stimare (estimare)
Il verbo ricorre dieci volte nella Commedia e due nel Convivio, in accezioni fondamentalmente tutte affini a quella propria di " fare la stima " calcolando il valore anche presunto di una grandezza o l'entità di un fenomeno: come nella similitudine di Pd XIII 131 Non sien le genti, ancor, troppo sicure / a giudicar [delle cose future, e particolarmente della salvezza e della dannazione altrui], sì come quei che stima / le biade in campo pria che sien mature; o ancora in Pg XII 75 Più era già per noi del monte vòlto / e del cammin del sole assai più speso / che non stimava l'animo non sciolto, e in Pd XXIV 18 come cerchi in tempra d'orïuoli... / così quelle carole [dei beati], differente-/mente danzando, de la sua ricchea [cioè del rispettivo grado di beatitudine] / mi facieno stimar, veloci e lente; o nell'altra di If XXIV 25 (in cui è da notare l'uso assoluto del verbo e la sua connotazione estensiva): come quei ch'adopera ed estima, / che sempre par che 'nnanzi si proveggia (" adopera et istima, perché è cosa da prudente il pensar sempre al futuro, avendo detto adopera quanto al presente et istima quanto al futuro ", Daniello).
La presunzione che D. intende bollare in chi stima / le biade... pria che sien mature detta anche l'avventato giudizio di molti tanto di suo ingegno presuntuosi, che credono col suo intelletto poter misurare tutte le cose, estimando tutto vero quello che a loro pare, falso quello che a loro non pare (Cv IV XV 12; il passo è traduzione letterale di Tomm. Contra Gent. I 5); nel passo il verbo è usato nell'accezione più generica di " valutare ", " giudicare ", come anche in Pd V 102, ancora in una similitudine riferita all'affluire dei beati del cielo di Mercurio attorno a D. e Beatrice: Come 'n peschiera ch'è tranquilla e pura / traggonsi i pesci a ciò che vien di fori / per modo che lo stimin lor pastura; in Cv I II 11 villania fa chi loda o chi biasima dinanzi al viso alcuno, perché né consentire né negare puote lo così estimato sanza cadere in colpa di lodarsi o di biasimare. Indica una valutazione erronea per inganno dei sensi in Pd III 20, in riferimento alle facce a parlar pronte dei beati del cielo della Luna che D. crede riflesse in una superficie speculare (quelle stimando specchiati sembianti).
Vale estensivamente " comprendere rettamente ", in Pg XXXIII 64 Dorme lo 'ngegno tuo, se non estima / per singular cagione essere eccelsa / lei [la pianta, vv. 55-63] tanto e sì travolta ne la cima.
È infine usato in altri tre casi (If XXIX 35, Pg XVII 112, Pd I 136) nell'inciso discorsivo se bene estimo, " se giudico rettamente ".