FERRETTI (Ferretto), Stefano Onorato
Nacque a Genova da Bartolomeo di Francesco alla fine del 1640 e fu battezzato nella cattedrale di S.Lorenzo il 9 febbr. 1641; venne ascritto alla nobiltà l'8 marzo 1663.
L'ascesa sociale e politica della famiglia era recente. Incerte restano data e circostanze della sua ascrizione alla nobiltà genovese: secondo alcuni biografi, i Ferretti sarebbero stati ascritti nella famiglia Doria a metà del Cinquecento (ma dal Libro d'oro non risulta); secondo altri, invece, un Francesco sarebbe stato ascritto nel 1528nell'"albergo" Grimaldi. Ma è nel 1576, alla fine del conflitto tra nobiltà "vecchia" e nobiltà "nuova", che con sicurezza compare un Ferretti in una magistratura che implica l'iscrizione alla nobiltà: tra i quattrocento componenti del Maggior Consiglio uscito dagli accordi di Casale compare un Bartolomeo fu Francesco, bisavolo del F.; sembra quindi assai probabile che l'ascrizione alla nobiltà sia da collegare alle tumultuose vicende del 1575-76.
Il personaggio relativamente più dinamico, dopo tre generazioni senza storia, sembra essere stato appunto il F., non tanto per la carriera politica, limitata nonostante l'elezione ducale, quanto per una giovinezza trascorsa, negli anni tra il 1660 e il 1680 sul mare, lungo le coste di Tunisi, di Tripoli, d'Algeri, come capitano navale al servizio di S. Giorgio nei convogli armati che provvedevano alla difesa dei traffici della Repubblica dagli attacchi barbareschi.
Tra il 1683 e il 1700 il F. fu magistrato degli Straordinari, sindicatore della ruota civile, deputato in male viventes, preside della Sanità; nel 1690 e nel 1694 fu estratto senatore. Si dedicò anche a personali attività di beneficenza e al restauro di opere religiose (in particolare, nella chiesa di S. Maria della Pace, che fece riaffrescare e rivestire di marmi e d'oro). Il F. sembra divenuto il tipico esponente della nobiltà di fine secolo, preoccupata della conservazione dell'Ordine costituito, priva di progettualità, così dominata dal timore di altre mosse sbagliate a livello internazionale da rendere sempre più affinata una sola categoria di funzionari, i propri diplomatici; mentre i nobili davvero ricchi e potenti sono impegnati nella gelosa difesa della loro privacy e nell'oculato investimento dei loro immensi capitali impiegati all'estero. In un simile contesto il F., nonostante la modesta statura politica e la recente nobiltà, o forse proprio grazie ad esse, fu eletto doge il 22 ag. 1705 con una significativa maggioranza (476 voti su 576) e tripudi poetici tra gli arcadi della Accademia ligustica.
L'unica iniziativa politica degna di nota durante il suo dogato fu la cordiale accoglienza riservata alla famiglia Savoia, costretta nel 1706 ad abbandonare lo Stato a causa del passaggio di Vittorio Amedeo II alla coalizione antiborbonica; accoglienza che, per quanto dettata dalle circostanze, fu così calorosa anche di partecipazione popolare da non poter non assumere un significato politico antifrancese, sopra tutto considerando i rapporti tradizionalmente tesi tra la Repubblica e Torino. Terminato il biennio ducale, il F. fu nominato preside del magistrato di Guerra, in un momento in cui il conflitto internazionale per la successione spagnola rendeva particolarmente difficile la neutralità della Repubblica. Dopo aver ricoperto come ultimo ufficio quello di revisore dei biglietti di calice nel 1716-17, si ritirò nella sua bella villa di Albaro, (Genova), dove morì il 19 ag. 1720.
Dalla moglie Laura aveva avuto alcune figlie, poi tutte monacate in S. Leonardo, e due maschi, Bartolomeo, battezzato il 23 marzo 1671 e ascritto alla nobiltà il 22 nov. 1686, e Francesco, nato e battezzato in Spagna, a Caravaca, nel 1675, dove evidentemente la famiglia si era riunita durante l'attività marittima del Ferretti. Bartolomeo intraprese la tradizionale carriera politica, sposò nel 1706, durante il dogato del padre, una nobile Morandi, figlia del fu Giovanni, fu estratto senatore nel 1716, 1724, 1725 e, contrariamente a quanto afferma il Della Cella, continuò la discendenza; di Francesco, benché anch'egli ascritto alla nobiltà genovese il 17 dic. 1698, non risulta discendenza in Genova.
Fonti e Bibl.: Genova, Civ. Bibl. Berio, mr. X, 2, 68: L. Della Cella, Famiglie di Genova, II,c. 163; G. Banchero, Genova e le due Riviere, Genova 1846, p. 347; L. Levati, I dogi di Genova dal 1699 al 1721 e vita genovese degli stessi anni, Genova 1912, pp. 11 s., 66-69; G. Guelfi Camajani, Il Liber nobilitatis Genuensis, Firenze 1965, p. 185; C. Costantini, La Repubblica di Genova..., Torino, 1978, p. 195.