STEFANO Pugliese, detto Stefano da Putignano
Nacque a Putignano (Bari), verosimilmente intorno al 1470.
Scarsissime sono le notizie biografiche su questo scultore, sino a qualche decennio fa eletto a rappresentare la scultura rinascimentale pugliese tutt’intera, tanto che nel suo catalogo erano confluite opere anche molto diverse tra loro, in seguito distinte e attribuite ad altri scultori locali a lui coevi, entrati più tardi nella storia degli studi. Pertanto, ai fini della ricostruzione della sua attività e dei suoi spostamenti si può fare ricorso solo alle date incise sulle sue opere, conservate prevalentemente nella zona sud-est di Terra di Bari e, in minor misura, nell’antica Terra d’Otranto che, sino al 1663, comprendeva, oltre che il Salento, il versante orientale della Basilicata. Come tutti gli scultori pugliesi attivi alla sua epoca, per la realizzazione delle sue opere Stefanosi servì senza eccezioni di pietra locale, vivacemente dipinta (anche se in non pochi casi la cromia è alterata da pesanti ridipinture o risulta addirittura asportata), scelta dettata dalla grande disponibilità di tale materiale in loco.
Del tutto oscura la formazione dello scultore, il cui stile, nel corso della carriera, denuncia modeste variazioni. Molto probabilmente, l’idea di scolpire statue o gruppi statuari, un genere sin allora pressoché sconosciuto in Terra di Bari, poté derivargli dal salentino Nuzzo Barba, più anziano di lui di circa un decennio, e già attivo nella contea di Conversano al servizio degli Acquaviva d’Aragona a una data che può essere fissata intorno al 1478-79. Le statue di Nuzzo in pietra dipinta, come quelle raffiguranti Caterina del Balzo Orsini e Giulio Antonio Acquaviva d’Aragona (quest’ultimo morto nel 1481) nella chiesa di S. Maria dell’Isola a Conversano, caratterizzate la prima da un panneggio duro e tagliente di gusto ancora tardogotico, ottenuto con fitti solchi paralleli a sottosquadro, la seconda dallo spiccato realismo del volto, o come il santorale inserito nel polittico della chiesa matrice di Noci, attribuito allo stesso Barba, e anch’esso eseguito non oltre il 1481, poterono suggerire a Stefano alcune peculiarità formali che connotano tutta la sua produzione scultorea. Non minore importanza dové avere, ai fini dell’arricchimento della sua cultura iconografica e stilistica, la diffusione di incisioni, soprattutto di soggetti mantegneschi, che cominciavano a pervenire anche nel Sud, dove, nella cattedrale di Montepeloso (attuale Irsina), durante il terzo quarto del Quattrocento, era giunta la statua di S. Eufemia, splendido esemplare di scultura padovana in pietra dipinta.
La più antica testimonianza dell’attività di Stefano da Putignano è il S. Sebastiano della chiesa matrice di Putignano, che reca incisa sulla base, insieme alla sua firma, la data “149[…]”, da integrare probabilmente come 1490. Questa statua dové servire di modello per un’altra dello stesso soggetto, eseguita per l’eremo di S. Sebastiano a Primignano (contrada non lontana da Palo del Colle), rubata qualche decennio fa, di cui sopravvive la base, firmata e datata 1491, oggi conservata nella sede del Centro ricerche di storia ed arte di Bitonto.
Poco più di un decennio dopo si data la grande ancona lapidea già nella cattedrale di Monopoli, comprendente un complesso di statue di Santi e di figure allegoriche, nonché mezze figure di Profeti e di Santi francescani e domenicani, smembrata nel Settecento in occasione del restauro della chiesa (le statue e i busti superstiti, oggi assai degradati, furono rimontati sul grande muraglione “frangivento” attiguo alla facciata della cattedrale, salvo due, che figurano sulla facciata della chiesa di S. Francesco di Paola, sempre a Monopoli). L’ancona, a causa di un’errata notizia fornita da Leandro Alberti (1550), e ripresa dal Vasari e dalla più antica storiografia locale, è stata per anni a torto attribuita ad un misterioso Ludovico Fiorentino, scultore che sarebbe stato attivo anche in Inghilterra: attribuzione che però si rivela insostenibile, dato che l’intero complesso scultoreo si qualifica indubitabilmente come opera di Stefano da Putignano. Nei panneggi delle figure stanti è infatti pienamente riconoscibile il suo stile, qui per la prima volta arricchito da trapezi o poligoni a sottosquadro in corrispondenza della gamba avanzata: elemento che, oltre che con la conoscenza di stilemi di gusto padovano, è forse da mettere in relazione con un possibile viaggio di Stefano nella Lombardia sforzesca e con la visione diretta delle opere dei magistri lignaminis ivi attivi, in particolare Pietro Bussolo, col quale Stefano mostra sorprendenti consonanze. Tale viaggio ‘d’istruzione’ è reso plausibile dal fatto che sin dal 1464 a Bari si era insediata la dinastia sforzesca, circostanza che aveva rafforzato i rapporti col Ducato di Milano, determinando l’arrivo in Puglia di numerose famiglie lombarde e la nomina ad arcivescovo di Bari, su sollecitazione di Ludovico il Moro, di un nobile milanese, Giovanni Giacomo Castiglione (circa 1471-1513), dal 1496 anche commendatario dell’abbazia di S. Fedele a Como. Di certo Stefano ebbe contatti con la famiglia Tanzi, la più importante fra quelle milanesi stanziatesi a Bari, dato che sulla facciata della masseria Reddito, eretta dai Tanzi nel circondario di Triggiano, era inserito il loro stemma in pietra, con la data 1509; stemma rubato qualche anno fa, ma di cui restano immagini fotografiche che lo mostrano innegabilmente di mano dello scultore putignanese.
Il 1502 è la data incisa sulla base del S. Pietro in cattedra nella chiesa matrice di Putignano, cui seguì, intorno al 1503 (la fondazione della cappella che lo ospita risale al 1502), l’esecuzione di un Presepe per l’ex cattedrale di Polignano a Mare, forse il primo del genere realizzato in Puglia, stilisticamente assai vicino all’ancona di Monopoli.
Del 1505 è la prima delle numerose Madonne col Bambino in trono, quella nella chiesa matrice di Noci, un soggetto che Stefano replicò, con numerose varianti, in più occasioni (Matera, chiesa di S. Domenico; Casamassima, chiesa matrice; Turi, chiesa matrice; Polignano a Mare, ex cattedrale; Monopoli, chiesa di S. Domenico e chiesa di S. Francesco d’Assisi). Si è ipotizzato che Stefano abbia potuto vedere qualche busto femminile del Laurana, cui egli sembra ispirarsi nell’ovale quasi perfetto dei volti delle tante Madonne da lui scolpite, la cui sublimata astrazione è talvolta accentuata dall’eliminazione della cromia.
Agli inizi del secondo decennio del Cinquecento il raggio d’azione di Stefano si allargò: a quest’epoca appartengono la S. Caterina d’Alessandria, firmata e datata 1511, e il S. Vincenzo Ferrer, di pari data, entrambe in proprietà privata a Martina Franca, già parte dell’arredo rinascimentale della locale collegiata, disperso dopo la ristrutturazione di quest’ultima nel Settecento. Nella stessa chiesa restano comunque altre opere di Stefano, come il S. Martino sull’altar maggiore, il cui volto è caratterizzato da un impressionante realismo, e un piccolo Presepe su uno degli altari laterali. La presenza dello scultore a Martina Franca, sebbene certamente non continuativa, dové durare diversi anni, come si ricava dalla data 1515 incisa sulla base di un S. Antonio Abate in proprietà privata, anch’esso già nella collegiata, da cui proviene probabilmente anche un Santo domenicano mutilo, anch’esso in proprietà privata. Stefano lavorò non solo per la chiesa principale di Martina Franca, ma anche per la chiesa di S. Antonio, dove si conservano un S. Antonio, datato e firmato 1518, e un S. Stefano, presumibilmente coevo. Non si può escludere, inoltre, che nella collegiata Stefano abbia ricoperto il ruolo, oltre che di scultore, di architetto, dato che sulla base della citata statua di S. Caterina d’Alessandria alla sua firma segue la qualifica di “architectus”. Con la stessa qualifica egli firmò la statua di S. Antonio di Padova scolpita nel 1514 per la chiesa di S. Antonio a Nardò, nel Salento, dove si stabilì, come attestano alcuni documenti, un ramo della sua famiglia, i Pugliese.
Nel 1517 Stefano operò per la chiesa matrice di Cisternino, dove eseguì la cosiddetta Madonna del cardellino, firmata e datata, inserita in un’edicola di forte impegno architettonico e scultoreo, purtroppo privata della cromia originaria. Nella stessa chiesa si conserva un’Imago pietatis, non datata: soggetto, quest’ultimo, con cui l’artista spesso si confrontò, anche se nessuno degli esemplari sopravvissuti (Polignano a Mare, ex cattedrale; Campi Salentina, chiesa matrice; Bari, proprietà privata, cfr. Gelao, 2007, pp. 10 s.) è datato.
Nel 1520 troviamo lo scultore a Turi, in Terra di Bari, dove eseguì il gruppo della Trinità nella locale chiesa matrice, in cui si custodisce anche una Madonna in trono col Bambino (Madonna di Terrarossa), una delle sue opere più pregevoli, con cromia in gran parte originale. L’anno successivo Stefano era a Putignano, dove datò un’edicola nel santuario di Monte Laureto.
Bisogna giungere sino al 1530 per imbattersi in altre opere datate, come il S. Rocco nell’omonima chiesa di Gioia del Colle e il grande Presepe, completo di grotta su cui si snodano le scene dell’Annuncio ai pastori e del Corteo dei Magi, nella chiesa del Carmine a Grottaglie.
L’ultima opera finora nota dell’artista è il S. Michele arcangelo nella cattedrale di Gravina in Puglia, datato 1538. È presumibile che l’artista sia scomparso negli anni immediatamente successivi, lasciando una fiorentissima bottega familiare, da cui sortì per decenni una vasta produzione di statue devozionali improntate al suo stile.
Diversamente dal suo presunto maestro, Nuzzo Barba, che operò per una committenza aristocratica e si cimentò preferibilmente con temi ‘eroici’, Stefano lavorò per lo più al servizio del piccolo clero e degli ordini mendicanti, cui dovette riuscire particolarmente gradita la sua capacità di realizzare immagini di Santi (oltre quelli citati ricordiamo almeno un S. Pietro e un S. Paolo nella cattedrale di Castellaneta, un S. Michele Arcangelo nel santuario di Monte Laureto a Putignano, un S. Antonio di Padova nella chiesa di S. Francesco a Matera, città che conserva, nella chiesa di S. Domenico, anche un S. Pietro martire, ecc.), di Madonne in trono, di Imagines pietatis, di Presepi, il cui realismo mimetico, accentuato dalla policromia, era finalizzato a colpire la sensibilità dei devoti.
La scultura di Stefano da Putignano rappresenta una singolare fusione di componenti apparentemente contraddittorie – possibile solo in una regione culturalmente sedimentata come la Puglia – in cui coesistono persistenze tardogotiche, prelievi lauraneschi, stilemi di gusto padovano e un realismo bonario che trova pertinenti confronti, più che nella scultura in terracotta di Guido Mazzoni, che fu brevemente in Puglia nel 1492, nella scultura lignea lombarda del Rinascimento.
R. Semeraro, S. da P., Cisternino 1963; V. Giagulli, S. da P., in Putignano Sprint, 21 maggio 1967, pp. 4-8; Giovanni Lorenzo, Uno scultore pugliese del Rinascimento – S. da P., in Annali dell’Università di Lecce, Facoltà di Lettere e Filosofia, VII (1975-1976), pp. 137-171; V. Giagulli, Artisti putignanesi, in Guida di Putignano, a cura di P. Mezzapesa, Putignano 1979, pp. 145-149; C. Gelao, S. da P. nella scultura pugliese del Rinascimento, Fasano di Puglia 1990; Ead., Il Presepe artistico pugliese, in C. Gelao - B. Tragni, Il Presepe pugliese. Arte e folklore, Bari 1992, pp. 7-92; Ead., Puglia rinascimentale, Milano 2005, pp. 231-244; Ead., Elementi nordici nella scultura di S. da P., in Putignano: il paese e la memoria, a cura di E. Bruno - E. Elba - G. Pipoli, Putignano 2007, pp. 1-23; Ead., L’ancona lapidea di S. da P. e le cappelle cinquecentesche del SS.mo Corpo di Cristo e della Madonna della Madia, in La Confraternita del Sacratissimo Corpo di Christo di Monopoli. Cinque secoli di storia, culto e arte, 1513-2013. Atti della giornata di studi… Monopoli 2013, a cura di V. Castiglione Minischetti, Martina Franca 2014, pp. 143-179.