stella
– Con questo vocabolo D. designa ogni " corpo celeste " ruotante attorno alla terra, esclusa, pare, la terra medesima, immobile al centro dell'universo, che invece, secondo la dottrina di Pitagora e dei suoi seguaci, come D. stesso ricorda, si configurava come una de le stelle (Cv III V 4).
Nella cosmologia dantesca soltanto il sole, prenze de le stelle (Rime LXXXIII 114), possiede luce propria, mentre gli altri astri risplendono di luce riflessa: del suo [del sole] lume tutte l'altre stelle s'informano (Cv II XIII 15, e v. Rime LXXXIII 117; XC 17, dove il singolare sta per il plurale, Cv III II 5; ma per questa parte si rimanda alla voce astronomica che segue).
Restando nel campo delle nozioni generali, è da ricordare la dottrina platonica sull'origine celeste delle anime quale D. poteva leggere in Alberto Magno (Somm. et vig. III I 8): Plato e altri volsero che esse [le anime] procedessero da le stelle, e fossero nobili e più e meno secondo la nobilitade de la stella (Cv IV XXI 2, e v. Pd IV 23 e 52), sentenza respinta da D. nella sua veste letterale, ma giudicata passibile di un'interpretazione meno rigorosa, e pertanto accettabile, secondo la quale alluderebbe agl'influssi determinati negli astri dalle intelligenze motrici e trasmessi agli uomini con la luce (cfr. Pd IV 58-60; v. anche PLATONE).
È ancora un principio accettato da D. che dalle s., o dai cieli (i due termini possono corrispondersi, come in Pg VI 100) muova il processo per cui la realtà delle cose giunge al suo essere: alcuni sostengono che la generazione sustanziale derivi da esse stelle (Cv II XIII 5: v. GENERAZIONE).
Quanto alla classificazione semantica, un primo gruppo di occorrenze riguarderà i casi in cui s. è adoperato in senso proprio e generico, con o senza specifico rapporto con l'uomo o col potere d'influenzarne le sorti: Già eran quasi che atterzate l'ore / del tempo che onne stella n'è lucente (Vn III 11 6); pareami vedere lo sole oscurare, sì che le stelle si mostravano di colore ch'elle mi faceano giudicare che piangessero (XXIII 5); sospiri, pianti e alti guai / risonavan per l'aere sanza stelle (If III 23); quale stella par quinci più poca, / parrebbe luna, locata con esso / come stella con stella si collòca (Pd XXVIII 19 e 21); Ciascuna stella ne li occhi mi piove / del lume suo e de la sua vertute (Rime LXXXVII 11); v. inoltre Rime LXXXIX 14 (dove la vertù della s. risulta attratta da una pietra preziosa); Vn XXIII 24 50 Poi mi parve vedere a poco a poco / turbar lo sole e apparir la stella (singolare collettivo); Cv II XIII 13 e 25, XIV 7 (due volte) e 8, III Amor che ne la mente 80 (il Pézard sostiene che qui si tratti di Venere), IX 11, 12 (due volte), 13, 15 (due volte) e 16, X 1, IV Le dolci rime 103 (ripreso in XIX 5), XII 7 (in una traduzione da Boezio), XIX 5, If VII 98, XX 50, XXII 12, Pg XVII 72, XVIII 77, XXVII 89, Pd X 78, XXX 5.
Sta per " s. polare " in Cv III V 9, mentre in II III 15 si riferisce alle s. del cielo Stellato (ugualmente in Pd II 137) e in Pd XV 16 a una s. cadente. Infine in Cv II V 16 fa parte del titolo di un trattato di Alfragano, il libro de l'Aggregazion[i] de le Stelle.
Rientrano in questo gruppo i versi finali delle due prime cantiche, If XXXIV 139 e quindi uscimmo a riveder le stelle (anticipato da XVI 83 se campi d'esti luoghi bui / e torni a riveder le belle stelle), e Pg XXXIII 145 puro e disposto a salire a le stelle, dove da un lato il contrasto con l'oscurità del regno infernale (i luoghi bui) e dall'altro l'accostamento alla purezza dell'animo libero dal peccato arricchiscono il vocabolo di forti risonanze e allusioni etiche, e, specie nel secondo luogo, lo proiettano già oltre il limite dei valori propri. Al culmine della linea espressiva ascendente che si diparte dai luoghi citati si colloca l'immagine conclusiva del poema, l'amor che move il sole e l'altre stelle (Pd XXXIII 145), che conferma la particolare funzione tematica del vocabolo, segno di una meta a lungo cercata e ora stabilmente raggiunta (Momigliano).
Per l'idea della luminosità o soltanto della chiarezza, s. sollecita la fantasia dantesca in occasione di similitudini: Lucevan li occhi suoi più che la stella (If II 55, per cui v. Cavalcanti In un boschetto 2, e Questa rosa novella 14; poi Lapo Gianni Questa rosa 14; la stella è anche qui singolare per plurale, e tutta la comparazione assume coloritura stilnovistico-religiosa, come nota F. Mazzoni, in Saggio di un nuovo commento alla D.C., Firenze 1963, 248-249); Quest'è 'l principio, quest'è la favilla / che si dilata in fiamma poi vivace, / e come stella in cielo in me scintilla (Pd XXIV 147); e come stella in cielo il ver si vide (XXVIII 87).
Un secondo gruppo accoglierà gli esempi in cui s. più propriamente corrisponde a " pianeta " (normale lo scambio semantico tra le due voci): così la diana stella (Rime dubbie VII 7, immagine guinizzelliana: Contini) è Venere o Lucifero; quindi ancora: la stella d'amor (Rime C 4), la stella di Venere (Cv II II 1), la lucentissima stella di Venere (III 16, e v. II Voi che 'ntendendo 13 [ripreso in VI 6], VI 6 e 9 [tre volte], XV 1 [la prima occorrenza]); lo stesso vale per Marte (II XIII 22) e Giove (II XIII 25, Pd XVIII 115). Senza specificazione in Cv II V 16. Altri esempi sono citati nella sezione astronomica di questa voce.
Saranno ancora da distinguere quei luoghi dove s., al plurale, e talvolta al singolare, vale " costellazione " (si tenga presente quanto è detto nel paragrafo dedicato al significato astronomico): in questo senso la migliore stella di Pd I 40 è la costellazione dell'Ariete, e ad altre costellazioni si riferiscono Pg XXXI 106, XXXIII 41, Pd XIII 4.
In modo simile sembrerebbero rimandare a una costellazione, e precisamente alla costellazione dei Gemelli sotto la quale D. era nato e dalla quale riconosceva tutto il suo ingegno, qual che esso fosse (cfr. Pd XXII 112-117), le parole di Brunetto Latini: Se tu segui tua stella, / non puoi fallire a glorïoso porto (If XV 55). Ai Gemelli pensano in effetti Boccaccio, Benvenuto, Buti e molti tra i moderni commentatori (v. per tutti Parodi, in Lett. dant. 279). Ma qualche riserva sul significato strettamente astrologico della predizione avanzano il Torraca, il Rossi e Casini-Barbi. Più deciso il Bosco: " L'uomo non ‛ segue ' la sua stella, ma è questa che indirizza o addirittura determina la vita di lui; né è in suo potere non seguirla... l'immagine del ‛ porto ', che compie questa della ‛ stella ', ci guida alla verità: non si ha qui un'immagine astrologica, ma semplicemente un'espressione corrente, desunta dall'esperienza nautica... Brunetto dice insomma a Dante: se seguirai la tua stella, se non devierai dal tuo cammino, se terrai il timone della tua vita dritto verso la meta di gloria che ti sei prefissa, non potrai mancarla " (D. vicino, Caltanissetta-Roma 1966, 102-103).
Ha dato luogo a discussioni anche il tentativo di dar consistenza reale alle quattro stelle / non viste mai fuor ch'a la prima gente (Pg I 23), che D. contempla dalla spiaggia del Purgatorio nel cielo australe e di cui dice esser vedovo il sito settentrionale.
Per l'Anonimo si tratterebbe di " quattro stelle del Carro, però che forse l'altre tre erano coperte dal chiarore del dì "; per l'Andreoli delle " quattro stelle formanti la così detta ‛ Croce del Sud ', registrata già da Tolomeo ", oppure di " altre quattro molto più in su, vedute già da Marco Polo ", mentre il Tommaseo si dichiara per la costellazione del Centauro. Tuttavia l'Angelitti ha dimostrato con ampio studio (" Bull. " XXI [1914] 185-121) che l'identificazione con la Croce del Sud è insostenibile; con lui sono vari altri studiosi, secondo i quali le quattro s. rispondono soltanto a un'invenzione del poeta (v. Porena, in particolare la nota alla fine del canto). Il Mattalia avanza l'ipotesi che tale invenzione " muova da uno spunto dell'Elisio virgiliano, cosicché il Purgatorio abbia, come quello, ‛ solemque suum, sua sidera ' "; cfr. Aen. VI 641.
Scartata l'interpretazione realistica, appare fuor di dubbio che le quattro s. rappresentino le virtù cardinali e in questo senso ornino il viso di Catone, come già intesero gli antichi chiosatori. A una significazione puramente simbolica si attengono, tra gli altri, il Proto (Nuove ricerche sul Catone dantesco, in " Giorn. stor. " LIX [1912] 227-228), il Singleton (Stars over Eden, in " Seventy-Fifth Annual Report of D. Society ", Cambridge, Mass., 1957, LXXV 1-18), con importanti implicazioni teologiche, il Raimondi (Lect. Scaligera II 14-15).
In campo figurato s. può essere metafora di Beatrice (Rime LXVIII 5), della Madonna (Pd XXIII 92 la viva stella / che là sù vince come qua giù vinse), di Dio (XXXI 28 Oh trina luce che 'n unica stella / scintillando a lor vista, sì li appaga), di autori sacri, con riferimento alla loro autorità e sapienza (XXV 70 Da molte stelle mi vien questa luce), delle virtù (Cv IV XIX 5 e 6), della perizia retorica: in ciascuna scienza la scrittura è stella piena di luce, la quale quella scienza dimostra (Cv II XV 1).
Astronomia. – Per l'astronomia medievale s. sono tutti i corpi brillanti, visibili sulla sfera celeste. Esse venivano suddivise in ‛ s. fisse ' (proprie dell'ottava sfera) e ‛ s. erranti ' (o pianeti). Ciò spiega perché D. usi spesso designare questi ultimi col nome più generale di ‛ stella ' (Pg XXX 111, Pd VII 138, VIII 110, Cv II III 17 [due volte] e 18, XIII 9 e 11; in Pg XII 90, Pd VIII 11, IX 33, XXXII 108, Rime C 4, stella è Venere; in Pd II 30 è la Luna; in Pd V 97, VI 112, Cv II XIII 11 è Mercurio; in Pd XIV 86, XVII 77 è Marte; in Pd XVIII 68 è Giove).
Dato il variare quotidiano della posizione dei pianeti, sia fra di loro sia rispetto alle s. fisse, Tolomeo, per render conto del moto particolare di ciascuno, assegnò a ognuno di essi una ‛ sfera ' particolare, cioè una sezione sferica concentrica alle altre (v. PIANETA). Al contrario, dato che le s. fisse - che sono di diverse grandezze (ad es., ce ne sono quindici di prima grandezza: cfr. Pd XIII 4, Alfragano Liber de aggregationibus XIX) - occupano sempre le stesse posizioni reciproche, fu possibile raggrupparle in una serie di figure invariabili, nelle quali la tradizione volle vedere delle raffigurazioni più o meno inaspettate, le cosiddette ‛ costellazioni ' (Quaestio 73). Si possono distinguere tre specie di costellazioni: quelle dell'emisfero nord (in particolare le due Orse, vicine al polo: If XI 114, Pg I 30, VIII 86, Rime C 29, e la s. polare stessa: Pd XII 29, XIII 11), quelle dell'emisfero sud che, invisibili alle nostre latitudini, rimasero in gran parte e a lungo ignote, anche se se ne sospettava l'esistenza (If XXVI 127, Pg I 23, VIII 91), e quelle della regione zodiacale; queste ultime, difatti, servirono a designare le dodici parti uguali in cui veniva suddiviso lo zodiaco. Di qui l'uso del collettivo stelle per indicare uno qualsiasi dei segni zodiacali (Pg XXXII 57; in If I 38 stelle designa il segno d'Ariete; in Pd XXII 112, e di conseguenza in If XV 55 e XXVI 23, il segno - personificato con l'uso del singolare - è quello dei Gemelli, in cui si trovava il sole al momento della nascita di Dante). Tuttavia, a causa della precessione degli equinozi (v.), tra le costellazioni vere e proprie e le parti dello zodiaco che da esse avevano preso il nome, finì per prodursi lo scarto di un segno. Sin dall'antichità, infatti, era stato osservato che le s., indipendentemente dal moto diurno comune a tutti quanti i corpi celesti, ne possedevano uno proprio, secondo il quale sembravano slittare lentamente, da occidente in oriente, lungo lo zodiaco. Per questo Tolomeo assegnò alle s. fisse una ‛ sfera ' particolare, l'ottava, concentrica ed esterna all'ultima sfera planetaria, quella di Saturno, e distinta a sua volta dalla nona sfera, responsabile del moto diurno (Cv II III 3, 5 e 7, VI 16, XIV 1, 2 [tre volte] e 11).