stimolazione cerebrale elettrica e magnetica
La stimolazione cerebrale elettrica e magnetica per il trattamento di malattie neurologiche e psichiatriche ha origini antiche. Nonostante uno sviluppo lento, spesso ostacolato da pregiudizi, le nuove metodiche di stimolazione invasiva e non invasiva si sono dimostrate in grado di determinare consistenti effetti clinici. La stimolazione magnetica transcranica e la stimolazione transcranica a correnti dirette rappresentano le principali metodiche di stimolazione non invasiva del sistema nervoso, in grado di modulare, anche in modo prolungato, l’eccitabilità neuronale di potenziale impiego nel trattamento di pazienti affetti da ictus, depressione e dolore cronico. La stimolazione cerebrale profonda rappresenta invece la principale metodica di stimolazione invasiva per il trattamento della malattia di Parkinson avanzata. [➔ corteccia motoria; distonia; dolore; epilessia; negligenza spaziale unilaterale; neuromodulazione; Parkinson, malattia di] La stimolazione elettrica del cervello è stata ed è tuttora impiegata per rivelare il funzionamento di alcune aree cerebrali nell’animale da esperimento. Nell’uomo, dopo i primi pioneristici tentativi di stimolazione cerebrale attraverso brecce traumatiche del cranio, la stimolazione elettrica del cervello durante interventi neurochirurgici ha consentito di individuare la funzione di varie parti del sistema nervoso centrale umano e consente tuttora ai chirurghi di elaborare mappe funzionali del cervello, evitando di ledere durante gli interventi aree importanti come quelle del linguaggio e del movimento.
L’utilizzo di metodiche di stimolazione elettrica e magnetica per modulare l’attività del sistema nervoso centrale è nota fin dall’antichità: nel 43÷48 a.C., Scribonius Largus osservò che l’applicazione di una torpedine – pesce capace di produrre intense correnti elettriche – sulla testa di un paziente con cefalea provocava un’improvvisa e transitoria alterazione della coscienza con miglioramento del dolore; queste osservazioni vennero confermate anche da Plinio il Vecchio e da Claudio Galeno. Nell’11º sec. il medico arabo Ibn-Sidah utilizzò un pesce elettrico per il trattamento dell’epilessia. In Italia, nel 18º sec., Luigi Galvani e Alessandro Volta diedero vita a una serrata discussione sugli effetti biologici delle correnti elettriche, aprendo le porte all’utilizzo delle correnti elettriche in campo medico. Giovanni Aldini e diversi altri medici osservarono dai primi dell’Ottocento gli effetti clinici di diversi tipi di stimolazione elettrica nei confronti di una molteplicità di disturbi, tanto da poter denominare tutto quel secolo come ‘era elettrica’ della medicina. Poi, nel 1896 a Parigi, il medico francese Jacques-Arsène d’Arsonval riportò che un intenso campo magnetico alternato poteva produrre la percezione di lampi luminosi (fosfeni). Da questi primi tentativi di applicare le correnti elettriche e magnetiche allo studio del sistema nervoso umano nascono le tecniche di neurostimolazione odierne.
La TMS è una tecnica non invasiva di neurostimolazione e neuromodulazione sviluppata a partire dagli anni Ottanta dello scorso secolo, basata sul principio dell’induzione elettromagnetica. Il campo elettrico indotto da un campo magnetico generato dal flusso di corrente in una bobina depolarizza i neuroni e, quando sono utilizzati stimoli ripetuti, può anche modulare l’eccitabilità corticale aumentandola o diminuendola. La TMS può essere a stimolo singolo, a coppie di stimoli o con stimoli ripetitivi. La prima modalità, che viene utilizzata soprattutto nella diagnostica neurofisiologica, può essere impiegata, per es., per elaborare mappe della corteccia motoria e studiare le vie di conduzione motorie all’interno del sistema nervoso centrale. Le altre due metodiche sono prevalentemente usate per la ricerca e permettono di studiare i parametri di facilitazione e inibizione corticale, analizzare le interazioni corticocorticali e modulare anche per diversi minuti l’eccitabilità corticale. Le applicazioni diagnostiche cliniche della TMS a singolo impulso sono molteplici e per lo più indirizzate alla valutazione delle vie corticospinali o piramidali in condizioni patologiche quali la mielopatia spondilogena, la sclerosi multipla, le malattie del motoneurone e la negligenza spaziale unilaterale. Stimolazione magnetica transcranica ripetitiva (rTMS). Quando una serie (treno) di stimoli si ripete per diversi secondi o minuti si induce una modificazione dell’eccitabilità cerebrale della zona stimolata, che può persistere anche per diversi minuti dopo il termine della stimolazione stessa (effetti postumi). Questa osservazione pone il presupposto per un’applicazione clinica della rTMS in tutte le condizioni che si associano a un’alterata eccitabilità o funzione di una parte del sistema nervoso centrale. Le frequenze della rTMS sono generalmente differenziate in alte (>1 Hz, in generale eccitatorie) e basse (<1 Hz, in generale inibitorie). Esistono anche altri parametri in grado di influenzare l’effetto clinico, quali la forma del campo magnetico (bifasico e monofasico), la sua intensità, il tipo di bobina e l’intervallo tra le serie di stimoli. Gli effetti biologici della TMS non sono ancora del tutto chiari. Un singolo impulso magnetico applicato a un modello di neuroni corticali induce una breve scarica seguita da un periodo di silenzio. Questa osservazione fa ipotizzare che un flusso di calcio seguito da un’apertura dei canali del potassio voltaggio-dipendenti sia responsabile dell’iperpolarizzazione che segue la scarica neuronale. Altri autori hanno osservato un incremento dell’espressione dell’mRNA per i trasportatori delle monoammine che sono lo scopo di molti farmaci antidepressivi e psicostimolanti. La rTMS modula i trasportatori delle monoammine modificando l’attività sinaptica monoamminergica attraverso un rapido recupero della serotonina, della dopammina e della norepinefrina. Pur mancando ancora dati conclusivi, la rTMS sembra oggi una promettente possibilità di trattamento non invasivo per diverse condizioni neuropsichiatriche, e il numero delle potenziali applicazioni continua ad aumentare. La rTMS è stata impiegata nei disturbi psichiatrici, quali la depressione, la mania acuta, i disturbi bipolari, gli attacchi di panico, le allucinazioni, il disturbo ossessivo- compulsivo, la schizofrenia, la catatonia, il disturbo postraumatico da stress e in malattie neurologiche quali malattia di Parkinson, distonia, tic, tinnito, spasticità o epilessia. Non mancano dati anche nel campo riabilitativo, in partic. nel recupero dell’afasia o della funzionalità motoria della mano dopo un ictus, nelle sindromi dolorose quali dolore neuropatico, viscerale ed emicrania. Le aree cerebrali esplorate con successo dalla rTMS per il trattamento di disturbi del movimento e di disturbi affettivi sono principalmente la corteccia motoria, l’area motoria primaria, la corteccia motoria sinistra, la corteccia premotoria, quella dorsale e la corteccia frontale bilaterale per la malattia di Parkinson e la corteccia prefrontale, la corteccia prefrontale dorsolaterale per la depressione e i comportamenti ossessivo- compulsivi. La rTMS, tuttavia, è una metodica relativamente costosa, che richiede ambiente e personale specializzati, e che difficilmente potrà trovare una diffusione capillare tale da renderla idonea a un’applicazione clinica di routine. L’elevato campo magnetico indotto deve essere utilizzato con cautela in pazienti portatori di protesi metalliche ferromagnetiche, mentre sembra che le placche in titanio e le clip per aneurismi in acciaio inossidabile non rappresentino un criterio di esclusione assoluto all’utilizzo della TMS. La TMS non deve essere utilizzata invece in pazienti portatori di stimolatori elettrici quali pacemaker cardiaci o neurostimolatori o impianti cocleari per l’ipoacusia.
Le correnti elettriche continue (DC) – al contrario di quelle alternate – polarizzano i tessuti. La polarizzazione consiste in un accumulo di ioni di carica differente al di sotto del catodo e dell’anodo che può produrre effetti anche prolungati sul funzionamento delle cellule nervose. È stato osservato (1998) che deboli correnti dirette applicate allo scalpo modulano l’attività del cervello umano. Tali correnti applicate a intensità di 1÷2 mA per alcuni minuti sullo scalpo inducono cambiamenti dell’eccitabilità della corteccia motoria, che persistono per diverse decine di minuti dopo l’interruzione della corrente stessa e dipendono dalla polarità dell’elettrodo stimolante. Gli studi condotti durante l’applicazione di DC al nervo periferico forniscono un modello per lo studio della fisiologia e della fisiopatologia assonale nell’uomo. Anche la corteccia motoria presenta modificazioni di eccitabilità durante l’applicazione di DC. La direzione del cambiamento di eccitabilità dipende in questo caso, oltre che dalla polarità della DC applicata, anche dalla geometria del campo elettrico e dalla posizione degli elettrodi stimolanti. Con il disegno sperimentale di stimolazione DC più comunemente impiegato, le correnti tangenti la corteccia motoria determinano un incremento di eccitabilità in corrispondenza dell’anodo. Viceversa, quando gli elettrodi DC determinano un flusso ortogonale alla superficie corticale, si verifica un decremento di eccitabilità. Nel primo caso si verificherebbe un’ipoeccitabilità degli strati più superficiali della corteccia cerebrale ove sono situati interneuroni inibitori, con un conseguente relativo incremento del tono facilitatorio sulle sottostanti cellule piramidali. Nel secondo caso, invece, prevarrebbero gli effetti diretti sulle cellule piramidali stesse che risulterebbero ipoeccitabili durante l’applicazione di correnti anodiche iperpolarizzanti. Modificazioni prolungate dell’eccitabilità corticale. La stimolazione con DC in corrispondenza dello scalpo per diversi minuti, oltre a indurre modificazioni transitorie dell’eccitabilità della corteccia cerebrale motoria, può determinare cambiamenti di eccitabilità corticale che persistono fino a diverse decine di minuti dopo la cessazione della corrente. L’eccitabilità corticale può essere incrementata o diminuita in relazione alla polarità dell’elettrodo che eroga la DC, posto in corrispondenza della corteccia motoria. Con il montaggio comunemente impiegato per gli elettrodi che erogano la DC – frontale e parietale controlaterale – l’eccitabilità corticale decrementa dopo l’appli cazione di una corrente catodica e incrementa dopo l’applicazione di una corrente anodica. I cambiamenti di eccitabilità determinati da correnti DC si rilevano sia testando l’eccitabilità corticale con la TMS, sia valutando l’attività elettroencefalografica. I meccanismi responsabili di tali persistenti modificazioni dell’eccitabilità sono ancora ipotetici. L’applicazione di DC ai tessuti biologici provoca una migrazione delle proteine della membrana (elettroforesi) con una distorsione nella loro conformazione, che può spiegare gli effetti osservati. Oltre a produrre gli effetti diretti sulla membrana cellulare, la stimolazione DC del sistema nervoso centrale potrebbe agire anche attraverso l’induzione di modificazioni dell’efficienza sinaptica. Tali modificazioni, se da una parte derivano dalle modificazioni dell’eccitabilità di membrana, dall’altra potrebbero anche essere prodotte dall’interferenza con i recettori N-metil-D-aspartato (NMDA), con conseguente modulazione della plasticità sinaptica. Studi recenti indicano che la tDCS può essere impiegata anche per modulare in modo non invasivo l’eccitabilità del midollo spinale e del cervelletto. Nessuno tra gli studi fino a oggi pubblicati ha riportato effetti collaterali o reazioni avverse significative indotte dalla tDCS sottosoglia del sistema nervoso centrale o periferico. Il rischio di aritmie è virtualmente nullo, quando i due elettrodi siano applicati entrambi sullo scalpo: non determinano infatti flussi transtoracici di corrente. Anche quando la geometria del sistema di erogazione della DC (per intensità <1,5 mA) comporta correnti transtoraciche, l’intensità delle stesse rientra nei limiti di sicurezza ottenuti dai modelli sperimentali specifici. In questo caso non sono tuttavia ancora disponibili dati in pazienti cardiopatici. La sicurezza, la semplicità, il basso costo e l’entità dei cambiamenti di eccitabilità indotti rendono attualmente la tDCS una metodica di neuromodulazione (➔) non invasiva particolarmente adatta alle applicazioni cliniche e terapeutiche anche su larga scala. Applicazioni cliniche. Le principali condizioni cliniche nelle quali è stata applicata la tDCS sono la riabilitazione motoria dell’ictus, la depressione maggiore e il dolore cronico. Le strategie utilizzate nella riabilitazione motoria post-ictus si basano sul cosiddetto modello di competizione interemisferica. A seguito della lesione si osserva un’inibizione della corteccia motoria e una disinibizione della corteccia motoria primaria controlaterale. Sulla base di queste osservazioni si è tentato di facilitare con la tDCS la corteccia omolaterale e inibire la corteccia controlaterale con l’applicazione di correnti dirette di polarità opposta. I risultati di una singola sessione sono stati incoraggianti, ma transitori, tanto da spingere ad applicazioni ripetute. Quest’ultimo protocollo di stimolazione ha invece indotto miglioramenti persistenti per alcune settimane. Studi preliminari, poi confermati da altri condotti su un campione maggiore, hanno dimostrato una parziale efficacia di questa metodica anche in pazienti affetti da depressione resistente al trattamento farmacologico. Più recentemente (2008) la polarizzazione del lobo frontale è stata confrontata con la fluoxetina (farmaco antidepressivo). La tDCS ripetuta per 10 giorni ha indotto un beneficio paragonabile a quello del farmaco, ma in tempi più rapidi. L’utilizzo della stessa metodica con protocollo intensivo (due applicazioni quotidiane) in pazienti con depressione grave, refrattaria ai farmaci antidepressivi, con elevato rischio di suicidio, ha dimostrato un miglioramento delle scale per la depressione di circa il 30% dopo cinque giorni di trattamento, senza alcuna alterazione delle funzioni cognitive. Anche se ancora non sono disponibili dati di follow-up a distanza di mesi o anni, tutti gli studi riportano un beneficio che si protrae per diverse settimane dopo la fine del trattamento, senza effetti collaterali o complicanze. I risultati più consistenti nel dolore cronico derivano dall’applicazione su pazienti affetti da fibromialgia. Alcuni studi mostrano che la tDCS anodica esercita sul dolore e sul sonno un effetto specifico del sito di stimolazione. In partic., la stimolazione della corteccia motoria (M1) e della corteccia frontale dorsolaterale (DLPF) induce effetti opposti sul sonno: mentre la stimolazione della M1 aumenta l’efficienza del sonno, riducendo i risvegli e aumentando l’attività delta nel sonno non-REM, la stimolazione della DLPF è associata a una riduzione dell’efficienza del sonno e a un aumento della latenza del sonno e del sonno REM. Nella fibromialgia la miglior efficienza del sonno indotta dalla stimolazione della M1 è correlata con il miglioramento della qualità della vita.
La stimolazione cerebrale profonda – (DBS, Deep Brain Stimulation) – è una metodica invasiva che si basa sull’impianto neurochirurgico stereotassico (➔ stereotassico, apparato) di elettrocateteri nell’encefalo che, una volta connessi a un neurostimolatore (simile al pacemaker cardiaco), erogano una stimolazione elettrica costante ad alta frequenza (110÷170 Hz) determinando una modulazione nel funzionamento di popolazioni neuronali (➔ neuromodulazione). Tale metodica si basa sul principio generale dell’inattivazione funzionale della struttura nella quale viene impiantato l’elettrodo di stimolazione; diversi sintomi e disturbi neurologici sono causati infatti dall’iperattività di strutture cerebrali profonde. Nel passato tali condizioni venivano trattate per mezzo di interventi neurochirurgici che miravano alla distruzione irreversibile della struttura iperattiva. La DBS ha il vantaggio, rispetto agli interventi di neurochirurgia lesionale, di essere reversibile e modulabile in relazione alle modificazioni dello stato clinico del paziente. La principale indicazione della stimolazione cerebrale profonda è la malattia di Parkinson (➔) nelle fasi avanzate, quando la terapia farmacologica controlla solo parzialmente i disturbi motori, con conseguente e inevitabile deterioramento dell’autonomia funzionale e della qualità di vita del paziente. La DBS viene utilizzata per trattare anche altre condizioni patologiche caratterizzate da alterazione del movimento, quali le distonie, il tremore essenziale e alcune forme di malattia di Parkinson e di epilessia farmacoresistente. Studi ancora preliminari suggerirebbero inoltre che la DBS potrebbe essere impiegata anche per trattare i casi di depressione grave e di sindrome di Gilles de la Tourette. Meccanismo di funzionamento. La maggior parte degli studi circa i meccanismi di funzionamento è stata condotta relativamente alla malattia di Parkinson. In animali da esperimento, con elettrodi di profondità impiantati nel nucleo subtalamico (STN) e sottoposti a stimolazione ad alta frequenza (HFS), le registrazioni elettrofisiologiche dimostrano una riduzione della scarica della sostanza nera pars reticulata (SNR) e del globo pallido interno (GPI), mentre l’attività del nucleo ventrale del talamo risulta aumentata. Queste osservazioni suggeriscono che l’inibizione del nucleo subtalamico da parte dell’HFS riduce l’attività eccitatoria glutammatergica verso la SNR e il GPI, disinibendo il talamo dall’influenza GABAergica di questi ultimi due nuclei. L’inibizione dell’attività dell’STN è invece evidente dalla ridotta attività di scarica del nucleo, che persiste per alcuni secondi dopo l’interruzione dell’HFS. La stimolazione mediante elettrodi posti nella profondità dell’encefalo può agire attraverso la modulazione dell’attività delle cellule nelle immediate vicinanze e attraverso l’interazione con fibre afferenti o di passaggio. Secondo alcuni autori l’HFS può raggiungere questo effetto inibitorio inducendo una depolarizzazione, durante la quale i neuroni dell’STN risultano incapaci di produrre potenziali d’azione (blocco depolarizzante). Altri autori hanno proposto una iperpolarizzazione, piuttosto che una depolarizzazione, quale meccanismo d’inibizione, basandosi sull’osservazione che in pazienti sottoposti a HFS dell’STN la stimolazione era in grado di produrre una precoce inibizione seguita da una nuova comparsa dell’eccitazione, per poi giungere a una definitiva inibizione. Un’altra ipotesi per il meccanismo d’azione dell’HFS è quella detta del traffico neuronale. L’attività ad alta frequenza interferirebbe con l’attività del circuito patologico. Dati recenti permettono infine di ipotizzare anche l’esistenza di altri meccanismi d’azione. Per es., è possibile che la DBS, oltre a inibire, stimoli alcune popolazioni neuronali subtalamiche. Probabilmente più di un meccanismo determina l’effetto terapeutico della DBS del nucleo subtalamico, anche se finora (2010) non è disponibile un modello interpretativo univoco circa il meccanismo d’azione. L’effetto finale della DBS del nucleo subtalamico è una disinibizione del talamo con attivazione della corteccia cerebrale, dimostrata da studi PET (tomografia a emissione di positroni) e SPECT (tomografia computerizzata a emissione di singolo fotone) nell’uomo.
La stimolazione epidurale della corteccia cerebrale è una tecnica invasiva che trova indicazione nelle sindromi dolorose di origine centrale e, più recentemente, nel trattamento della malattia di Parkinson quando sono presenti controindicazioni al trattamento con DBS. L’applicazione di questa metodica porta a un miglioramento dei sintomi e conseguentemente a una riduzione della terapia. La stimolazione spinale epidurale trova la sua indicazione nel trattamento delle sindromi dolorose da lesione nervosa periferica (da intrappolamento, trauma, lesione chirurgica), nelle gravi polineuropatie periferiche, nelle plessopatie traumatiche, oncologiche o da radiazioni, nel dolore da arteriopatia obliterante degli arti inferiori. Viene eseguita posizionando un elettrodo quadripolare nello spazio epidurale adiacente al midollo spinale. La stimolazione elettrica esercita un effetto clinico consistente sulla percezione del dolore. Nonostante la diffusione di tale metodica, non sono ancora noti i meccanismi alla base dell’effetto. Gianluca Ardolino, Alberto Priori