Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La scuola di Darmstadt nasce alla fine degli anni Quaranta, identificandosi soprattutto con le figure di Nono, Maderna, Boulez e Stockhausen. Il serialismo, acquisito dall’opera dodecafonica di Webern, è esteso a regolatore di tutti i parametri musicali. La struttura come predeterminazione delle scelte compositive informa molte delle opere dei primi anni Cinquanta, ma presto viene sottoposta a un profondo ripensamento, che porta da un lato all’utilizzazione più flessibile degli strumenti seriali, dall’altro alla concezione della forma apertain cui predeterminazione e aleatorietà possono coesistere. Contemporaneamente, cruciale è il confronto con le acquisizioni nel campo della musica elettroacustica.
L’esperienza della scuola di Darmstadt
“La tendenza a cercare un rifugio astratto in un principio scientifico o in un rapporto matematico, senza curarsi del quando, del perché e della funzione di tali principi, toglie a ogni fenomeno universale la sua base di esistenza, in quanto ne cancella l’individuazione storica, quale documento tipico di un’epoca. Si ricade così nel medievalismo dei sistemi dommatici.”
“I tentativi di paragonare i metodi di composizione cosiddetti interamente determinati (ma conoscono, questi confusionari, veramente la composizione?) con un’inclinazione a sistemi politici totalitari presenti o passati, sono nella loro goffaggine un pietoso tentativo di influire sulla intelligenza. La quale per libertà intende tutt’altro che la rinuncia alla propria volontà”. Sono due passaggi della lettura Presenza storica nella musica d’oggi, tenuta da Luigi Nono (1924-1990), al Ferienkurse für Internationale Neue Musik di Darmstadt del 1959.
Con la severità e l’acutezza che gli sono proprie, il compositore italiano che, per tutti gli anni Cinquanta, è stato considerato uno dei principali punti di riferimento, con Bruno Maderna (1920-1973), Pierre Boulez (1925-) e Karlheinz Stockhausen (1928-2007), della cosiddetta scuola di Darmstadt, oppone l’urgenza della responsabilità individuale dell’artista e del suo rapporto con la storia alle istanze eterodosse che in quegli anni si affacciano sulla scena europea, provenienti in gran parte dall’altra sponda dell’Atlantico. È una difesa nobile e disperata contro le posizioni pseudo-scientifiche allora nascenti negli Stati Uniti e nello stesso tempo contro “l’annullamento dell’Io” indicato dalle composizioni di John Cage (1912-1992).
Nobile, poiché il musicista assume nelle sue parole la missione e il senso del più alto pensiero musicale occidentale che dai Fiamminghi conduce a Bach, a Beethoven e ad Arnold Schönberg (1874-1951) e che trova, dopo la seconda guerra mondiale, il proprio tempio e la propria incarnazione nella straordinaria esperienza della scuola di Darmstadt.
Disperata, perché giusto alla fine degli anni Cinquanta, con le nuove sollecitazioni della tecnologia elettronica e dell’aleatorietà in particolare, prende avvio la deriva dell’esperienza di Darmstadt che renderà sempre più distanti le posizioni dei suoi protagonisti.
Non si può dimenticare il passato, non lo si deve rimuovere, ma nemmeno ripercorrerlo, l’artista deve piuttosto trovare il proprio cammino partendo dal solco tracciato prima di lui. L’essenza dell’avventura di Darmstadt risiede in questo imperativo assoluto, che porta alcuni tra i più brillanti e geniali giovani musicisti europei a raccogliere, alle soglie degli anni Cinquanta, il lascito della musica seriale dei viennesi.
L’avventura, ormai quasi mitica, dei Ferienkurse für Internationale Neue Musik (Corsi estivi per la nuova musica internazionale), vede la luce nell’agosto del 1946, nel castello di Kranichstein, presso la città di Darmstadt, grazie alla passione e alla tenacia del giovane musicologo tedesco Wolfgang Steinecke. L’intenzione è esplicitamente quella di pagare un doppio debito, alla Germania appena liberata e alla musica moderna censurata dal nazismo. I giovani musicisti che arrivano nella cittadina dell’Assia seguono corsi di composizione, di strumento, canto, direzione d’orchestra, critica musicale; assistono a conferenze sulla nuova musica in Europa e in America, partecipano a concerti di musica contemporanea; possono dunque entrare in contatto con una realtà culturale e musicale, che fino a quel momento ha dovuto celarsi.
L’attenzione per la dodecafonia è ancora marginale nelle prime edizioni dei Ferienkurse, diventerà centrale a partire dal 1948, con la partecipazione di René Leibowitz come docente di composizione e con il contributo di Theodor W. Adorno, che a Darmstadt insegnerà critica musicale dal 1950.
La ricerca di un nuovo linguaggio
Nell’esperienza musicale di Schönberg e di Alban Berg (1885-1935), la dodecafonia è diventata norma linguistica; con il particolarissimo percorso di Anton Webern (1883-1945), la composizione con 12 note si è liberata di una gran parte delle implicazioni linguistiche legate al sistema tonale, pervenendo a un’estetica dell’evento sonoro fondata sulla maggior concentrazione possibile di senso nella minore estensione possibile dell’evento stesso. Il testimone è momentaneamente caduto: Berg e Webern prematuramente scomparsi, Schönberg, il Maestro, anziano esule, invitato a inaugurare i corsi estivi di Darmstadt del 1951, non avrà più la forza per mettersi in viaggio. In questo contesto, non solo metaforico, di ripresa e di ricostruzione, i giovani musicisti di Darmstadt assumono l’eredità musicale del primo Novecento, devastato dall’incommensurabile sciagura.
In contrasto con una presunta inadeguatezza della musica schönberghiana a rappresentare un modello per la composizione progressiva – come afferma Pierre Boulez in Schönberg è morto (1951) – la serie viene acquisita nella lezione di Webern, nella sua funzione atematica e strutturante. Essa impone ben presto il suo potere su tutti i parametri del linguaggio musicale, non saranno più quindi soltanto le altezze a esserne regolate, ma anche i registri, il tempo, le durate, la dinamica, l’articolazione del discorso musicale. Dalla dodecafonia, attraverso il cambio generazionale della musica europea, la serie genera così il serialismo integrale, veicolo e propulsore dello strutturalismo.
Nel 1949 Olivier Messiaen compone i Modes de valeur et d’intensité, estendendo a tutti i parametri il principio seriale. Poco tempo dopo il suo allievo Pierre Boulez scriverà Polyphonie X (1950-51) e Structures I pour deux pianos (1952). Di Karlheinz Stockhausen appariranno in breve successione, tra il 1951 e il 1953, Kreuzspiel, Formel, Spiel, Punkte-Kontrapunkte e Klavierstücke I/ IV. Goeyvaerts, Barraqué, Pousseur e altri giovani compositori proseguiranno sulla stessa strada.
Serialismo integrale e strutturalismo non vanno intesi, nella produzione musicale degli anni Cinquanta, come i riferimenti di un sistema fideisticamente cristallizzato. Ampia è la differenza tra i diversi approcci, e multiforme e fortemente speculativo l’atteggiamento dei musicisti che vi si riconoscono nel corso della propria esperienza compositiva. La critica, per altro, a cui gli stessi iniziatori sottopongono la rigidezza strutturale della tecnica del serialismo integrale, già dopo i primi esperimenti, è molto severa (molto meno lo sarà nell’inevitabile galassia degli epigoni) e porta a una revisione costante e a sempre maggiori differenze tra i compositori. Tra il 1953 e il 1955 Boulez compone Le Marteau sans maître, che verrà riconosciuto come uno dei più importanti lavori del periodo e accostato a opere come il Pierrot Lunaire di Schönberg o Le Sacre du Printemps. Del Marteau, Boulez stesso ci dice vent’anni più tardi: “Nelle opere precedenti, il piano rigoroso ed inflessibile non offriva praticamente possibilità di rifiuto. Ora, la composizione è certamente un atto positivo, ma un atto positivo costituito da un accumulo di atti di rifiuto determinanti. Nel periodo precedente non si voleva rifiutare nulla, si metteva in gioco tutto ad ogni istante. Nel Marteau, scritto immediatamente dopo, ho assunto un punto di vista non opposto, ma molto più flessibile; potevo eliminare certi fattori a un dato momento della mia composizione, e quest’aspetto negativo è proprio quel che produce la vivacità di una composizione: tutt’a un tratto i pezzi acquistano individualità; altrimenti si ha una struttura globale assolutamente indifferenziata”.
Nello stesso periodo (1955-1956) vede la luce un capolavoro della musica elettronica di Stockhausen, Gesang der Jünglinge, su testo tratto dal Libro di Daniele, creato nello Studio für Elektronische Musik del Westdeutscher Rundfunk di Colonia, da poco costituito e a cui il compositore tedesco farà riferimento dopo le prime esperienze nel campo elettroacustico, iniziate nello studio di musica concreta creato a Parigi da Pierre Schaeffer (1912-1995). Gesang der Jünglinge, che utilizza manipolazioni della voce bianca e suoni di sintesi, valicando tra l’altro il confine tra musica concreta e musica elettronica, si porrà immediatamente come un fondamentale punto di riferimento dell’estetica musicale elettroacustica.
Volontà e caso
Un’altra istanza di fortissimo impatto sul pensiero compositivo degli anni Cinquanta, che trascinerà i suoi effetti ben oltre quel decennio, è rappresentata dall’urgenza di stabilire coscientemente il rapporto tra volontà e casualità nel processo compositivo, di indagarne le implicazioni, di circoscriverne le interazioni. In un primo tempo lo strutturalismo, la determinazione pressoché assoluta delle premesse, sembra assolvere positivamente al compito di espellere il caso dall’evoluzione compositiva; ben presto tuttavia, come si è visto dalle riflessioni di Boulez, la rigidità di tale impostazione si rivela nei suoi limiti profondi; la struttura acquista allora sempre più spesso la funzione di una matrice delle eventualità possibili, finite o infinite che siano, e il caso viene lasciato filtrare nelle possibilità concesse all’esecutore di ricombinare tali eventualità. In Klavierstück XI (1957) di Stockhausen, il pianista compone l’ordine dei 19 frammenti; nella Terza Sonata per pianoforte (1955-1957) di Boulez al pianista è assegnato il compito di ordinare i cinque Formants e di scegliere, sia pure soggiacendo a precise disposizioni, se suonare o escludere alcuni passaggi (due soli Formants o movimenti, verranno poi pubblicati, lasciando tuttora il lavoro incompiuto).
Anche il fascino della cosiddetta forma aperta sarà destinato a esaurirsi nel corso del decennio successivo e non di rado alcuni compositori torneranno sui propri lavori del periodo per fissarne definitivamente una stesura ufficiale; Boulez è tra questi: nel suo caso, tuttavia, il ritorno a composizioni precedenti diviene, già dalla metà degli anni Sessanta, una costante della propria attività, moltissime sono le revisioni, le trascrizioni o addirittura le ricomposizioni nella produzione del musicista francese, quasi da farne percepire il catalogo come uno straordinario e immenso work in progress.
Stockhausen si dirigerà sempre più nettamente verso l’identificazione di una Formula, uno schema al tempo stesso concettuale e sensibile, in grado di formare il singolo momento sonoro e l’intera composizione, creando una profonda e tenace coerenza tra microforma e macroforma; Inori, per mimo e orchestra (1973-1974) rappresenta forse il momento più suggestivo di questa disposizione compositiva, prima del gigantesco ciclo Licht - die sieben Tage der Woche.