Portogallo, storia del
Un piccolo regno alla conquista del mondo
Il Portogallo conobbe un’epoca di grande potenza tra il Quattrocento e il Cinquecento, quando diede vita a un vasto impero coloniale destinato a sopravvivere sino al 19°-20° secolo. Dalla seconda metà del Cinquecento entrò in una fase di declino. Diventato una repubblica nel 1910, dal 1926 fu governato da un regime dittatoriale che crollò nel 1974. Da allora il paese ha consolidato le istituzioni democratiche
Abitato da diverse popolazioni iberiche, tra cui i Lusitani, il territorio dell’attuale Portogallo fu conquistato dai Romani nel 2° secolo a.C. Fu quindi occupato dai Visigoti dal 5° secolo d.C. e in ampia parte dagli Arabi al principio dell’8°. Divenne un regno indipendente nella prima metà del 12° secolo, consolidandosi nel secolo successivo con la progressiva cacciata degli Arabi. Con l’ascesa al potere della dinastia degli Aviz fra Trecento e Quattrocento, il paese avviò una straordinaria stagione di viaggi di esplorazione grazie all’impulso di Enrico il Navigatore. Essa fu il preludio di una espansione marittima e coloniale, che portò alla creazione di uno dei più grandi imperi dell’età moderna, esteso tra Asia, Africa e America, dove i Portoghesi conquistarono il Brasile (colonialismo).
A partire dalla seconda metà del Cinquecento ebbe tuttavia inizio una fase di declino. Annesso alla Spagna tra il 1580 e il 1640 e ritornato indipendente sotto la dinastia dei Braganza, il Portogallo rimase una media potenza europea con un grande impero coloniale. Molto importante, nella seconda metà del Settecento, fu l’esperienza del dispotismo illuminato e del governo del marchese di Pombal.
Durante l’età napoleonica il Portogallo vide l’occupazione del proprio territorio da parte dei Francesi (1807-11). I Braganza fuggirono allora in Brasile, promuovendone nel 1822 l’indipendenza.
Con il Congresso di Vienna il paese fu restituito, ma sotto la reggenza inglese, ai Braganza, che vi fecero ritorno soltanto nel 1821, nel contesto di un moto rivoluzionario anti-inglese che portò all’instaurazione di un regime costituzionale.
Seguì un lungo periodo di instabilità, di contrasti per la successione al trono, di disordini interni e di stagnazione economica. Il Portogallo divenne infine una repubblica nel 1910, quando una rivoluzione depose l’ultimo sovrano dei Braganza.
Dopo la sua partecipazione alla Prima guerra mondiale a fianco delle potenze della Triplice Intesa (Gran Bretagna, Francia, Russia), il Portogallo entrò in una nuova fase di instabilità. Nel 1926 un colpo di Stato militare diede inizio a un lungo periodo di dittatura, dominato a partire dal 1932 dalla figura di Antonio de Oliveira Salazar, che abolì i partiti e diede vita a uno Stato di stampo fascista, corporativo e molto legato alle gerarchie della Chiesa cattolica, per diversi aspetti assimilabile al franchismo spagnolo. Salazar rimase al potere sino al 1968, in un contesto di persistente arretratezza economica e sociale. Ma la dittatura, seppure con alcune moderate aperture, sopravvisse fino al 1974, quando fu abbattuta, nel contesto delle difficoltà poste dal processo di decolonizzazione, dalla rivoluzione dei garofani (un colpo di Stato messo in atto da forze militari progressiste).
Da allora, dopo una fase di tensioni all’interno della stessa élite militare al potere, il paese acquistò una crescente stabilità, consolidando le istituzioni democratiche. Le elezioni del 1976 diedero la maggioranza al Partito socialista di Mario Soares, che andò al governo. Negli anni successivi i socialisti di Soares, che divenne poi anche presidente della Repubblica, hanno continuato a giocare un ruolo decisivo negli equilibri politici del Portogallo, in alternanza o in coalizione con forze moderate e centriste, anch’esse più volte al governo. Già membro della Comunità economica europea, il Portogallo fa attualmente parte dell’Unione europea.