ACI (Iaci, Yaci), Stefano principe di
Nacque, con ogni probabilità, tra il primo e il secondo decennio del sec. XVIII, da Luigi Reggio e Branciforte, principe di Campofiorito e grande di Spagna di prima classe, e da Caterina Gravina. Educato in Spagna, dove il padre risiedeva, partecipò, militando nell'esercito spagnolo, alla campagna che nel 1734 portò don Carlo di Borbone sul trono di Napoli e di Sicilia. Stabilitosi a Napoli, passò definitivamente al servizio del nuovo re Carlo III, che nel 1738 lo nominò tenente generale dell'esercito. Rimasto in ottimi rapporti con la corte di Madrid, nel 1742 ebbe padrino al battesimo di un figlio Filippo V. Il 3 maggio 1743 fu nominato ambasciatore a Madrid, dove restò in carica per circa venti anni. Tenne informato, durante la malattia di Ferdinando VI, Carlo III sugli sviluppi della situazione alla corte di Madrid, e si impegnò attivamente per garantirgli la successione al trono di Spagna; alla morte di Ferdinando (10 ag. 1759), ebbe parte importante nel Consiglio di reggenza, che governò la Spagna fino all'arrivo di re Carlo (ottobre 1759).
Rimasto ancora in carica a Madrid fino al marzo del 1761, pur essendo stato nominato da Carlo III, nel 1759, membro del Consiglio di reggenza a Napoli, mise la sua esperienza diplomatica al servizio del Tanucci, a favore del quale intervenne varie volte. Entrò perciò ben presto in dissidio col marchese di Squillace, del quale non condivideva la politica tendente a "far comparire le due Sicilie provincie di Spagna". Acuitisi i suoi contrasti con lo Squillace, divenuto sempre più onnipotente a corte, l'A. decise di abbandonare l'ambasciata a Madrid, per ritornare a Napoli. Lasciata la Spagna il 29 giugno 1761, prese a Napoli il suo posto nel Consiglio di reggenza, schierandosi subito dalla parte del Tanucci.
Colonnello delle Reali guardie italiane, governatore di Castelnuovo e capitano generale del Regno, nel Consiglio di reggenza era il maggiore esperto e responsabile delle questioni militari. Come tale, consapevole delle gravi deficienze dell'esercito, nel 1762 ne propose e ne attuò in parte la riorganizzazione. Nel Consiglio di reggenza si scontrò spesso con l'oppositore del Tanucci, il principe di San Nicandro, la cui avversione per l'A. arrivò al punto da impedirgli di partecipare alle sedute del Consiglio ogni qualvolta vi si trattassero questioni militari. Nel 1767 fu incaricato, con dispaccio del 31 ottobre, di predisporre, con pieni poteri, tutte le misure necessarie per attuare l'espulsione dei gesuiti dai regni di Napoli e di Sicilia. Sempre in perfetto accordo col Tanucci, che il 16 settembre l'aveva chiamato a far parte della Giunta degli abusi, ripristinata in previsione della cacciata dei gesuiti, l'A. si impegnò a condurre a termine l'operazione.
I suoi rapporti col Tanucci cominciarono a guastarsi in data imprecisata. Nel 1776, comunque, l'A. era uno degli esponenti più qualificati della "cospirazione" antitanucciana organizzata dagli austriacanti, che portò al ministero il siciliano marchese della Sambuca.
Dopo questi avvenimenti, l'A., pur continuando ad occupare, insieme con le altre, la carica di consigliere di stato, non ebbe più rilievo nella vita politica napoletana. Il 25 marzo 1783 fu nominato presidente della Giunta di Sicilia a Napoli. Dell'attività svolta dall'A. in quest'ultima carica non si hanno notizie precise: è certo però che la Giunta, proprio negli anni in cui ne tenne la presidenza l'A., costituì uno dei più forti ostacoli alla politica riformatrice inaugurata in Sicilia dal viceré Domenico Caracciolo. Non pare sia stato coinvolto nella caduta del Sambuca (4 genn. 1786); rimase alla presidenza della Giunta di Sicilia fino a pochi mesi prima della morte, avvenuta a Napoli il 12 febbr. 1790.
Fu invece travolta sua moglie, Anna Moncada (?), principessa di A., che, strettamente implicata nella "cabbala spagnola" ordita ai danni di Maria Carolina e dell'Acton, fu rinchiusa nel monastero napoletano della Trinità dei Sette dolori, dopo un suo tentativo di fuga a Malta. Fu rilasciata però qualche mese dopo, per il diretto intervento della corte di Madrid.
L'A., ricchissimo feudatario (alla morte del padre, nel 1758, aveva avuto in eredità i principati di Aci, di Campofiorito e della Catena, il marchesato di Ginestra, la baronia di Vatticani e numerosi altri feudi minori, tutti in Sicilia), si rese famoso a Napoli per il lusso e il fasto di cui si circondò. In una satira del periodo della reggenza era definito "Nerone impazzito", con evidente allusione ai suoi splendidi ricevimenti. Era stato anche gentiluomo di camera con esercizio di re Ferdinando e cavaliere di S. Gennaro dal 1759.
Fonti e Bibl.: E. Viviani della Robbia, Bernardo Tanucci ed il suo più importante carteggio, I, Firenze 1942, pp. 71, 97, 104, 149, 205; Repertorium der diplomatischen Vertreter aller Länder, a cura di F. Hausmann, II, Zürich 1950, pp. 238, 239, 240; Catálogo XXI del Archivo de Simancas. Secretaria de Estado. Reino de las dos Sicilias (siglo XVIII), a cura di R. Magdaleno Redondo, Valladolid 1956, pp.30, 39, 43, 122, 207, 208-209, 332, 336 e passim; L'ambasceria sarda alla corte di Napoli (1759-1768), in Curiosità e ricerche di storia subalpina, IV (1880), pp. 20-21; C. Lo Surdo, Tanucci e la Reggenza al tempo di Ferdinando IV, Bari,1911, pp. 12, 17, 18, 19, 20-21, 22, 110; M. Vinciguerra, La Reggenza borbonica nella minorità di Ferdinando IV, in Arch. stor. per le prov. napol., n.s., II (1916), pp. 343-344; F. San Martino de Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia..., Palermo 1924, I, p. 4; II, pp. 179-180; IV, ibid. 1926, p. 107; P. Onnis, L'abolizione della Compagnia di Gesù nel Regno di Napoli, in Rass. stor. del Risorgimento, XV (1928), pp. 759-822; per la principessa di Aci, cfr.: Freih. v. Helfert, Zeugenverhor über Maria Karolina von Oesterreich..., in Arch. für österr. Geschichte, LVIII, 2 (1879), pp. 298-315; M. Schipa, Nel regno di Ferdinando IV Borbone, Firenze 1938, pp. 170-173.