STORIOGRAFIA (v. storia, XXXII, p. 771; App. III, 11, p. 846)
Nel cercare di fermare quelle che sono le caratteristiche più salienti del lavoro storiografico degli ultimi quindici anni circa (1961-76) vanno anzitutto riprese le caratteristiche delineatesi negli anni precedenti e ora sempre più consolidate. Richiamiamo talune alla memoria: l'emergere di una s. del Terzo Mondo, a cui storici dello stesso mondo partecipano con intensità crescente; la decadenza del marxismo di stampo sovietico, che si accompagna a una crescente diffusione e autorità di interpretazioni marxiste riformate nella cultura dell'Europa occidentale e del Nord America; il dispiegarsi di interpretazioni strutturaliste a-croniche accanto alla tradizionale s. diacronica; il dissolversi dei confini del resto non mai sicuri tra storia e sociologia (o antropologia) e tra storia e (studio accademico di) teologia. Per contro la caratteristica più persuasiva della s. degli ultimi quindici anni è forse l'attenzione ai gruppi oppressi e/o minoritari nell'interno delle civiltà più avanzate: donne, bambini, schiavi, uomini di colore, o più semplicemente eretici, contadini, operai. Con tale caratteristica si congiunge l'attenzione crescente alle forme intellettuali associate con classi subalterne, quali la cultura di massa, la magia, il folklore e, fino a un certo punto, la tradizione orale. Altre caratteristiche sono meno precisabili, ma onnipresenti: l'attenzione agli aspetti simbolici della vita associata, la curiosità per i problemi di comunicazione, gli studi sulla famiglia, la concentrazione sui fattori dello sviluppo e della stagnazione in determinate economie, la crescente inserzione della storia della scienza e della tecnica in una totale visione della vita sociale - e più in generale ancora un desiderio, spesso più confessato che esattamente formulato, di raggiungere una comprensione integrale di una società entro uno spazio e un tempo definito. Altrettanto accentuata l'importanza delle ricerche sul ruolo di determinate categorie - militari (M. Janowitz), burocrati (M. Crozier), intellettuali (E. Shils) - o di determinate forme politiche - dittatura (Barrington Moore), imperialismo (S. N. Eisenstadt) - nella zona di congiunzione tra storia e sociologia. Poiché il programma di definire una società nel suo complesso è da tempo proprio dell'antropologia, si comprende che gli antropologi (o etnografi) abbiano acquistato un prestigio senza precedenti tra gli storici e si discuta continuamente di rapporti tra antropologia e storia.
Nel quindicennio successivo alla guerra (sino al 1960) era ancora possibile considerare le singole culture nazionali in successione. Oggi ciò non è più possibile se non entro limiti ristretti. Ma in questa internazionalizzazione del lavoro storiografico si riflette il consolidarsi di una tendenza già evidente in anni precedenti; e cioè il predominio della s. francese e americana, i cui metodi e problemi si sono sempre più di frequente intersecati e, uniti o separati, hanno largamente ispirato il lavoro storiografico degli altri paesi. È tuttavia da registrare il rapido emergere della s. polacca come terza scuola d'importanza internazionale, che combina un marxismo riformato con molti suggerimenti del gruppo francese delle Annales, è aperta a punti di vista cattolici e quindi corrisponde bene al presente riavvicinamento di cattolici e comunisti. In Russia stessa non è difficile riconoscere (per es. in studi orientalistici) un'assai maggiore elasticità nell'analisi delle forme di produzione e nello studio di rapporti tra forme di produzione e ideologie. Né è necessario qui richiamare ciò che progressivamente è venuto a contare nell'interno della s. marxista la pubblicazione dei manoscritti di Marx del 1844 con la loro orientazione umanistica e l'accento sull'alienazione, nonché lo studio dei Grundrisse der Kritik der politischen Oekonomie (diventati generalmente accessibili solo nel 1953), dove grande importanza è attribuita al modo asiatico di produzione. Va per altro insistito che nei paesi comunisti (con la parziale eccezione della Polonia) la storia è ancora considerata come strumento indispensabile d'indottrinamento ideologico e perciò sottoposta a una censura (e corrispondente assenza di dibattito) che non esiste né in Europa occidentale né in America.
Se l'attenzione ai movimenti di protesta e ai gruppi oppressi evidentemente corrisponde alla situazione sociale e s'inserì nella vita accademica con la rivolta del 1968 e i suoi sviluppi successivi, l'interesse per una quantificazione raffinata è incoraggiato dall'uso sempre più diffuso di calcolatori elettronici. All'attuale voga della quantificazione hanno contribuito con specifiche tendenze le Annales in Francia e la "nuova storia economica o "Cliometria" in America, di cui R.W. Fogel è il più illustre rappresentante. Né sono mancate polemiche tra le due tendenze. In Francia la quantificazione si è sovrapposta sulla "storia seriale". Ogni serie di eventi omogenei studiata a distanze fisse, se è di tipo misurabile, diventa ipso facto argomento di storia quantitativa. Di fatto le Annales, con la loro preferenza per crisi cicliche, congiunture, fenomeni demografici, diventarono pionieri di storia seriale quantificata. Ma la serializzazione delle Annales non è mai stata esclusivamente limitata a fenomeni quantificabili e soprattutto non è mai stata rivolta precipuamente all'analisi di produzione e consumo, investimenti e reddito, come la nuova storia economica americana. Né i Francesi hanno ritenuto necessario includere nella loro tecnica di analisi la misurazione ipotetica di alternative potenziali non verificatesi per indicare vantaggi e svantaggi della soluzione prevalsa. Di fatto ai Francesi questa misurazione è apparsa un ritorno al vecchio tipo della storia "dei se". È invero molto dubbio che la storia economica come si è fatta e si fa in America abbia come sua parte logicamente integrante la massa di ipotesi alternative che si legge per es. in Railroads and economic growth, 1964, di R. W. Fogel. Ma questo esame teorico delle conseguenze di alternative non verificatesi ha un chiaro scopo politico: tende o a sostenere o a criticare la soluzione prevalsa e conseguentemente la soluzione che potrebbe essere adottata in situazioni analoghe. È quindi espressione di quella generale attitudine degli storici americani a combattere le loro battaglie politiche in termini storiografici, che è molto meno ovvia, almeno a occhio nudo, negli storici delle Annales. Le opere principali della "nuova storia economica" di marca americana si sono per ora limitate ad argomenti scottanti di recente storia sociale americana, come il sistema dei trasporti, il sistema monetario e la schiavitù. E perciò non è sorprendente che le critiche più gravi a R. W. Fogel e al suo collaboratore S. L. Engerman siano state fatte dopo la pubblicazione della loro opera The economics of American negro slavery (1974), il cui presupposto esplicito era la misurabilità di una condizione umana come la schiavitù.
Più profonda la differenziazione tra Francesi e Americani nel cercare nuove vie di storia psicologica. In America si è avuto un fiorire di biografie su base psicanalitica dopo il successo della biografia di Lutero pubblicata dallo psicanalista professionale Erik H. Erikson (1958). Più o meno allo stesso tempo - per es. in S.P. Hays, The response to industrialism, 1885-1914 (1957), o in E. E. Hagen, On the theory of social change (1964) - si sono ripresi tentativi di estendere la psicanalisi a intere situazioni (con relativa tipologia per es. di "personalità autoritaria", "personalità innovazionale") come era già stato di moda intorno agli anni Quaranta. Che tali tentativi si servano di criteri ancora meno rigorosi di esame dei documenti e talvolta di ragionamenti quasi a priori è nella natura delle cose. Ne è nata la "psico-storia" che ha i suoi teorici (B. Mazlish) e i suoi detrattori (J. Barzun). A giudicare dai risultati finora resi noti la psico-storia americana non ha prodotto nulla di così spettacolare e convincente come la storia delle strutture profonde della mentalità praticata da taluni maestri delle Annales. Anzitutto la s. francese è arrivata alle forme più recenti dello studio delle mentalità attraverso ricerche minute di demografia e società regionali come quelle di P. Goubert su Beauvais (1960), P. Vilar sulla Catalogna (1962), E. Le Roy Ladurie sui contadini del Languedoc (1966), M. Garden su Lione nel sec. 18° (1974). Ha inoltre contribuito l'esame di specifiche attitudini entro un certo clima mentale (come le attitudini dei magistrati verso le streghe e le attitudini dei Fugger quali proprietari terrieri, entrambe studiate da R. Mandrou in due monografie del 1968-69). È in questo sistema di indagini che vanno inserite le opere in un certo senso più impegnative in cui viene chiamato in questione tutto l'atteggiamento della civiltà moderna verso fatti elementari della vita (la morte inclusa). Così la ricerca da pioniere di Ph. Ariès, L'Enfant et la vie familiale sous l'Ancien Régime (1960), fu seguita dalla serie di studi di M. Foucault sulla pazzia (1961), la clinica (1967) e la sessualità (1976) che vedremo connessa con profondi interrogativi sulla natura stessa della sistemazione categoriale della conoscenza storica (Les mots et les choses, 1965). Ph. Ariès stesso e altri hanno esplorato morte, controllo delle nascite, regimi alimentari. In direzione parallela J.-P. Vernant e i suoi collaboratori M. Détienne e P. Vidal-Naquet hanno cercato di cogliere le specifiche delimitazioni della civiltà greca tra divino e umano, astuzia e ragione, maturità e immaturità, ecc. Le strutture profonde di una civiltà vengono poi di regola messe in relazione con il processo produttivo e dunque la divisione del lavoro (L. Dumont, Homo hierarchicus, 1967; Homo aequalis, 1977). Di qui la stretta connessione che si è venuta stabilendo sempre più consapevolmente tra queste ricerche e l'antropologia culturale, che in C. Lévi-Strauss e prima ancora in G. Dumézil si presenta soprattutto come lo studio dei principi dell'organizzazione mentale di ciascuna cultura (qui si può trascurare come il pensiero di G. Dumézil si sia venuto modificando con il prevalere dello strutturalismo di Lévi-Strauss).
La s. francese e la s. americana hanno pure affrontato in diverso stile fattori biologici e naturali. E qui di nuovo è caratteristico che gli Americani siano venuti elaborando la "socio-biologia" che continua le tradizioni d'interpretazione darwinistica della società notoriamente assai forti nella s. americana, ma le estende alla preistoria e tratta in particolare gli aspetti di evoluzione del materiale genetico. Una fortunata formulazione popolare, The imperial animal di L. Tiger e R. Fox (1971), estende alle opere umane i principi di spiegazione che valgono per gl'istinti degli animali primati. Ma non si è mancato di reagire in America stessa (M. Sahlins, The use and abuse of biology, 1976), tra l'altro ripetendo la vecchia osservazione di K. Marx che a suo tempo il darwinismo fu un'estensione alla natura dei principi di competizione che la filosofia di Hobbes e l'economia di A. Smith e di Malthus avevano formulato: la sociobiologia, lungi dall'importare la genetica, ricondurrebbe alla storia umana una teoria derivata dalla storia umana. In Francia, paese di grandi geografi e geologi, è la storia delle variazioni climatiche che è stata ripresa in grande stile da uno dei capiscuola delle Annales, E. Le Roy Ladurie, ma non mancano segni d'interesse in specifica sociobiologia. E di nuovo si possono avvicinare e allo stesso tempo contrapporre gli atteggiamenti di Americani e Francesi in argomento di clima intellettuale e di ricerca scientifica. Da un lato in America Th. S. Kuhn, con l'audace libro The structure of scientific revolutions (1962), ha proposto un nuovo indirizzo di storia della scienza che cerca d'intendere le condizioni sociali e ideologiche delle "scoperte" scientifiche; mentre N. Chomsky ha cercato sempre più direttamente (ma forse meno persuasivamente) di derivare dalla sua linguistica conseguenze per le capacità umane alla scoperta della realtà. In Francia quando si parla di strutture mentali non si pensa evidentemente alle strutture linguistiche universali di Chomsky. E quando si parla di cambiamenti di opinione, non c'è nulla d'immediatamente comparabile alla crisi dei paradigmi secondo Kuhn. È piuttosto il lento o rapido modificarsi di abiti culturali e di fonti d'informazione che per es. F. Furet e i suoi collaboratori hanno esaminato per la cultura libresca del 18° secolo e Ch.-O. Carbonell per la s. francese del periodo 1865-85. Ma il vero contrapposto della scuola di Kuhn in Francia è nella scuola di G. Bachelard oggi continuata da G. Canguilhem, per cui la storia delle scienze (che creano le loro norme specifiche con la loro storia) è storia di ostacoli epistemologici.
Queste e simili antitesi simmetriche bastano a spiegare perché Francesi e Americani stiano assai, e sempre più, attenti ai rispettivi lavori. Ma non è forse sbagliato aggiungere che, per quanto le Annales seguano con critica attenzione i lavori americani e inoltre sia ben nota la traccia lasciata in Lévi-Strauss dagli anni di esilio in America, ci sia più studio e influsso dei Francesi in America che viceversa. Testimoni le antologie, le traduzioni e le monografie sulle Annales (J. H. Hexter su F. Braudel, in Journal of Modern History 44, 1972; T. Stoianovich, 1976). Storiografi nordamericani come C. Tilly e E. Weber scrivono sulla storia francese in stile Annales; altri (N. Davis) combinano antropologia americana e "annalismo".
Poiché della novità e dell'importanza di ciò che si è venuto facendo negli Stati Uniti e in Francia non ci può essere dubbio, è intanto immediatamente da registrare che questa novità e importanza, già riconosciuta negli anni 1950-60, ha avuto profonde conseguenze nelle altre s. dell'Europa occidentale (e come si diceva, della Polonia). Di gran lunga più significativa è la penetrazione sia delle Annales sia dell'antropologia e cliometria americana nella Rep. Fed. di Germania. Gli storici della Germania di Bonn fino ad anni recenti (circa 1966) rimasero ancorati a interessi politici e ideologici determinati dalla questione inevitabile delle responsabilità dell'imperialismo tedesco nelle catastrofi del 1918 e del 1945. La controversia politica più ancora che storiografica suscitata da F. Fischer (Griffnach der Weltmacht, 1961) fu uno dei moventi a stabilire più sicuri criteri di metodologia storica con particolare riguardo al marxismo e a M. Weber da un lato e alla scuola delle Annales dall'altro lato. Non è poi caso che i due maggiori teorici della storia del periodo 1970-75 hanno scritto negli anni precedenti opere di storia prussiana: R. Koselleck (Preussen zwischen Reform und Revolution, 1967) e H.-U. Wehler (Bismarck und der Imperialismus, 1969). D'altra parte il ritorno della scuola di Francoforte (Th. W. Adorno e M. Horkheimer) alla sua patria originale e gli sviluppi che vi ha preso soprattutto per opera di J. Habermas, informatissimo per conto suo di pensiero americano, hanno consolidato i contatti, spesso assai critici, con la sociologia americana. È probabile che altri emigrati tedeschi in America, come H. Rosenberg, autore di Bureaucracy, aristocracy and autocracy: the Prussian experience, 1640-1815 (1958), abbiano contribuito alla mediazione tra le due culture. Ma nessuno degli esperti che ha scritto in argomento ha ancora chiarito la situazione. Ciò che è evidente è l'influenza americana e francese nel tipo di ricerche organizzate da nuovi istituti, come il Planck Institut für Geschichte fondato nel 1956, e in pubblicazioni individuali. In Inghilterra il riorientamento verso forme francesi e americane (soprattutto francesi) di storia sociale è innegabile. Il periodico Past and Present si considera localmente una versione inglese delle Annales e come tale pare sia riconosciuto dalle Annales stesse. Influenza francese sembra evidente nel gruppo di Cambridge interessato a storia della popolazione e della struttura sociale a livello di villaggio, che è guidato da P. Laslett. Tra Inghilterra, Francia e America sta l'importante lavoro di L. Stone, inglese professore a Princeton, sulla società inglese del Cinque e Seicento. D'ispirazione francese sono gli studi ormai classici di K. Thomas sulla magia del Seicento e di R. Cobb su vari aspetti della rivoluzione francese. Storici di prim'ordine che si considerano marxisti come Chr. Hill, E. Hobsbawm e E. P. Thompson hanno di fatto scelto nei loro lavori maggiori più recenti temi e metodi vicini alle Annales. E resterebbe da misurare l'influenza dell'unico storico di storia antica che oggi in Inghilterra sia capace di parlare con autorità a storici di altri periodi: M. I. Finley, americano di origine, formatosi alla scuola di Francoforte nella sua fase americana e strettamente legato con gli storici antichi delle Annales; una chiara conferma di quanto si veniva dicendo. Italiani fanno parte da lungo tempo della équipe delle Annales (R. Romano, A. Tenenti). Altri più giovani, come C. Ginzburg, procedono in sostanziale accordo nella tematica di studio delle mentalità, nella preferenza per i ceti contadini e nell'interesse per le azioni simboliche. La nuova Storia d'Italia dell'editore Einaudi è una chiara, sebbene non del tutto coerente, indicazione di questa collaborazione italo-francese. Anche le critiche di F. Diaz partono da un sostanziale accordo. Meno chiaro è il rapporto con la sociologia e antropologia americana e con la nuova storia economica, anche perché R. Lopez e C. Cipolla, storici italiani attivi in America, hanno in Francia le loro origini intellettuali. Ma A. Gerschenkron è stato seguito con attenzione e discusso al di là delle sue interpretazioni specifiche del capitalismo italiano; e Gerschenkron (morto nel 1978) per il suo limpido umanesimo rimane invero uno degli storici americani più vicini all'Europa donde proveniva.
È troppo chiaro che nel delineare questa prospettiva di influenze francesi e americane ora divergenti e ora confluenti s'indica un clima di opinione più che un bilancio di risultati scientifici. Tra la scuola e il risultato della ricerca c'è uno scarto incompensabile. Storici non alla moda o perché convenzionali o perché troppo originali, troppo sé stessi, contano spesso di piò per risultati che non i seguaci di scuole prevalenti. Ciascuno di noi può guardarsi attorno e domandarsi a chi debba di più, e verranno fuori nomi che non rientrano facilmente nel quadro ora delineato o in qualsiasi altro quadro. Chi scrive, per es., dovrebbe aggiungere ai nomi di M. I. Finley, F. Braudel e J.-P. Vernant, impegnati nella ristrutturazione attuale della ricerca storica su base franco-americana, altri nomi come E. Bickerman, L. Robert, H.-I. Marrou (di recente scomparso), B. Bailyn, C. Dionisotti, F. Venturi e P. Brown, che hanno scritto nei campi della loro competenza in forma non riportabile a scuola. La storia dell'astronomia antica di O. Neugebauer (1975) conterà presumibilmente di più di molte opere di scuola. E conteranno di più, in definitiva, variazioni lente in specifici argomenti - come, in argomento familiare a chi scrive, la crescente importanza dello studio del giudaismo ellenistico e rabbinico per la comprensione delle origini cristiane. Per di più c'è nella storia l'elemento irrazionale della scoperta, che talvolta premia chi lo merita e talvolta arriva nelle mani dei folli. Con il moltiplicarsi delle scoperte epigrafiche, papirologiche e più generalmente archeologiche, c'è da tener conto, in specie per le età più remote, di semi-rivoluzioni storiografiche dovute al semplice rinvenimento di nuovi dati. Ciascuno di noi ha presente la sorpresa, non ancora esaurita, dei testi del Mar Morto, per la storia appunto del giudaismo al tempo di Gesù, dei documenti gnostici di Egitto per il cristianesimo del 2° secolo e dei vari ritrovamenti di testi manichei, fino alla recente scoperta di una vita di Mani. La storia dell'Oriente semitico più antico è di nuovo punteggiata negli ultimi cinquant'anni da rinvenimenti di interi archivi, ed è ora la volta di Ebla, l'antica capitale di uno stato in Siria, con un archivio ammontante a parecchie migliaia di testi destinati a rinnovare la storia del vicino Oriente nella seconda metà del 3° millennio a. Cristo. Tra il modello nuovo e il fatto nuovo la circolazione della ricerca è, per fortuna, imprevedibile. Meno chiaramente definibile è il valore di fatti nuovi, quando non rappresentino scoperta, ma integrazione di conoscenze precedenti, come sta avvenendo per es. nelle monografie di storia economica italiana pubblicate dalla Banca Commerciale. La trasformazione delle nostre conoscenze in storia economica e sociale almeno in parte si compie in tutto il mondo in questa forma modesta.
Fin qui siamo all'ovvio. Ciò che è meno comprensibile, s'intende a chi scrive, è il rapporto fra la discussione teorica su quel che sia storia e l'effettiva ricerca storica degli ultimi quindici anni. La tensione tra i teorici e i praticanti della storia è fenomeno normale (anche se il teorico e il praticante siano la medesima persona) e ha i suoi paralleli in qualsiasi altra scienza. Ma negli ultimi anni lo scarto tra teoria e pratica storiografica ha assunto aspetti nuovi. Il più cospicuo sembra essere rappresentato dalla sproporzione fra la discussione teorica sul marxismo e le sue conseguenze nella ricerca storiografica. Per ragioni ovvie in Europa occidentale il marxismo come teoria ha acquistato nell'ultimo decennio un'importanza corrispondente al suo peso come forza politica e si è reso molto più indipendente dai modelli russi, che del resto, insufficientemente tradotti, erano noti a pochi. Si è avuta dunque una viva discussione di metodo in ogni paese: con le varietà che si possono aspettare in ciascuna cultura. Appunto perché in Francia la ricchezza di nuove metodologie storiche è stata maggiore che altrove in Europa, gli scrittori marxisti si sono trovati impegnati in battaglie su vari fronti: l'esistenzialista, il cattolico, lo strutturalista, per non parlare di un più vago - ma forse in definitiva più difficile - riassestamento di posizioni marxiste e non marxiste nell'interno del gruppo delle Annales. Va al di là del nostro scopo riandare su queste discussioni. Basterà fermare due o tre punti. L'esistenzialismo è stato il movimento di pensiero francese meno ricco di conseguenze storiografiche, salvo che in biografia (dove lo stesso J.-P. Sartre ha provveduto modelli) e forse in storia delle religioni. Perciò dalla polemica marxista contro l'esistenzialismo non ci si potevano aspettare importanti sviluppi storiografici. Non così sul fronte strutturalista. E di fatto una "eresia" di origine strutturalista si è insinuata nel marxismo e ha fatto fortuna con L. Althusser, mentre sul terreno concreto della ricerca antropologica ci sono autorevoli esempi, come quello di M. Godelier, di tentativi di marxismo strutturalista. E si può dire non c'è studio recente delle Annales che non dia l'impressione di una maggiore attenzione a problemi di forme di produzione e di contraddizioni interne alle medesime. In Germania si deve soprattutto a J. Habermas quel risoluto inserire i problemi della tecnica moderna nelle questioni di alienazione che ha ridato freschezza e vigore al pensiero marxista tedesco. Che egli sia tutt'altro che solo può, per es., servire di prova l'opera di Chr. Meier in storia antica e in teoria della storiografia. In Italia si doveva inevitabilmente partire dall'eredità di Gramsci; ma ciascuno può riconoscere nel campo di sua competenza l'influsso di problemi discussi in Francia, in Germania e in Inghilterra (per es. in storia antica le discussioni sul concetto di classe e su quello di soprastruttura sollevate da M. I. Finley e J.-P. Vernant). La stretta congiunzione di teoria e storia è ovvia in N. Badaloni, S. Timpanaro jr., L. Colletti e altri. Anche in Inghilterra, dopo la perdita di prestigio della filosofia linguistica e analitica, finita nella noia, si sta assistendo a un rinnovato dibattito su concetti economici, etici e giuridici, su cui i marxisti hanno da dire la loro: tra l'altro notevole l'importazione recente di Gramsci e di marxisti italiani accanto ai francesi. Ma alla discussione teorica non pare sia finora seguita una corrispondente produzione di opere storiche in cui le posizioni marxiste siano riaffermate con l'autorità che viene da un sicuro dominio dei fatti. Non si è finora visto nulla di paragonabile a quanto l'opera storiografica di G. Lukács rappresentò prima della guerra. Le opere che vogliono essere programmaticamente marxiste degli ultimi anni (per es. in Inghilterra quelle di P. Anderson sul trapasso da antichità a feudalismo, 1974, e di B. Hindess e P. Q. Hirst sui modi precapitalistici di produzione, 1976) hanno ancora il contrassegno inconfondibile del tema obbligato. Solo in Polonia, con uomini come L. Kolakowski (ora esule in Inghilterra), W. Kula, J. Topolski, il marxismo parla con tono nuovo: soprattutto in Kolakowski indagatore di anime religiose che resistono alla Chiesa organizzata e trovano autenticità fuori di ogni società.
Qualcosa di simile può dirsi per lo strutturalismo francese. Non solo c'è la teoria, ma anche la pratica in opere memorabili sul mito dello stesso Lévi-Strauss, di G. Dumézil e di J.-P. Vernant. Né è necessario ricordare il prestigio di R. Barthes e J. Derrida in critica letteraria. Eppure due osservazioni s'impongono. L'analisi strutturale non sembra (quasi per definizione) poter prendere piede nella storia politica o rendere conto della dinamica dei cambiamenti nelle strutture sociali e culturali stesse. In secondo luogo la negazione dell'evoluzione storica che è esplicita in Lévi-Strauss e in Althusser non è condivisa da Vernant e da Dumézil. Se M. Foucault appare in teoria un negatore del movimento storico, le sue opere di storia sono dettate invece da un profondo e originale senso di cambiamenti intellettuali. È chiaro che definiamo posizioni-limite: sappiamo pure che esiste tanto per Althusser quanto per il suo ispiratore Lévi-Strauss un problema di re-instaurare la diacronia entro la sincronia. Qual è dunque di fatto la relazione tra teoria e pratica in coloro che più o meno rigorosamente si possono oggi chiamare strutturalisti?
Di queste discordanze tra teoria e scrittura storica si potrebbero richiamare altri casi, tanto più che la moltiplicazione dei trattati di metodo storico è uno degli aspetti caratteristici della produzione storiografica degli ultimi anni. Si continua per es. a discutere la vecchia questione se gli storici nelle loro affermazioni applicano implicitamente o esplicitamente delle leggi generali - ma non c'è forse storia contemporanea che non voglia scoprire modelli nuovi, come tali non deducibili da leggi precedentemente conosciute. Anche la più seria recente trattatistica orientata sulla discussione del rapporto tra storia quantitativa e storia tipologica (E. Le Roy Ladurie, 1973), tra retorica del discorso storico e relatività dell'interpretazione storica (Hayden White, 1973), tra soggettività e obiettività del giudizio storico (K. G. Faber, 1971), tra "intrigo" storico e comprensione storica (P. Veyne, 1971), ecc. sembra tenere poco conto degli effettivi metodi d'indagine che nel passato e nel presente hanno caratterizzato i vari storici. È esistita nel passato ed esiste tanto più nel presente una pluralità d'indagini a cui noi riconosciamo il carattere di storia. Il numero di tali indagini si è accresciuto negli ultimi cinquant'anni in modo impressionante, in taluni casi eliminando forme preesistenti, ma in altri casi conservandole. Nessuno più inventa orazioni di antichi capitani o scrive discorsi sulla Prima Deca alla Machiavelli; ma una storia della guerra del Peloponneso alla Tucidide (orazioni escluse) o un'Anabasi o un Bellum Iugurthinum sono ancora concepibili, con qualche approssimazione. D'altra parte basterebbe una tipologia della produzione della scuola delle Annales per dare un'idea dell'inventività di forme storiografiche caratteristica del nostro tempo. Resta da vedere quanto sia effettivamente nuovo in queste novità, e nella congiunta inventività degli Americani. Ma per intanto è da constatare che tutta una serie di nuovi tipi storiografici si è presentata sul mercato negli ultimi decenni (non ci dev'essere stata tanta invenzione dopo il 5° sec. a. C.): storia delle mentalità, storia seriale, storia totale, storia strutturale, cliometria, psicostoria, storia bio-sociologica, ecc. Nel campo specifico della critica biblica nuovi tipi di critica sono stati introdotti; dopo la critica delle forme sono state proposte la critica redazionale, "il Midrash comparativo" (J. A. Sanders), la storia della salvezza (Heilsgeschichte), ecc.
Sembra ovvio concludere che una teoria della storia dovrebbe cominciare con una precisa analisi della nostra eredità storiografica (cioè con una storia della s.) e di lì derivare conseguenze su ciò che è storia oggi. Diventerebbe immediatamente chiaro che (al contrario di quanto avveniva nei manuali tradizionali di metodo storico) i teorici recentissimi dimenticano troppo spesso che fare storia significa studiare fonti. La problematica storica non è mai, se non al caso limite, uno studio dei fatti in quanto tali, ma uno studio delle fonti in quanto in un modo o nell'altro ci dànno i fatti. Con una ricerca storica che spesso cerca i suoi fatti in pezzi di pietra disposti in un certo ordine, in parole di cui si conosce o non si conosce l'ordine o perfino in testi ancora da decifrare, la nozione di quel che sia effettivamente storia promette di essere più interessante di quanto i teorici della storia (se non gli storici stessi) effettivamente sospettino.
Bibl.: Le seguenti opere sono necessarie per una prima orientazione: H. Stuart Hughes, The sea change. The migration of social thought, 1930-1965, New York 1975; G. G. Iggers, New directions in European historiography, Middletown 1975; T. Stoianovich, French historical method. The annales paradigm, Ithaca 1976. Tra le raccolte di saggi di particolare importanza, Historical studien today, in Daedalus, Winter 1971; Denken über Geschichte, in Wiener Beiträge zur Geschichte der Neuzeit, 1, 1974. Per la conoscenza del pensiero storico francese, essenziali i volumi Faire de l'histoire, a cura di J. Le Goff e P. Nora, Parigi 1974. Ma si dovrà naturalmente risalire alle opere teoriche e dei maestri della scuola stessa (per es. a F. Braudel, Écrits sur l'histoire, Parigi 1969) o a opere di carattere didattico come P. Chaunu, Histoire science sociale, ivi 1974. Per le discussioni sul marxismo in Francia si veda per es. M. Poster, Existential marxism in postwar France, Princeton 1975. Varie collezioni di articoli introducono a correnti storiografiche americane, per es., Psychoanalysis and history, a cura di B. Mazlish, Englewood Cliffs (N. J.), 1963; The psychoanalytic interpretation of history, a cura di B.B. Wolman, New York 1971; New economic history, a cura di P. Temin, Harmondsworth 1973; La nuova storia economica, a cura di P.L. Andreano, Torino 1975. Manca una storia recente della storiografia americana, ma cfr., per es., The state of American history, a cura di H. J. Bass, Chicago 1970; G. Wise, American historical explanations, Homewood (Ill.) 1973. Per la scuola di Francoforte soprattutto nel suo periodo americano, M. Jay, The dialectical imagination: a history of the Frankfurt School and the Institute of social research, 1923-1950, Boston 1973; Z. Tar, The Frankfurt School, New York 1977. Per il pensiero storico tedesco è essenziale tener conto di opere collettive come Geschichte-Ereignis und Erzählung, a cura di R. Koselleck e W.-D. Stempel, Monaco 1973; il dizionario Geschchtliche Grundbegriffe, in corso di pubblicazione, Stoccarda 1973 segg., a cura di O. Brunner, W. Conze e R. Koselleck, il quale ultimo è il reale animatore. È anche da tener conto della rivalutazione di storici precedenti nella serie di Deutsche Historiker, a cura di H.-U. Wehler, Gottinga 1971-72, e le varie scelte di ricerche storiche presentate dal medesimo Wehler con vari titoli dal 1966 in poi (per es. Geschichte und Psychoanalyse, Colonia 1972). Per la Rep. Dem. Tedesca c'è un fascicolo della Zeitschrift für Geschichtswissenschaft (1970), Historische Forschungen in der DDR, 1960-1970. Per la Russia, K. Marko, Sowjethistoriker zwischen Ideologie und Wissenschaft, Güterslob 1964. Per l'Italia la più recente esposizione complessiva è incorporata in La storiografia italiana negli ultimi ventanni. Atti del Congresso di Perugia 1967, MIlano 1970. Qualche aiuto per la recente storiografia inglese in Changing wiews of British history. Essays on historical writing since 1939, a cura di E. C. Furber, Cambridge (Mass.) 1966; G. R. Elton, Modern historians on British history 1485-1945, Londra 1970. Su vari aspetti della storiografia contemporanea illuminano gli atti dei più recenti congressi internazionali di scienze storiche: si notino per es. i due volumi sulla Polonia al XIII Congresso di Mosca, 1970. Numeri speciali del Times literary supplement (per es. 7 aprile, 28 luglio e 8 settembre 1966; 24 novembre 1972) e riviste in specie interessate a questioni di metodo come Annales, History and theory, Saeculum e i Quaderni di Storia (iniziati nel 1975) vanno tenuti presente. Rapidi "orientamenti" recenti: W. Conze, Die deutsche Geschichtswissenschaft seit 1945, in Historische Zeitschrift, 225 (1977), pp. 1-28; E. Le Roy Ladurie, Recent historical discoverie, in Daedalus, 1977, pp. 141-55; R. Romano, La storiografia italiana contemporanea, Milano 1978; M. Mazza, Ritorno alle scienze umane. Problemi e tendenze della recente storiografia sul mondo antico, in Studi Storici, 19 (1978), pp. 469-508.