NORMANNI, Stefano
– Esponente di uno dei più potenti casati baronali romani dei secoli XII-XIV, figlio secondogenito di Alberto, nacque quasi certamente a Roma, probabilmente nel terzo decennio del XIII secolo.
Ebbe il nome del capostipite del casato, protagonista della vita politica romana della prima metà del secolo XII.
Il primo ricordo che si ha di lui è contenuto nel testamento del padre Alberto del 28 febbraio 1254, in cui compare insieme al fratello maggiore Giovanni Stefano e alla sorella Adelasia, moglie di un esponente di un altro casato baronale romano, Pietro Romani. Si ignora il nome della moglie, dalla quale ebbe quasi certamente un unico figlio, Giovanni.
Con il citato testamento del 1254 il padre divise il suo immenso patrimonio, che comprendeva non meno di nove castelli-villaggio (castra) e una villa, oltre a un ingente numero di edifici nella città di Roma, tra i suoi due figli, ai quali fece giurare il rispetto delle clausole successorie, mirate ad assicurare una divisione equa dei beni ed evitare future discordie tra gli eredi, i cui rapporti forse dovevano essere conflittuali.
La parte dei domini territoriali toccata a Stefano era composta dai castra denominati Castiglione (che nel tardo medioevo, dopo il suo abbandono, prese il nome di Torrimpietra), Prungiano, Testadilepre e Castel di Guido nonché la villa (poi castrum) di San Giorgio, tutti situati a cavallo del percorso dell’antica via Aurelia a non molti chilometri da Roma. Allo stesso modo Alberto distribuì tra i suoi due eredi, con adeguate compensazioni, il proprio vasto patrimonio immobiliare urbano, fatto di torri, palazzi, case, logge, stalle e molteplici annessi e spazi aperti, e concentrato prevalentemente tra i rioni Trastevere e Ripa, ai due estremi del pons Sancte Marie (oggi conosciuto come Ponte Rotto).
La spartizione patrimoniale determinò la netta divisione del casato in due distinti rami: quello dei Normanni de Cere, dal principale castello toccato in eredità a Giovanni Stefano, e quello dei Normanni de Castiglione, per la signoria esercitata da Stefano sull’omonimo castrum.
Le più importanti notizie su Stefano provengono da tre passi della Cronaca di Saba Malaspina, che in primo luogo lo enumera tra i principali esponenti del partito ghibellino romano, rinsaldaldatosi quando Corradino, il 24 luglio 1268, entrò in Roma e vi restò quasi un mese prima di riprendere il suo viaggio verso il meridione per riconquistare la corona del regno di Sicilia. Stefano lasciò la sua città per seguire il giovane svevo e le sue schiere di armati, nonostante fosse poco esperto nell’arte del combattimento, «cuius animus nondum bellica fama claruerat» (Die chronik des Saba Malaspina, 1999, p. 201).
Probabilmente anche questa sua imperizia bellica dovette essergli fatale sul campo di battaglia dei piani Palentini (situati tra Tagliacozzo e Scurcola Marsicana) dove perse la vita il 28 agosto 1268, nel contesto della disfatta dell’esercito di Corradino a opera delle schiere di Carlo d’Angiò.
Saba ricorda i ghibellini romani periti su quel campo di battaglia, tra i quali Stefano, con emotiva partecipazione: «Hos enim preter alios perditos cara ulterius uxorea non expetet affectio nec thorus ultra repetat coniugalis, videlicet Stephanum de Alberto, Alcherucium et Iohannem de Caporella, cum quibus in bello sine nomine multitudo peditum Romanorum irrevocabiliter est collapsa» (Die chronik des Saba Malaspina, p. 211). Anche il già ricordato cognato di Stefano, Pietro Romani, partecipò alla spedizione militare di Corradino; gravemente ferito sul campo, riuscì a fare ritorno a Roma, ma a causa delle ferite riportate morì dopo pochi giorni.
Due lettere inviate da Carlo d’Angiò al suo vicario in Roma l’11 e il 16 aprile 1271 rammentano Stefano, a quasi tre anni di distanza dalla sua scomparsa, quale istigatore, insieme proprio al cognato Pietro Romani, del provvedimento preso nel 1267 dall’allora senatore di Roma Enrico di Castiglia di far distruggere le munitiones urbane appartenenti alla famiglia Savelli. Come è stato fatto notare «è molto probabile che consilium, istigatio et opera prestati da Normanni e Romani, famiglie che da tempo controllavano i ponti che univano Trastevere alla città, scaturissero, più che dagli opposti schieramenti politici, dal desiderio di impedire il consolidarsi del recente insediamento dei Savelli sul Teatro di Marcello e nelle zone circostanti, subito al di là di tutti i ponti in questione» (Carocci, 1993, pp. 145 s.). In ogni caso gli eredi di Stefano Normanni e Pietro Romani furono condannati al risarcimento dei danni patiti dai Savelli.
Fonti e bibl.: C. Minieri Riccio, Saggio di codice diplomatico formato sulle antiche scritture dell’ Archivio di Stato di Napoli, I, Napoli 1878, p. 78, n. LXXXIII; A. de Boüard, Le régime politique et les institutions de Rome au Moyen-Âge. 1252-1347, Paris 1920, p. 86; E. Duprè Theseider, Roma dal Comune di popolo alla signoria pontificia (1252-1377), Bologna 1952, pp. 153 s., 167, 173, 175, 189; I registri della cancelleria angioina ricostruiti da Riccardo Filangeri con la collaborazione degli archivisti napoletani, VI, Napoli 1953, pp. 301, n. 1588, 305, n. 1604; M. Vendittelli, Dal castrum Castiglionis al casale di Torrimpietra. I dominî dei Normanni-Alberteschi lungo la via Aurelia tra XII e XV secolo, in Archivio della Società romana di storia patria, 112 (1989), pp. 115-182; S. Carocci, Baroni di Roma. Dominazioni signorili e lignaggi aristocratici nel Duecento e primo Trecento, Roma 1993, in part. pp. 26 s., 381-386; Id, Baroni in città. Considerazioni sull’insediamento e i diritti urbani della grande nobiltà, in Roma nei secoli XIII e XIV. Cinque saggi, a cura di É. Hubert, Roma 1993, pp. 140, 145 s., 155, 165, 167, 172; M. Thumser, Rom und der römische Adel in der späten Stauferzeit, Tübingen 1995, pp. 91, 120, 135-138, 169; Die chronik de Saba Malaspina, a cura di W. Koller e A. Nitschke, in Monumenta Germaniae Historica, Scriptores, XXXV, Hannover 1999, pp. 199, 201, 211.