STEFANO PROTONOTARO
Persino il nome di questo rimatore è di problematico accertamento. Intanto parrebbe che esso vada rettificato in "di Protonotaro": non un cognome o una qualifica politico-professionale, ma un patronimico o un predicato dinastico. Risulta come Stefano protonotaro da Mesina solo nella rubrica di B (Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Barb. Lat. 3953, c. 48) e nelle carte Barbieri (Bb, c. 40: StefanoProtonotaro, del quale distenderemo qui sotto laseguente canzone per uno esempio del puro volgaresiciliano, a margine Lib. sicil. car. 22). V (ivi, ms. Vat. Lat. 3793, c. 10v) lo riporta come sser istefano dipronto notaiodimesina, e L (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, ms. Redi 9, c. 79rv) come Istefano dimessina. Con le parole di Contini, "sembra identificabile (ma allora il patronimico andrebbe corretto in 'di Protonotaro') con un personaggio rammentato nel 1261 e, già morto, nel 1301; e Debenedetti vi riconoscerebbe volentieri anche lo Stefano da Messina che tradusse dal greco in latino, e dedicò a re Manfredi (morto nel febbraio 1266), due trattati arabi di astronomia. Ciò non significa di necessità che la sua attività poetica si trovi a cader fuori del periodo federiciano (tra l'altro l'insegnamento del Notaio è ancora vicinissimo)" (Poeti del Duecento, 1960, I, p. 129). Il cognome Pronto ricavabile dalla rubrica di V potrebbe appoggiarsi a una famiglia messinese effettivamente segnalata nel periodo in questione. Più congruo però il riferimento al casale di Protonotaro, feudo, al tempo di Federico II, del messinese Pietro di Falcone (Torraca); per Scandone (1904, p. 124) il rimatore potrebbe identificarsi con Stefano de Nigro, ricordato in alcuni documenti per mezzo del predicato gentilizio ("Protonotarii" o "de Prothonotario") derivato dal feudo. Esile l'ipotesi di Torraca (1902) e Garufi (1907) secondo cui il cognome attestato da V potrebbe essere forma sincopata di Pironto. Quanto al traduttore dal greco cui fa cenno Contini, si tratta di uno Stefano da Messina che "tradusse per re Manfredi il Centiloquio di Ermete Trismagistro" (Ciccarelli, 1984, p. 107), secondo la notizia fornita da due codici fiorentini e uno parigino, ma il suggestivo accostamento al rimatore non trova giustificazioni più probanti di una genericissima omonimia. Conferma la correttezza della forma "di Protonotaro" lo stesso Ciccarelli, il quale nella pergamena 58 del Tabulario di S. Maria di Malfinò, del novembre 1261, trova nominati "i beni siti secus domum Stephani de Protho [notario]", concludendo per la "conferma della forma accettata del cognome del poeta, senza ricorrere ad una supposta appartenenza al casato dei Proto, dei Pronto, dei Pironto ed escludendo una sua ricerca tra i protonotari del Regno" (ibid.).
Classificato da Contini tra i migliori rimatori siciliani, S. è autore di tre notevoli canzoni: Assai cretti celare (riportata da V, c. 10v e, con attribuzione erronea a Pier della Vigna, da L, c. 103v: "cretti" vale 'credetti'), Assai mi placeria (in V, c. 94v; L, c. 79rv; B, c. 48r) e Pir meu cori allegrari (trasmessa dalle sole carte Barbieri, c. 40r). L'alta ispirazione della poesia di S. è provata innanzitutto dalla qualità dei suoi modelli prevalenti, più o meno intenzionalmente frequentati: il Notaro (v. Giacomoda Lentini), come già messo in luce nel passo continiano riportato, e Guido delle Colonne (v.). Da quest'ultimo è prelevata, e riprodotta sistematicamente, la combinatio (in Assai mi placeria c'è anche concatenatio e lo schema della stanza, si badi, è vicinissimo a quello di Gioiosamentecanto del giudice messinese); nonché una tendenza assidua alle preziose analogie, qui risolte soprattutto, ma non esclusivamente, con il ricorso a elementi dei bestiari coevi (cf. "la fene" e il "ciervo" dell'ultima stanza di Assai cretti; ancora il "cierbio", "l'unicorno" e "lo badalischo" di Assai mi placeria; "la tigra" di Pir meu cori; ma notevoli, nella seconda e terza stanza di Assai cretti, il paragone con "chi va a furare" e con "lo malato", in cui riecheggia appunto la concretezza sui generis di Ancor che ll'aigua). Impressionante, soprattutto in Assai cretti, il fitto intarsio di luoghi accostabili a una nutrita serie di rime occitaniche, senza però riferimenti organici a un preciso ipotesto (cf. Fratta, 1996, pp. 86-88): a conferma di una cultura poetica di rango non comune. Se Assai cretti e Assai mi placeria si inquadrano, tecnicamente, entro le coordinate più diffuse della formalizzazione siciliana (stanze singulars, collegamenti vari tra le strofe, ecc.), più singolare risulta la struttura di Pir meu cori allegrari (non 'per rallegrare il mio cuore', ma 'poiché il mio cuore è allegro'; Di Girolamo, 2001): stanze unissonans, come in alcune rime del Notaro e di Rinaldo d'Aquino (v.); presenza addirittura di un congedo che riprende lo schema della sirma (il che ha fatto pensare a un rimatore tardo, postfedericiano, influenzato forse dalle iniziative di Guittone con il quale è possibile peraltro stabilire altre non banali connessioni); tendenza, messa in rilievo da Debenedetti, a rompere la corrispondenza ritmo-sintassi non solo al confine tra fronte e sirma, ma persino tra le stanze (II e III). Ma il rilievo assoluto di questa canzone è legato, come si sa, a un provvidenziale accidente della trasmissione, essendo il solo testo di tutta la Scuola poetica siciliana (v.) a essere stato tramandato interamente nella sua veste linguistica originaria da Giovanni Maria Barbieri, che lo prelevò dal suo Libro siciliano. Se ne legga la prima stanza per misurare l'effetto quasi straniante rispetto alle forme cui la tradizione dei Siciliani ci ha abituati: "Pir meu cori allegrari, / ki multu longiamenti / senza alligranza e ioi d'amuri è statu, / mi riturno in cantari, / ca forsi levimenti / la dimuranza turniria in usatu / di lu troppu taciri; / e quandu l'omu à rasuni di diri, / ben di' cantari e mustrari alligranza, / ca senza dimustranza / ioi siria sempri di pocu valuri; / dunca ben de' cantar onni amaduri". Venuta meno, soprattutto per merito di Santorre Debenedetti, la stravagante ipotesi di Gaspary (1882) e di De Bartholomaeis (1927) secondo cui i testi di Barbieri non manifesterebbero l'originaria veste linguistica siciliana ma sarebbero stati sicilianizzati nel XVI sec. da un ignoto compilatore in vena di esibizione erudita, è possibile oggi affermare che Pir meu cori allegrari "ci è giunta con le sue vere sembianze, se pure qua e là, nell'unica e tarda copia, siano offuscate" (Debenedetti, 1932, p. 59), tenuto conto che "il copista del Libro siciliano, che, secondo Debenedetti, era veneto, e secondo Cesareo sarebbe stato bolognese, ha naturalmente lasciato qualche traccia del suo uso, scrivendo la forma che gli era consueta invece di quella dell'antigrafo" (Castellani, 2000, p. 493). Se, come pare possibile, S. è rimatore della tarda generazione siciliana, il valore della testimonianza di Barbieri ne risulta ancora accresciuto: unitamente al caso di S'eo trovasse Pietanza di re Enzo (v. Enzo, re di Torres e di Gallura, attività poetica), Pir meu cori allegrari getterebbe luce non solo sulla forma originaria dei rimatori della Magna Curia sfigurata dalla traduzione dei grandi canzonieri toscani del Duecento, ma anche sul protrarsi dell'uso del siciliano come lingua di cultura molto al di là dei limiti, cronologici e geografici, entro cui esso viene tradizionalmente rinchiuso.
Fonti e Bibl.: i testi si citano secondo la lezione fermata nella nuova edizione critica e commentata in corso di allestimento da parte di vari autori per il Centro di studi filologici e linguistici siciliani; le rime di S. sono state curate da Mario Pagano. Le tre canzoni di S. sono comprese naturalmente nella raccolta complessiva di B. Panvini, Le rime della scuola siciliana, I-II, Firenze 1962-1964, pp. 133-138, 414-416; ma sono state tutte edite anche da G. Contini in Poeti del Duecento, I-II, Milano-Napoli 1960: I, pp. 130-139; II, pp. 811-812. Pir meu cori allegrari e Assai mi placeria compaiono anche in B. Panvini, Poeti italiani della corte di Federico II, Napoli 1994, pp. 193-202, 305-306. Per il testo di Pir meu cori allegrari fondamentale il contributo di S. Debenedetti, Le canzoni di Stefano Protonotaro: P. I. La canzone siciliana, "Studj Romanzi", 22, 1932, pp. 5-68. Per Assai cretti celare e Assai mi placeria, importante l'edizione diplomatico-interpretativa compresa nelle CLPIO (Concordanze della lingua poetica italiana delle origini), a cura di d'A.S. Avalle, I, Milano-Napoli 1992, pp. 146, 178, 316, 449. Il valore delle edizioni citate rende del tutto superflui i testi approntati dagli editori precedenti. Tra i non molti contributi biografici e critici (spesso collegati alla questione centrale delle carte Barbieri): A. Gaspary, La scuola poetica siciliana del secolo XIII, Livorno 1882 (Berlin 1878), p. 166; A. Zenatti, Ancora sulla scuola poetica siciliana, Messina 1895, p. 7; F. Torraca, Studi su la lirica italiana del Duecento, Bologna 1902, pp. 141 s., 202 s.; F. Scandone, Notizie biografiche di rimatori della scuola poetica siciliana con documenti, Napoli 1904, pp. 123-134; C.A. Garufi, Stefano di Pronto notaro o Stefano di Protonotaro, "Studi Medievali", 2, 1907, nr. 1, pp. 461-463; V. De Bartholomaeis, Le carte di Giovanni Maria Barbieri nell'Archiginnasio di Bologna, Bologna 1927; A.E. Quaglio, I poeti della "Magna Curia" siciliana, in Letteratura Italiana. Storia e testi, diretta da C. Muscetta, I, Il Duecento dalle origini a Dante, a cura di E. Pasquini-A.E. Quaglio, Bari 1970, pp. 169-240, in partic. pp. 175-180; M. Beretta Spampinato, La scuola poetica siciliana, in Storia della Sicilia, IV, Napoli 1980, pp. 387-425, in partic. pp. 416 s.; D. Ciccarelli, Teodoro il filosofo, Mazzeo di Ricco, Stefano di Protonotaro: nuovi apporti documentali, "Schede Medievali", 6-7, 1984, pp. 99-110; F. Bruni, La cultura alla corte di Federico II e la lirica siciliana, in Storia della civiltà letteraria italiana, I, Dalle origini al Trecento, a cura di G. Barberi Squarotti-F. Bruni, Torino 1990, pp. 211-273, in partic. pp. 252-256; F. Brugnolo, La scuola poetica siciliana, in Storia della letteratura italiana, I, Dalle origini a Dante, Roma 1995, pp. 265-337, in partic. p. 297; A. Fratta, Le fonti provenzali dei poeti della scuola siciliana. I postillati del Torraca e altri contributi, Firenze 1996, pp. 86-90; A. Castellani, Grammatica storica della lingua italiana, I, Introduzione, Bologna 2000, pp. 492-494; C. Di Girolamo, "Pir meu cori allegrari", "Bollettino del Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani", 19, 2001, pp. 5-21.