GUARNIERI, Stefano
Nacque nel terzo decennio del sec. XV da Giacomo, di antica famiglia notarile di Osimo, presso Ancona.
Di alcune sue missioni compiute per conto dei pontefici egli stesso riferì nelle postille al proprio esemplare delle Vitae pontificum del Platina (1479), che fanno comprendere il livello d'azione politica del G.: la prima, risalente al 1458, lo vede in missione diplomatica per conto di Callisto III presso Giacomo Piccinino, Federico da Montefeltro e Sigismondo Malatesta, per trattare di possibili alleanze con il pontefice; la seconda, del 1466, si riferisce a un'azione militare del G. che, per ordine di Paolo II, conquistò tre castelli dei nobili di Alviano e ne catturò i signori che furono rinchiusi in Castel Sant'Angelo fino all'elezione di Sisto IV. Come si vede, si tratta di incarichi legati alle strategie militari ed egemoniche che riguardavano i delicati equilibri esterni e interni del dominio pontificio.
L'azione in territorio umbro, concomitante alla nomina del G. a cancelliere del Comune di Perugia da parte del pontefice, ebbe invece probabilmente per i Perugini il sapore dell'intimidazione. Già noto a Perugia per aver retto la cancelleria del governatore Pietro Del Monte, vescovo di Brescia, dal 1451 al 1454 e per aver in quel periodo sottomesso e demolito il castello di Reschio, conducendone i ribelli in catene a Perugia, il G. fu nominato da Paolo II cancelliere immediatamente dopo che i priori, nel novembre del 1465, avevano eletto alla medesima carica Giovanni Pontano, il quale avrebbe dovuto anche ricoprire l'ufficio connesso di lettore di retorica presso lo Studio cittadino.
Poiché, curiosamente, il Pontano tardava a presentarsi, i Perugini inviarono due ambasciatori presso il pontefice per domandare l'assenso a un'elezione che spettava per statuto solo ai priori e camerlenghi, "adsegnando a la sua Beatitudine quanto serìa di gran mancamento a questa città quando essa electione legittimamente facta non avesse luocho et quanto preiuditio et dampno ne resultaria al dicto studio" (Nicolini, pp. 314 s.). Probabilmente la manovra di Paolo II fu abilmente premeditata poiché non soltanto gli ambasciatori arrivarono pochi giorni dopo l'avvenuta elezione del G., ma quando essi fecero ritorno a Perugia ebbero l'amara sorpresa di trovarvi già insediato il cancelliere di nomina pontificia, ancorché momentaneamente assente per condurre l'azione militare contro gli Alviano. Sembra chiaro che alla decantata virtù oratoria del Pontano, funzionale al lustro autonomistico del Comune, il pontefice, con un colpo di mano esibito e irridente verso le libertà comunali, fece subentrare la più opaca e marziale figura del G. per esercitare uno stretto controllo su un Comune che conservava fresca la memoria delle sue lotte contro la Chiesa.
Il G. s'insediò a Perugia con l'intera famiglia: la moglie Cassandra, la madre Caterina, tre figlie femmine e tre maschi, cui se ne aggiunsero, nel periodo perugino, altri otto (sei femmine e due maschi): Alessandro, Guarnerio, Censorio, Aurelio, Girolamo, Faustina, Gentilina, Paola, Maddalena, Girolama, Cornelia, Caterina, Susanna e Leoparda.
Delle figlie del G., due si sposarono (Faustina e Gentilina) e tre divennero clarisse: Girolama, Susanna e Caterina; quest'ultima è nota per aver scritto una importante Cronaca del monastero di S. Lucia a Foligno, dove prese l'abito probabilmente dopo il 1488 e di cui divenne vicaria nel 1512; vi morì, a quanto pare, nel 1547.
Per far fronte ai costi di una così numerosa famiglia, completata da un servo e una fantesca, il G. fece notevoli sforzi per accaparrarsi voci di spesa che nel bilancio comunale giudicava superflue (come gli stipendi degli ufficiali del Campione della carne). Più tardi riuscì a ottenere per il figlio Aurelio un posto come coadiutore nella Cancelleria e, nel 1485, la nomina a castellano di Montone da parte di Innocenzo VIII. Dopo un solo anno di cancellierato il G. ricevette la cittadinanza perugina, che a posteriori può dirsi ben motivata, visto che restò al servizio della città per ben ventitré anni. In questo lungo arco di tempo il G. svolse numerose ambascerie: si recò presso il papa ufficialmente in diverse occasioni tra il 1468 e il 1488, presso il gonfaloniere di Firenze nel 1476, presso Carlo Fortebracci nel 1477, dal duca di Urbino nel 1478, a Siena varie volte nel 1485 per una contesa patrimoniale sorta tra la città e Perugia. Anche nel suo ufficio di cancelliere, che per la lunghezza della carriera e la quantità del materiale documentario sopravvissuto permetterebbe una valutazione particolarmente approfondita, è possibile riscontrare un'intensissima attività di compilazione, archiviazione e riordino. Come ha ben messo in luce il Nicolini, i libri delle Sottomissioni, degli Offici, dei Copiari, delle Riformanze recano tutti traccia della infaticabile attività del G., il cui prodotto più considerevole sono gli indici e il repertorio per materia delle Riformanze. L'abilità del G. può essere anche riscontrata nei capitoli stipulati con il neoeletto Innocenzo VIII, di cui il G. fu scrittore materiale nell'ottobre del 1484.
Del testo si conservano due redazioni, quella registrata nelle Riformanze al 1° ottobre e un'altra, rielaborata a Roma (prima del 29 ottobre, data dell'udienza) presso la Camera apostolica, che si conserva in un quaderno membranaceo di otto carte presso la Biblioteca Augusta di Perugia (D.33 [18]). Questi documenti sono stati studiati da A. Petrucci il quale, oltre a individuare le caratteristiche della grafia del G., ha rilevato che la revisione compiuta da questo ha investito sia la sostanza sia la forma dei singoli capitoli, da un lato migliorando la forma sintattica e sostituendo termini aulici ai volgari, dall'altro ponendo in rilievo la convergenza d'interessi tra Comune e Camera apostolica o temperando diplomaticamente alcune proteste su irregolarità amministrative commesse dal tesoriere provinciale del pontefice.
Nel clima di tensioni e violenze politiche diffuso in Perugia dopo la morte di Braccio Baglioni (1479) il G., "timens casum et periculum mortis inevitabile", stese un testamento il 14 apr. 1484. In questa scrittura, pubblicata dal Nicolini (pp. 324-329), il G. attribuisce le doti alle figlie, dispone quali debbano essere usufrutti e diritti di Cassandra, sua moglie, e istituisce eredi universali quattro dei cinque figli, uno dei quali, Alessandro, sappiamo a questa data essere già morto poiché il G. chiede di essere tumulato "in eadem sepultura in qua recondita sunt corpora bone memorie quondam domine Catherine matris sue et Alexandri eius filii dilectissimi" (ibid., p. 325), all'interno della chiesa perugina di S. Lorenzo, nella cappella dei Ss. Pietro e Paolo che il medesimo G. fece costruire. Evidentemente il G. aveva fondati motivi per temere la situazione. Infatti, il prevalere definitivo dei Baglioni non gli fu certo favorevole: pochi giorni dopo un'ultima ambasceria a Roma avvenuta il 21 ott. 1488, i Baglioni presero il sopravvento e misero in fuga gli Oddi. Come questi ultimi il G. fu espropriato e costretto alla fuga, forse per aver escluso amici e clienti dei Baglioni dalle liste elettorali. Nelle Riformanze, che per più di vent'anni il G. aveva diligentemente compilato, al 4 novembre è registrata la sua cassatio. Dopo aver soggiornato, non si sa quanto a lungo, a Roma, il G. trovò l'ultima dimora a Osimo, sua città natale, della quale fu nominato gonfaloniere nel 1493. Qui morì nel primo semestre del 1495.
Di là dalla veridicità di suoi cimenti in scritture originali - il Mazzatinti riferisce di un suo poema di otto canti singolarmente intitolato in volgare Candia assediata dagli Ottomani (Inventari dei manoscritti delle biblioteche d'Italia, VI, Forlì 1896, p. 12) -, appare di tutto rilievo l'attività di copista del G., testimoniata dalle sottoscrizioni di codici a noi pervenuti dalla sua preziosa biblioteca, nella quale verosimilmente confluì quella del fratello Francesco e che fu conservata dai discendenti fino al 1793, allorché l'ultima di essi, Sperandia Guarnieri, la spostò a Jesi, nella dimora del marito, conte Nicola Balleani. A partire dal 1847 ebbe inizio la dispersione della biblioteca, attraverso alienazioni e vendite che, in alcuni casi, sono state con successo contrastate dalle istituzioni preposte, come nel caso del codice Esinate-Hersfeldense, che prima di approdare alla Biblioteca nazionale di Roma (Vitt. Em. 1631) è stato protagonista di una vicenda molto singolare. Il codice Esinate conserva l'unico manoscritto medievale dell'Agricola e della Germania di Tacito, preceduti dal Bellum Troianum di Ditti Cretese; scoperto nel 1902 da Marco Vattasso, prefetto della Biblioteca apostolica Vaticana, fu negli anni seguenti oggetto di studio di Cesare Annibaldi, il quale riconobbe la mano del G. come copista delle carte risalenti al sec. XV, mentre identificava nelle cc. 56-63 dell'Agricola un quaternione del codice del sec. IX proveniente da Hersfeld. Su questo codice si era già accesa un'ansiosa aspettativa da parte di molti umanisti italiani, dopo che Poggio Bracciolini aveva comunicato a Niccolò Niccoli nel 1425 che un monaco di Hersfeld, Heinrich di Grebenstein, gli aveva mostrato un inventario contenente "aliqua opera Cornelii Taciti nobis ignota". Con ogni probabilità fu Enoch d'Ascoli che recuperò il codice durante una sua missione in Germania, fortemente voluta da Niccolò V al fine di ricercare preziosi codici; ma quando Enoch giunse a Roma con il suo tesoro, il papa umanista era morente e dal suo successore egli non ottenne l'attesa soddisfazione. Si ritirò perciò ad Ascoli, forse recando con sé il codice. Non sappiamo come esso pervenne al G., ma certamente quando ciò accadde doveva essere in così cattive condizioni da richiedere una risistemazione e l'integrazione delle carte supplite, che il G. trascrisse dal medesimo codice. Egli ne rispettò rigorosamente l'aspetto della pagina, con una "bella minuscola romana umanistica sempre uniforme, regolare e corretta" e con l'impegno "di fare, quasi direi, un facsimile della vecchia scrittura, d'imitarla cioè in tutte le sue particolarità grafiche e ortografiche, di conservare insomma tutta la fisionomia del vecchio codice, di trasfondere, se così posso dire, in essa copia tutto il pregio di quell'antichità ch'era per tramontare con la fine del codice stesso" (Annibaldi, pp. 137, 165). Le singolari peripezie di questo codice, ricostruite da Francesca Niutta nel 1996, non si concludono nella biblioteca Balleani: dalla fallita vendita di Sotheby's nel 1929 al tentativo, anch'esso fallito, di acquisto ed esportazione da parte delle autorità naziste in Italia nel 1938 (per la presenza della Germania tra le opere tacitiane) - cui seguì un'importante pubblicazione, della quale fu incaricato R. Till dall'Ahnenerbe di Berlino, presieduta da H. Himmler -, al danneggiamento nell'alluvione fiorentina del 1966.
Un altro codice significativo il cui percorso, sempre a partire dalla biblioteca Balleani, ha toccato dapprima la biblioteca di Giannalisa Feltrinelli a Cologny, quindi la Pierpont Morgan Library di New York, per approdare infine, dopo una recente asta londinese, alla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, dove non ha ancora una collocazione, è quello del De re rustica di Columella, sottoscritto dal G. alla c. 213v: "Scripsi ego Stephanus Guarnerius LIII diebus Florentiae 1462". Alla c. 1r compare lo stemma della famiglia Guarnieri, nel quale si vede un leopardo su campo azzurro nella parte destra e quattro bande bianche alternate a tre rosse nella sinistra. Fu grazie al raffronto con questo codice che Annibaldi riconobbe la mano del G. nella grafia quattrocentesca del codice Esinate. Sulle varianti di ottima qualità presenti nel codice di Columella, sembra legittima la conclusione di S. Prete, che lascia aperto il dubbio in merito alla loro genesi, se da altri codici di cui si sia persa traccia, o da congetture dello stesso Guarnieri. In ogni caso sembra potersi dire che il G. sia un doctus copista "che cerca di comprendere il significato del testo e lascia spazi vuoti nel codice quando non afferra il senso di ciò che trova nell'originale; in un secondo momento egli ritorna ad esaminare i punti difficili, integrando ed emendando". Se il G. ha inserito nel testo emendazioni sue, "occorre ammettere che egli è stato capace, con la sua acribia, di sanare alcuni dei passi più difficili del testo di Columella" (pp. 156 s.). Dallo studio di questo codice è emerso anche un dato interessante in merito ai rapporti e scambi culturali del Guarnieri. Un apografo dell'attuale laurenziano, conservato presso la Biblioteca universitaria di Bologna (ms. 2535), fu trascritto nel 1468 per Gaspare Zacchi, il quale dovette essere uno stretto conoscente del G., non solo in quanto vescovo di Osimo, ma anche per i suoi strettissimi rapporti a Roma con il cardinale Bessarione e la sua cerchia, cui apparteneva Niccolò Perotti, anch'egli marchigiano e legato al fratello del G., Francesco.
Per altri codici appartenuti al G. (i codici ciceroniani recanti i preziosi postillati del Petrarca sono da riferirsi - uno solo di essi con certezza - al fratello Francesco) o da lui sottoscritti, si veda l'elenco impostato da A.M. Adorisio nel suo contributo del 1996: ne emerge un'intensificazione dell'attività scrittoria del G. tra il 1460 e il 1465 a Roma, dove risultano copiati tre codici, tra cui un Cesare, un Sallustio, un Cicerone (De finibus). Ancora a pochi anni dalla morte, nell'ottobre 1490, sappiamo l'anziano umanista intento a copiare in Roma le Noctes Atticae di Aulo Gellio.
Fonti e Bibl.: M. Faloci Pulignani, Saggi della cronaca di suor Caterina Guarnieri da Osimo, in Arch. stor. per le Marche e per l'Umbria, I (1884), pp. 278-322; C. Annibaldi, L'Agricola e la Germania di Tacito nel ms. latino 8 della biblioteca del conte G. Balleani in Jesi, Città di Castello 1907; A. Fantozzi, Documenti intorno alla beata Cecilia Coppoli clarissa [1426-1500], in Archivum Franciscanum historicum, XIX (1926), p. 346 n. 2; R. Till, Handschriftliche Untersuchungen zu Tacitus Agricola und Germania mit einer Photokopie des Codex Aesinas, Berlin-Dahlem 1943; G. Billanovich, Petrarca e i retori latini minori, in Italia medioevale e umanistica, V (1962), pp. 130 s., 164; A. Petrucci, Note di diplomatica pontificia, II, I capitoli di Innocenzo VIII per Perugia, in Arch. della Società romana di storia patria, LXXXIX (1966), pp. 58-85; S. Prete, Il codice di Columella di S. G., Fano 1974; U. Nicolini, S. G. da Osimo, in L'umanesimo umbro, Atti del IX Convegno di studi umbri, Gubbio… 1974, Perugia 1977, pp. 307-329; R.W. Ulery, The text of Tacitus in 15th-century Italy and the Guarnieri brothers, in Res publica litterarum, XII (1989), pp. 237-249; A.M. Adorisio, Nuovi codici per la storia dell'umanesimo a Roma, in Roma nel Rinascimento, 1994, pp. 297-305; F. Niutta, Ritrovamenti e scoperte: tre codici latini acquistati dalla Biblioteca nazionale centrale di Roma, in Roma moderna e contemporanea, II (1994), 3, pp. 841-845; A.M. Adorisio, Il recupero dei codici Guarnieri Balleani, in I manoscritti di Elsa Morante e altri studi, Roma 1995, pp. 33-36; M.M. Breccia Fratadocchi - L. Martolini Santini - F. Niutta, I codici Guarnieri Balleani alla Biblioteca nazionale, ibid., pp. 19-32; A.M. Adorisio, Nota dei codici appartenuti a Francesco e S. Guarnieri di Osimo, in Rinascimento, XXXVI (1996), pp. 195-205; F. Niutta, Sul codice Esinate di Tacito, ora Vitt. Em. 1631 della Biblioteca nazionale di Roma, in Quaderni di storia, XLIII (1996), pp. 173-202; Id., Manoscritti romani alla Biblioteca nazionale. Ultimi acquisti, in Roma nel Rinascimento, 1997, pp. 327-332.