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GAVUZZI, Stefano Giuseppe Antonio

di Raffaella De Rosa - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 52 (1999)
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GAVUZZI, Stefano Giuseppe Antonio

Raffaella De Rosa

Nacque a Torino nel 1709. Conseguita la laurea in giurisprudenza, il 13 maggio 1740 entrò negli uffici pubblici come sostituto avvocato generale. Nominato effettivo nel giugno 1744, divenne in seguito avvocato civile dei poveri nella corte d'appello (Senato di Piemonte) il 24 maggio 1749. Nel febbraio 1759 ottenne la carica di senatore e il 30 luglio 1774 di sovrintendente dell'Economato generale per le province smembrate dallo Stato di Milano. Dopo quarant'anni di servizio fu posto a riposo il 23 nov. 1779 con il titolo di presidente d'appello. Dal suo matrimonio con Teresa Cocchis - dalle cui noiose e frequenti lamentele si racconta che fosse solito difendersi attaccando a suonare il violino - nacquero due figli, Francesco Antonio, archivista camerale e avvocato, Stefano iunior, intendente generale delle Finanze e anch'egli avvocato.

Assieme con il conte G. Galli della Loggia, fu collaboratore della Pratica legale (Torino 1772), opera dagli evidenti fini empirico-utilitari che gli valse la qualifica di maestro per gli scrittori della Sampaolina e della Filopatria. Allo stesso tempo, a riprova della coesistenza in lui quasi di due anime, quella grave di magistrato e l'altra amena del dilettante di lettura, il G. diffondeva nel Piemonte balzane strofette di pronostici.

A questa vena faceta del G. appartiene l'Adramiteno, dragma anfibio per cagion di musica (postumo, Torino 1809), parodia del melodramma settecentesco e del Metastasio in particolare, comunemente attribuito alla sua scherzosa penna. Il dramma - che in tre atti mette in scena gli infelici amori di Adramiteno, generale dei Romani nella guerra di Cappadocia, con la ninfa Ciborra e le nozze di ripiego di Somarinda, innamorata di Adramiteno, con Asinio - fu composto intorno al 1769 e cominciò a circolare manoscritto in ambienti piemontesi riscuotendo un enorme successo.

Alla messa in ridicolo della letteratura melodrammatica - attraverso un intreccio narrativo improbabile (figurazione degli strambi casi accozzati dai librettisti del tempo) e attraverso la trebaziata, intesa come particolare combinazione di idee e parole diversissime tale da produrre per contrasto il riso - il G. ha voluto affiancare una satira al disordine spirituale e morale del suo secolo, che si manifestava soprattutto nella profonda disillusione nei riguardi della famiglia (si veda l'unione di convenienza tra Asinio e Somarinda paragonata, non a caso, a quella di poesia e musica nei melodrammi). È singolare che una parodia tanto accesa dei drammi metastasiani abbia potuto incontrare così larga fortuna proprio in Piemonte, dove il Metastasio godette di fama ampia e indiscussa, ma la perplessità si supera considerando che il G. sembra possedere una propria consistenza comico-realistica, una vita propria in quanto congerie e riserva inesauribile di detti e fatti risibili. Siamo lontani naturalmente dall'umorismo d'arte vero e proprio perché risulta difficile, per chi non sia informato del momento letterario in cui il testo prese forma, trovare la chiave per intenderlo e perché alcune cadute di gusto e indulgenze all'osceno guastano irreparabilmente il dramma sotto l'aspetto estetico, inquinandone l'atmosfera altrimenti piacevolmente giocosa. Sotto questo aspetto l'Adramiteno risulta artisticamente inferiore al Rutzvanscad (1724) e al Socrate immaginario (1775), parodie delle tragedie di S. Maffei e di V. Alfieri con le quali più volte è stato messo in relazione. Sembra comunque fuori di dubbio che autore dell'Adramiteno sia il G., dopo che per alcuni anni si era creduto di poterne attribuire la paternità al medico e letterato V. Malacarne di Saluzzo, professore d'anatomia all'Università di Padova, che in un manoscritto autografo rivendicava come sua la composizione del dramma. Le ricerche di R. Renier e di A. Manno hanno escluso tale attribuzione in base a considerazioni storiche e filologiche quali la mancata rivendicazione al momento della pubblicazione dell'Adramiteno (ove il G. era indicato quale autore), la dichiarazione dell'editore di aver ricevuto il manoscritto dall'erede P. Gavuzzi, l'assenza del dramma dal Catalogo delle opere di V. Malacarne (Brescia 1811), scrupolosamente redatto dal figlio Giuseppe. Inoltre, nell'Adramiteno molti termini e frasi risultano ripresi dal gergo curialesco con funzione parodica e presuppongono quindi un autore esperto nella terminologia giuridica e nella sua applicazione convenzionale quale fu il G. ma non il Malacarne. Mentre è riscontrabile un'identità di ispirazione tra l'Adramiteno e le Favole di Esofago, sicuramente attribuibili al Gavuzzi.

Le Favole di Esofago da Cetego (Torino 1809), parodia della favolistica settecentesca e dell'apologo esopiano in particolare, rivestono la stessa importanza storica dell'Adramiteno quali testimoni della piena consapevolezza dell'esaurimento della vecchia letteratura e della sua erudizione posticcia.

Il G. morì per un colpo apoplettico durante la sua usuale villeggiatura a Vinovo (presso Torino) il 5 luglio 1782.

Fonti e Bibl.: T. Vallauri, Storia della poesia in Piemonte, II, Torino 1841, pp. 31 s., 376 s.; C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, II, Torino 1881, pp. 344 s.; R. Renier, Adramiteno, Ancona 1884; A. Manno, Intorno all'Adramiteno, in Giorn. stor. della lett. italiana, III (1884), pp. 79-82; C. Calcaterra, Il nostro imminente Risorgimento. Gli studi e la letteratura in Piemonte nel periodo della Sampaolina e della Filopatria, I, Torino 1935, pp. 258, 582-593; G. Natali, Il Settecento, II, Milano 1973, pp. 167, 178, 400.

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