LETTERARIA, STORIOGRAFIA
Italia. − Finché, negli anni Trenta e Quaranta, prevaleva negli studi l'indirizzo neoidealistico, contrastato al più dall'impostazione divergente della cultura cattolica, anche sul campo della s. l. venne combattuto lo scontro delle ideologie, che coloravano di sé ogni interpretazione e ogni problema di periodizzamento. Né la situazione mutò nel successivo ventennio, allorché il crocianesimo per un verso venne sottoposto a una revisione dall'interno sempre più marcata e per l'altro subì l'offensiva della critica marxista. Una svolta molto evidente cominciò a vedersi a partire dagli anni Settanta, con la crisi della centralità delle posizioni confessionali che si fronteggiavano da spalti contrapposti e con la crescente aspirazione alla scientificità dei risultati e al rigore metodico mai conosciuto prima, con il conseguente desiderio di efficienza tecnica e di esiti storiografici indiscutibili nella loro oggettività. A una fase di agonismo seguì una fase di pluralismo nella quale la letteratura, svincolata dal sistema delle ideologie, rientrò con più determinazione nel novero delle scienze umane, dove ha dovuto fare i conti con altre discipline (semiologia, linguistica, neoretorica, psicanalisi, antropologia, ecc.) che hanno condizionato le sue scansioni cronologiche interne con fattori di distinzione sempre più articolati, talvolta esposti anche al pericolo dell'eclettismo.
Venuto meno, nonostante si continuino a produrre storie della letteratura generali (N. Sapegno, G. Petronio, ecc., fino a G. Ferroni), il principio della continuità e dell'unità, gli inquadramenti epocali si sono fatti più duttili, con ripartizioni di più breve durata, attente alle coordinate linguistiche, alle diverse situazioni geostoriche e regionali anche periferiche, agli intrecci interdisciplinari, alle singole poetiche, in modo da far risaltare soprattutto le svolte, magari mediate con nozioni supplementari con cui conferire autonomia anche ai momenti di transizione (il preumanesimo, il manierismo, il rococò, il preromanticismo, il fin de siècle). E mentre la s. l. tende sempre più a riconoscersi nella più ampia giurisdizione della storia della cultura, la coscienza della provvisorietà dei risultati e la dimensione aperta della ricerca si traducono paradossalmente in lavori dall'impianto saggistico, volti a proposte problematiche, a sondaggi testuali o a specifiche proposte di lettura guidate dall'acribia del metodo filologico, alieno da facili generalizzazioni.
Questa linea di tendenza, progressivamente affermatasi nella s. l. dell'ultimo cinquantennio, risulta particolarmente vistosa nella ricostruzione della realtà dei primi secoli della letteratura in volgare, per i quali al posto di un Medioevo onnicomprensivo è subentrata una suddivisione cronologica che tiene anche conto della storia politica (società feudale, comuni e signorie, ecc.) e culturale (la Scolastica, le artes dictandi, il sentimento religioso, gli ideali cavallereschi, ecc.). Caduto il problema, cruciale per l'età romantica e positivistica, dell'origine precisa delle letterature romanze e della primogenitura tra i diversi volgari, si sono accantonati con esso i miti di un Medioevo letterariamente ingenuo e popolareggiante, al quale fosse del tutto ignota la cultura classica. Semmai, del lento trapasso dal latino ai volgari si sono colti gli sviluppi poligenetici, paralleli e autonomi nelle diverse regioni. A sistemare la produzione poetica del Duecento nella sua complessa stratificazione linguistica e culturale ha provveduto l'acume filologico di G. Contini, artefice impeccabile di restauri testuali e di esegesi ricche di esplicazioni dialettologiche, metriche, glottologiche. Con lui, altri studiosi di filologia romanza (A. Monteverdi, A. Roncaglia, G. Folena, A. Castellani, C. Segre, d'A.S. Avalle) hanno provveduto a risolvere dilemmi attributivi, nodi linguistici, dubbi cronologici, sistemando testi e affiancando alle indagini già canoniche sulla poesia siciliana, siculo-toscana e stilnovista ricognizioni sulla prosa didattica, sui volgarizzamenti, sulla sintassi del periodo dei primi prosatori, sui trattati morali e allegorici, sull'oratoria e sulla predicazione, sui rapporti tra letteratura e istituzioni culturali (le università, gli ordini religiosi francescani, benedettini, domenicani, le corti medievali).
Dai tanti approcci multilaterali, da cui si ricava il quadro di un sapere dilatato ma non più uniforme, senza segni di riconoscimento caratterizzanti, il Medioevo letterario si rivela un periodo raffinato e colto, studiosissimo di retorica e delle convenzioni stilistiche ereditate dalla civiltà grecoromana e diffuse per tutta l'Europa. E con questa tesi di sapiente aristocrazia formale e di strenuo intellettualismo, sulle tracce di E.R. Curtius e del suo Europaïsche Literatur und lateinisches Mittelalter (1948), ci si è accostati anche alla poesia di Dante, nella quale si sono trovate le vestigia secolari del Medioevo latino, con le sue poetiche, la topica, i sistemi metaforici.
Si sono così abbandonati gli impressionismi della critica psicologica, tanto più che della Commedia G. Petrocchi ha fornito il testo critico secondo l'antica vulgata, consentendo la verifica e l'approfondimento delle stesse interpretazioni più affidabili, ora nel senso della stilistica verbale centrata sulla memoria timbrica di Dante, sulla funzione di ''personaggio-poeta'', sull'allusività e l'intertestualità (G. Contini), ora sul metodo ''semantico'' (A. Pagliaro), ora sull'interpretazione ''figurale'' (E. Auerbach), ora sulla decifrazione simbolica sorretta da un gusto speculativo (C.S. Singleton). Né è da credere che il pluralismo degli accessi dipenda solo dalla complessità della poesia dantesca, perché anche per Petrarca, contrassegnato dall'''unilinguismo'' e da una produzione statica nella sua immobile perplessità (U. Bosco), si rifugge dai disegni onnicomprensivi, a tutto vantaggio di ricerche specialistiche sulla sua caccia umanistica alle opere antiche (G. Billanovich), sulla portata europea del suo epistolario, sulle opere latine, sullo stile e sull'organizzazione dei Rerum vulgarium fragmenta. E, a chiudere il serto delle ''tre corone'', ecco che Boccaccio viene studiato, oltre che con un rinnovato impegno testuale (V. Branca e Singleton), con gli strumenti multipli del formalismo (V. Šklovskij), della narratologia (T. Todorov), dell'antropologia bachtiniana (C. Muscetta), che si affiancano al lungo lavoro di comprensione storica compiuto da V. Branca su Boccaccio medievale (1956), in cui lo scrittore viene inquadrato entro la fervida stagione della civiltà mercantile.
Tuttora senza un quadro d'insieme coerente è, per rifarsi alla fortunata espressione di B. Croce, il "secolo senza poesia" (1375-1475), trattandosi di un'età eclettica e senza modelli, difficile da definire. Si sono però acquisite importanti accessioni testuali e si sono conquistate agli archivi nuove aree letterarie, un tempo circoscritte alle conoscenze della situazione toscana e oggi estese al Regno di Napoli, alle corti padane, alla Repubblica veneta, mentre l'accezione ancora ristretta di poesia ha esteso il suo territorio alla storia della cultura.
In fondo, una stessa evoluzione contrassegna la s. l. recente su Umanesimo e Rinascimento, che, per compensare lo scarso interesse rivolto a suo tempo da Burckhardt verso gli aspetti del pensiero filosofico e scientifico, sacrificati a vantaggio pressoché esclusivo dell'arte e della letteratura, si è indirizzata all'esame della vita civile, delle riflessioni morali e religiose, della natura, dei metodi educativi, della ricezione di platonismo e aristotelismo (E. Garin), tutti motivi irradiati da una mentalità filologica e critica che dal ritorno ai documenti traeva nutrimento per rispondere ai problemi del tempo. Se negli anni Trenta il dibattito, svoltosi sul piano delle costruzioni ideologiche e degli schemi precostituiti, vedeva in conflitto la tesi cattolica della continuità rispetto al Medioevo (sostenuta da G. Toffanin, lungo la linea discendente da H. Thode e K. Burdach) e la tesi neoidealista e laica risoluta nel sottolineare una cesura netta, per l'avversione umanistica per la Scolastica e la nuova coscienza dell'individuo (B. Croce, G. Gentile, E. Cassirer), nei decenni successivi l'analisi concreta degli eventi, delle personalità storiche e dei centri di cultura ha svuotato di senso ogni classificazione bloccata nella sua astrattezza.
Grazie alle ricerche erudite di A. Campana, G. Billanovich, C. Dionisotti, P.O. Kristeller, il Quattrocento e il Cinquecento appaiono meglio ricostruiti nelle loro condizioni reali, poi verificate nella vita delle corti e delle accademie con i loro riti collettivi, nell'editoria, negli epistolari, nei libri di famiglia, nei fenomeni regionali e dialettali, nella dinamica dei generi letterari (soprattutto la bucolica, la novella, la commedia), in modo che le istituzioni culturali e letterarie vengono intese quali fonti delle tradizioni testuali. Si sono così messe a frutto le molte ricerche di E. Garin, volte a dimostrare che la nuova mentalità filologica degli umanisti, lungi dal restare confinata al mero ambito grammaticale e retorico, si estese a tutti i domini del sapere naturale e umano, con risultati largamente innovativi rispetto al Medioevo. Di qui poi l'impossibilità di ridurre i tanti fenomeni a un'unica cifra, come anche la necessità euristica di distinguere (ma non separare) la fase più rigogliosa e sperimentale dell'Umanesimo dal periodo più maturo e ordinato del Rinascimento. Del resto la realtà storica appare talmente polimorfa che H. Haydn, ricorrendo a tagli troppo drastici, è giunto a far convivere in antitesi un Rinascimento, che professa il connubio di fede e ragione, e un Controrinascimento, antiintellettualistico e antiautoritario, prossimo, anche se tutt'altro che coincidente, alla nozione di Antirinascimento proposta da E. Battisti. E l'opportunità di sfumare i confini e di concedere autonomia alle aree intermedie ha fatto sì che dalla storia delle arti figurative sia emigrata alla s. l. la nozione di manierismo, inteso ora come categoria astorica comune a ogni età postclassica (G.R. Hocke), ora come orizzonte mentale proprio del secondo Cinquecento, quando la serena compostezza del Rinascimento entra in crisi e l'inquietudine si realizza attraverso una retorica del disarmonico e una stilistica dell'ornato (G. Weise, R. Scrivano, E. Raimondi).
Quanto più si riesce a entrare in un mondo di situazioni vive e reali, tanto meno resistono le concezioni metastoriche, quali quelle che ritenevano anche il Barocco una costante tipologica (E. D'Ors). Dalla connessione della letteratura a un quadro culturale del Seicento che consideri la nuova filosofia, la scienza copernicana, la religione controriformista, si è ottenuta una fenomenologia più libera e spregiudicata che si dirama senza velleità monistiche in più direzioni, come si conviene a un'età che fece della metamorfosi il canone primario della sua poetica. Seguendo la logica interna del Barocco, senza più sovrapporvi il gusto odierno, la letteratura un tempo condannata perché giudicata stravagante e vacua appare invece la conseguenza stilistica di una gnoseologia e di una configurazione mentale le cui cause vanno rintracciate nella crisi dell'uomo barocco.
Come mostrano i volumi sul Seicento degli Scrittori d'Italia e delle storie letterarie edite da Laterza e da Garzanti, accanto a Marino e ai lirici, agli autori di teatro, ai romanzieri, ai viaggiatori e ai dialettali, prendono posto i politici e i moralisti della ragion di stato, gli scienziati, i filosofi, i predicatori, con la concessione di nuovi spazi alla letteratura libertina, erudita, enciclopedica, con cui fare luce sulla condizione degli intellettuali, delle istituzioni letterarie, della società di corte. E col primato della vita comunitaria viene rivalutata la retorica su cui sono regolati la vita delle accademie e i modelli educativi, con la conseguente attenzione per la trattatistica, in primo luogo gesuitica. E. Tesauro, dopo gli studi di E. Raimondi, è stato promosso a figura di primo piano, e le sue teorie sono giudicate imprescindibili per una descrizione della metafora barocca, del concettismo, degli emblemi e delle imprese. La revisione storiografica del Seicento si attua dunque a più livelli, dal piano testuale ed esegetico, con l'accurato commento dell'Adone di Marino, alla più generale prospettiva ermeneutica, che per scienziati e viaggiatori capovolge la chiave di lettura di ascendenza rondista, tendente a privilegiare la pagina bella, scelta con i criteri estetici ed edonistici dell'eleganza, alla quale si preferisce oggi un tipo d'indagine condotto con un impegno epistemologico e antropologico, ricuperando così aspetti un tempo trascurati perché considerati ora inameni, ora eccentrici.
Poiché per Croce la depressione letteraria si estese in Italia da Tasso ad Alfieri, anche gli studi sul Settecento sono stati condotti negli ultimi anni all'insegna di una riabilitazione critica che a poco a poco si è liberata dei problemi, un tempo assillanti, di ripartizione cronologica, che hanno fatto dell'Arcadia o una prosecuzione del Barocco (C. Calcaterra), o un'anticipazione coerente dell'Illuminismo (M. Fubini), a sua volta visto come premessa del Romanticismo (U. Bosco). Oggi sembra imporsi l'idea di un 18° secolo letterariamente profilato in un'autonomia e in un'individualità legate alla storia e alla filosofia coeve (G. Petronio), anche se cadenzato al suo interno da momenti connessi ma distinguibili attraverso l'esame delle varie poetiche (W. Binni), con un razionalismo arcadico culminante con Metastasio, un'area illuministico-sensistica che comprende Goldoni e Parini fino al Mezzogiorno e, come correnti finali tra loro intersecantisi, il Neoclassicismo, sempre meglio individuato negli anni 1950-80 dietro la sollecitazione della storia dell'arte, e il Preromanticismo, una categoria per altro guardata con il sospetto che si applica a tutti i fenomeni di precorrimento. Ma più che un'anticipazione dell'Ottocento, l'Illuminismo è considerato un'età composita e perfino contraddittoria, nella quale il razionalismo può convivere con il sensismo, il sublime, il pathos, un forte senso della storicità. E, lasciati i pregiudizi nazionalistici degli anni Trenta, se ne sottolineano le coordinate europee, estendendo l'interesse agli strumenti di cultura (scuole, collegi, biblioteche), ai progressi del giornalismo locale e internazionale, al settore vitalissimo dell'erudizione, ai primi tentativi di s. l. e ai progetti enciclopedici, ai nessi tra letteratura e attività riformatrice, alla formazione di un nuovo pubblico.
Con l'ampliamento dell'orizzonte critico hanno allungato la mira le edizioni di testi concernenti riformatori e illuministi, memorie, carteggi, prose di viaggio, scritture scientifiche, con un riguardo particolare al rinnovamento linguistico e al dibattito ideologico sollecitato nel Settecento dai rapporti più intensi con la lingua francese. Quanto al panorama letterario abitualmente frequentato anche nel passato, esso risulta modificato, talvolta dalle fondamenta, per l'impiego di nuove metodologie. Valga per tutti l'esempio di Metastasio, di cui, messi da parte le antiche riserve o gli encomi non meno preconcetti, si sono sondati aspetti prima quasi ignorati o male intesi, quali la regia dei suoi drammi e la tecnica teatrale, il meccanismo delle trame, la cultura cartesiana (specie quella del trattato su Les passions de l'âme), il rapporto con i committenti imperiali e il suo numeroso pubblico.
Evidentemente, acquistano sempre più rilevanza il momento tecnico e le forme della ricezione, se possibile ancora più importanti per l'Ottocento, con i primi influssi dell'industrializzazione sul prodotto culturale. E il fatto forse più innovatore nella s. l. dell'età romantica parrebbe proprio, negli ultimi decenni, l'attenzione per la pubblicistica, sia del mercato librario (con M. Berengo), sia dei periodici dove più accese furono le polemiche tra classici e romantici (il Conciliatore, la Biblioteca italiana, l'Antologia, ecc.). Di riflesso, si sono meglio definiti i contorni finora evanescenti di figure quali E. Visconti, P. Borsieri, L. di Breme e, per la generazione successiva, C. Tenca e C. Cattaneo, ossia gli scrittori militanti più impegnati nell'orientamento dei lettori. Chiusa anche per questa stagione la campagna ideologica di chi insisteva nel tenere distinto il Romanticismo italiano da quello tedesco (G. Martegiani, G. Toffanin), trovando spesso alleati in quanti accentuavano la persistenza dei motivi della tradizione classica a temperare le forme nuove (G.A. Borgese, C. De Lollis, C. Citanna), viene a emergere l'asprezza della contesa tra classici e romantici, tutt'altro che oziosa dopo che la storiografia marxista ha segnalato le implicazioni sociologicamente borghesi del moto romantico e dopo che, a complicare i pacifici schemi, si è dimostrato che, oltre al classicismo reazionario e retrivo, esiste anche un classicismo progressista (S. Timpanaro).
Col diventare più frenetiche e rapide le successioni delle scuole e delle correnti letterarie, nel tracciato storico dell'Ottocento (e a maggior ragione del Novecento) è venuto ad aumentare il numero delle ripartizioni, talché oggi suonano improponibili le interpretazioni totalizzanti del 19° secolo, miranti a considerarlo tutto all'interno del Romanticismo (U. Bosco, M. Marcazzan). Al contrario, l'esaurirsi del moto d'unificazione nazionale segna l'inizio di una nuova fase, i cui capitoli più significativi vengono ora riconosciuti nella critica di F. De Sanctis (diffusamente studiato dopo che A. Gramsci, conosciuto negli anni Cinquanta, aveva fatto del suo storicismo l'alternativa a Croce), nello sperimentalismo espressionistico degli scapigliati (con G. Contini, D. Isella, G. Mariani), nel verismo e in Verga, soggetti a radicali mutamenti di prospettiva, dalla negazione di Croce a una prima rivalutazione di parte marxista, negli anni del ricupero neorealista, fino all'abbandono delle mitologie progressive-populistiche denunciate dalla nuova sinistra soprattutto a partire da Scrittori e popolo (1965) di A. Asor Rosa.
Altri assestamenti hanno subito nella zona di fine Ottocento Carducci (letto dapprima in chiave classicistica, poi in versione romantica e in seguito accompagnato, a parte una rivalutazione della sua prosa, da un affievolirsi d'interessi) e il decadentismo, condannato a suo tempo da Croce per il suo irrazionalismo, dilatato oltre i propri confini ed esteso a tutto il Novecento, con un conseguente disagio nella dinamica dei trapassi storico-letterari, e da ultimo definito da W. Binni entro limiti temporali meno ambigui (tra verismo e avanguardie protonovecentesche), proprio mentre gli interpreti marxisti (C. Salinari, A. Leone De Castris) hanno individuato nel fenomeno letterario i riflessi della crisi borghese. Al suo interno, si è assistito a una rinascita dell'interesse per D'Annunzio, dopo che E. Raimondi nella Storia della letteratura italiana Garzanti (1969) lo ha raffigurato nelle vesti di un grande produttore di letteratura pronto ad assecondare le richieste del mercato e le esigenze consce e inconsce di un pubblico favorito nel suo fondamentale bovarismo, e per Pascoli, orientato, dopo la lettura stilistica di G. Contini (1955), verso il Novecento, con il ruolo di "rivoluzionario nella tradizione".
Ormai, al termine del secondo millennio, anche per il Novecento è tempo di bilanci e di valutazioni sistematiche, tali però da garantire sempre un'articolazione interna che rispecchi la molteplicità della situazione reale. Per questo la s. l. dell'età contemporanea si appunta sulle vicende delle riviste letterarie, espressione fedele della dialettica delle idee e della dinamica delle poetiche. E con loro si è attribuito il giusto rilievo a episodi di portata europea quali il futurismo e Marinetti, mentre un poco appannata sembra la fortuna dei crepuscolari e dei rondisti, oscuratasi nel polemico clima successivo alla resistenza. Per la stessa rilevanza non provinciale si studiano con rinnovato impegno Svevo, specie con gli strumenti affilati della psicanalisi, e Pirandello, affrontato con più adeguate competenze di drammaturgia e di antropologia. A partire dagli anni Sessanta, ci si è dedicati alla lirica di Saba, auscultata ancora con la psicanalisi, di Ungaretti e soprattutto di Montale, con una ricca fioritura di iniziative editoriali rese più affidabili dal perfezionamento dei mezzi d'indagine linguistica (concordanze, repertori tematici, ecc.). Nel settore della prosa, alla preferenza degli anni Cinquanta-Sessanta per Pavese e Vittorini è seguito un loro ridimensionamento, mentre si è affermata in modo irreversibile la fortuna di Gadda, per l'espressionismo del suo stile e la polifonia di tipo bachtiniano, e di Calvino, per la consonanza tra i suoi scritti e l'applicabilità ad essi del metodo semiologico. Con tutta questa ricchezza di prospettive, le grandi categorie storiografiche, pur persistendo come designazioni di comodo, hanno perso ogni rigidità ipostatizzante. La più recente storiografia ha finito per dare ragione a una Mauvaise pensée di P. Valéry, per il quale "è impossibile pensare seriamente con parole come Classicismo, Romanticismo, Umanesimo, Realismo", giacché, non ci si può ubriacare o dissetare con le etichette delle bottiglie".
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