stile epistolare [prontuario]
Lo stile epistolare, cioè l’insieme di regole (stilistiche, grafiche, pragmatiche) con cui si scrivono le lettere, è frutto di un processo di codificazione sedimentato attraverso i secoli (➔ lettere e epistolografia). Dai trattati di ars dictamini del XII secolo, largamente debitori nei confronti della retorica classica, ai formulari di lettere ad uso cancelleresco e diplomatico del Cinquecento (➔ cancellerie, lingua delle) fino ai manuali ottocenteschi di più larga destinazione, le regole dell’epistolografia, di là dalle diverse esigenze comunicative contingenti, mostrano una forte continuità sia nella teoria sia nella prassi. In taluni casi, l’importanza e la complessità di alcuni generi di epistolografia ha dato luogo nel tempo alla produzione di manuali specializzati per insegnare le regole relative: tali sono, per es., i cosiddetti segretari galanti (raccolte di modelli di lettere amorose, pubblicate dal Rinascimento fino alla metà del XX secolo) e i manuali della cosiddetta corrispondenza commerciale, che fissano e insegnano le complesse regole delle comunicazioni tra aziende.
Nel tentativo di ridurre la distanza comunicativa con il proprio interlocutore, chi scrive lettere ricorre a differenti strategie espressive che, pur in bilico tra la naturalezza dei sentimenti (spesso anche enfatizzati) e l’osservanza delle norme previste dal galateo epistolare, risultano in larga misura stereotipiche (► lettere commerciali e ufficiali).
Buona parte delle prescrizioni riguardano le lettere finalizzate all’espressione di un sentimento (ad es., lode o cordoglio) e le parti rituali del testo (come il saluto d’esordio e il congedo). Nell’indicazione del luogo e della data di stesura (posta in alto a destra, o in basso a sinistra dopo la firma) è d’uso burocratico l’articolo arcaico li (sottinteso giorni) posto davanti al numero del giorno (talvolta scritto lì perché erroneamente ritenuto avverbio di luogo; ➔ burocratese).
Nel corpo del testo, il saluto iniziale (➔ allocutivi, pronomi) prevede abitualmente un aggettivo di circostanza seguito dal gruppo di appellativo (eventualmente abbreviato) + cognome o nome. L’aggettivo di circostanza varia secondo il tono e la relazione tra scrivente e destinatario: se questa è formale si usa gentile, egregio, illustre, esimio (questi ultimi due ormai desueti); se è informale, caro serve sia ai rapporti personali affettuosi sia a quelli tra sconosciuti. Caro è posposto solo nei casi in cui il rapporto tra destinatario e mittente è affettivamente marcato: Francesca cara. In riferimento a enti e aziende è usato spettabile.
Tutto il blocco iniziale è sentito come un ➔ vocativo, e quindi deve essere seguito da virgola e ► a capo. Dunque:
(1) Egregio dottore,
(2) Esimio Avvocato Rossi,
(3) Illustre prof. Edoardi,
(4) Caro Presidente,
(5) Spettabile ditta,
Negli usi attuali, soprattutto nel linguaggio giovanile (➔ giovanile, linguaggio) e nei messaggi di posta elettronica (➔ posta elettronica, lingua della) è molto frequente che l’aggettivo di circostanza sia sostituito con salve o buongiorno, seguiti immediatamente dagli altri elementi. Queste due voci sono sentite meno impegnative per quanto attiene alla scelta della relazione tra le persone:
(6) Salve professore,
(7) Buongiorno dottoressa,
Dopo l’►a capo comincia il testo in cui: nelle lettere formali è abituale il ricorso alle maiuscole reverenziali (eventualmente anche all’interno di parola: Nel ringraziarLa …).
Dopo una parte di risposta e una parte propositiva, che costituiscono il corpo centrale del messaggio, il testo si avvia alla chiusura spesso ricordando persone care diverse dal destinatario, al quale ci si rivolge invitandolo infine a rispondere e salutandolo con formule di congedo che naturalmente variano in relazione alla familiarità dello scrivente con il destinatario (➔ cortesia, linguaggio della). Ad es., nelle sue lettere, ➔ Italo Calvino alterna, a seconda delle circostanze, diverse formule di saluto (➔ saluto, formule di): le colloquiali Saluti e baci, Salutoni a tutti, Un abbraccio affettuoso a tutti voi, Tante belle cose (ai familiari), Cari saluti, Coi più cari saluti, La saluto con viva cordialità (con persone con cui intrattiene rapporti professionali), le più formali Cordialmente suo (al professor Piero Calamandrei) e Attendo una Sua risposta e La saluto con la cordialità più viva ❘ Suo Italo Calvino (al traduttore Giovanni Bogliolo), fino alle formule inventive o scherzose, estranee alle consuetudini della retorica epistolare: «Caro Eugenio, sono certo che non vorrai vendicarti del mio lungo silenzio. Scrivimi, e presto, e a lungo, che il ricevere posta mi è qui di grande diletto. Mi allontano cantando a squarciagola ‘Poi ti… poi ti farò morire…’ (il canto si perde nella nebbia) ❘ Italo» (all’amico Eugenio Scalfari; Calvino 2000: passim).
Alla firma, collocata abitualmente a destra della pagina, può seguire un post scriptum (richiamato con l’abbreviazione P.S.) per aggiungere brevemente altre considerazioni – perlopiù su argomenti non trattati nel corpo della lettera – che sono eventualmente seguite da un’altra formula di saluto.
Occasionalmente, alla scrittura possono accompagnarsi disegni, schizzi, fumetti e codici linguistici d’altra natura. Questa modalità espressiva si ritrova in lettere inviate perlopiù ad amici e familiari da parte non solo di mittenti colti (ad es., Calvino agli amici Eugenio Scalfari ed Elsa Morante), ma anche di scriventi semicolti: scrivendo alle famiglie, alcuni prigionieri italiani della prima guerra mondiale hanno fatto ricorso a questi espedienti per accentuare l’espressività della propria scrittura (da Spitzer 1976: 57-58):
(8) saluto da nuovo e nonni, genitori, sorelle, cugnate avecini, altri fratteli addio addio un bacccccccio………….
………….
………….
(9) Saluti e 2-1-3-9-13-12-9 [= bacioni].
Dal punto di vista discorsivo, la scrittura epistolare si caratterizza soprattutto sul piano della deissi (➔ deittici). Di lunga tradizione, e ancora oggi corrente nelle missive burocratiche e formali, è il dimostrativo codesto che, considerata la sua proprietà di designare cose o persone distanti dal mittente ma vicine al destinatario, risulta essere particolarmente comodo in contesti comunicativi di questo tipo (le stesse funzioni erano note un tempo agli ➔ avverbi di luogo costì e costà, oggi usciti d’uso salvo che in Toscana). D’altra parte anche altre espressioni deittiche consentono allo scrivente di ancorarsi al suo contesto (ora che ti scrivo) oppure a quello del lettore (ora che hai letto questa lettera).
Le consuetudini epistolari fondamentali si sono in buona parte mantenute anche nelle e-mail, almeno in quelle di tono formale, benché il testo sia spesso soggetto a una forte modulabilità in turni conversazionali (Pistolesi 2004).