MARIANINI, Stefano
– Nacque a Zeme, presso Mortara, il 5 genn. 1790, da Giovanni Battista, medico condotto del paese, e da Lucia Anselmi.
Iscrittosi tredicenne all’Università di Pavia, si laureò in giurisprudenza nel 1807. Poco propenso per la pratica legale, si avviò verso gli studi medici, abbandonati però per un’invincibile repulsione verso le dissezioni anatomiche. Si dedicò quindi alla fisica e alla matematica, frequentando a Pavia le lezioni e le dimostrazioni sperimentali di A. Volta e P. Configliachi e guadagnandosi da vivere come ripetitore privato di queste materie. Nel 1817 la vita professionale del M. ebbe una svolta quando Volta, direttore della facoltà filosofica dell’ateneo pavese, lo nominò aggiunto stipendiato alle cattedre di matematica elementare e fisica generale e sperimentale (Epistolario di Alessandro Volta, V, p. 337). L’anno successivo vinse il concorso per la cattedra di «fisica con la matematica applicata» nello stesso ateneo (ibid., p. 366).
Nel 1821 fu nominato professore per lo stesso insegnamento nel liceo S. Caterina (l’attuale Marco Foscarini) a Venezia, dove rimase fino al 1835 (dal 1826 fu anche bibliotecario). Importante fu il suo ruolo nel funzionamento del gabinetto di fisica, che orientò in misura considerevole verso le proprie aree di ricerca.
Nel 1836 il M. lasciò Venezia per passare alla cattedra di fisica sperimentale offertagli l’anno precedente dall’Università di Modena. Ebbe subito doppia incombenza didattica, nella facoltà fisico-matematica e nella facoltà medica, cui si aggiunse nel 1844 la nomina a bibliotecario. Nel 1848, per effetto di una riforma cui egli stesso partecipò come membro della commissione per nuovi piani di studio, la sua cattedra fu denominata «fisica particolare e sperimentale». Tenne tale insegnamento nelle classi fisico-matematica e medico-chirurgica, derivate dalle due corrispondenti facoltà, e in una classe filosofica di nuova istituzione. Dal 1848 al 1864 presiedette sia la classe fisico-matematica sia la filosofica. Nel 1859 ottenne il pensionamento, mantenendo il titolo di professore con facoltà di dare lezioni a sua discrezione e di usare il gabinetto di fisica universitario.
Una rassegna dei lavori scientifici pubblicati dal M. fino al 1844 (Grimelli) e due elogi postumi (Pazienti; Razzaboni) restano le più ricche fonti sulla sua biografia scientifica. La rassegna elenca 60 scritti, inclusi 16 del quadriennio 1837-40 pubblicati dal M. a propria cura e spese (Memorie di fisica sperimentale scritte dopo il 1836…, I-II, Modena 1838-41). Le bibliografie nei due elogi – ognuna delle quali elenca 79 titoli, ma rispettivamente ignorandone uno e aggiungendone un secondo rispetto all’altra – portarono a 80 il numero delle pubblicazioni scientifiche. L’elogio del 1870 fornì, inoltre, un dettagliato elenco cronologico del suo curriculum accademico, degli incarichi ufficiali, delle onorificenze e delle numerose associazioni a società scientifiche italiane e straniere. Un’edizione degli scritti scientifici (Memorie di fisica sperimentale, I-III, Bologna 1874), curata da una commissione di cui fecero parte il figlio Pietro Domenico (buon fisico matematico, anch’egli docente presso l’Università di Modena) e C. Razzaboni, aggiunse un piccolo numero di inediti e optò per una suddivisione degli scritti in dieci sezioni tematiche, ciascuna ordinata cronologicamente. L’opera scientifica del M. non è stata più affrontata con altrettanta sistematicità, cosicché quell’edizione è rimasta un punto di riferimento importante per i pochi e più limitati contributi successivi.
Il M. ebbe anche incarichi extraccademici: nel periodo veneziano fu nella giuria dei premi di incoraggiamento all’industria del Regno Lombardo-Veneto; in quello modenese presiedette la commissione per l’applicazione del sistema metrico decimale negli Stati estensi. Quest’ultimo ufficio, tenuto dal 1849 per nove anni, risultò gravoso e compromise la sua produzione. Fu socio di numerose società scientifiche, tra le quali – dal 1833 – la Società italiana delle scienze o Accademia dei XL, che presiedette dal 1844 al 1866, l’Académie des sciences dell’Institut de France (dal 1838 fu tra i 6 corrispondenti della sezione di fisica) e l’Accademia di scienze, lettere e arti di Modena (dal 1841).
Pur con l’arbitrarietà insita in ogni ordinamento tematico, i 10 raggruppamenti adottati nell’edizione del 1874 danno un’idea significativa delle aree scientifiche in cui il M. si cimentò: studi sugli elettromotori (pile); teoria degli elettromotori; galvanometro e reelettrometro; correnti indotte e derivate; azione magnetizzante delle correnti elettriche istantanee; magnetismo; elettro-plastica, elettro-grafia ed elettro-metallocromia; elettro-fisiologia ed elettro-terapia; analogie tra elettricità e luce; memorie di argomento vario.
Gli studi sugli elettromotori, condotti tra il 1823 e il 1840, sono la parte più ampia della sua opera scientifica. Ancora vivente, il M. fu nominato «eroe dell’elettricismo voltaico» (Grimelli, p. 79) per la strenua difesa della spiegazione del funzionamento della pila secondo la teoria voltiana dell’elettricità di contatto tra conduttori eterogenei, contro le spiegazioni elettrochimiche che allora prendevano vigore. Iniziò le ricerche in questo settore influenzato dalla scoperta (1820) di H.C. Oersted che la corrente messa in moto dalla pila in un filo, allineato orizzontalmente lungo la direzione magnetica Nord-Sud, esercita un’azione magnetica, rivelata dalla deflessione di un ago da bussola posto in vicinanza. Prendendo la deflessione a indice dell’intensità dell’azione magnetica esercitata dalla corrente, il M. studiò come l’intensità dipendesse da parametri caratteristici della pila quali la tensione ai capi, il numero e la superficie delle coppie bimetalliche e il tipo di liquido posto tra esse, ricavando interessanti legami quantitativi tra le grandezze considerate. In un saggio del 1825 passò ad applicare la deflessione oerstediana per determinare la «facoltà elettromotrice relativa» dei conduttori di 1a classe (solidi). Nella teoria voltiana tale facoltà sorgeva per semplice contatto tra questo tipo di conduttori ed era l’agente attivo della circolazione della corrente. Il M. trovò discrepanze rispetto alle scale di potere elettromotore relativo determinate da Volta e riconobbe che il metodo oerstediano non consentiva misurazioni precise dell’effetto. Il metodo della deflessione risultò più fruttuoso per misurare il «grado di conducibilità relativa» dei conduttori di 2ª classe (liquidi). Anche qui lo spunto venne dalla teoria voltiana della pila e in particolare dal suo assunto centrale che il liquido tra le coppie bimetalliche agisce principalmente come un conduttore che lascia passare la corrente con efficacia proporzionale alla propria conducibilità. Il M. ottenne risultati molto interessanti, con significative analogie quantitative rispetto alle leggi della conduzione elettrica che G.S. Ohm avrebbe reso note solo l’anno dopo. Nel 1826 dedicò una memoria alle «pile secondarie» ricaricabili inventate da J.W. Ritter anni prima. Raccolse i propri argomenti a favore della teoria di contatto della pila e contro quella elettrochimica in una serie di sei memorie apparse tra il 1828 e il 1838. Nell’ultima dimostrò l’esistenza di forze elettromotrici di contatto tra metalli nel vuoto fortemente essiccato, obiettando così ai fautori dell’ipotesi elettrochimica, inclini in generale a considerare l’elettricità di contatto come l’effetto di reazioni chimiche tra i metalli e l’umidità dell’aria. Nel complesso dibattito tra i due schieramenti si confrontò con vari sostenitori della teoria elettrochimica, tra cui G.F. Parrot, A.A. de La Rive e M. Faraday. Nel 1840 incontrò personalmente de La Rive nella seconda Riunione degli scienziati italiani a Torino e, nello stesso anno, Faraday riconobbe l’interesse delle sue ricerche in una memoria in cui esponeva la propria versione elettrochimica della pila.
In elettrofisiologia il M. studiò diversi fenomeni relativi alla contrazione muscolare e alle sensazioni, anche in rapporto a ricerche sui possibili usi terapeutici di scariche e correnti elettriche, soprattutto nelle paralisi, come risulta da dettagliati resoconti delle cure elettriche da lui stesso somministrate a numerosi pazienti. Lavorò in questi settori dal 1827 fino agli ultimi anni di vita. Nel primo scritto di elettrofisiologia, pubblicato nel 1828, si occupò del fenomeno osservato da L. Galvani e studiato poi da Volta anche con la corrente della pila: la contrazione dei muscoli di una gamba di rana percorsa da una corrente quando il circuito in cui è inserita viene improvvisamente interrotto. Volta l’aveva attribuita a un impulso di corrente retrograda nella pila posta ad alimentare il circuito, per effetto del brusco arresto della corrente. Il M. lo confutò, proponendo uno schema basato su proprietà direzionali da lui attribuite alla corrente. Una corrente elettropositiva può essere applicata ai muscoli o ai nervi e, nel secondo caso, in direzione concorde o discorde rispetto al loro verso di diramazione nei muscoli. Con la corrente applicata ai muscoli, il M. stabilì che la direzione di circolazione era ininfluente e che c’era sempre una risposta contrattile. Con la corrente applicata ai nervi concluse invece che le contrazioni avvenivano se la corrente era concorde rispetto alla loro diramazione nei muscoli e mancavano se era discorde. Distinse le due contrazioni, con stimolo elettrico sui muscoli o sui nervi, denominandole rispettivamente «idiopatiche» e «simpatiche». Considerò l’esperimento voltiano di contrazione all’interruzione del circuito nel solo caso di corrente iniziale discorde e pose come principio che la contrazione avviene in questa situazione «allorché il fluido elettrico cessa di invadere i nervi». Quanto alle sensazioni, stabilì che esse insorgono nei due differenti casi di corrente concorde interrotta nei nervi e di semplice applicazione a essi di una corrente discorde. Si confrontò su questioni elettrofisiologiche con C. Matteucci, J.-C.-A. Peltier e L. Nobili; alcuni risultati di quest’ultimo lo obbligarono a raffinare i propri schemi in una memoria del 1834 (anticipata in parte da una del 1828), ipotizzando che la contrazione muscolare osservata all’interruzione del circuito sia da attribuire a stimolazione dei nervi, causata da moto al loro interno di elettricità precedentemente «accumulata» e non più «tenuta ferma» dal flusso di corrente che prima li invadeva. Utilizzò spiegazioni simili per le «alternative voltiane», come scelse di chiamare un gruppo di fenomeni già studiati da Volta sulla perdita e riacquisto di reattività contrattile agli stimoli elettrici da parte di muscoli sottoposti per lungo tempo a correnti dirette e inverse.
Il M. ideò due strumenti elettromagnetici: un «galvanometro moltiplicatore», descritto nel 1826, e un «reelettrometro», presentato nel 1838 ma realizzato nel 1833.
Pur con limitata diffusione, nelle sue mani si rivelarono molto utili; il secondo risultò addirittura prezioso per indagini originali e sofisticate su vari fenomeni. Il galvanometro si ispirò a un analogo strumento ideato nel 1820 da J.S.C. Schweigger per «moltiplicare» la sensibilità dell’ago di Oersted, facendo passare più volte il filo percorso dalla corrente sopra e sotto l’ago da bussola, così da formare una serie di spire parallele lungo la direzione magnetica Nord-Sud. Il M. calcolò che la sensibilità poteva essere aumentata disallineando le spire e aprendole a raggiera centrata sull’asse di rotazione dell’ago; propose quindi lo strumento in questa nuova configurazione. Il reelettrometro è un galvanometro che dà indicazioni sulla corrente da valutare sfruttando la magnetizzazione permanente che essa produce in una barretta di ferro, allorché passi in un filo conduttore isolato avvolto a spirale intorno alla barretta, sospesa nella direzione magnetica Est-Ovest sopra un ago da bussola. La magnetizzazione indotta nel ferro dalla corrente è misurata dalla deflessione dell’ago. Il M. trovò che lo strumento, molto sensibile, si prestava ottimamente allo studio delle «correnti istantanee», come chiamò quelle di durata molto breve (quali gli impulsi di corrente prodotti dall’induzione elettromagnetica recentemente scoperta [1831] da Faraday e le scariche elettriche della bottiglia di Leyda, della macchina elettrostatica e dell’elettroforo). Nel 1837 trovò, probabilmente per primo, che tali scariche sono in grado di produrre corrente indotta in un circuito vicino, capace a sua volta di generare corrente indotta in un secondo circuito. Aumentando il numero di circuiti, verificò l’esistenza di correnti indotte di ordine superiore eccitate ciascuna dalla precedente. L’uso del reelettrometro lo portò a focalizzare l’attenzione sui complessi fenomeni della magnetizzazione del ferro con correnti istantanee. Trovò che la «suscettibilità» magnetica del ferro dipendeva dalla sua storia: se non era mai stato magnetizzato, mostrava uguale suscettibilità in entrambi i versi, mentre se era già stato magnetizzato in un verso la suscettibilità risultava maggiore in tale verso. Spiegò il fatto ipotizzando la contemporanea presenza nel ferro di due «sistemi magnetici» di opposta polarità. Alle azioni magnetiche delle correnti istantanee dedicò dieci memorie, apparse tra il 1840 e il 1855.
Gli studi del M. sulle correnti derivate riguardano la diramazione di una corrente quando incontra più percorsi conduttori. Dal 1825 ottenne risultati subito diffusi in Francia da D.-F. Arago e C.-S.-M. Pouillet e sfruttati da altri ricercatori per studi sulla conduzione elettrica.
Tornò a più riprese sull’argomento. In brevi scritti (1840-45) considerò alcune applicazioni pratiche degli effetti del passaggio della corrente nelle soluzioni elettrolitiche. Nel 1840 descrisse procedure per realizzare rilievi metallici analoghi a quelli ottenibili con la galvanoplastica, da poco inventata da M.H. Jacobi. È plausibile che giungesse a questo risultato in modo parzialmente indipendente, con una conoscenza solo lacunosa e indiretta del lavoro di Jacobi. Descrisse anche una tecnica elettrografica, che consentiva di riprodurre l’impronta di una lamina metallica di varia figura su carta e altri supporti, suggeritagli dall’osservazione che il passaggio della corrente creava aloni colorati sui diaframmi di carta di un particolare tipo di pile secondarie di Ritter. Presentò infine alcune varianti da lui apportate alla tecnica della metallocromia, messa a punto da Nobili per ottenere spettacolari colorazioni su lamine metalliche grazie alla formazione elettrolitica di strati superficiali sottili.
Il M. morì a Modena il 9 giugno 1866.
Fonti e Bibl.: Appunti di lezioni e materiali attinenti all’insegnamento del M. a Modena si conservano nella sezione didattica dell’Archivio dell’Accademia di Modena (in riordinamento). Epistolario di Alessandro Volta: edizione nazionale, V, 1805-1827, Bologna 1955, pp. 337, 366. Il M. è considerato in tutti i lavori storici sulle accademie cui fu associato (per esempio in G. Penso, Scienziati italiani e Unità d’Italia: storia dell’Acc. dei XL, Roma 1978, ad ind.). Si vedano inoltre: G. Grimelli, Prospetto delle memorie elettriche e magnetiche pubblicate dal prof. cavaliere S. M., Modena 1844 (ne dipende, quasi interamente, I. Cantù, L’Italia scientifica contemporanea, Milano 1844, pp. 288 s.); A. Pazienti, Intorno agli studii del prof. cav. S. M., in Atti del R. Ist. veneto di scienze, lettere ed arti, s. 3, XII (1866-67), pp. 459-496; C. Razzaboni, Elogio del cav. prof. S. M., in Memorie della R. Acc. di scienze, lettere ed arti di Modena, sez. di lettere, XII (1870), pp. 109-142 (anche nell’ed. 1874 delle Memorie del M., cit., I, pp. V-XXXIII); G. Canevazzi, La Scuola militare di Modena, Modena 1920, II, p. 44; M. Pierucci, Cimeli e glorie dell’istituto di fisica di Modena, in Annuario dell’Università di Modena, Modena 1933-34, ad nomen; Un secolo di progresso scientifico italiano, 1839-1939, I, Roma 1939, pp. 556, 571, 590, 596, 610, 615, 631; Storia delle scienze, a cura di M. Gliozzi - M. Giua, Torino 1965, II, pp. 257, 270, 273 s., 281; G.C. Mor - P. Di Pietro, Storia dell’Università di Modena, Firenze 1975, I, p. 270; II, passim; M. Gliozzi, Storia della fisica, Torino 2005, pp. 614, 634-636, 639, 641, 657, 671.