STEFANO IX
Federico delle Ardenne o di Lorena era figlio di Gozelon, duca di Lotaringia; il nome della madre è ignoto. Originario della diocesi di Liegi in Lotaringia ("Leodiensis papa", lo definisce una fonte), egli incarna adeguatamente lo spirito riformatore lorenese; essendo vissuto nella cerchia vicina a Leone IX, abbracciò e riprese le idee di questo papa. Nell'intero arco della sua vita S. dimostrò solide qualità intellettuali, ma nella sua vicenda entrò in gioco un ulteriore elemento: il suo stretto legame di parentela con il marchese di Toscana Goffredo il Barbuto e i rapporti tesi di quest'ultimo con l'imperatore. Egli apparteneva alla stirpe dei conti delle Ardenne, discendenti dei Carolingi tramite Luigi il Balbuziente. Aveva due fratelli, uno dei quali era Goffredo il Barbuto duca di Lotaringia e marchese di Toscana († 1069), e due sorelle, Regelindis e Uda, sposate con i conti di Namur e di Lovanio. A Federico venne dato il nome dello zio, conte di Verdun, in seguito monaco di St-Vanne in questa città. Uno zio Adalberone fu vescovo di Verdun (984-988) e un prozio arcivescovo di Reims (969-989). In qualità di terzogenito, fu destinato dalla famiglia alla carriera ecclesiastica e compì i suoi studi da chierico nella scuola cattedrale di Liegi. Divenne canonico e arcidiacono del Capitolo di St-Lambert. Nell'XI secolo Liegi era rinomata per l'importanza e il numero delle sue scuole, in cui si formarono molti futuri vescovi. Pur essendo situata in un paese dove la riforma monastica fu intensa nel corso del X e XI secolo, la città mosana si distingueva per la quantità rilevante dei Capitoli e l'esiguo numero dei suoi monaci. Federico nutrì un autentico interesse per la vita canonicale, che lo spinse ad occuparsi personalmente della fondazione del Capitolo di St-Alban a Namur ad opera del cognato conte Albert. Il canonico si mostrò generoso verso questa comunità, di cui forse assunse la guida: le donò alcuni beni e si adoperò per dotarla di reliquie. Nel 1049 acquisì le reliquie di s. Albano a Magonza, una traslazione che ebbe luogo senz'altro in coincidenza con il passaggio di papa Leone IX, che aveva intrapreso il suo primo viaggio fuori Roma per riunire i concili di Reims e di Magonza. Leone IX verosimilmente incontrò Federico proprio a Magonza e l'invitò ad entrare a far parte della sua cerchia. Fra i lorenesi che formavano il consiglio del pontefice, Federico era certamente quello a lui più affine per sangue ed origine. Nato probabilmente nel secondo decennio dell'XI secolo, Federico assolse le sue funzioni di arcidiacono al servizio del vescovo Wazon († 1048) e in seguito di Thédouin. Possedeva quindi tutti i requisiti per coadiuvare la Curia episcopale. Poiché l'anno successivo acquisì, al momento della sua traslazione, una reliquia di s. Gerardo vescovo di Toul - canonizzato da Leone IX durante il suo secondo viaggio -, si può affermare che in quel momento egli facesse parte della cerchia ristretta degli intimi del papa. L'anno seguente Leone IX decise di disfarsi del vescovato di Toul, di cui era rimasto titolare, per assegnarlo al suo bibliotecario Udone, che era stato "primicerius" del Capitolo cittadino. Questo trasferimento, avvenuto nel febbraio 1051, consentì a Federico di diventare a sua volta bibliotecario e cancelliere di Leone IX; la sua prima menzione con questo titolo risale al 12 marzo 1051. Da allora Federico rimase sempre a fianco del papa e condivise con lui un pontificato travagliato. Per merito della sua formazione e delle qualità che gli vengono attribuite fu designato per partecipare all'ambasceria inviata a Costantinopoli nel 1054. Il cardinale Umberto di Silvacandida e Pietro di Amalfi partirono insieme a Federico, per portare a Costantinopoli i messaggi di un papa in angustie, che nell'aprile di quell'anno sarebbe morto senza conoscere i risultati ottenuti dalla legazione, la quale, a sua volta, rimase all'oscuro della tragica fine del pontefice. Durante il soggiorno in Oriente Federico partecipò attivamente al dibattito teologico, animato soprattutto dal cardinale Umberto, che pronunciò una vigorosa confutazione delle asserzioni del monaco Niceta Stetato. Quest'opera, che molte fonti attribuiscono senza riserve a Federico, denota la forza di pensiero del cancelliere pontificio, plasmata dalla conoscenza del diritto e dalle capacità argomentative, e una inconfutabile sicurezza che riaffiorerà poi nelle decisioni dei sinodi da lui diretti. Nel corso dei tre anni in cui svolse le funzioni di cancelliere sopraggiunse una serie di eventi che coinvolsero anche Federico. Nel 1052 l'assassinio del marchese Bonifacio di Toscana rese vedova Beatrice di Lorena, che due anni più tardi si unirà in matrimonio con Goffredo, fratello di Federico (aprile 1054). Goffredo era un uomo ambizioso: nel 1044 aveva ottenuto il Ducato dell'Alta Lotaringia, in seguito si era ribellato ad Enrico III che rifiutava di concedergli l'intero territorio della Lotaringia, tanto che questi finì per deporlo e sostituirlo. Il dissidio fra Goffredo ed Enrico, divenuto nel frattempo imperatore, fu ricomposto grazie all'intervento di papa Leone IX. Ma Goffredo, che non intendeva rassegnarsi all'inattività, partì alla volta dell'Italia dove progettava di dedicarsi a nuove imprese sposando la vedova di Bonifacio. E si unì in matrimonio con lei nel 1054, allorché il fratello era in procinto di recarsi a Bisanzio. Al ritorno dall'Oriente, poiché il papa era morto e i rapporti tra il fratello e l'imperatore restavano tesi, Federico preferì ritirarsi dalla scena pubblica per farsi monaco a Montecassino. La prematura morte di Enrico III, che lasciava una vedova e un orfano già incoronato, dovette rinfrancare Goffredo di Toscana e suo fratello. Quest'avvenimento infatti impresse una svolta alla carriera di Federico: il 23 maggio 1057, forse grazie all'appoggio, o per disposizione, dell'amico Umberto, egli fu designato per diventare abate di Montecassino. Fu benedetto da Vittore II a Firenze e nominato cardinale prete di S. Crisogono (24 giugno). Il corso degli eventi subì un'accelerazione: Vittore II morì a sua volta e i cardinali elettori scelsero in assoluta libertà Federico, senza avvertire la corte imperiale dove allora regnava l'imperatrice Agnese. Eletto il 2 agosto, fu consacrato l'indomani e assunse il nome del santo celebrato in quel giorno. Il suo amico Umberto fu posto a capo della Cancelleria. Il papa e il suo consigliere più stretto intendevano proseguire l'opera di riforma avviata da Leone IX, che avevano entrambi affiancato, lavorando di concerto con altri due personaggi di spicco come Pier Damiani e Anselmo di Lucca. S. non ebbe il tempo di estendere la propria azione all'intera cristianità; di lui si conservano meno di venti bolle e il motto del suo sigillo in piombo: "Ipse est pax nostra". Alcune chiese italiane beneficiarono del suo favore, oltre a Cluny, per la quale venne redatto un lungo e minuzioso documento di conferma dei beni (6 marzo 1058). Liegi non venne dimenticata e al vescovo Thédouin fu destinato un omerale. Furono riuniti diversi concili e adottati gli stessi provvedimenti presi nelle riunioni precedenti: contro il matrimonio dei preti e dei consanguinei, contro la simonia. Il papa difese la liturgia romana e proibì il rito beneventano. Alla sua ascesa al soglio aveva inviato il diacono Ildebrando in veste di legato dall'imperatrice Agnese, con la richiesta di riconoscere la sua elezione. Quando si ammalò all'improvviso era in procinto di muoversi contro i Normanni e, vedendo avvicinarsi la morte, chiese che dopo la sua scomparsa non si procedesse all'elezione del nuovo papa prima del ritorno di Ildebrando. La morte lo colse il 29 marzo 1058 a Firenze, essendosi recato dal fratello Goffredo, e fu sepolto in questa città. A S. è stato attribuito il disegno di fare di suo fratello un imperatore; certamente egli fu molto vicino a Goffredo, essendo questi il suo parente più prossimo, ma al tempo stesso fu intensamente coinvolto nel travaglio di una Chiesa impegnata in un processo di riforma che il pontefice intendeva difendere dagli agitatori. S. fu l'ultimo dei "papi tedeschi", ma a differenza dei suoi predecessori non era vescovo quando fu eletto e non fu scelto per occupare la Sede di s. Pietro dall'autorità laica. La sua elezione rappresentò un autentico colpo di stato, agevolato dalla minorità di re Enrico IV. La successiva elezione di Niccolò II segnò senz'altro un ritorno alla norma, ma precedette di poco il provvedimento d'importanza capitale del nuovo pontefice che deliberò di riservare l'elezione del vescovo di Roma al solo Collegio dei cardinali. Per quanto sostenitore della riforma, S. apparì nondimeno come un papa condizionato dalle pratiche imperiali, il prodotto di una città tipica della Chiesa imperiale, i cui vescovi tuttavia rifiutavano di obbedire senza fiatare all'imperatore, che rispettavano pur sapendo tenergli testa. S. rispecchiava questo contesto: attento a mantenere l'equilibrio tra sacerdozio e Impero, il suo breve pontificato assume rilievo proprio in questa prospettiva. Fonti e Bibl.: Pontificum romanorum [...] vitae ab aequalibus conscriptae, a cura di I.M.B. Watterich, I, Lipsiae 1862, pp. 188-204, 738, 748; Regesta Pontificum Romanorum, a cura di Ph. Jaffé-G. 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