storia
La riflessione sulla s. presenta due aspetti, corrispondenti ai due significati del termine s.: da un lato è riflessione sull’oggettivo corso storico delle vicende umane, nel quale è volta a scoprire un significato o comunque un piano generale; dall’altro è riflessione sulle caratteristiche specifiche della conoscenza storica. Al primo aspetto è connessa la nascita di quella che viene comunemente detta filosofia della s.; al secondo l’insieme dei problemi e delle tematiche in cui consiste la filosofia o metodologia della storiografia. Non sempre i due aspetti delineati sono chiaramente distinguibili nel corso del pensiero occidentale, e spesso la filosofia della s. ingloba in sé anche temi più propriamente metodologici, benché la consapevolezza metodologica sia una conquista relativamente recente. Per quanto riguarda la speculazione sul significato della s. come scansione oggettiva di vicende umane, il pensiero antico è per lo più legato alla concezione ciclica della s., che priva di reale novità e autonomia la vita storica degli uomini. Quanto al problema della conoscenza storica, nonostante il vivace sviluppo dell’attività storiografica recasse con sé un progressivo affinamento dei canoni metodologici, rimane isolata la concezione di Aristotele delineata nella Poetica, dove uno dei caratteri essenziali della conoscenza storica viene identificato con la sua natura individualizzante, ossia con il fatto che essa considera gli individui nella loro particolarità, per ciò che essi realmente sono stati, distinguendosi in ciò dall’arte, i cui personaggi sono invece tipi ideali di una realtà quale può o deve essere. Nel pensiero cristiano la tensione escatologica propria dell’esperienza cristiana (che elimina ogni concezione ciclica della s.) e la convinzione che Dio stesso conduce la s. degli uomini secondo un proprio disegno (che si scandisce secondo i momenti irreversibili e irripetibili che sono la creazione, la redenzione, la fine del mondo), danno l’avvio a una «filosofia della s.»; si tratta di una riflessione speculativa che scorge nel corso degli eventi storici la progressiva attuazione dei disegni di Dio e qualifica perciò le diverse epoche e l’avvicendarsi di popoli e civiltà secondo allegorie bibliche (la profezia di Daniele) o concetti teologici (i doni dello Spirito Santo, le virtù ecc.). Primo suo grande autore, nell’età patristica, è s. Agostino; nel pieno Medioevo può essere considerato come uno dei suoi più originali rappresentanti Gioacchino da Fiore; per l’Età moderna l’esempio tipico è quello del Discours sur l’histoire universelle di J.-B. Bossuet. Con l’Umanesimo e il Rinascimento passano in secondo piano gli schemi teologici ed escatologici e tende ad affermarsi una concezione degli eventi storici che li riconduce a leggi a essi intrinseche (non senza la ripresa di temi presenti nel pensiero antico come l’importanza della «fortuna»). Soprattutto con l’Illuminismo la fiducia nell’uomo e nella ragione porta a concepire la s. come «progresso» (Voltaire, Turgot, Condorcet) attraverso la lotta continua tra il «dogma» e la «superstizione», da una parte, e la «morale» e la verità scoperte dalla ragione dall’altra. Ma se nell’età dell’Illuminismo non mancano concreti esempi di approfondimento della peculiarità delle diverse situazioni storiche (per es., il Montesquieu dell’Esprit des lois) è però nella polemica antilluministica che vengono elaborandosi le categorie della filosofia della s. destinata a svilupparsi nel Romanticismo, nell’idealismo e nel successivo storicismo. Un posto a sé occupa in questo quadro l’opera di G.B. Vico, anche se destinata ad avere soltanto più tardi ampia risonanza. Principio originario ed essenziale della gnoseologia vichiana è la tesi che verum et factum convertuntur, cioè che il verace accertamento della natura di una cosa consiste nella sua ricostruzione genetica, giacché solo chi, come il matematico, crea da sé le sue costruzioni ideali, può veramente conoscere come si siano formate e quindi in che cosa esse assolutamente consistano. Se, d’altronde, il mondo delle entità matematiche è soltanto astratto e quello della natura, che per il cattolico Vico è opera della creazione, può essere conosciuto adeguatamente solo dal suo autore divino, il «mondo delle nazioni», la s. degli uomini, proprio perché fatta dall’uomo, è oggetto proprio e principale della sua conoscenza. Per quanto riguarda poi la formazione di una nuova filosofia della s. alla fine del Settecento il contributo più efficace è costituito dall’opera di J.G. Herder. A partire dalla convinzione che la presenza operante di Dio vada ritrovata non soltanto nella natura, ma anche nella s. come realizzarsi graduale dell’«umanità», Herder polemizza contro la concezione illuministica del progresso, giudicandola estrinseca e unilaterale in quanto esclusivamente basata sul criterio della propria epoca, i «lumi», e dimentica che in ogni epoca non possono che prevalere alcuni aspetti positivi a spese di altri e viceversa. Si tratta dunque di comprendere dall’interno, geneticamente e simpateticamente, i caratteri di ciascuna epoca, apprezzandoli come contributi diversi e indispensabili a un disegno unitario che può essere delineato soltanto mediante «analogie» o «metafore» (come quella tra le età dell’individuo e le età del genere umano, oppure tra lo sviluppo di un organismo o di una pianta e quello dei popoli), ma senza che sia mai possibile giungere a una visione esaustiva e totale di esso quale può avere soltanto Dio. L’accentuazione della peculiarità del contributo storico di ogni popolo e l’individuazione nel linguaggio del legame più saldo tra gli uomini all’interno di uno «spirito di un popolo» rimangono determinanti per la filosofia della s. del Romanticismo e hanno grande importanza per la formazione della coscienza nazionale nell’Europa dell’Ottocento, anche se questo tipo di filosofia della s. deve presto fare i conti con i risultati dell’idealismo soprattutto hegeliano, dove la critica dell’Illuminismo e l’esigenza di una comprensione genetica della s. vengono incluse in una prospettiva dialettico-speculativa. G.W.F. Hegel infatti, a differenza di Herder, afferma la possibilità, anzi la necessità, di una conoscenza razionale (e non soltanto analogica) della s., di cui individua le strutture portanti non nel linguaggio o nella letteratura, ma nelle istituzioni. Istituzioni però (e questo è l’aspetto polemico e critico contro le concezioni giusnaturalistiche e contrattualistiche) che non nascono dall’alienazione totale o parziale dei diritti inerenti agli individui, ma al contrario preesistono loro come «spirito oggettivo» e sono profondamente legate alla «sostanza etica» di ciascun popolo e di ciascun «tempo». In questo senso la filosofia della s. hegeliana è una sorta di secolarizzazione della concezione cristiana della Provvidenza, ma al tempo stesso si pone come sapere razionale poiché considera dialetticamente il divenire, o meglio, i conflitti degli individui e dei popoli, come momenti oggettivi dello sviluppo dell’idea verso la conquista di quella libertà che coincide con il sapere assoluto. Questo porta Hegel a determinare anche contenutisticamente o, meglio, geograficamente il corso della s. secondo uno sviluppo necessario, dal mondo orientale, dove uno solo era libero (teocrazia), a quello greco, dove solo alcuni erano liberi nella eticità della polis, a quello romano, dove l’autocoscienza personale si contrapponeva all’universalità astratta del diritto, per giungere a quello germanico-cristiano, dove si ha la piena conciliazione di natura divina e umana, di verità e libertà nello Stato. Il carattere troppo chiuso di questa concezione della s., l’irrigidimento di valutazioni contingenti (come quelle riguardanti lo Stato prussiano) in determinazioni stesse dell’idea, avrebbe portato ben presto a molteplici reazioni contro la filosofia della s. hegeliana, dovute anche a una sempre maggiore insofferenza per le grandi costruzioni idealistiche e al generale mutamento di atmosfera avutosi con il diffondersi del positivismo e dell’interesse per i risultati e i metodi delle scienze. Così la sinistra hegeliana con L.A. Feuerbach, e soprattutto con K. Marx e F. Engels, riconosceva la validità del metodo dialettico per la comprensione della s., ma a patto di rovesciare la posizione hegeliana, giudicata ancora teologica o comunque chiusa in una pura teoreticità, a favore di una concezione della s. incentrata sull’agire dell’uomo sensibile e corporeo (Feuerbach) o fondata (Marx ed Engels) su una rigorosa analisi dei rapporti di produzione da cui derivano quei processi dialettici di alienazione (prima di tutto la lotta di classe), che nel sistema hegeliano invece erano ancora considerati manifestazioni di un processo fondamentalmente spirituale. Per altro verso, dal confronto con il nuovo mondo dell’industria, C.-H. Saint-Simon e A. Comte proponevano una concezione della s. vicina a quella hegeliana per il ripudio dei principi contrattualistici e giusnaturalistici dell’Età moderna culminati nella Rivoluzione francese e per l’affermazione dell’esigenza di una nuova «organicità» sociale e politica; ma Comte ne cercava le condizioni teoriche non tanto nella filosofia, quanto piuttosto nella nuova scienza positiva di cui auspicava lo sviluppo e l’affermazione, e cioè la sociologia. Ancora con il positivismo, e soprattutto con il diffondersi delle dottrine evoluzionistiche darwiniane, e in particolare del principio della selezione naturale e della lotta per la vita, si affermava una concezione competitiva della s. a carattere antistatalistico, in quanto considerava ogni intervento volto a frenare o a contenere l’evoluzione e le sue leggi, sia pur mascherato da finalità umanitarie e da considerazioni di ordine sociale, come una semplice riproduzione del tipo più arcaico di ordinamento umano, quello militare, mentre occorreva favorire il libero sviluppo verso una società di tipo industriale dove sarebbero diminuiti il controllo e la dipendenza reciproca dei cittadini (H. Spencer). Verso la fine dell’Ottocento, specie con F. Nietzsche e J. Burckhardt, si faceva strada un’aspra critica della filosofia della s. idealistica e ottimistica considerata come segno della «malattia storica» di un’epoca decadente ed epigonale, in cui la «memoria» paralizzava le residue energie di un’umanità giunta ormai al fondo del nichilismo. Unico aspetto valido della s. era considerato l’affermarsi di grandi personalità artistiche e culturali, la cui opera però veniva intesa come una sorta di emergenza qualitativa in conflitto contro la piattezza e l’insignificanza del loro tempo. Sempre alla fine del sec. 19°, con lo storicismo, l’attenzione si volgeva, più che alle grandi visioni universali di cui si era nutrita la filosofia della s. idealistica, al problema della possibilità stessa della ricerca come qualcosa di autonomo o comunque dotato di una propria legittimità metodologica rispetto alle scienze della natura dominanti, e per questo verso, soprattutto con l’opera di M. Weber, il problema della concezione della s. veniva collegato strettamente a quello del metodo delle scienze sociali. Questo non significa che nel Novecento siano mancate concezioni generali della s., ora a carattere pessimistico come nelle tesi di O. Spengler circa il «tramonto dell’Occidente» o nella ripresa e radicalizzazione del nichilismo nietzschiano da parte di M. Heidegger, ora a carattere utopistico come in certe forme di marxismo di cui l’esponente forse più significativo è E. Bloch con la sua «filosofia della speranza». Tuttavia, sotto l’influsso dello storicismo da una parte e del neopositivismo dall’altra, il problema della s. veniva ampiamente discusso soprattutto dal punto di vista metodologico, e in questa prospettiva vanno ricordati i tentativi di ricondurre la metodologia della storiografia nell’ambito dei criteri logici ed epistemologici validi per le scienze naturali. Il maggiore rappresentante di quest’orientamento volto alla difesa del monismo metodologico è stato C.G. Hempel, che nel celebre articolo The function of general laws in history (1942), riprendendo e sistematizzando analoghe tesi di J.S. Mill, teorizzava l’identità dei procedimenti esplicativi della storiografia e delle scienze naturali. Le concezioni hempeliane (e neopositivistiche in genere) avrebbero suscitato un intenso dibattito all’interno della filosofia analitica dei successivi trent’anni, con esiti incerti, ma spesso volti a recuperare la metodologia del Verstehen (W. Dray) o a individuare in modelli esplicativi ermeneutici del tutto estranei alle scienze naturali la caratteristica dell’investigazione storica (valga per tutti il narrativismo difeso da W. Gallie, A. Danto e L.O. Mink). Importanti sono anche le riflessioni di K.R. Popper, intese soprattutto a mettere in discussione la legittimità epistemologica delle concezioni metafisiche della s. che il filosofo austriaco riuniva sotto l’etichetta di «storicismo». Anche per quel che riguarda la concezione marxista della s. va ricordato che nella prima metà del sec. 20°, con la pubblicazione degli scritti giovanili di Marx, si è avuta un’accentuazione dell’aspetto umanistico contro quello puramente economicistico della concezione materialistica della s. (K. Korsch, G. Lukács), a cui però nel clima strutturalistico del secondo dopoguerra è seguita una reazione antistoricistica, volta a rivendicarne nuovamente il carattere di teoria e di «scienza» (L. Althusser). Posizione centrale ha assunto in Italia il problema della s. nell’idealismo di B. Croce e G. Gentile. Per il primo il giudizio storiografico è il grado più alto e concreto dell’attività teoretica dello spirito. Concezione che viene ulteriormente approfondita attraverso due determinazioni: quella dell’identità di filosofia e storiografia (la filosofia, astrattamente considerata, costituendo il momento metodologico della storiografia, ossia quello della delucidazione critica delle categorie universali che nel giudizio si predicano del fatto singolo) e quella della «contemporaneità della s.», la conoscenza del passato nascendo, infatti, da un interesse attuale dello storico. In tal modo viene negata ogni filosofia della s. che pretenda di dare una superiore conoscenza di fini o cause trascendenti il concreto processo storico. Diverso, pur in certa comunanza d’ispirazione, il pensiero di Gentile, il quale obietta a Croce che, in forza della mantenuta distinzione di teoria e pratica, l’asserita identità o sintesi di filosofia e s. non è tale, presupponendo essa i termini di cui sarebbe sintesi; cioè, da una parte i fatti o s. operata, che prima di diventare problema di conoscenza e s. conosciuta esiste come manifestazione dello spirito pratico, e dall’altra le categorie che, prima di fungere da predicati nel giudizio storico, costituiscono l’ambito della filosofia come metodologia. Sulla base, invece, del concetto attualistico d’identità di teoria e pratica, di pensiero e azione, la s. quale risoluzione del passato nell’attualità spirituale («attualità della s.») è una vera e propria sintesi a priori di res gestae e historia rerum gestarum, per cui i fatti non esistono indipendentemente dall’attività spirituale.