STILISTICA (fr. stylistique; sp. estilística; ted. Stilistik; ingl. stylistics)
La stilistica come un insieme di teorizzamenti o di precetti intorno allo stile cominciò a costituirsi in dottrina presso i Greci almeno a partire da Isocrate e da Teofrasto. E antichissima (risale forse ad Antistene) è la distinzione dei tre generi di stile: sublime, medio, tenue; distinzione che, con varianti (Dante, De vulg. El., II, iv, 6, tripartisce lo stile in tragico, elegiaco, comico), fu generalmente accettata dall'antichità e dal Medioevo, sopravvivendo qua e là, per inerzia, anche nell'età moderna. Tali distinzioni erano psicologiche e, insieme, letterarie o formali. Curam ergo verborum rerum volo esse sollicitudinem, ammoniva Quintiliano (VIII, prooem. 20), e dall'argomento e dal tono psicologico faceva Dante (l. cit.) dipendere l'espressione letteraria. Maggior varietà di distinzioni stilistiche offrono determinazioni di correnti letterarie, a cominciare, entro la sfera dell'eloquenza e della prosa, da quella, celeberrima, fra asianismo e atticismo.
I trattatisti antichi perseguivano, scrivendo, un fine educativo, propugnavano un ideale letterario, a cominciare da Teofrasto, il quale esigeva che l'esposizione fosse pura, chiara, breve. E come manifestazioni di una determmata sensibilità andranno intesi gli stili o indirizzi retorici dell'antichità e del Medioevo: ilariano, tulliano, isidoriano, ecc. (v. retorica).
Da essi e dalle stilistiche fondate sul tono psicologico o su fenomeni storici va distinta perciò la stilistica astratta, ossia lo schematizzamento delle "figure", nata e fiorita ugualmente nell'antichità. Siffatto schematizzamento di fenomeni linguistici (anafora, chiasmo, allitterazione, omoioteleuto, ecc.), non inutile all'intelligenza entro gli schemi della grammatica storica (non è superfluo sapere che l'allitterazione è fenomeno comune all'italico e al germanico; che ha le sue origini in formule magiche; che in latino è amata, e la si ritrova soprattutto in proverbî, nella lingua sacrale e militare, nello stile curiale e in formule giuridiche; che continuò a vivere nella lingua popolare; che, degli scrittori, la predilessero i tradizionalisti e gli arcaizzanti; che divenne sempre più rara dopo l'età augustea, e così via), perde ogni valore fuori di essi. Frutto di forte astrazione, essa è costituzionalmente inetta a caratterizzare un testo singolo.
Se l'educazione letteraria esige lo studio della tradizione, la retorica, divenuta patrimonio dei pedanti, tende a cadere nell'errore di credere che esistano modelli o canoni per bene scrivere o per ben dipingere. Di qui l'opposizione e la lotta contro la retorica e la scuola da parte di scrittori e di artisti originali, i quali hanno sempre di nuovo fatto valere la verità che lo stile nasce a una col sentimento, la fantasia e il pensiero, che le regole, come già vide il Bruno, vengono dopo l'opera.
Avvertita da innumeri poeti e artisti, l'unità sintetica di contenuto e di forma è però in sede scientifica una scoperta della filosofia moderna d'indirizzo kantiano, e più particolarmente dell'estetica crociana. Si deve al Croce la dimostrazione più rigorosa dell'inesistenza di una forma astratta dal contenuto, la critica delle pretese scientifiche della retorica, l'identificazione dello "stile" con la poesia concepita come espressione, assoluta creatività, individualità e totalità a un tempo. Ma "se la poesia è la lingua materna del genere umano, la letteratura è la sua istitutrice nella civiltà" (B. Croce, La Poesia, p. 33). Così vien giustificato in sede scientifica il concetto, eminentemente letterario, di stile; vien riconosciuta la legittimità di una stilistica intesa come storia del gusto o della cultura; ribadita "l'efficacia dello storicamente esistente, dal quale bisogna procedere oltre, ma sul quale non è dato saltare".
I concetti di poesia e di letteratura elaborati dal Croce, mentre da una parte sono la chiarificazione e giustificazione metodica della storia degli "artisti" e della storia dell'"arte", costituiscono dall'altra il punto di partenza o di riferimento degli studî recenti più notevoli intorno alle relazioni fra linguistica, stilistica storica, critica della poesia e dell'arte (J. v. Schlosser, K. Vossler, L. Spitzer, L. Venturi, G. Bertoni, A. Pagliaro, A. Schiaffini).
Di quelle due forme fondamentali della storiografia, la prima a costituirsi a scienza è stata, per opera del Ghiberti e del Vasari, la storia degli "artisti": cosa ben naturale, dato che all'origine di ogni espressione sta un individuo, e che il linguaggio della poesia e dell'arte è l'espressione per eccellenza, la "parola" nella sua purezza. La storia degli artisti, come quella ch'è fondata sul presupposto dell'indipendenza dei genî, che "l'artista può essere superato solo da sé stesso" (Michelangelo ap. Vasari), e che il suo stile, "le haut style est partout le même, parce qu'il est partout étranger à l'usage" (Marmontel), è essenzialmente giudizio dell'individuale, e tende perciò a presentarsi anche esternamente come monografia o un insieme di giudizî su opere e artisti singoli (si pensi, anche qui, al Vasari).
Ora, come già chiarì il Kant, giudizio è sintesi di sensibilità e di pensiero. Che il pensiero sia elaborazione di concetti, critica, è pacifico. Sennonché anche la sensibilità (lettura, contemplazione, audizione) non è un dato immediato: è un processo, non pure pedagogico (la sensibilità vuol essere educata al pari della volontà e dell'intelletto), ma "ideale". Leggere vuol dire intendere, accertarsi che il testo sia autentico (e non falsificazione, copia, imitazione), ricostruirlo criticamente qualora le sue condizioni lo esigano. Ma leggere e criticamente ricostruire non è possibile senza interpretare, senza aver senso vivo dello stile individuale, senza conoscenza della tradizione. Contemplare, leggere, implica, dunque, filologizzare: solo in virtù di questo lavorio di ricostruzione si vede l'opera individua staccarsi dall'ambiente, acquistare a poco a poco contorni precisi al centro dello spazio storico, da esso distinta e pur da esso non separata. Essenziale per la precisa intuizione dell'opera individua è, infatti, che essa stia al centro dello spazio storico, e che questo spazio venga visto in funzione di quell'opera. Ciò implica, da una parte che l'espressione individuale non venga annegata nella prospettiva la quale deve, invece, darle rilievo; dall'altra, che quella prospettiva esista. Quando essa non esista, si ha una contemplazione mistica, dalla quale è per definizione esclusa l'intelligenza dell'oggetto, ovvero il dilettantismo estetizzante. Quando invece tale prospettiva sia unilaterale, angusta e quindi falsa, la storia degli artisti tende a spostarsi verso il biografismo e l'aneddotica.
A salvare il giudizio artistico e letterario sorge allora la storia dell'"arte", la quale riporta energicamente la considerazione allo spazio storico. La storia dell'"arte", ossia la storia stilistica, considera l'opera individua quale elemento di una determinata corrente del gusto o, che fa lo stesso, dello stile. Al centro della sua rappresentazione non stanno genî singoli come Benedetto Antelami, Giovanni Pisano, Michelangelo, ma grandi moti di cultura, quei grandi pezzi della storia del mondo che vengono designati sotto il nome di "stile" romanico, gotico, rinascimento. Di questi stili spetterà allo storico dell'"arte" o della "letteratura" individuare l'origine, descrivere il vario corso, determinare la diffusione e il dissolvimento, l'urto o il vario combinarsi con altre correnti del gusto, affini, eterogenee od opposte, preesistenti, contemporanee o successive, considerare infine la decadenza a patrimonio comune o popolare, a formule letterarie o "tecniche" fisse, la degradazione insomma a relitto della cultura.
Questa la natura e la giustificazione ideale della storia dell'"arte" (nella sua distinzione dalla storia degli "artisti") ossia della storia "stilistica", il cui vero iniziatore è J. J. Winckelmann. Il Winckelmann fu un archeologo; e questo spiega, fra l'altro, come la storia stilistica, la storia di tradizioni espressive, sia stata coltivata soprattutto da studiosi delle arti del disegno. Ciò che invece va sotto il nome di storia della "letteratura" è qualche volta (come nel caso della Storia della letteratura italiana di F. De Sanctis) una storia delle idee e del civile sentire costruita sui monumenti letterarî; più spesso una sequela di dati bio-bibliografici inseriti in cornici eterogenee.
Di qui le due opposte tendenze (e per conseguenza le due inverse esigenze) della storiografia delle arti del disegno e della letteraria contemporanee. La prima, sicura della sua tradizione stilistica ancor oggi vigorosa (si pensi, p. es., a H. Wölfflin), avverte l'esigenza di fare più di frequente oggetto di giudizio l'opera d'arte nella sua individualità; mentre la storiografia letteraria, la quale modernamente ha eccelso nella caratterizzazione di opere singole, ha urgente bisogno di costruirsi quelle storie di stili letterarî delle quali avverte dolorosamente la mancanza.
Storia degli "artisti" e storia dell'"arte" sono dunque le due forme in cui, con uguale legittimità, prende corpo la storiografia artistica e letteraria. Con uguale legittimità, in quanto che il loro oggetto è diverso: fine della prima essendo la caratterizzazione della singola opera d'arte e di poesia, dei genî individuali; della seconda la tradizione artistica e letteraria, la storia degli "stili". Come l'individuo non è, in concreto, fuori della tradizione (vive in essa anche quando a essa si ribella), e la tradizione a sua volta vien formata da individui i quali l'iniziano, la mantengono, l'innovano; così storia degli "artisti" e storia dell'"arte", critica estetica e stilistica storica s'implicano e si presuppongono a vicenda.
Bibl.: Sulle teorie dello stile presso gli antichi: R. Volkman, Die Rhetorik der Griechen und Römer, 2ª ed., Lipsia 1885. Per altra bibl., v. retorica. - Sulle origini della stilistica astratta: R. Volkmann, op. cit. Delle trattazioni moderne, basti ricordare: J. B. Hoffmann, Latein. Stilistik, in Stolz-Schmalz, Latein. Grammatik, 5ª ed., Monaco 1928, p. 789 segg., e la rivista (dedicata allo svedese), Språk och Stil, Stoccolma-Upsala 1901-20, continuata dalle Nysvenska Studier, 1921 segg. - La massima parte delle dissertazioni tedesche e nordiche sullo stile di singoli autori è una esemplificazione degli schemi della stilistica astratta. Sulla loro scarsissima utilità, v. B. Croce, La Poesia, Bari 1936, pp. 124, 300-301. Il pensiero di B. Croce è espresso specialmente in Estetica, 6ª ed., Bari 1928; Problemi di estetica, 2ª ed., ivi 1923; Nuovi saggi di estetica, 2ª ed., ivi 1926; La Poesia, ivi 1936.
Sulla storia degli "artisti" e la storia dell'"arte": J. v. Schlosser, Die Kunstliteratur, Vienna 1924 (trad. it., Firenze 1935); id., Sull'antica storiografia italiana dell'arte, Palermo 1932; id., La storia dell'arte, Bari 1936. - Sulle relazioni fra linguistica, stilistica storica e critica della poesia e dell'arte: K. Vossler, Gesamm. Aufsätze zur Sprachphilosophie, Monaco 1923; id., Geist und Kultur in der Sprache, Heidelberg 1925; L. Spitzer, Wortkunst und Sprachwissenschaft, in Stilstudien, II, Monaco 1928; id., Meisterwerke der romanischen Sprachwiss., II, Monaco 1930; L. Venturi, Il gusto dei Primitivi, Bologna 126; G. Bertoni, Linguaggio e poesia, Rieti 1930; A. Pagliaro, Sommario di linguistica arioeuropea, I, Roma 1930; e poi K. Burdach, Die Wissenschaft von deutscher Sprache, Berlino-Lipsia 1934; id., Vorspiel, I, Halle 1925. Importante, soprattutto pedagogicamente, Ch. Bally, Traité de stylistique, 2ª ed., Heidelberg 1921, che intende la stilistica come espressione dell'affettività nella lingua. - Sulla lettura come storia, v. filologia.
Fini caratterizzazioni critiche le quali muovono dalle innovazioni linguistiche che testi letterarî presentano rispetto alla tradizione hanno scritto: G. Carducci, Il Parini minore, Il Parini maggiore, in Opere, XIII-XIV; C. de Lollis, Saggi sulla forma poetica ital. dell'Ottocento, Bari 1929; D. Petrini, Poesia e poetica carducciana, Roma 1928; id., La poesia di G. Pascoli, in Civiltà Moderna, 1929-30; id., La poesia e l'arte di G. Parini, Bari 1930; L. Spitzer, Stilstudien cit.; id., Romanische Stil- und Literaturstudien, Marburgo 1931. - Trasposizioni alla letteratura degli "stili" di H. Wölfflin, intesi come stili eterni e non come approssimazioni storiche, ha operato, fra altri, F. Strich, Deutsche Klassik und Romantik, oder Vollendung und Unendlichkeit, Monaco 1922.
Una magnifica descrizione stilistica della prosa letteraria antica, dall'attica alla latina umanistica, è l'Antike Kunstprosa, di E. Norden, 4ª rist., Lipsia-Berlino 1923. - Sommarî di storia dello stile letterario, considerato insieme, e pur chiaramente distinto, come si conviene, dalla lingua comune, ch'è opera della cultura divenuta patrimonio sociale, dànno: A. Meillet, Aperçu d'une histoire de la langue grecque, 3ª ed., Parigi 1930; id., Esquisse d'une histoire de la langue latine, 2ª ed., Heidelberg 1929; W. v. Wartburg, Évolution et structure de la langue française, Lipsia 1934. Studî speciali: E. Faral, Les arts poétiques du XIIe et du XIIIe siècle. Recherches et documents sur la technique littéraire du moyen âge, Parigi 1924; F. Brunot, Les Romantiques et la langue poétiques, nel vol. (di varî), Le Romantisme et les lettres, ivi 1929, pp. 9-41. Per l'italiano: A. Schiaffini, Tradizione e poesia nella prosa d'arte italiana dalla latinità medievale a G. Boccaccio, Genova 1934; C. de Lollis, La fede di Dante nell'arte, in N. Antologia, 1° agosto 1921. - Rassegne: O. Östergren, Stilistik Språkvetenskap, Stoccolma 1908 (soprattutto per la stilistica astratta e normativa in Scandinavia); M. Puppo, Linguistica e critica letteraria, in Riv. di sintesi letteraria, I (1934), pp. 445-69.