STILISTICA (XXXIII, p. 734)
La parola, già usata in tedesco da Novalis, diventa termine tecnico ben definito ad opera di C. Bally (1902): "La stylistique étudie les faits d'expression du langage du point de vue de leur contenu affectif, c'est-à-dire l'expression des faits de la sensibilité par le langage et l'action des faits de langage sur la sensibilité". Operando originalmente in un orizzonte saussuriano, Bally concepisce dunque la s. come uno studio delle risorse espressive della langue. Esse consistono sia in effets naturels, sia in effets par évocation, nei quali agisce il richiamo a strati culturali, àmbiti regionali, ecc. L'indagine svolta da Bally sul francese, in particolare su sintassi e lessico, è dunque un censimento ragionato di sinonimi con diverso valore tonale.
Se nella prospettiva dalla langue possiamo individuare ogni volta un repertorio di sinonimi, nella prospettiva dell'utente ciò che interessa è la scelta tra questi sinonimi e la sua motivazione; inoltre, l'utente più consapevole è lo scrittore, che attua continuamente decisioni d'ordine stilistico. Questi gli sviluppi apportati da J. Marouzeau (1946) alle tesi di Bally.
Ma la s. letteraria si era già sviluppata su altre coordinate teoretiche, idealistiche in senso lato: sulla linea Humboldt-Croce ad opera di K. Vossler (1904), che poi però si volse ai rapporti tra sviluppo letterario e sviluppo linguistico in Francia; tra le posizioni di Schuchardt e quelle di Freud ad opera di L. Spitzer (1910 segg.), che può esser considerato il fondatore della disciplina. Entro un'esperienza molto vasta, applicata non solo alle Stilsprachen, ai fatti di parole, ma anche agli Sprachstile, ai fatti di langue, ed estesa all'interpretazione culturale dell'etimologia e alla storia di concezioni filosofico-letterarie (come quella di "armonia del mondo"), Spitzer dà alla s. del fatto letterario un esempio raro di alleanza tra magistero linguistico e inventività critica.
Dopo una prolungata auscultazione del testo, Spitzer giunge a cogliere una serie di deviazioni (écarts) rispetto all'uso linguistico medio dell'epoca: egli le considera spie (o indizi) dello spirito dell'autore, com'è realizzato nell'opera (etimo spirituale), che viene individuato sempre più chiaramente attuando un continuo va-e-vieni (Zirkel im Verstehen) tra le parti e il tutto, tra analisi particolari e interpretazione complessiva.
Più tardi, Spitzer mirò a un'analisi immanente dei testi, non cercando più moventi psicologici, ma i nessi strutturanti tra la "forma interna" e la realizzazione linguistica, valorizzata anche nei suoi elementi non devianti.
Lo studio degli écarts stilistici è stato ripreso in senso quantitativo (stilometria) da studiosi recenti, specie a proposito del lessico di singoli autori. Intanto - anche con l'ausilio degli ordinatori elettronici - si può misurare l'ampiezza lessicale di un autore o di un'opera e il suo "indice di ricchezza" (rapporto tra il numero di vocaboli usati e il numero di parole contenute nel testo): la formula proposta da P. Guiraud è R(icchezza) = V(ocaboli)/
(numero di parole). Inoltre la statistica di frequenza delle parole mette in luce le parole-tema, quelle usate più frequentemente dall'autore; mentre l'écart, parola per parola, tra la frequenza propria della lingua e quella dell'opera o dell'autore individua le parole-chiave.
Si giudica dunque sia sulla base della reale preminenza quantitativa, sia dello "scarto" tra il rango che hanno le parole in un testo e quello che spetterebbe loro in un lessico medio. Ma i suggerimenti della teoria dell'informazione permettono anche di valorizzare le parole a basso indice di frequenza, dato l'assioma che un messaggio è tanto più informativo quanto meno prevedibile. Si potrebbe allora definire lo stile come "un concetto statistico, misurabile in base al calcolo dello scarto probabilistico che gli elementi componenti il messaggio realizzano, sul piano dell'uso entropico degli strumenti linguistici, rispetto alla frequenza che tali elementi hanno sul piano della norma ridondante" (L. Rosiello).
La s. di Spitzer partiva da osservazioni linguistiche per giungere a conclusioni critiche. Nonostante la varietà delle affermazioni di principio, al seguito di Spitzer si è sviluppata una vera critica stilistica, alternativa ad altri tipi di critica letteraria.
Sono da ricordare E. Auerbach (1946), che dall'analisi stilistica di testi di varia epoca trae conclusioni su fasi socio-culturali e sulla loro rappresentazione realistica ad opera degli scrittori; e H. Hatzfeld, che mira a individuare lo stile di date epoche, anche in base al confronto con altre arti. In Italia, B. Terracini e G. Devoto affrontano lo studio di testi letterari in rapporto con la storia della lingua italiana (precursore E. G. Parodi) e in particolare della lingua letteraria (già studiata da C. De Lollis e D. Petrini; più recentemente da A. Schiaffini e G. De Robertis). Mentre Devoto esamina gli autori confrontandoli con gl'istituti linguistici a cui si rifanno, Terracini punta sulla dialettica fra tradizione e innovazione individuale, attento allo sforzo creativo degli scrittori. Egli insiste sulla funzione simbolica del linguaggio, più visibile nei "punti distinti" in cui si addensa lo sforzo espressivo. Influssi spitzeriani anche in G. Contini, di cui vanno segnalati gli studi sulle varianti d'autore: qui la s. diventa diacronica (perché le varianti si succedono nel tempo) e strutturale (perché ogni strato di varianti costituisce un sistema, e ogni mutamento provoca "reazioni a catena").
In Spagna, D. Alonso, attento all'organizzazione complessiva dei testi più che alle scelte stilistiche, rinnova e integra la retorica con osservazioni sulle dicotomie, i parallelismi, le correlazioni dei testi poetici. È indipendente da Spitzer la scuola dei New Critics (J. C. Ransom, Cl. Brooks, W. K. Wimsatt), che negli Stati Uniti si avvicina comunque alla s. per l'attenzione agli aspetti formali della poesia e l'avversione a interpretazioni biografiche, psicologistiche o erudite (1930-50).
Lo Spitzer ultima maniera può essere accostato (egli stesso lo suggerì) agli strutturalisti per la sua concezione organica dell'opera d'arte. Appunto nelle Tesi del Circolo linguistico di Praga del 1929 si afferma che "l'opera poetica è una struttura funzionale, e i vari elementi non possono esser compresi al di fuori delle loro connessioni con l'insieme". E già i Formalisti russi (V. Šklovskij, B. Ejchenbaum, B. Tomaševskij, J. Tynjanov) avevano notevolmente esteso le ricerche sulle tecniche letterarie: si possono ricordare per la narrativa l'approfondimento dei procedimenti di costruzione della trama e per la poesia lo studio dei rapporti tra ritmo e sintassi, tra rime e significati.
Non è tuttavia un caso se i Formalisti hanno poco approfondito lo stile degli autori in quanto studio di scelte linguistiche. Essi giunsero infatti alla concezione, accolta dagli strutturalisti, dell'opera letteraria scomponibile in livelli (fonetico, morfologico, lessicale, ecc.) interconnessi, nell'uso comune, ai fini della comunicazione. Nel linguaggio letterario i livelli non cooperano soltanto a comunicare un senso, ma vengono messi in una tensione reciproca che può privilegiare un livello sull'altro e che comunque istituisce un sistema autonomo di valori, in cui i singoli elementi pesano proprio in quanto inseriti in un assieme coordinato. Nell'impiego artistico anzi i segni vengono a prevaricare sui significati: "il principio organizzatore dell'arte, in funzione del quale essa si distingue dalle altre strutture semiologiche, è che l'intenzione viene diretta non sul significato ma sul segno stesso" (Tesi del 1929).
A questo punto il testo, considerato come un microcosmo con proprie leggi interne, non può più esser caratterizzato da deviazioni isolate rispetto alla lingua comune. In base al principio formulato lucidamente da R. Jakobson, "la funzione poetica proietta il principio d'equivalenza dall'asse della selezione all'asse della combinazione": l'interesse sottratto al paradigma o asse della selezione (cioè, in pratica, alle scelte stilistiche offerte dalla langue) viene trasferito tutto al sintagma o asse della combinazione, cioè al testo considerato nella sua complessiva autosufficienza.
A rigore dunque, con l'avvento dello strutturalismo non si può più parlare di s., ma di studio dello stile da riportare a un'analisi linguistica globale del testo. La dissoluzione della s. si accentua ancor più con la semiologia, per la quale il discorso linguistico è soltanto la rappresentazione di un'intricata dialettica di significati. I vari elementi formali non si richiamano più soltanto tra di loro, ma collaborano, come significanti, a evocare un mondo di significati. In questa visione bidimensionale è stato per es. risolto il problema dei valorì evocativi del testo (connotazioni), considerato come una sovrapposizione sempre più ardua di piani semiologici che, denotativi a un certo livello, vengono utilizzati come connotativi a un livello superiore di elaborazione (L. Hjelmslev).
Bibl.: H. Hatzfeld, A critical bibliography of the new stylistics... I, 1900-52; II, 1953-65, Chapel Hill 1953 e 1966; H. Hartzfeld, Y. Le Hir, Essai de bibliographie critique de stylistique française et romane 1955-1960, Parigi 1961; L. T. Milic, Style and stylistics. An analitical bibliography, New York 1967; R. Bailey, D. Burton, English stylistics: A bibliography, Cambridge 1968; R. Bailey, L. Doležel, An annotated bibliography of statistical stylistics, Ann Arbor 1968; T. Todorov, Les études du style, in Poétique, 2 (1970), pp. 224-32. Testi: Ch. Bally, Traité de stylistique française, Heidelberg 1902, Parigi 19513; K. Vossler, Positivismus und Idealismus in der Sprachwissenschaft, ivi 1904 (trad. it. Bari 1908, col successivo); id., Die Sprache als Schöpfung und Entwicklung, Heidelberg 1905; Ch. Bally, Précis de stylistique, Ginevra 1905; L. Spitzer, Stilstudien, Monaco 1928, 19602; id., Romanische Stil- und Literaturstudien, Marburgo 1931; J. Marouzeau, Précis de stylistique française, Parigi 1941; id., Traité de stylistique latine, ivi 1946; E. Auerbach, Mimesis, Berna 1946 (trad. it. Torino 1964); G. Contini, Esercizi di lettura, Firenze 1947, Torino 19742; L. Spitzer, Linguistics and literary history, Princeton 1948; G. Devoto, Studi di stilistica, Firenze 1950; D. Alonso, Poesìa española. Enseyo de métodos y límites estilísticos, Madrid 1951 (trad. it. Bologna 1965); B. Terracini, Pagine e appunti di linguistica storica, Firenze 1957; L. Spitzer, Marcel Proust e altri saggi di letteratura francese moderna, Torino 1959; id., Lo sviluppo di un metodo, in Cultura Neolatina, XX (1960), pp. 109-28; id., Les études de style et les différents pays, in Autori vari, Langue et littérature, Parigi 1961, pp. 23-30; G. Devoto, Nuovi studi di stilistica, Firenze 1962; L. Spitzer, Critica stilistica e semantica storica, Bari 19662; R. Jakobson, Saggi di linguistica generale, Milano 1966; H. Hatzfeld, Saggi di stilistica romanza, Bari 1967; G. Contini, Varianti e altra linguistica, Torino 1970; D. Alonso, Pluralità e correlazione in poesia, Bari 1971; R. Jakobson, Questions de poétique, Parigi 1973; G. Devoto, Itinerario stilistico, Firenze 1975; B. Terracini, Analisi stilistica, Milano 19752. Generalità: H. Seidler, Allgemeine Stilistik, Gottinga 1953; A. Schiaffini, Momenti di storia della lingua italiana, Roma 19532; R. Wellek-A. Warren, Teoria della letteratura e metodologia dello studio letterario, Bologna 1956; M. Pagnini, Struttura letteraria e metodo critico, Messina-Firenze 1967; P. Guiraud, La stylistique, Parigi 19703 (trad. it. Milano 1966); D. S. Avalle, L'analisi letteraria in Italia. Formalismo, strutturalismo, semiologia, Milano-Napoli 1970. Contributi: P. Guiraud, Les caractères statistiques du vocabulaire, Parigi 1954; M. Fubini, Critica e poesia, Bari 1956; id., Ragioni storiche e ragioni teoriche della critica stilistica, in Atti del II Congr. Intern. di studi italiani, Firenze 1958, pp. 113-33; C. Cases, L. Spitzer e la critica stilistica, in Saggi e note di letteratura tedesca, Torino 1963, pp. 267-314; S. Ullmann, Language and style, Oxford 1964; Style in language (a cura di Th. A. Sebeok), Cambridge, Mass., 19642; S. Levin, Linguistic structures in poetry, L'Aia 19642; Linguistic and style (a cura di J. Spencer-M. Gregory), Londra 1964; L. Rosiello, Struttura, uso e funzioni della lingua, Firenze 1965; Essays on the language of literature (a cura di S. Chatman-S. Levin), Boston 1967; P. Guiraud, Les fonctions secondaires du langage, in Le langage (Encyclopédie de la Pléiade), a cura di A. Martinet, Parigi 1968, pp. 435-512; id., Essais de stylistique, ivi 1969; C. Segre, I segni e la critica, Torino 1969, 19763; I metodi attuali della critica in Italia (a cura di M. Corti-C. Segre), ivi 1970; G. Contini, Varianti e altra linguistica, ivi 1970; Literary styles: A Symposium (a cura di S. Chatman), Londra-New York 1971; M. Riffaterre, Essais de stylistique structurale, Parigi 1971; N. E. Enkvist, Linguistic stylistics, L'Aia 1973; Romanistische Stilforschung (a cura di H. Hatzfeld), Darmstadt 1975.