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MADERNO, Stefano

di Giampiero Pucci - Enciclopedia Italiana (1934)
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MADERNO, Stefano

Giampiero Pucci

Scultore, nato in Lombardia, presumibilmente intorno al 1566, morto a Roma il 17 settembre 1636. A Roma già si trovava nel 1597, e pare che in principio si occupasse con fortuna a copiare e restaurare sculture antiche. La prima opera, e inoltre la migliore e la più famosa che di lui rimanga, risale al 1599, quando, durante un restauro della chiesa di S. Cecilia in Trastevere, venne ritrovato il corpo della santa martire titolare, ed egli ebbe la commissione di riprodurlo nell'identica giacitura, quale era apparso all'istante del rinvenimento. La popolarità della santa, la parvenza miracolosa di quel corpo incorrotto, che la figura marmorea, posta sotto l'altare maggiore della chiesa come dentro una cassa aperta sul davanti, sembra ricordare alla venerazione dei fedeli, contribuiscono ancora oggi a dare a questa opera un'alta rinomanza. Il suo pregio migliore, oltre che nella composizione, è nel modo delicato di trattare il panneggio, a pieghe sottili, che seguono con un vago ritmo decorativo le linee del corpo giacente. Nelle opere successive il M. sembra avere smarrito quelle doti di spontaneità e di freschezza che nella S. Cecilia temperano in modo gradevole il suo tardo manierismo. Tra la fine del sec. XVI e i primi del XVII, lavorò nella cappella Aldobrandini in S. Maria sopra Minerva per incarichi di scarsa importanza (gli angeli di coronamento ai due grandi sepolcri laterali); fra il 1608 e il 1612 circa nella cappella Paolina in S. Maria Maggiore, dove, oltre a una statua di S. Efrem, opera assai modesta, collocata all'esterno sul fianco sinistro della chiesa, scolpì due rilievi: quello in bronzo sul frontespizio dell'altare con la figurazione di papa Liberio in atto di segnare sulla neve la pianta della basilica, e l'altro, marmoreo, nel monumento di Paolo V con l'esercito della Chiesa che si reca in soccorso degli Ungheresi contro i Musulmani. In ambedue si nota povertà e imperizia di composizione. La statua di S. Carlo Borromeo nella chiesa di S. Lorenzo in Damaso (da datare presumibilmente poco dopo il 1610) si distingue per una certa vivezza d'espressione e il taglio della persona, nobilmente panneggiata; meritano appena menzione le figure allegoriche della Pace e della Giustizia, di marmo, che coronano l'altar maggiore di S. Maria della Pace (1614) e quella di S. Pietro, di travertino, sul timpano del portale del Palazzo del Quirinale (1615). Dopo queste opere pare che il M., accettato un ufficio nelle Dogane, abbandonasse l'attività di scultore; vi tornò incidentalmente nel 1628-30 circa con due figure di angeli in marmo per la cappella maggiore della chiesa di S. Maria di Loreto al Foro Traiano. Sgraziati nella posa, scorretti nel modellato, offrono interesse come mancato tentativo d'assimilazione delle nuove forme barocche da parte di un artista ritardatario, che non poté riuscire a intenderle né a riprodurle vitali.

Bibl.: B.C.K., in Thieme-Becker, Künst.-Lex., XXIII, Lipsia 1929.

Vedi anche
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