc. ligure di storia patria, XXXVIII (1910), p. 386; R. Russo, La ribellione di Sampiero Corso, Livorno 1932, p. 22; R. Quazza, Preponderanza spagnola, Milano 1950, pp. 336 ss.; R. Emanuelli, Gênes et l'Espagne dans la guerre de Corse, Paris 1963, pp. 340 ss.