storia e matematica
La storia della matematica vanta in Italia buone tradizioni a partire da Le vite de’ matematici di B. Baldi, scritte alla fine del Cinquecento. Anche in tempi più recenti, nell’Ottocento, non mancano cultori dotati di grande personalità come P. Cossali, G. Libri Carucci dalla Sommaja, P. Riccardi e soprattutto il principe B. Boncompagni Ludovisi, noto per l’accuratezza e il rigore filologico degli scritti del «Bullettino di bibliografia e storia delle scienze matematiche e fisiche», la prima rivista di storia della matematica, da lui pubblicata tra il 1868 e il 1887. Il più diretto continuatore dell’opera di Boncompagni, che al momento dell’Unità del paese rimase fedele al pontefice e rifiutò la nomina a senatore, è stato il padovano A. Favaro, che arricchì l’edizione nazionale delle opere di Galileo (portata a termine in vent’anni) con la pubblicazione di una notevole serie di studi e di documenti su Galileo, la sua scuola e i precedenti rinascimentali.
■ Tra Ottocento e Novecento. Particolarmente vivaci per lo sviluppo degli studi storico-matematici in Italia furono i decenni tra Otto e Novecento. I matematici del periodo mostravano una buona cultura storica, come traspare dai loro scritti più propriamente scientifici, dalle testimonianze sul loro insegnamento e dal percorso cui avviarono alcuni dei loro più validi collaboratori. È il caso di G. Vailati, allievo sia di G. Peano sia di V. Volterra e che fu anche storico della matematica. Su incarico di Volterra, alla fine del secolo e per tre anni, Vailati tenne un corso libero di Storia della meccanica all’università di Torino introdotto da prolusioni che costituiscono pagine tra le più impegnate nella riflessione sulla rilevanza della dimensione storica nella ricerca scientifica. Decisa è l’opposizione a una storia delle scienze vista come una semplice raccolta di divertenti aneddoti; lo storico della scienza non può neppure limitarsi a raccogliere fatti, nomi e indicazioni di memorie scientifiche; tutto questo costituisce soltanto la materia prima su cui poi deve basarsi un lavoro di critica, di apprezzamento, di connessione. Per Vailati, la storia della scienza non è dunque né erudizione né divertissement, ma uno strumento quanto mai prezioso per non ripetere gli errori già compiuti in passato indicando a chi fa ricerca la direzione del progresso. La conoscenza degli errori passati è particolarmente utile dato che (come Vailati scrive nella sua terza Prolusione) «noi siamo forse troppo proclivi a credere che le cause d’errore o oscurità, che non hanno mai mancato di essere fertili, in minor o maggior grado, in qualsiasi stadio di sviluppo scientifico anteriore al nostro, abbiano ora, per non so quale ragione o complesso di ragioni, cessato affatto di esercitare la loro dannosa azione». Per quanto riguarda la direzione da imprimere alle future ricerche, chi trascura la dimensione storica si viene a trovare «in una posizione analoga a quella d’un geometra che voleva determinare l’andamento di una curva non conoscendone che un solo punto o elemento lineare. Egli è incapace di fornire alcuna giustificazione concreta alle sue congetture sulla natura e sul carattere degli ulteriori svolgimenti che la sua scienza stessa sta per subire ed è sprovvisto di qualsiasi base solida su cui fondare attendibili previsioni a tale riguardo».
Su questa immagine di un processo di accumulazione delle nostre conoscenze quasi univocamente determinato dalle acquisizioni più recenti Vailati interviene infine con la suggestione della rete ferroviaria, che gli permette di introdurre e recuperare i momenti di soggettività e di arbitrarietà lasciati ai singoli ricercatori, o alle diverse comunità di studiosi, e che non sono affatto incompatibili con il carattere scientifico della ricerca: «Il sussistere di un certo numero di leggi naturali per un dato ordine di fenomeni è tanto lontano dall’essere incompatibile con una limitata dipendenza di tali fenomeni dalla volontà dell’uomo, come, ad esempio, l’esistenza di una rete ferroviaria è lungi dal determinare in modo unico i movimenti dei treni che la percorrono. L’esistenza della rete obbliga i treni a percorrere date linee, nel caso che essi si muovano, ma non implica affatto che essi devono muoversi piuttosto sull’una che sull’altra di tali linee, o che essi devono partire a un’ora piuttosto che a un’altra, o camminare con la tale o tal’altra velocità, e neppure che essi devano muoversi affatto» (Sull’applicabilità dei concetti di causa e di effetto nelle scienze storiche, 1903).
Vailati morì precocemente, a soli 46 anni, e d’altra parte la sua influenza sul contesto scientifico e filosofico italiano risentì del fatto che, dopo il periodo di apprendistato con Peano e Volterra, Vailati avesse preferito allontanarsi dall’ambiente universitario. Il corso torinese cessò con il suo passaggio all’insegnamento medio e il trasferimento di Volterra a Roma, ma la vivacità del periodo a cavallo dei due secoli si manifesta attraverso altri corsi liberi tenuti, tra gli altri, nelle università di Napoli da F. Amodeo e in quella di Padova da A. Favaro, mentre un altro storico della matematica, G. Loria, riprende il progetto di Boncompagni fondando il «Bollettino di bibliografia e storia delle scienze matematiche».
■ La prima metà del xx secolo. La prima guerra mondiale aggiunse naturalmente nuove difficoltà, ma pose paradossalmente anche le condizioni per un ulteriore sviluppo degli studi storici. Il dopoguerra si aprì infatti con una maggior considerazione della matematica, per via della sua utilità pratica come era stato mostrato dagli eventi bellici, e le prime ricadute in campo storico-matematico del dilagante nazionalismo. I più pronti a cogliere queste opportunità furono il chimico Aldo Mieli (1879- 1950) e il matematico Federigo Enriques.
Come formazione, Mieli era un chimico che intraprese inizialmente le sue ricerche teoriche a Roma e in Germania. Nel 1919 fondò l’Archivio di storia della scienza trasformando in modo radicale l’iniziale proposta di completare l’incompiuto repertorio biobibliografico degli scienziati italiani. Poi progressivamente iniziarono a manifestarsi le prime difficoltà con il regime fascista, dovute alle posizioni assunte da Mieli in ambito personale (il suo orientamento omosessuale), razziale e politico (la giovanile militanza socialista). La doppia emigrazione, prima in Francia e poi in Argentina per sfuggire ai nazisti ha portato alla dispersione di tutto il suo patrimonio documentario, così che tutt’oggi manca una ricostruzione generale di una figura indubbiamente complessa. Oltre che storico della scienza, Mieli fu chimico, critico musicale letterario, socialista militante pacifista, sessuologo, editore e organizzatore a livello internazionale di studi e di edizioni nel campo della storia della scienza.
Mieli ebbe anche rapporti di collaborazione, ma non senza rivalità polemiche, con Enriques che è sicuramente il matematico che ha maggiormente contribuito per tutta la prima metà del Novecento alla diffusione di una coscienza storica. Matematico di grande rilievo e filosofo originale, Enriques ha dedicato alla storia della matematica i suoi saggi più importanti nel periodo tra le due guerre mondiali. Si occupò soprattutto della matematica greca e in particolare della scuola eleatica, ma anche della storia della logica e dei punti di contatto tra il pensiero matematico e le altre scienze. In collaborazione con il filosofo della scienza Giorgio De Santillana (1902-74), nel 1932 pubblicò una Storia del pensiero scientifico: il progetto iniziale prevedeva una serie di volumi che si proponevano di mostrare lo sviluppo delle scienze in relazione alle diverse filosofie, religioni, arti, tecniche e ai vari aspetti delle civiltà nel loro divenire. Gli autori però completarono solo la sezione dedicata al mondo antico (dagli albori della civiltà greca alla bassa latinità) raccogliendo i loro risultati in un Compendio, pubblicato nel 1936, che traccia anche le linee dello sviluppo successivo. La valutazione della scienza greca è condotta da Enriques privilegiando le componenti logico-matematiche. La sua costante attenzione per la connessione nella storia del pensiero tra matematica e filosofia trova sicuramente una motivazione nella difesa, in polemica con Benedetto Croce e Giovanni Gentile, del valore culturale della matematica. Se si riesce a provare che già nel mondo greco filosofi come Parmenide ebbero una precisa attenzione verso la matematica, allora si può sperare di interpretare anche lo svolgersi della cultura moderna alla luce di questo rapporto, impedendone una lettura strettamente idealista. L’articolo del ’34 Signification de l’histoire de la pénsée scientifique raccoglie sinteticamente le riflessioni su una storia della matematica intesa come strumento e stimolo per il ricercatore e indispensabile mezzo per esercitare un insegnamento efficace. Anche in Enriques non c’è spazio per una storia della matematica erudita o al più motivata da nobili e affettuosi sentimenti: «Di solito si vede che sono gli studiosi, arrivati alla soglia della vecchiaia, stanchi di studiare le cose nuove, che si rivolgono verso il passato per riesumare i titoli di nobiltà delle loro scoperte. È un omaggio riconoscente reso ai maestri scomparsi e forse anche una raccomandazione discreta ai giovani che entrano nella carriera a non condannare a un precoce oblio quella che, nell’avanzamento impetuoso della scienza moderna sarà, già domani, un’epoca scomparsa. Vi si aggiunge il desiderio di rendere giustizia alla memoria di qualche precursore sconosciuto». Una visione storica è essenziale proprio per giungere a una comprensione effettiva delle teorie che si stanno studiando ed elaborando. Da questo punto di vista scienza e storia della scienza sono molto più vicine di quanto si possa pensare. Così Enriques scrive nell’introduzione alle Lezioni sulla teoria geometrica delle equazioni e delle funzioni algebriche, redatte in collaborazione con Oscar Chisini (1889-1967) e pubblicate nel 1915: «Una visione dinamica della scienza porta naturalmente sul terreno della storia. La rigida distinzione che si fa di consueto fra scienza e storia della scienza è fondata sul concetto di questa come pura erudizione letteraria; così intesa la storia reca alla teoria un estrinseco complemento di informazione cronologica e bibliografica. Ma assai diverso significato ha la comprensione storica del sapere […] per chiarire il cammino dell’idea e concepisce questo come prolungantesi oltre ogni termine provvisoriamente raggiunto. Una tale storia diviene parte integrante della scienza».
Con Enriques, e dopo di lui, non mancano in Italia altre significative presenze nel campo della storia della matematica: da Giovanni Vacca (1872-1953) a Ettore Bortolotti (1866-1947), ai giovani formatisi alla Scuola di perfezionamento in storia delle scienze che costituiranno l’ossatura della disciplina nel secondo dopoguerra.
■ Continuità e rivoluzioni. Eppure, nonostante questa buona tradizione e i nomi degli importanti studiosi citati, l’attenzione verso la dimensione storica nella ricerca e nell’insegnamento matematico è rimasta a lungo problematica. A parte la specifica situazione della tradizione culturale italiana, le ragioni possono essere rintracciate proprio in quel continuismo già riscontrato in alcuni brani di Vailati e di Enriques. Così si esprime in Quo vadimus in termini molto netti, G. Loria: «La matematica è una scienza eminentemente conservatrice, la quale da secoli eleva, allarga, approfondisce il proprio dominio senza mai far gettito del retaggio del passato. E ciò a differenza delle altre scienze […]. Ora la invidiabile e invidiata caratteristica della matematica di essere immune dalle rivoluzioni che, per altre discipline, ebbero quale conseguenza una rinnovazione “ab imis fundamentis”, questa dote di eternità che la rende giustamente orgogliosa […] impone a chi la coltiva compiti oltre modo gravosi». Insomma: se risulta effettiva la dinamica conservatrice di una matematica che progredisce linearmente a partire da Euclide e Archimede, che necessità ha il ricercatore di tornare ai testi antichi e di ripercorrere tutte le tappe del processo quando ha la consapevolezza che in esso nulla di valido è andato perduto e che pertanto gli ultimi risultati conseguiti contengono come casi particolari tutti i precedenti? È proprio dalla ricerca, se si accetta l’idea continuista di uno sviluppo senza svolte, che parte l’invito a trascurare la dinamica storica. Così, in ambito didattico l’impostazione dominante è che la più recente formulazione di ogni questione è quella definitiva in quanto il “progresso” avverrà in ogni caso a partire da essa, che viene quindi a configurarsi come unico punto di riferimento. Nei manuali lo sviluppo storico è praticamente assente. Gli unici momenti in cui si ricorda un passato più o meno lontano si hanno quando i singoli teoremi, al solo scopo di individuarli esteriormente con una sigla di richiamo, vengono collegati al nome di un matematico; oppure quando, in un’osservazione introduttiva, si accenna alle origini del calcolo infinitesimale o alle dispute sulla priorità nelle scoperte oppure, ancora, quando in nota si ricorda un episodio curioso della vita di qualche matematico. Giusto una parentesi diversiva per allentare la tensione del discorso dimostrativo, una nota di colore per provare che una dimensione umana è tutto sommato rintracciabile persino nell’arido mondo dei numeri.
Lo scenario è in parte cambiato negli ultimi decenni, anche grazie alla traduzione e diffusione di opere storico-matematiche ed epistemologiche, da La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962) di Th. Kuhn a Il pensiero matematico dall’antichità ai nostri giorni (1972) di Morris Kline a Prove e confutazioni. La logica della scoperta scientifica (1976) di I. Lakatos. La continuità con cui si sviluppa il pensiero matematico non viene messa in discussione ma ugualmente si ammette che, talora, anche in matematica si possa parlare di “rivoluzioni”. Non sempre le acquisizioni di un dato periodo costituiscono lo sviluppo lineare di quelle di una fase precedente. Non sempre quelli che oggi appaiono errori quasi incomprensibili erano tali nel momento in cui furono espressi, secondo il paradigma allora seguito. Anche la matematica ha avuto le sue rivoluzioni. Continua certamente a registrare, pure in epoca moderna quei cambiamenti di binari cui alludeva Vailati. Il suo sviluppo assomiglia proprio alla dinamica seguita da un treno: generalmente procede lungo un dato binario, per accumulazioni successive, in quelli che con la terminologia di Kuhn si sono imposti come periodi di “scienza normale”; il treno può però arrivare, a un certo punto del suo tragitto, a uno scambio e la sua marcia si apre così a diverse alternative, tutte ugualmente possibili. I binari non conoscono discontinuità radicali ma ugualmente la presenza di uno scambio rende possibile mutare la direzione di marcia. È importante studiare questi snodi per capire, sempre seguendo la metafora di Vailati, che cosa ha reso possibile l’esistenza di sviluppi alternativi e individuare nel concreto delle specifiche situazioni quali siano i fattori (matematici, culturali, sociali) che rendono una direzione preferibile a un’altra e che alla fine fanno propendere per un determinato senso di marcia, per inaugurare magari un altro periodo di “scienza normale”. Si scopre così che anche la matematica – la disciplina astratta per eccellenza, considerata quasi avulsa nel suo sviluppo da qualsiasi contesto – non procede nel vuoto e che le geniali idee su cui poggia il suo formalismo dipendono anche da fattori extrascientifici, certo con intensità diverse nei diversi momenti storici e in ogni modo in misura non rigidamente fissata e meccanicamente predeterminabile. Lo studio dei rapporti tra matematica e società è fondamentale per comprendere come la prima dipenda anche dal contesto in cui si forma e, viceversa, per ribadire come il pensiero e gli strumenti matematici siano essenziali per lo sviluppo tecnologico e sociale. La storia della matematica risulta così utile anche a chi fa ricerca per collocare il proprio lavoro in una cornice più ampia e sviluppare una maggiore consapevolezza di come nasce e si sviluppa l’invenzione. Nella didattica non è solo un mezzo per recuperare una dimensione umana all’interno di quella che può apparire un’arida presentazione di formule inespressive e rendere quindi più accattivante una lezione. È piuttosto uno strumento quanto mai efficace per sottolineare la dimensione culturale della matematica, che non è solo calcolo; è sì un linguaggio, che ha però alle spalle un pensiero che si sviluppa (in modo non sempre rettilineo) interagendo con le altre discipline, le altre culture, la società. La storia della matematica dà infine – all’insegnante, allo studente, all’opinione pubblica – un’idea più precisa e veritiera di come si svolga la ricerca: un conto è la presentazione elegante e ineccepibile, nella sua asetticità, di risultati ormai maturi; un altro è il travaglio dell’invenzione il cui percorso, ancora più interessante, è però sicuramente più tortuoso.