FALTERONA, Stirpe della
Per numero, varietà e qualità degli esemplari è la più notevole stipe di bronzi votivi finora scoperta in Etruria.
Viene dalla sponda orientale del laghetto, poi prosciugato, di Ciliegeto, sotto la vetta più elevata della montagna della Falterona (1657 m), a poca distanza dalle sorgenti di Capo d'Arno. Scavata nell'estate del 1838 da una società di amatori, appositamente costituitasi nel vicino paese di Stia (Arezzo), constava di circa seicentocinquanta pezzi tra statuette, in gran maggioranza di offerenti, piccole teste a sé stanti, figurine di animali, parti del corpo umano, come braccia, gambe, occhi, ecc. Queste ultime hanno fatto pensare al culto di qualche divinità salutare. Non mancavano ex voto di terracotta, generalmente assai danneggiati, e "rozzissimi vasi". Estremamente abbondante era l'aes rude (ben trecento libbre) e le armi di ferro, tra cui si contavano duemila punte di freccia.
Le statuette di maggior pregio, assieme a qualche esemplare più rozzo, attestante la media qualità del deposito, a una bella testina barbata e a qualche esempio di parti anatomiche, furono riprodotte nel 1844 dal Micali, che le aveva viste a Roma presso un privato. La testina e quattro delle statuette, tramite la Collezione Campanari, entrarono qualche anno dopo nel British Museum, mentre altre cinque accedettero successivamente al Louvre. Di tutte le restanti non si è saputo più nulla.
La cronologia va dagli ultimi anni del VI sec. a. C. al IV inoltrato. La gran massa della stipe sembra però che fosse costituita da piccole e sciatte kòrai inguainate nel chitone, di stile tardo arcaico o subarcaico. Particolarmente notevoli sono gli esemplari del British Museum, cioè: una Kòre in movimento verso destra, un Ercole di stile severo, un Marte stante, confrontabile con quello di Todi, e un offerente col mantelletto sui fianchi, alto circa cm 50, di rude sapore provinciale. Questi due ultimi pezzi, assieme a un Efebo su cimasa di candelabro al Louvre, sono stati attribuiti dal Riis alla scuola vulcente.
Del santuario non si è trovata alcuna traccia, tanto che si è anche pensato che la stipe fosse franata dall'alto del monte. La sua ricchezza va posta probabilmente in rapporto con la vicinanza a qualche valico dell'Appennino, massimamente frequentato nel periodo dell'espansione etrusca in Romagna e nella valle del Po, anteriormente alla completa celtizzazione di quei territori. Stipi similari, di facies esclusivamente tardoarcaica, sono venute in luce a Fiesole e Monteguragazza.
Bibl.: F. Inghirami, in Bullettino dell'Instituto di Corrispondenza archeologica, 1838, p. 65 ss.; A. M. Migliarini, ibid., p. 69 s.; E. Braun, ibid., 1842, p. 179 ss.; G. Micali, Monumenti inediti a illustrazione della storia degli antichi popoli italiani, Firenze 1844, p. 86 ss., tavv. XI, 5; XII-XVI; G. Dennis, The Cities and Cemeteries of Etruria, 2a ed., II, Londra 1878, p. 111 ss.; H. B. Walters, Catalogue of the Bronzes in British Museum, Londra 1899, nn. 450, 459, 463, 614-616, 679; tav. XII; id., Select. Bronzes of the British Museum, Londra 1915, tavv. IX, X e XXXVIII; A. De Ridder, Les bronzes antiques du Louvre, I, Parigi 1913, nn. 218, 220, 230, 291 s.; tavv. 21, 22, 26; G. Q. Giglioli, L'arte etrusca, Milano 1935, tavv. CXXI, 2; CXXIII, 2-3; CCLII, 2; CCLX, 1; CCLXI, 1; P. J. Riis, Tyrrhenika, Copenaghen 1941, pp. 82, 92 e 123, n. 1.