Vedi STOBI dell'anno: 1966 - 1997
SΤΟΒI (v. vol. VII, p. 509)
L'antica città di S., situata c.a 150 km a N di Salonicco, probabilmente si estendeva, perlomeno in età romana, anche al di là del fiume Vardar, come si evince da alcuni resti rilevati sulla riva sinistra.
Le notizie storiche più antiche parlano di S. come della città nei pressi della quale ebbe luogo un'impresa militare di Filippo V nel 197 a.C., e come di una vetus urbs della Paeonia nel 183 a.C. (Liv., XXXIII, 19,3; XXXIX, 53, 16). Nel 167 a.C. S. venne designata emporio del sale per la terza merìs della Macedonia. La città e il suo territorio ebbero un'importante collocazione strategica non soltanto sotto il profilo militare, ma anche per le attività commerciali, e attirarono numerosi abitanti italici nel corso dei due secoli successivi, come attestato dall'onomastica tramaṇḍataci dalle epigrafi. Probabilmente in età augustea divenne un municipium, iscritto nella tribù Aemilia, e batté moneta propria dal 69 d.C. sino al regno di Eliogabalo (218-222). Fu l'unico oppidum civium Romanorum, insieme a Coela nel Chersoneso Tracico, vale a dire uno dei due soli municipia attestati nelle provincie grecofone, e rimane l'unico municipio, al di fuori dell'Italia, sinora noto per aver goduto dello ius italicum che dava adito a numerosi privilegi, quali l'immunità dal tributum soli e da altre tasse.
S. fu sede episcopale dall'inizio del IV sec., con l'attestazione di numerosi vescovi: Budius, che partecipò al Concilio Ecumenico di Nicea nel 325; Eustathius, il cui nome compare nel mosaico della navata della basilica del IV sec.; Nicolaus, che prese parte al Concilio di Calcedonia nel 451; Filippo, cui si deve la costruzione, su terrazzamento, della basilica del V sec.; Giovanni, che partecipò al VI Concilio Ecumenico di Costantinopoli nel 680 e Margarites che prese parte al II Sinodo Trullano nel 692. Essa fu probabilmente la capitale della Macedonia Salutaris, una provincia di breve vita creata alla fine del IV sec., e della Macedonia Secunda nel V e nel VI secolo. Un insieme di fattori ambientali, le invasioni slave e le catastrofi naturali misero fine all'insediamento urbano nell'antica località alla fine del VI secolo.
Un progetto archeologico congiunto americano-jugoslavo, finanziato sostanzialmente dall'Università di Boston e dal Museo Nazionale di Titov Veles, ha portato, tra il 1970 e il 1981, alla realizzazione interdisciplinare di scavi, interventi di restauro e studi. Successivamente l'attività di scavo si è concentrata su una chiesa cristiana del IV-V secolo.
La città pre-augustea occupava meno della metà dell'area corrispondente a quella della prima età imperiale, con una necropoli che peraltro si estendeva per oltre 300 m lungo il limite meridionale della zona abitata. L'oppidum era molto probabilmente fortificato, anche se non si è trovata alcuna traccia di mura riferibile a questa prima fase. Nei punti in cui sono stati eseguiti sondaggi, si è potuto accertare che i resti di S. giacevano sopra il primitivo letto del fiume Crna, che in età preistorica solcava il declivio sul quale venne poi eretta la città. 504 denari d'argento, un vittoriato e un unico tetradramma ateniese furono ritrovati sepolti nei pressi di un'officina ceramica, accanto al limite sud-occidentale della città. Le monete si datano tra il 211 e il 125 a.C., ed è probabile che siano state nascoste proprio in occasione dello scontro, avvenuto nelle vicinanze, tra Romani e Scordisci nel 119 a.C. La cultura materiale, in particolare la ceramica, indica l'esistenza di rapporti commerciali non soltanto con le regioni a Ν e a S di S., ma anche con l'Asia Minore e con l'Italia. Alla fine del II e nel corso del I sec. a.C. si registra un incremento dell'importazione dall'Italia di ceramica fine. L'attestazione di una forte influenza italica nelle monete ritrovate nel ripostiglio, la ceramica d'importazione e altri ritrovamenti confermano quanto attestato dalle iscrizioni, suggerendo nel complesso l'esistenza a S. di un insediamento di mercanti e di veterani romani in numero sempre crescente a partire dalla vittoria romana a Pidna del 168 a.C. e dalla creazione della provincia di Macedonia del 146 a.C. Anche se è indubbio che la popolazione fosse costituita da Peoni e da altre genti illiriche originarie della regione, oltre che da Greci e Macedoni, la presenza di un nucleo di cittadini romani (un conventus?) contribuì probabilmente ad assicurare a S. il trattamento di favore che essa ricevette nel corso della prima età imperiale, a maggior ragione se è esatta l'ipotesi di F. Papazoglu (1986), secondo cui i Romani di S. durante le guerre civili sarebbero stati filo-cesariani.
Nel corso dell'età augustea la città accrebbe enormemente la sua estensione (oltre 15 ha) e si dotò di un muro di cinta. Un grande edificio, decorato con affreschi e modanature in stucco, separato dal tratto orientale del muro di cinta mediante una larga strada, aveva probabilmente una funzione pubblica; lo stesso si può dire di un altro, immediatamente a O. Quest'ultimo nella sua prima fase, probabilmente a destinazione termale, era decorato da una pavimentazione di opus sectile in marmo policromo; anche le pareti recavano incrostazioni marmoree, con nicchie per le statue. A seguito di una ristrutturazione del III sec., un cortile venne pavimentato con un grande mosaico largo m 19 e lungo m 30. Un poco più a O sorgeva una sinagoga, il cui rifacimento nel II sec., a opera di Tiberius Claudius Polycharmus, viene ricordato da una lunga iscrizione apposta su una colonna dell'edificio, e da diverse scritte, dipinte sull'intonaco della parete meridionale dell'ambiente più importante.
Intorno alla metà del II sec., nella parte sud-occidentale della città venne costruito un teatro. La cavea di marmo, che poteva contenere c.a 7.600 spettatori, aveva due ordini di sedili. La fronte dell'edificio scenico era a due piani, con portici colonnati e nicchie per le statue. Il teatro non veniva usato soltanto per spettacoli teatrali, ma anche per combattimenti tra gladiatori o per venationes. Tra le attestazioni archeologiche relative a questi ultimi si ricordano la presenza nella cavea di dispositivi per reti destinate a proteggere gli spettatori, le aperture nel muro dell'arena per offrire un eventuale rifugio ai combattenti, un rilievo raffigurante alcuni gladiatori e la presenza di un sacello dedicato a Nemesi nella parte centrale dell'edificio della scena. Nell'ambiente di culto vennero ritrovate alcune iscrizioni votive e frammenti di statue. I sedili di marmo della maggior parte delle tre kerkìdes (i cunei) e anche, in parte, del quarto cuneo dell'ordine inferiore sono conservati in situ; quasi tutti recano iscrizioni in greco menzionanti i nomi degli occupanti dei posti, che si succedettero nel corso del II e del III secolo. Le prime due file costituivano la proedrìa, i cui sedili, molto più larghi (bisellia), sono contrassegnati dai nomi dei diversi membri che progressivamente fecero parte dell'orcio della città. Sopra la proedrìa, ciascuna kerkìs era divisa in settori separati, destinati ai sedili di tre delle phỳlai (tribù) municipali; i nomi di alcune di esse erano inoltre iscritti e, in alcuni casi, dipinti sulle pareti del muro dell'arena. Le tribù identificate sono: Κλ[αυδί]α, Μαρτία, Ούαλερία, [Μερκ]ουρία, Ούειϐία e Τερεντία. I posti erano molto probabilmente riservati sia ad assemblee di carattere civico che si svolgevano nel teatro, sia ai giochi e agli spettacoli che (come già detto) avevano luogo nel teatro/arena.
La città fu danneggiata alla fine del III sec. da almeno un terremoto, da ripetute inondazioni del fiume Crna e forse anche dalle incursioni gotiche. La zona situata nelle immediate vicinanze della Crna non si riprese mai completamente, e venne definitivamente abbandonata nel V sec., quando sopra le strutture ormai distrutte venne costruito un nuovo muro di fortificazione, arretrato di c.a 100 m rispetto alla riva del fiume. Il teatro, viceversa, fu riparato e continuò a essere usato sino alla fine del IV secolo. Alla sinagoga di Policarmo ne succedette alla metà del IV sec. un'altra, con mosaici pavimentali e affreschi sulle pareti. Di fronte alla sinagoga, a S, al di là di una strada lastricata, sorgevano una fontana pubblica e un grande edificio termale, che sostituivano le terme del III secolo. Terme più piccole si trovavano a E della sinagoga. Numerose ville urbane, meglio conosciute nella loro fase del V sec., vennero costruite nel IV: sempre in questo periodo venne eretta una serie di edifici in prossimità del teatro, tra cui un edificio termale, una grande costruzione con un cortile porticato e altre strutture successivamente trasformate in un complesso ecclesiale di cui faceva parte una basilica absidata a tre navate, caratterizzata da due fasi principali (la fase I collocabile intorno al 370, la II alla fine del IV inizî V secolo). Di entrambe le fasi si conservano i mosaici pavimentali con iscrizioni dedicatorie, una delle quali riporta il nome del vescovo Eustathius (fase II), e le pareti affrescate sino a un'altezza di oltre 2 m; nel corso della fase II a S venne aggiunto il battistero, le cui pareti affrescate raffigurano scene della vita di Cristo e i quattro evangelisti.
La chiesa del vescovo Eustathius, in realtà, era sovrastata dalla mole del teatro che, dopo la sua chiusura alla fine del IV sec., venne utilizzato come cava di pietre. Il tetto della basilica del IV sec. venne smantellato nella seconda metà del V; la decorazione architettonica di marmo, l'opus sectile e tutti gli altri elementi mobili vennero reimpiegati in una nuova basilica, costruita su un terrazzamento sollevato di c.a 4 m rispetto al livello della chiesa precedente, che giungeva anche a coprire parzialmente le rovine del teatro. La nuova cattedrale divenne così il complesso architettonico di maggior rilievo della città. Anch'essa fu decorata con mosaici e opus sectile pavimentale e con affreschi parietali. Le colonne che all'interno scandivano le tre navate della basilica erano in parte di reimpiego dalla chiesa precedente, mentre altre erano state eseguite ex novo. A E era un'abside ribassata per un martyrium, con un ambulacro a colonne. Una scalinata scendeva dal nartece al battistero, ricostruito al livello originario, con un fonte battesimale circolare, circondato da colonne, mosaico pavimentale figurato e un nuovo strato di affreschi alle pareti. Una residenza privata a Ν della basilica fu adibita a uso ecclesiastico e dotata di un ambiente con abside ribassata, forse un altro martyrium.
A O del nartece si trovava un atrio colonnato, oltre il quale correva una larga strada lastricata con marciapiedi. Dall'altro lato della strada; di fronte all'atrio, sorgeva una corte semicircolare, sul fondo della quale si aprivano alcune botteghe. La strada conduceva a S all'unica porta scavata sinora, la c.d. Porta Eraclea, per il fatto che si apriva su una via in direzione di Heraclea Lyncestis. Oltre la porta si estende una vasta area di necropoli con una basilica cimiteriale, anch'essa costruita subito dopo la metà del V secolo.
Tale periodo fu per tutta la città caratterizzato da un'intensa attività edilizia. Alcune abitazioni furono ingrandite, fino ad assumere quasi le dimensioni di veri e propri palazzi; furono inoltre abbellite da mosaici pavimentali, opus sectile, affreschi, cortili porticati e fontane. La parte superiore della sinagoga venne smantellata e l'area fu interrata, così da creare un terrazzamento per una chiesa cristiana; un'altra chiesa ancora, dotata di un battistero a pianta cruciforme, venne costruita un poco più a N.
Gli Ostrogoti di Teodorico conquistarono la città nel 479 e probabilmente in tale circostanza, o comunque non molto più tardi, la basilica episcopale subì seri danni, e si resero necessarie ampie riparazioni, con nuovi mosaici nel nartece e nella navata meridionale. Nel pavimento di quest'ultima venne inserita una tomba a volta, con accesso verticale fiancheggiato da una colonna allineata all'ingresso laterale nel presbiterio. La tomba, rinvenuta inviolata, ospitava probabilmente la salma del vescovo Filippo, cui si deve la costruzione della chiesa, come ricorda un'iscrizione apposta sull'architrave sovrastante l'ingresso alla navata centrale.
Alla fine del VI sec. gli abitanti lasciarono la città, forse in concomitanza con l'arrivo delle popolazioni slave che migravano verso S; e dopo saccheggi, distruzioni e crolli dovuti a un terremoto, si ebbe una parziale e sporadica rioccupazione del sito, ma la comunità cittadina non vi tornò mai più a vivere. E probabile però che gli antichi abitanti si fossero insediati nelle vicinanze, dal momento che nel VII sec. sono attestati due vescovi di S.; le continue inondazioni del fiume Crna depositarono uno strato di oltre 4 m di sabbia e fango sopra la città bassa, ricoprendo persino il più tardo muro di cinta, mentre la polvere interrò progressivamente i resti più alti sul colle.
Bibl.: J. R. Wiseman, Archaeology and History at Stobi, Macedonia, in C. B. McClendon (ed.), Rome and the Provinces. Transformation of Art and Architecture in the Mediterranean World, New Haven 1986, pp. 37-50 (con una sintesi delle ricerche sino al 1985). - Varî aspetti della ricerca effettuata dai partecipanti al progetto americano-jugoslavo sono trattati negli articoli raccolti nei seguenti volumi: J. Wiseman (ed.), Studies in the Antiquities of Stobi, I-II, Belgrado 1973 e 1975; Β. Aleksova (ed.), Studies in the Antiquities of Stobi III, Titov Veles 1981. - Le più importanti relazioni preliminari dei relativi scavi sono: J. Wiseman, D. Mano-Zissi, in AJA, LXXV, 1971, pp. 395-411; LXXVI, 1972, pp. 407-424; LXXVII, 1973, pp. 391-403; JFieldA, I, 1974, pp. 117-148; III, 1976, pp. 269-302; V, 1978, pp. 391-429; Β. Aleksova, The Old Episcopal Basilica at Stobi. Archaeological Excavations and Researches 1981- 1984, in Zbornik Filosofski Fakultet na Universitetot, Skopje, 1985, pp. 43-72; F. Papazoglou, Oppidum Stobi civium Romanorum et municipium Stobensium, in Chiron, XVI, 1986, pp. 213-237; V. Anderson-Stojanović, Italy and Macedonia in the 2nd and 1ist Century B.C.: the Ceramic Evidence, in ReiCretRomFautActa, XXV-XXVI, 1987, pp. 383-401; R. E. Kolarik, Mosaics of the Early Church at Stobi, in DOP, XLI, 1987, pp. 295-306; U. R. Anderson-Stojanović, Stobi. The Hellenistic and Roman Pottery (Stobi, I), Princeton 1992.