medicina, storia della
Le origini della medicina risalgono alle tecniche e ai rituali empiricamente utilizzati dall’uomo sin dall’inizio dell’evoluzione culturale per affrontare i bisogni e le sofferenze degli individui colpiti da traumi e malattie. Ma è solo da circa due secoli che le procedure mediche si fondano su conoscenze e metodologie che le rendono sicure ed efficaci. Il punto di partenza della medicina è da sempre lo stesso, vale a dire la domanda di aiuto di una persona malata o il rischio di malattia che grava su una comunità. Per millenni si è spesso confusa o sovrapposta la funzione della medicina con quella consolatoria della religione, o comunque sono state utilizzate misure basate sull’esperienza tramandata o sull’intuizione piuttosto che sull’evidenza scientifica. La diffusione delle moderne idee scientifiche e del metodo sperimentale ha consentito di comprendere il funzionamento della biologia umana, l’identificazione delle cause effettive delle malattie e la messa punto di terapie o sistemi di prevenzione efficaci.
Per migliaia di anni, vale a dire almeno fino alle prime timide forme di pratica ‘laica’ della medicina, nelle civiltà mesopotamiche ed egiziane, i medici erano sciamani e sacerdoti, e la malattia era considerata un fenomeno in larga parte dovuto a cause soprannaturali, ossia la punizione inflitta all’individuo da qualche divinità o demone. La desacralizzazione della malattia avvenne grazie alla diffusione delle filosofie naturalistiche dell’antica Grecia, da cui Ippocrate di Kos trasse un modello definitivamente ‘laico’ di medicina, basato sull’esperienza e il ragionamento. La medicina ippocratica fissava per la prima volta una serie di modalità pratiche per esaminare il malato ed elaborare una prognosi, e regole deontologiche per la professione. Poiché la causa della malattia per i medici ippocratici era uno squilibrio umorale dovuto a fattori costituzionali o ambientali, i trattamenti medici erano basati su regole igieniche volte a ripristinare l’equilibrio.
La tradizione ippocratica si differenziò in diverse scuole (Crotone, Coo, ecc.) che enfatizzavano o la componente razionale, basata anche sui primi studi anatomici e fisiologici condotti presso il Museo di Alessandria nei decenni a cavaliere del 300 a.C., o quella empirica, attenta ai segni clinici e al loro significato prognostico. Le dottrine e le esperienze della medicina antica trovarono un’elaborazione nell’opera di Galeno. Il medico romano, pur utilizzando dati anatomici e fisiologici spesso errati giacché basati solo su dissezioni di animali, concepì un sistema in cui localizzò i quattro umori classici (sangue, flegma, bile gialla e bile nera) a livello di altrettanti organi (cuore, cervello, milza e fegato), e associò la prevalenza costituzionale dei diversi umori ad altrettanti temperamenti (sanguigno, flemmatico, melanconico e collerico). La malattia per Galeno era una lesione a livello della funzione caratteristica di una struttura anatomica, causata da uno squilibrio umorale, e i rimedi erano quelli tradizionali delle regole igienico-alimentari: l’evacuazione degli umori in eccesso mediante salassi e purghe o l’uso di rimedi empirici vegetali o minerali. La dottrina medica di Galeno, tramandata soprattutto dalle tradizioni dell’oriente bizantino e giudaico-islamico, durante il Medioevo venne trasformata, nell’ambito della tradizione cristiana, in un insieme di dogmi indiscutibili, che rimanevano sterili sul piano sia speculativo sia applicativo, poiché il trattamento dei malati era considerato soprattutto un esercizio di carità e di pietà. Per questo sorgono, tra l’8° e il 9° sec., accanto a diversi monasteri benedettini d’Europa (Chartres, Canterbury, Fulda, ecc.), i primi nuclei assistenziali di tipo ospedaliero. Nel frattempo, in Italia, nasce la prima grande scuola medica dell’Occidente, quella salernitana (➔ scuola medica salernitana).
Nei primi quattro secoli del secondo millennio nacquero le prime università, e si sviluppò la pratica chirurgica a supporto delle campagne di guerra; nello stesso periodo si registrò la ripresa delle grandi epidemie, a partire dall’arrivo in Europa della cosiddetta peste nera nel 1348. Durante l’Umanesimo e il Rinascimento si riprese a dissezionare i cadaveri, e nel corso del Cinquecento A. Vesalio, B. Eustachio, Realdo Colombo, Andrea Cesalpino e Girolamo Fabrizio d’Acquapendente rinnovarono completamente le conoscenze anatomiche. Agli inizi del Cinquecento, nuove ipotesi, benché del tutto speculative, sull’origine contagiosa delle malattie epidemiche furono avanzate da Girolamo Fracastoro, praticamente in contemporanea con l’attacco sferrato da Paracelso alla dottrina degli umori e allo scolasticismo della tradizione galenica. La rivoluzione scientifica del Seicento influenzò la medicina in due modi diversi. Da un lato stimolò l’uso del metodo sperimentale e della misurazione nello studio del funzionamento dei sistemi fisiologici, da cui scaturirono la scoperta della circolazione sanguigna da parte di W. Harvey nella prima metà del Seicento, e poi, nel Settecento, la dimostrazione del meccanismo della respirazione da parte di A. Lavoisier, la descrizione della digestione gastrica da parte di R. Réamur e della funzione riproduttiva da parte di L. Spallanzani, fino alla scoperta dell’elettricità animale con Luigi Galvani e Alessandro Volta. D’altro canto si innescò anche un conflitto filosofico e metodologico tra gli approcci meccanicistici e razionalisti allo studio della fisiologia e quindi anche all’origine delle malattie e quelli spiritualisti e vitalisti. I primi riconducevano la vita a fenomeni cinetici e dinamici determinati da materia e forze, i secondi attribuivano le manifestazioni della vita o a un controllo diretto dell’anima sul corpo, o a qualche ipotetico principio deputato a mediare tra anima e materia. Parallelamente alla nascita della fisiologia, alle cui impostazioni metodologica e concettuale concorsero gli studi di A. von Haller, un potente ausilio alle indagini sperimentali fu offerto dalla diffusione del microscopio, che consentì un’osservazione più ravvicinata delle strutture anatomiche e che portò allo sviluppo dell’istologia, con M. Malpighi, e dell’anatomia patologica, con G.B. Morgagni, il quale sviluppò le osservazioni microscopiche a supporto dell’indagine eziologica, studiando la localizzazione delle lesioni nel cadavere e confrontandole con le manifestazioni cliniche della malattia. Dalla combinazione dell’esperienza clinica e anatomica derivò lo sviluppo di metodi obiettivi per l’esame del malato (per es., l’utilizzo della percussione e poi dell’auscultazione introdotta da T.-H. Laennec) e il confronto dei risultati con le corrispondenze anatomiche sul cadavere.
Da metà Ottocento la medicina si è progressivamente dotata di strumenti e metodi per migliorare l’esame clinico: fu intrapresa l’ispezione endoscopica del corpo; si svilupparono (a partire dalla fine dell’Ottocento) le tecniche radiologiche; si utilizzò sistematicamente l’indagine microscopica scoprendo (nella prima metà dell’Ottocento) che organi e tessuti sono costituiti da cellule, e ciò permise di fondare l’istologia patologica moderna (o patologia cellulare) che per R. Virchow rappresentava il termine di riferimento della spiegazione eziologica della malattia; si adottarono diversi parametri quantitativi come fonte di segni clinici (pressione sanguigna, temperatura, tracciati elettrici). Sempre agli inizi dell’Ottocento, negli ospedali francesi, P.C.A Louis (1787-1872), iniziava la valutazione clinica della terapia e dava inizio a procedimenti statistici sulle procedure di controllo e calcolo statistico e sulla significatività delle osservazioni. Tuttavia, si dovette attendere oltre un secolo, cioè dopo la Seconda guerra mondiale, perché la metodologia della sperimentazione clinica disponesse di procedure sufficientemente standardizzate per far assumere al trial clinico un ruolo centrale nella costruzione dei protocolli di intervento e delle decisioni mediche. Contemporaneamente C. Bernard studiava in condizioni sperimentali il funzionamento alterato dei processi e dei meccanismi fisiologici dell’organismo, definendo i criteri metodologici per stabilire le cause delle malattie. I suoi studi aprirono la strada alle ricerche sui processi di regolazione dei sistemi fisiologici dell’organismo, da cui sono derivate fondamentali conoscenze fisiologiche e patologiche sui processi endocrini, nervosi e metabolici.
Nelle società preindustriali e in quelle che vivevano la rivoluzione industriale le malattie erano prevalentemente di natura infettiva. Agli inizi dell’Ottocento il clinico francese P.F. Bretonneau (1778-1862), ipotizzò che la specificità clinica di malattie come la difterite fosse dovuta al fatto di avere un’eziologia specifica, ossia di essere prodotte da microrganismi che si trasmettono per contagio. L’ipotesi venne confermata dalle ricerche di L. Pasteur e R. Koch, che ebbero immediate ricadute in ambito igienico-sanitario, portando all’introduzione di pratiche volte a prevenire la contaminazione di vettori di agenti infettivi come acqua e cibo, e dell’asepsi e dell’antisepsi nella pratica chirurgica. La microbiologia medica è stata la scienza sperimentale che più ha influenzato la medicina, stimolando la nascita di nuovi ambiti di ricerca con importanti implicazioni pratiche, come l’immunologia e la chimica farmaceutica.
Mentre la ricerca biologica di base metteva in luce i meccanismi più elementari della fisiologia normale e patologica, in partic. le dinamiche biochimiche correlate alle proprietà delle strutture molecolari, l’osservazione clinica diventava sempre più il punto di partenza per trarre, soprattutto dalle malattie ereditarie, degenerative e croniche, lo spunto per indagare i meccanismi fisiologici. Diversi percorsi metabolici, ma soprattutto le basi anatomofunzionali dei meccanismi di regolazione endocrini e dell’immunità, sono stati scoperti partendo da manifestazioni cliniche (veri e propri ‘esperimenti naturali’), che stimolavano ricerche di laboratorio per spiegare i fenomeni osservati. Questo processo portò all’affermazione, nel corso della prima metà del Novecento, della figura del clinico ricercatore, e influenzò le modalità di insegnamento della medicina.
La trasformazione scientifica della medicina ha portato all’applicazione costante delle conoscenze e delle tecnologie all’indagine diagnostica con il potenziamento degli esami fisico-chimici o biologici di laboratorio e, negli ultimi decenni, con la diffusione delle diagnosi molecolari. La medicina moderna, fondata sulla sperimentazione di laboratorio e sui trial clinici (sperimentazione clinica), si è così affrancata dall’empirismo che per millenni ne ha caratterizzata la pratica, e ha messo a punto procedure per sviluppare e testare sostanze dotate di attività farmacologica, intervenendo in campi quali la sedazione del dolore e l’impiego degli anestetici nella pratica chirurgica, e favorendo la ricerca di principi attivi sviluppati a livello industriale (antinfiammatori, psicofarmaci, antitumorali, chemioterapici, antibiotici, ecc).
Dopo la Seconda guerra mondiale, l’inarrestabile processo di potenziamento delle basi scientifiche e tecnologiche si è accompagnato con una nuova riflessione sugli scopi della medicina e si è affermata l’esigenza di fondare le decisioni mediche anche su considerazioni di natura economica e morale, soprattutto partendo da un dialogo paritario tra medico e paziente. Medicina, etica, economia e politica si sono così trovate sempre più spesso a confrontare pubblicamente le loro diverse istanze. Anche se è indiscutibile che la medicina abbia prodotto livelli di aspettative di vita e di salute mai realizzati prima nella storia dell’uomo, le nuove sfide sanitarie, in partic. le malattie cronico-degenerative e il riemergere di antiche malattie infettive, stanno creando nuove domande. Nello stesso tempo, gli sviluppi delle tecnologie cellulari e molecolari, così come le decisioni di fine vita all’interno di contesti clinici mai realizzati prima, sollevano aspre controversie morali (➔ bioetica). Di fatto, la medicina ha creato situazioni e possibilità sempre più lontane dagli eventi naturali, mentre la psicologia umana continua a usare categorie e valori radicati nel senso comune. Tutto questo crea contraddizioni, disagi e sofferenze, e limita di fatto l’uso di potenzialità conoscitive e tecniche della medicina.