FERMI, Stefano
Nacque a Piacenza l'8 maggio 1879, da Emesto e Giulia Baldini, di impiegatizia e modesta famiglia caorsana. Vinto un posto gratuito di liceista presso i Signori della missione al collegio "Alberoni" (dal novembre 1895 al luglio 1898), e conseguita da privatista la maturità classica presso il liceo di Piacenza, s'iscrisse alla facoltà di lettere dell'Istituto di studi superiori in Firenze, dov'ebbe maestro G. Mazzoni. Nel 1899 dovette interrompere temporaneamente gli studi per il servizio di leva, prima da allievo ufficiale, quindi caporale e sergente, sempre a Firenze, dal 14 luglio igoi sottotenente di fanteria a Piacenza fino al congedo nell'autunno.
Si laureò sul finire del 1902 con una dissertazione sul Magalotti, pubblicata a Firenze nel 1904 con il titolo L. Magalotti, scienziato e letterato (1637-1712), alla quale si affiancava un'esauriente trattazione bibliografica sul poligrafo toscano. Il F. iniziò nel 1903 la carriera d'insegnante, vincendo per concorso la cattedra di materie letterarie al ginnasio di Chieti, donde passò, dopo un secondo concorso, alla cattedra di lettere italiane nel liceo di Cremona (1905-1913). Nel frattempo, i lavori sul Magalotti l'avevano già decisamente affermato quale. probo studioso e intelligente adepto della cosiddetta scuola storica, e la sua Bibliografia magalottiana ebbe dalla Società bibliografica italiana, su proposta dei relatori F. Flamini e C. Frati, il premio Brambilla (di lire 500) e la dignità di stampa (Piacenza 1904).
I due volumi sono rimasti indispensabili, benché la monografia, sottotitolata "studio biografico bibliografico critico", tradisca un sostanziale difetto di dialettica storica, frequente o costante nelle pubblicazioni compilate in obbedienza alla "scuola"; la ricchezza dell'informazione erudita e la disgiunta sovrabbondanza dei particolari biografico-bibliografici oscura, o toglie, la visione dell'insieme, né permette un giudizio unitario sull'autore tolto a soggetto. Con l'aggravante specifica, nel caso dell'anglornane Magalotti, di una insufficiente preparazione linguistico-culturale del F. per ciò che attiene l'ambiente letterario britannico sul finire del sec. XVII. È significativo segno di matura autocritica, d'altronde, che il F. non ritornasse più oltre sul Magalotti o temi affini, e progressivamente, anzi, si distanziasse dalla metodica e dalla scuola dei Mazzoni, pur nel ribadito ricordo ed ossequio al vecchio maestro.
Nel 1906, con pochi sussidi e scarsi abbonati, fondava il Bollettino storico piacentino, concependolo non come mero foglio provinciale o locale, ma come raccordo fra la storia di Piacenza (e dei suo territorio e/o Ducato) e la storia tout-court. Non solo, quindi, la presenza dei Piacentini nella storia, ma una storia, quand'anche piacentina, non mai settoriale o per genere, comprensiva pertanto d'ogni forma di attività (arti figurative, topografia, politica, letteratura). I poli d'una "storia" piacentina, quale il F. perseguì nel Bollettino e oltre, ebbero i tre nomi ottocenteschi di G. D. Romagnosi, di P. Giordani e della duchessa Maria Luigia d'Austria.
Conforme al gusto otto-novecentesco delle "riabilitazioni", ma con pienissima verità di fondo e generosa larghezza d'indagini, né senza indulgere a vieti clichés o pregiudizi risorgimentali, il F. dié opera a mettere in giusta, epperò sostanzialmente buona luce l'opera di Maria Luigia, che non firmò, né permise, alcuna condanna a morte di patrioti, ch'ebbe dal congiunto Francesco IV duca di Modena il nomignolo scherzevole di "repubblicana" e fu sollecita sempre dello sviluppo ed ammodernamento del Ducato in ambito viario, edilizio, scolastico, assistenziale, ospedaliero. Iniziata già nel secondo anno (1907) del Bollettino la campagna Per la riabilitazione di Maria Luigia, ricordando in quest'occasione altresì "un lavoro grandioso... l'ampio e solido ponte sulla Trebbia, opera del famoso architetto Cocconcelli", il F. ribadiva nel 1939: "i nostri avi non ebbero a dolersi troppo della loro sovrana, se pure non ebbero anzi ragioni di riconoscenza per essa... Tanta severità... nei riguardi di Maria Luigia c'è sempre parsa irragionevole e ingiusta - e l'abbiamo qui detto e ripetuto - perché prodotta da un giudizio unilaterale, che considera in Lei solo la consorte e la vedova di Napoleone, certamente colpevole, e non anche la mite duchessa di Parma e Piacenza" (cit. in Treves, pp. 211 s.).
Giordani fu il grande amore del F. che però, posseduto dall'utopia positivistica della monografia complessiva, cui non si doveva giungere se non mercé il vaglio e l'analisi d'infiniti documenti e la soluzione d'infinite questioni, si perse nel mare magnum della bibliografia. e delle ricerche particolari, astenendosi dal dare alle stampe anche il discorso del 1948 per il centenario funebre del suo autore. Iniziò comunque dal F. la rinascita, fiorentissima, e non nella sola Piacenza, degli studi giordaniani ai quali il F. contribuì con impegno costante, dentro e fuori dall'ambito del Bollettino. Diede nel suo periodico ragguagli critici, recensitivi e bibliografici sul Giordani, e nella Biblioteca storica piacentina, che affiancava il periodico, uscirono i Saggi giordaniani (Piacenza 1915), nei quali il F. lumeggia le relazioni del Giordani con i Napoleonidi nel comune esilio fiorentino, la sua amicizia con l'orientalista piemontese B. Drovetti, il culto che tramite A. Gussalli ebbero per il Giordani gli Amici pedanti, mentre infirma la cruda esegesi medio-positivistica che la vita del Giordani riduceva a una continua crisi di neurastenia. Ed è primo frutto di quanti altri avrebbe poi fatto nella sua scia, la Bibliografia delle lettere a stampa di P. Giordani (Firenze 1923) e gli scritti raccolti in Letterati e filosofi piacentini del primo Ottocento (Piacenza 1944), dove accanto al Giordani figurano Romagnosi e Melchiorre e Pietro Gioia e dov'è già intrapreso lo studio del rapport (etico-politico-letterario) fra il Giordani e il Manzoni.
Di Pietro Gioia piacque al F. la figura di patriota unitario, filopiemontese bensì, ma consapevole che all'avvento vitale d'una monarchia statutaria italiana occorreva la coesione, la solidarietà fra le classi sociali, onde il problema strettamente politico non era solubile senza la soluzione, o l'avviamento a soluzione, del problema degli squilibri economici. Tanto più questo il F. avvertì negli anni e nel clima della prima guerra mondiale: donde il volume L'opera di Pietro Gioia per Piacenza e per l'Italia (Piacenza 1920); mentre della stessa atmosfera, patriottica ma scevra di qual si voglia nazionalismo o bellicismo, parteciparono Ilvalore piacentino nell'ultima guerra per l'Unità d'Italia (ibid. 1919) e la monografia su un concittadino anch'egli patriota senza megalomania e interventista senza nazionalismo, il venerando presidente del Senato Giuseppe Manfredi (ibid. 1927).
Maggiori cure e più dotte il F. volse al Romagnosi, dedicandogli quello che subito parve il maggior contributo scientifico del centenario (1935), immune da qual si voglia tentativo d'inquinamento littorio, la raccolta delle Lettere edite e inedite, sobriamente annotate (Milano 1935), senza che la prefazione d'un "gerarca" quale Arrigo Solmi punto incidesse sull'austerità e la scientificità del volume.
Dopo aver partecipato come ufficiale di fanteria alla prima guerra mondiale, vinto nel 1919 il concorso per l'insegnamento liceale in città "universitarie", si era autorevolmente ambientato al "Manzoni" di Milano, ampliando alla Società storica lombarda l'attività che da molti anni dedicava alla Deputazione di storia patria per le provincie parmensi (donde si ritrasse nel 1935, a protesta contro la fusione autocratico-fascista della Deputazione stessa con la Deputazone generale per l'Emilia e Romagna, fusione poi cessata nel 1945). Amatissimo da colleghi e discepoli, si tollerò il suo antifascismo, il suo rifiuto di iscriversi al partito, nonostante la paura e le pressioni del suo preside G. Pochettino, fin quando il ribadito rifiuto d'iscrizione straordinaria come excombattente diede origine ad un'inchiesta ministeriale.
Proposto per la dispensa dal servizio, inviò al Ministero dell'Educazione nazionale un memoriale difensivo in cui smantellava come inconsistenti o mendaci accuse che rampollavano dal solo autentico dato di fatto della sua non iscrizione al partito fascista. E questa il F. ribadiva così: "io non ho voluto iscrivermi al P.N.F.... per i motivi che già ho esposti a voce e per iscritto all'Ispettore prof. Montanelli, ma che credo qui utile ripetervi: 1) la naturale riluttanza che ... ho sempre avuto a dare il mio nome a sette e a partiti politici; 2) le convinzioni liberali e cristiane in cui sono stato educato e a cui contrastano in parte, a mio giudizio, i principi teorici e la prassi del Fascismo".
Pensionato d'autorità nell'ottobre del 1941, lasciò Milano per la casa di Caorso (Piacenza) invasa il 16 ott. 1944 da un manipolo di militari tedeschi, ai quali l'attività resistenziale dei F. pareva giustificarne l'arresto. Riuscì ad evitare la cattura e con la famiglia trovò asilo sulla montagna di Bardi (Piacenza), donde riprese dimora in Caorso liberata. E qui fu per breve ora vicesindaco. Rifiutò peraltro ogni adesione ai partiti e rifiutò parimenti la carica di provveditore offertagli dal Comitato di liberazione nazionale piacentino.
Restituito alla scuola per l'anno scolastico 1947-48, quale preside del liceo scientifico di Piacenza, il F. vi passò i due ultimi anni della carriera, definitivamente pensionato alla fine del 1949 per raggiunti limiti di età. Si spense in Caorso il 13 ott. 1952 e qui fu inumato nella cappella di famiglia.
Fonti e Bibl.: Le carte del F. sono conservate nell'archivio di famiglia a Caorso (tranne il materiale lato sensu "giordaniano", che è alla Bibl. comunale di Piacenza). La bibliografia degli scritti del F., a cura di E. Nasalli Rocca, in Boll. storico piacentino, XLVII (1952), pp. 77-103. Sul F. si vedrà E. Nasalli Rocca, ibid., pp. 57-76; G. Forlini, ibid., pp. 104-108; P. Treves, Ritratto di S. F., in Cultura piacentina tra Sette e Novecento. Studi in on. di G. Forlini, Piacenza 1976, pp. 201-218 (con ulteriore bibl.); E. Nasalli Rocca, in Libertà (Piacenza), 15 ott. 1952e 13 ott. 1972;G. Forlini, ibid., 2 giugno 1980; Nuovo Dizionario biografico piacentino, Piacenza, 1987, p. 109.