stile telegrafico [prontuario]
Lo stile telegrafico nasce sul finire dell’Ottocento come risposta espressiva all’esigenza di scrivere messaggi brevi come telegrammi e telex, in cui ogni parola aveva un costo.
Tipica di questo stile è dunque l’omissione delle cosiddette parole vuote, cioè articoli e preposizioni, secondo un uso già ottocentesco (Sboarina 1996: 93), proprio dello scambio epistolare (Antonelli 2003: 190-194) e talvolta riflesso anche nell’italiano popolare dei semicolti (D’Achille 1994: 76-77):
(1) effettuato pagamento stop prego inviare fattura mio indirizzo cortese urgenza stop [= ho effettuato il pagamento. Prego di inviare la fattura al mio indirizzo con cortese urgenza]
Lo stile telegrafico sopravvive nel linguaggio burocratico (➔ burocratese), in particolare in alcune formule (2) e nelle intestazioni (ad es., nell’oggetto di comunicazioni e lettere) (3-4) ma eventualmente anche nel corpo del testo:
(2) nel raccomandare [uno] scrupoloso adempimento […]
(3) dichiarazione redditi
(4) pagamenti [della] delega unica (cfr. Raso 2005: 101 e 155).
Il linguaggio burocratico e la tendenza alla brevità tipica dei giornali (➔ giornali, lingua dei) hanno contribuito a diffondere termini composti e giustapposti come militesente ed esentasse, busta paga e ufficio minori, che trovano peraltro rispondenza nel modello sintattico anglosassone (week end, da cui fine settimana; cfr. Beccaria 1973: 70; Gualdo 2008: 120). Dalla congiunzione di queste due fonti nascono espressioni come sistema paese (o sistema-paese) per sistema del paese, rischio paese per rischio del paese, o la frequentissima espressione preposizionale a rischio + nome (giornata a rischio neve).
Proprio quello dell’informazione è tra gli ambiti linguistici più esposti a forme brachilogiche, dominate innanzitutto dallo ➔ stile nominale che ritroviamo sia nello scritto giornalistico (Dardano 1986; Lala 2005; Gualdo 2007: 107 e 130; sul tipo «Mario Rossi, [di] vent’anni»: Renzi 2007: 192), sia nel ‘trasmesso’ radiofonico (Atzori 2002: 82-88) e televisivo (Atzori, Bonomi & Travisi 2008: 76-77), oltre che nella prosa letteraria (Dardano 2001: 65-69).