Strategia
(XXXII, p. 823; App. II, ii, p. 916; III, ii, p. 854; V, v, p. 303)
Parte introduttiva
di Luigi Bonanate
Plurisemanticità del termine
Se in una qualsiasi relazione sociale di tipo competitivo o conflittuale la parte più forte fosse sempre destinata ad avere il sopravvento, saremmo di fronte alla pura e semplice applicazione di un principio deterministico: il calcolo delle forze contrapposte sostituirebbe qualsiasi riflessione prospettica o qualsiasi valutazione delle alternative, che è invece proprio lo specifico compito della s., intesa come applicazione del principio weberiano secondo cui "agisce in maniera razionale rispetto allo scopo colui che orienta il suo agire in base allo scopo, ai mezzi e alle conseguenze concomitanti, misurando razionalmente i mezzi in rapporto agli scopi, gli scopi in rapporto alle conseguenze e infine anche i diversi scopi possibili in rapporto reciproco" (M. Weber, Wirtschaft und Gesellschaft, 1922, 1956⁴; trad. it. 1961, I, I, 2). Tale ampliamento del campo semantico della s. mostra, da un lato, quanto la sua prospettiva si sia estesa nel tempo, ma anche, dall'altro, quanto essa abbia perduto di specificità e intensità tecnico-operativa, come se con il passare dei secoli la sua chiarezza si fosse offuscata.
Infatti, la parola strategia, nata nel mondo greco antico con la specifica funzione di rappresentare l'insieme dei principi operativi con i quali il comandante guida le sue truppe nel corso di una guerra - già in Omero e poi in Platone l'atto di condurre (ἄγειν) l'insieme dei soldati (στϱατπϚ) dà vita alla dimensione astratta della s., da intendere come la tecnica che deve collegare i fini di guerra ai mezzi operativi necessari per raggiungere i primi -, è arrivata ad acquistare alla fine del 20° secolo una plurisemanticità metaforica tale per cui si riconduce alla logica della s. tanto il programma di espansione di un'impresa quanto l'elaborazione di un messaggio pubblicitario, tanto la conduzione di un gioco interattivo quanto la preparazione della campagna elettorale di un partito politico.
Per ricondurre a unità tante problematiche, si potrebbe allora dire che la s. consiste nell'esercizio del calcolo previsionale effettuato in condizioni di incertezza. Sarebbe facile dedurre da tale immenso ampliamento degli usi di questa parola la considerazione secondo cui ogni rapporto sociale o interpersonale sia, in qualche modo, una forma di conflitto: un esempio ben noto ne è la concezione politica di C.Schmitt, secondo il quale la vita politica nel suo complesso non è altro che una dialettica tra amici e nemici, determinata dunque da una logica strategica. Ma è evidente che se tutto fosse s., più nulla lo sarebbe, e il termine perderebbe la capacità di esprimere il suo significato specifico, che deriva dalla sorgente della sua stessa invenzione, e cioè la guerra: la s. si trova al servizio di questa sia per consentire di vincerla, sia per ricollegare la dimensione della guerra stessa alla sua matrice, ovvero alla conduzione di una politica estera, la quale può anche contemplare la s. di evitare lo scontro e non esclusivamente di vincerlo. Se l'uso elettivo della parola dovrà restare collegato alla dimensione militare, dunque, un primo ampliamento andrà riservato all'incontro tra s. e politica, affidando a funzioni metaforiche ulteriori applicazioni estensive, alla luce della considerazione che ogni agire intenzionale comprende una sua componente strategica.
Generi e specie
Si avrà così la possibilità di distinguere il campo della s. per genere e per specie. Dal primo punto di vista si distinguerà la s. militare da quella politica e dagli usi metaforici. Dal secondo, avrà luogo una separazione tra quella s. che comprende il ricorso alla coercizione e una s. non coercitiva. Ciò consentirà di distinguere ulteriormente s. che contemplano il ricorso alla violenza, sia legittima sia illegale (per es. la guerra ritualmente dichiarata o il programma di azione terroristica) da quelle che invece mirano a evitarne l'utilizzazione (la s. della dissuasione nucleare), e ancora da quelle che non ne contemplano neppure la possibilità, benché essa possa divenirne un elemento accessorio o irrituale, quando per es. una s. competitiva tra grandi imprese dia vita a forme degenerative. Un'ulteriore e conclusiva distinzione sarà quella che separa la s. come scelta soggettiva (all'interno di una relazione conflittuale, le due parti possono seguirne diverse, cosicché avremo un confronto di s. competitive o concorrenziali), dalla s. in quanto strumento neutrale e oggettivo che indica la successione di operazioni necessarie, come guida per raggiungere un certo fine a partire da condizioni iniziali date (definizione che si applica ad ambiti diversi, come nella s. aziendale, che definisce gli obiettivi da raggiungere e pianifica l'uso delle risorse necessarie).
Strategia militare
Nella sua definizione più propria la strategia è, come C. von Clausewitz la espose, "l'impiego del combattimento agli scopi della guerra" (Vom Kriege, 1832-34; trad. it. 1970, iii, i); se si considera che la guerra è a sua volta soltanto una grammatica, senza una logica propria (viii, vi, b), che compete invece ai fini politici della guerra, ne risulta che l'ambito di applicazione della s. si trova specificamente rivolto ad armonizzare fini politici e fini militari, ovvero gli obiettivi posti alla guerra con l'impiego delle forze a disposizione. È per questo che Clausewitz non solo accosta alle qualità tecnico-operative (come l'audacia o la perseveranza, la sorpresa o l'astuzia) quelle politiche e intellettuali, ma addirittura antepone queste alle altre a causa del ruolo decisivo che nel perseguimento di qualsiasi impresa hanno le "forze morali", al cui confronto il puro tecnicismo militare finisce per risultare il più delle volte cieco, come si può constatare in conduzioni militari quali quelle delle 'guerre lampo' volute dagli Stati maggiori tedeschi nella Prima e nella Seconda guerra mondiale o, di recente, della guerra del Golfo del 1991, risoltasi con l'intervento armato di una coalizione militare, ma cui non è seguita una significativa vittoria politica. Questa fondamentale distinzione consente di comprendere le ragioni per cui anche una grande potenza può essere sconfitta da un avversario infinitamente più debole: è questa la lezione impartita agli Stati Uniti dalla guerra del Vietnam, durante la quale lo Stato più potente e armato della Terra fu costretto alla ritirata dall'esercito di uno Stato piccolo e diviso. Lo stesso avvenne in Afghānistān per l'URSS nel 1989.
Principi di strategia
La s. ha quindi la funzione di cinghia di trasmissione tra volontà politica e razionalità operativa, la composizione delle quali conduce all'individuazione dei quattro ipotetici anelli di una catena cui è possibile riferire quella che potremmo chiamare la strategia del conflitto (la cui portata è, in quanto tale, assumibile anche in contesti non violenti o metaforici). Il raggiungimento di un obiettivo può avvenire infatti o in via diretta o, seguendo una tecnica di aggiramento, in via indiretta; d'altra parte, a qualsiasi attore sociale può succedere di trovarsi in una posizione aggressiva o difensiva. Da questa doppia bipartizione deriva come il successo della propria iniziativa possa essere perseguito passando dall'una all'altra di quattro diverse impostazioni, poste in ordine di crescente intensità: dissuasione, minaccia, attacco, difesa. L'uso stesso di questi termini ci ricorda che nessun gioco di s., per così dire, contempla la possibilità di forme di cooperazione, una volta che l'eventuale formazione di alleanze o coalizioni abbia comunque determinato l'opposizione dualistica che contraddistingue ogni conflitto, ma esclusivamente forme di verifica della propria superiore capacità strategica. È importante osservare che le quattro impostazioni strategiche ricordate si propongono di raggiungere fini diversi e con modalità tra loro alternative.
Tra le prime due forme, estensive, quella dissuasiva è più redditizia della seconda perché si sforza di ottenere un non fare dall'altro, mentre la seconda comporta l'impegno di agire direttamente, ancorché ci sia la speranza di evitarlo: entra così in gioco la dimensione, assolutamente centrale, della credibilità o, in altri termini, della capacità di convincimento che viene espressa e comunicata con la propria dichiarazione di intenti.
La s. dissuasiva inoltre consente una maggior ricchezza di alternative rispetto all'altra, mentre la minaccia diretta, ove non portata a effetto, finirebbe addirittura per nuocere a chi l'avesse profferita. Il caso intermedio dell'ultimatum è esemplare nel suo proporsi, secondo una formula tradizionale, di "tagliarsi i ponti alle spalle" per convincere l'avversario della propria determinazione: è ciò che in sostanza successe nel 1914, quando l'impero austro-ungarico, forse non ancora del tutto determinato a dare guerra alla Serbia, finì prima per trovarsi invischiato nella stessa minaccia e poi addirittura per crollare in seguito al suo portarla a termine. Si potrà quindi dire che la dissuasione rappresenta la più perfetta forma di s., dato che essa consente, quando abbia effetto, di raggiungere senza alcun costo materiale gli stessi risultati altrimenti perseguibili esclusivamente con l'impegno diretto.
Considerazioni simmetriche, seppure a una mutata scala di intensità, comporta la seconda coppia ricordata, quella relativa ad attacco e difesa, che non si trovano tra loro su un piano paritetico: l'attacco implica che chi conduce l'azione lasci la propria base per ampliare la sfera del suo controllo ai danni dell'avversario, mentre la difesa gode della superiorità che le deriva dal poter attendere l'azione dell'avversario e quindi comportarsi di conseguenza. Alla mancanza di iniziativa, infatti, chi difende risponde con la compattezza che gli deriva dalla possibilità di modulare la propria azione, mentre l'attacco, una volta lanciato, non ha altra speranza che lo sfondamento delle linee nemiche (la conquista dell'obiettivo), in assenza del quale chi attacca rischia di trovarsi con linee logistiche allungate e dunque vulnerabili. Seppure facile da dimostrare teoricamente, questa constatazione trova ancora più clamorose e note manifestazioni nella storia, tanto nel caso dell'attacco napoleonico all'impero zarista, quanto in quello dell'attacco nazista alla Francia nella primavera del 1940. Con ciò non si nega a chi difende la possibilità di compiere a sua volta degli attacchi, ma gli si offre soprattutto quella, ove abbia resistito all'avversario, di operare dei contrattacchi in modo più lucido, come successe nella Seconda guerra mondiale (si pensi al dibattito davvero 'strategico' tra Roosevelt, Churchill e Stalin sulla determinazione del secondo fronte) o come fece il Vietnam del Nord con la sua decisiva offensiva del Têt nel gennaio 1968.
Strategia politica
Benché al loro più alto grado guerra e politica si confondano, non è detto che ogni s. sia militare, se non altro nel senso che essa, come ogni altra 'tecnica', è un prodotto del suo tempo: non soltanto, quindi, a epoche diverse corrisponderanno s. diverse, ma da condizioni politiche diverse discenderanno diverse concezioni del rapporto tra politica e guerra, che cercheranno la s. adeguata al loro tempo.
È in effetti qualche cosa di più che un caso delle vicende linguistiche il fatto che la stessa parola strategia abbia subito, nei secoli, un periodo di oblio, venendo sostituita nella Roma antica dalla res militaris e diventando addirittura dopo il Medioevo e fino alla Rivoluzione francese l'arte militare. E se la res militaris evocava in qualche modo il senso della dominazione romana nel mondo, cosicché non di conduzione strategica sembrava trattarsi, ma semplicemente di gestione del controllo territoriale, l'arte militare, a sua volta, non faceva che corrispondere allo spirito guerresco dell'età della formazione e dello sviluppo dello Stato moderno, durante la quale la forza combattente era prevalentemente rappresentata da soldati mercenari (che dunque non si identificavano con alcun ideale patriottico) e l'esercizio della ragione strategica era affidato ai grandi condottieri, a loro volta al servizio del sovrano più prestigioso o più danaroso, cosicché la loro abilità nel condurre le truppe poteva venire assimilata a una vera e propria attività creativa, libera da condizionamenti politici o affettivi. Illustra massimamente questa condizione la circostanza che le operazioni militari condotte nell'età della concezione patrimonialistica dello Stato non avevano prevalentemente l'obiettivo di sconfiggere un avversario in campo aperto, ma consistevano piuttosto nelle più prosaiche e lente operazioni dell'assedio, del movimento di truppe, delle manovre di aggiramento, talché subito prima della Rivoluzione francese la s. venne addirittura formalizzata come scienza "geometrica" perché, nelle parole di D.A.H. von Bülow, essa non sarebbe altro che "la scienza dei movimenti di guerra compiuti al di fuori del campo visivo del nemico" (Geist des neuen Kriegssystem, 1798).
L'attenzione che venne rivolta dalla strategia geometrica ai movimenti sul territorio consente tanto di ricollegare la teoria strategica alle trasformazioni rivoluzionarie che stavano per balzare in primo piano sulla scena internazionale, quanto di dare conto della componente tellurica, ovvero geografica (e quindi geopolitica o geostrategica), della lotta che andava a sua volta mutando natura. Per quanto riguarda quest'ultima dimensione, in primo luogo andrà considerato l'interesse innovativo che la conquista di spazi rivestiva per gli Stati, specie quelli più sviluppati e ormai avviati sulla via di un capitalismo liberistico destinato a successi ed espansioni di immensa portata. In modo particolarmente intenso a partire dal 18° secolo, i commerci internazionali che si svolgevano principalmente per mare furono prevalentemente controllati dall'Inghilterra e dai Paesi Bassi, consapevoli del fatto che la stessa sicurezza nazionale passava attraverso la potenza finanziaria e marittima. Stava per affermarsi, in altri termini, una nuova considerazione relativa al controllo dei mercati e immediatamente dopo delle materie prime o delle merci più pregiate, la quale era una prefigurazione di quello che nel 20° secolo si sarebbe affacciato come il problema del controllo delle risorse strategiche, prima fra tutte naturalmente quella del petrolio. È comprensibile dunque che un'attenzione crescente venisse posta alle dimensioni geopolitiche dell'azione commerciale ed espansiva degli Stati più avanzati, spingendo così anche gli studiosi a introdurre nelle loro analisi quelle dimensioni spaziali, geoeconomiche e infine geostrategiche che, quando nel 20° secolo gli studi internazionalistici si specializzarono, sarebbero entrate a pieno diritto nel loro campo di ricerca (basti osservare che uno dei massimi teorici delle relazioni internazionali, R. Aron, avrebbe dedicato proprio a questi aspetti ben tre capitoli del suo Paix et guerre entre les nations, 1962).
Nel 19° secolo vere e proprie filosofie della storia, con le loro applicazioni dottrinarie, si sono sforzate di interpretare le grandi svolte della storia proprio attraverso categorie di tipo geografico, come l'individuazione delle potenze insulari o di quelle continentali, la ricostruzione di scenari geografici impostati sul destino dominante di certe terre su altre, o di potenze marinare su quelle continentali, e così via (Lorot 1995). Tutt'altro che casuale è, infine, che proprio nel momento in cui la Rivoluzione industriale diffuse massimamente i suoi frutti il pensiero politico filosofico dominante individuò (con studiosi come B. Constant, R. Cobden, F. Bastiat, James Mill) nella conquista pacifica dei mercati una s. migliore di quella militare per l'affermazione della potenza degli Stati: la guerra distrugge, il commercio arricchisce. Ma si tratta di una direttrice di sviluppo che non avrebbe potuto affermarsi se la struttura della vita internazionale fosse restata incardinata sul gioco patrimonialistico svolto tra un manipolo di sovrani che facevano della loro politica estera un 'capriccio'. Lo Stato, infatti, in quanto composizione organizzata di un territorio e di una popolazione, irruppe davvero sulla scena mondiale soltanto nell'età delle grandi rivoluzioni (quella americana dapprima e poi, più significativamente, quella francese), grazie alle quali la sovranità sfuggì dalle mani dei principi per ricadere in quelle del popolo, che rivendicava il diritto a disporre di se stesso e a decidere quali forme di governo darsi. Fu questa la condizione per la quale si poté affermare la concezione stessa del 'confine', con in primo luogo la decisione su a chi toccasse difendere la patria (dunque, non più a truppe mercenarie) e quale fosse la conformazione di quest'ultima: la levée en masse che i dirigenti rivoluzionari proclamarono per organizzare la difesa della Francia contro la coalizione legittimista guidata dalla Prussia trovò nel 'principio dei confini naturali' la parola d'ordine che consentì alla società francese di cogliere la vittoria nella battaglia di Valmy (20 sett. 1792), vittoria che non solo arrestò, per allora almeno, lo scontro europeo, ma trasformò radicalmente le concezioni della guerra. La s. poté proclamare in quel momento la fine del suo lungo oblio teorico perché l'irruzione delle masse nella storia (da allora destinate a contare sempre di più) trasformò completamente le regole del gioco bellico. Nello spazio di pochi anni, se non mesi, apparvero gli eserciti nazionali, regolari ma anche irregolari: ne avrebbe fatto l'amara esperienza Napoleone, che tra il 1808 e il 1812 vide il suo sogno di dominazione infranto dapprima dalla guerrilla spagnola e poi dalla resistenza di popolo in Russia, esaltata dalla s. davvero geopolitica del ripiegamento continuo sotto l'ala protettiva del 'generale inverno'. L'Europa stava del resto per conoscere anche un'ulteriore forma di lotta, quella della guerra di indipendenza (Grecia, 1825-28), che sarebbe stata il vettore dell'affermazione di due nuovi grandi Stati, la Germania e l'Italia unita (il ii Reich venne proclamato il 18 gennaio 1871, mentre il 20 settembre dell'anno precedente Roma era stata conquistata dalla monarchia sabauda), e che, dopo poco meno di un secolo, si sarebbe rinnovata nelle lotte di emancipazione dei popoli ancora oppressi dai regimi coloniali.
Storicità della strategia
Tra le sue tante peculiarità, il 20° secolo ha avuto anche quella di aver visto lo sviluppo, nel suo corso, di ogni tipo di guerra, sia in forme rinnovate di modelli classici, sia in altre originali e imprevedibili. Accedendo a una definizione molto estensiva della s., potremmo in altri termini dire che il secolo che si è concluso è stato caratterizzato dal trionfo della dimensione strategica nelle relazioni umane, con riferimento sia alla s. per la conquista del potere all'interno degli Stati (con un'estensione che va dalla competizione elettorale nei paesi nei quali il regime democratico va progressivamente affermandosi alla vittoria violenta raggiunta al termine di una rivoluzione, come avvenne tanto in Russia nel 1917 quanto nella Cina del 1949), sia alla s. per la lotta ideologica (come fu nel caso della Seconda guerra mondiale, condotta sul filo di s. insieme innovative e devastanti), sia infine alla s. per la conquista del potere mondiale (ciò che si verificò attraverso la cosiddetta guerra fredda tra i blocchi), che ha rappresentato la più sofisticata e astratta forma di applicazione di una s. tanto pura ed essenziale da poter rinunciare persino al ricorso materiale al principale strumento della s., la guerra.
Ma la ragione di tutte queste manifestazioni è del tutto estrinseca e trova il suo fondamento ancora nella trasformazione radicale che la politica conobbe dopo la Rivoluzione francese: incarnandosi in nazioni, la politica pose necessariamente al suo centro la società, quella degli individui e non più quella dei sovrani e della loro corte. Ciò implicò che la lotta politica, seppure ancora confinata a scontro tra élites, avesse per destinatari milioni di persone e che l'oggetto del contendere fosse la modalità dell'organizzazione dei loro rapporti economico-sociali, in una parola la forma di Stato. L'ideologia irruppe così sulla scena planetaria, 'sconfinandone' ogni limitazione territoriale, storiografica o culturale: socialismo, nazifascismo e democrazia sono ben più che scelte politiche, perché comportano un più ampio, totale (e in alcuni casi totalitario) impatto su ogni aspetto della vita dei cittadini, con riferimento tanto ai rapporti sociali quanto a quelli economici, vere e proprie s. di lotta politica. La dimensione planetaria che progressivamente tutto ciò ha assunto nel corso del 20° secolo ha imposto conseguentemente ai gruppi politici e sociali di dare vita ad apparati organizzativi di grande complessità, ciascuno dei quali si è trovato non più a gestire l'esistente (come era ai tempi della vita di corte), ma a doversi dare una s. per la conquista del potere o per il raggiungimento del successo nelle proprie iniziative, politiche, industriali o finanziarie. Che cosa altro sarebbe, nella lettura di Lenin, l'imperialismo, se non una globale e possente (seppure autodistruttiva) s. per l'egemonia mondiale? Il dominio della s. si è espanso, come attraverso una serie di cerchi concentrici, dalle più semplici fino alle più complesse forme di organizzazione politico-sociale interna e internazionale. Ciò è avvenuto non soltanto attraverso le due grandi guerre mondiali, che sono state un po' la rappresentazione emblematica e parossistica dell'eccezionalità del secolo, ma anche attraverso il progressivo ampliamento dei limiti del sistema internazionale, determinato dall'incremento costante del numero degli Stati sovrani (42 nel 1900, 66 nel 1946, 122 nel 1964, circa 200 alla fine del secolo, cosa che ovviamente ha moltiplicato gli intrecci tra s. e politica) e dal formarsi di capillari reti di alleanze politico-militari le quali hanno attirato su di sé, nell'ultimo mezzo secolo, la massima concentrazione concettuale e operativa della teoria strategica. Se si aggiunge a ciò che accanto all'aumento del numero degli Stati si è assistito alla nascita e all'impetuoso sviluppo di nuovi soggetti di azione internazionale, quali la vecchia Società delle Nazioni, l'attuale Organizzazione delle Nazioni Unite e le ormai ventimila organizzazioni internazionali, governative e non, si comprende agevolmente come la conduzione della propria azione diventi, per qualsiasi soggetto, un problema essenzialmente di s., intesa ora nel suo senso oggettivato di riflessione teorico-pratica rivolta al raggiungimento del proprio obiettivo, tenuto conto inoltre del grado di particolare complessità strategica che assume la teoria delle decisioni in un ambiente così ricco di interazioni.
La ragione più importante della centralità della s. nel mondo contemporaneo deve certamente essere individuata nella comparsa sulla scena internazionale della bomba atomica che, con la straordinaria varietà delle sue applicazioni militari (indotte da una ricerca scientifica finalizzata al più paradossale dei fini, la costruzione di arsenali talmente potenti e devastanti da non dover mai essere messi in azione), ha influito sulla natura stessa della guerra, finendo per renderla, in un certo metaforico senso, 'impossibile', almeno come strumento diretto per la risoluzione del confronto globale tra paesi a democrazia capitalistica e paesi a regime socialista. Al di sotto di questa condizione nucleare, alla quale un interesse scientifico vivissimo fu dedicato negli anni Sessanta e Settanta del 20° secolo (cioè fin tanto che il pericolo dell'annientamento nucleare parve prossimo, tanto che l'equilibro del terrore sembrava l'unica possibile s. per la sopravvivenza), si è sviluppata logicamente una struttura strategica di immensa complessità e straordinariamente ricca di variabili, quali: il ricorso allo spionaggio e all'opera dei servizi segreti nel tentativo di carpire i segreti del progresso tecnologico dell'avversario o le sue intenzioni; l'opera di sovversione elaborata nei paesi più arretrati o poveri in vista di una sollevazione popolare; l'intervento militare diretto ma applicato secondo una s. di 'bassa intensità', allo scopo di poter continuare a ricorrere allo strumento militare pur senza il pericolo di innescare quell'escalation che, saldando la soluzione di continuità tra armi tradizionali e armi nucleari, avrebbe rischiato di precipitare il mondo in un conflitto non voluto; la s. di penetrazione pacifica attraverso la quale raggiungere il potere, con la sua variante violenta rappresentata invece dalla s. dei gruppi terroristici. Stati Uniti e Unione Sovietica, insomma, insieme con i loro alleati, svilupparono nel quarantennio della loro comune egemonia mondiale una vera e propria s. globale, che comprendeva tanto il lato puramente militare quanto l'aiuto o la pressione economici, tanto lo scontro ideologico e la penetrazione culturale quanto la contestazione dei grandi modelli sviluppata non soltanto dai movimenti giovanili europei ma anche da altri Stati, come nel caso della Cina.
Dopo che questo stato di cose ebbe trovato la sua conclusione nella caduta del muro di Berlino (9 nov. 1989), la s. fondata sull'equilibrio del terrore ha finito per suscitare in alcuni persino una sorta di nostalgia per l'efficacia e la solidità che essa aveva dimostrato, avendo impedito che il conflitto più attentamente e più costosamente preparato di tutta la storia umana avesse luogo. Gli argomenti a favore di questa posizione vengono individuati nella vera e propria caduta di ogni certezza strategica che è conseguita alla fine del bipolarismo, e sarebbe difficile negare che ciò sia vero. Ma ben diversa risulterà la prospettiva a chi riflettesse sul fatto che a una situazione così poco libera e democratica ne è succeduta una, nella quale ogni paese può in sostanza darsi una propria autonoma s., per gestire la sua collocazione in un mondo interdipendente, nello stesso tempo ugualitario (non nel senso delle ricchezze e dello sviluppo economico-sociale, ma in quello dell'autonomia decisionale) e dunque infinitamente più incerto e aperto a ogni nuova strategia. L'agenda politica internazionale di ogni Stato si compone così di voci e interessi che non corrispondono più a quelli del passato: basta pensare alle trasformazioni interne che una struttura importante come la NATO ha dovuto subire nel passaggio da perno strategico dell'alleanza occidentale a organizzazione difensiva cui hanno aderito paesi ex comunisti e potrebbe persino aderire la Russia, il paese per combattere il quale essa era stata costituita. Paradossalmente, inoltre, negli anni del conflitto nella ex-Iugoslavia la NATO si è trovata dapprima quasi in concorrenza con l'ONU nei tentativi di sedare lo scontro, e in seguito (autunno 1995) ne è divenuta il braccio armato, allorché il suo intervento ebbe per conseguenza gli accordi di Dayton. Ancora un'altra configurazione è quella cui ha dato vita la NATO quando si è sottratta alla supervisione dell'ONU, così mettendo in evidenza la possibilità che due disegni strategici si sviluppino in parallelo rivelandosi 'incomunicanti'. Tutto questo risulta dall'attacco rivolto contro la Serbia che la NATO, nella primavera 1999, ha affidato prevalentemente agli Stati Uniti, nell'intenzione di evitare, o quanto meno arrestare, la nuova manifestazione del nazionalismo serbo, che si è rivolto con inusitata durezza contro la popolazione albanese residente nella regione del Kosovo appartenente alla Federazione Iugoslava. Si potrebbe dire che in tal modo la Serbia, avendo dapprima utilizzato un'analoga s. contro la Bosnia (nonché, con alterni risultati, contro la Croazia), abbia fatto ricorso a un altro modello ben noto nella storia strategica, quello della strategia del carciofo, destinato a rappresentare le varie e successive fasi di un ampio e ambizioso progetto di dominazione, che potrebbe (se non identificato e contrastato) rivelarsi estremamente pericoloso per la comunità internazionale nel suo insieme. D'altra parte, estremamente importante sarebbe, per ogni governo, stabilire se la sua s. debba preferenzialmente favorire la centralità di quella parvenza di governo mondiale che il Consiglio di sicurezza dell'ONU di tanto in tanto esprime (in tal modo, per es., nella prima fase della crisi tra Kuwait e Iraq, estate-autunno 1990), oppure rassegnarsi a riconoscere direttamente la superiorità politica, militare ed economica degli Stati Uniti, lasciando loro (come nella seconda fase, quella militare, della guerra del Golfo, 17 genn.-28 febbr. 1991) la cura e la responsabilità di un nuovo ordine mondiale, la cui decisiva dimensione strategico-globale pare, allo stato attuale, essere la cosiddetta globalizzazione, ovvero quell'immenso fenomeno di copertura planetaria di ogni e qualsiasi iniziativa economico-finanziaria le cui applicazioni e ripercussioni possono percorrere tutto il pianeta nel giro di pochi minuti, così come hanno dimostrato le varie tempeste monetarie degli ultimi anni.
In sostanza, si direbbe che alla s. della sopravvivenza, che aveva dominato la seconda metà del 20° secolo, sia andata sostituendosi negli ultimi anni una s. della globalizzazione, culturale ed economica, la cui maggiore peculiarità sembra risiedere comunque non nella sua conduzione da parte di una o più grandi potenze, ma al contrario nella sua impersonalità, che si compone, da un lato, di deterritorializzazione delle imprese (con la conseguente intassabilità dei loro utili), di volatilità delle interazioni finanziarie e valutarie, di interdipendenza tra i mercati (di produzione o di sbocco), di incontrollabilità dei flussi migratori e quindi della mano d'opera; dall'altro lato, di sviluppo contestuale (difficile dire se si tratti di un'altra variante della globalizzazione, oppure di una forma di resistenza nei suoi confronti) e di reti sovranazionali che, con maggiore (come nel caso dell'Unione Europea) o con minore (come nei casi del NAFTA, del Mercosur, dell'ASEAN e di alcuni mercati comuni infraafricani) forza e fortuna mirano invece a perfezionare modelli di integrazione non soltanto economica, ma anche politico-culturale. Si ha l'impressione, dunque, che il mondo sia rimasto privo di una qualsiasi strategia. Considerando però che la più grande lezione impartita dal 20° secolo è consistita nel fatto che il regime democratico si è dimostrato più solido e resistente agli attacchi di ogni altro che lo ha sfidato e che sviluppo democratico e bellicosità stanno tra loro in relazione inversa, la s. per il 21° secolo potrebbe consistere nell'impegno per l'estensione della democrazia a tutti gli Stati del mondo.
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L'influenza delle tecnologie militari sulla strategia. Guerra ed evoluzione tecnologica nel secondo dopoguerra
di Carlo Jean
È sempre esistito un rapporto molto stretto fra tecnologia, s. e guerra. Lo stato dello sviluppo tecnologico, in particolare il rapporto di superiorità o di inferiorità strutturale che la tecnologia determina di volta in volta fra attacco e difesa, ha molto spesso condizionato la stessa possibilità politica di utilizzazione della forza militare.
Gli attori della corsa al riarmo tecnologico
Nonostante la stabilità nucleare basata sul terrore, durante tutto il secondo dopoguerra è proseguita incessante una poderosa corsa al riarmo qualitativo, basato sull'utilizzazione a scopi militari delle tecnologie più moderne. Tale riarmo è stato facilitato sia dall'elevato ritmo dello sviluppo scientifico e tecnologico in campo civile, sia dal fatto che l'innovazione delle armi e degli equipaggiamenti militari è diventata un processo organizzato e finalizzato anche in tempo di pace. In passato, tale stretta relazione fra militari e scienziati non esisteva o si attivava soltanto nel corso delle guerre di lunga durata. Nei paesi più avanzati, in particolare negli Stati Uniti, che fondano proprio sulla superiorità tecnologica la loro supremazia militare e la loro s. mondiale, circa la metà dei fondi pubblici destinati alla ricerca scientifica e tecnologica proviene dai Ministeri della Difesa ed è finalizzata ad applicazioni militari. Le industrie degli armamenti ad alta tecnologia svolgono un ruolo trainante e sono spesso i fattori più dinamici nella stessa programmazione dello sviluppo delle forze armate, imponendo ai militari nuovi sistemi d'arma e anche nuove concezioni operative e tattiche. Gli Stati maggiori per loro natura sono più conservatori, tendono a evoluzioni soprattutto progressive, senza soluzione di continuità, e sono portati a non alterare gli equilibri esistenti fra le singole forze armate in tema di ripartizione dei compiti e dei finanziamenti. Si possono quindi determinare legami molto stretti fra istituzioni militari e industrie ad alta tecnologia, con la creazione di quello che il presidente americano D.D. Eisenhower chiamò il complesso militare industriale. Esso può provocare un'ingiustificata corsa alla sofisticazione tecnologica, indipendentemente da ogni valutazione di efficacia strategica e talvolta anche tattica, producendo fenomeni negativi: da un lato quello conosciuto come arsenale barocco (Kaldor 1981), dall'altro quello denominato disarmo strutturale. Il costo di un nuovo sistema d'arma è circa doppio o triplo del sistema d'arma della generazione precedente: ciò provoca una riduzione del parco materiali e una contrazione della struttura delle forze, in quanto i bilanci militari non possono seguire una tendenza alla crescita altrettanto accentuata; inoltre, la riduzione delle strutture aumenta enormemente la vulnerabilità dell'insieme, poiché diminuisce la capacità di adattarsi a circostanze impreviste ed espone a efficaci contromisure operative e tecnologiche, condizione questa che ha costituito una delle cause del collasso dell'Unione Sovietica. Per questo, l'impiego di tecnologie innovative in campo militare è estremamente rischioso e può provocare diseconomie e anche veri e propri disastri economici e strategici. Il ritmo dell'innovazione, inoltre, è tanto rilevante che le nuove armi generalmente non sono state sperimentate in combattimenti reali e, quindi, non è più possibile conoscere il loro rendimento nelle condizioni del campo di battaglia.
La corsa al riarmo tecnologico
La competizione tecnologica in campo militare non può essere separata dall'evoluzione della società. Come è stato detto sopra, nel secondo dopoguerra si è verificata una vera e propria corsa al riarmo tecnologico, non solo per il diverso rapporto - molto più organico e stretto di quello esistente in passato - fra militari, scienziati e industriali, ma anche perché l'Occidente ha sempre cercato di compensare la superiorità quantitativa del blocco sovietico facendo leva sulla propria migliore tecnologia, soprattutto nei settori elettronico e informatico. Inoltre, come vedremo in seguito (v. oltre: Tecnologia militare e tecnologia civile), la stretta connessione fra innovazione scientifica e tecnologica militare e civile ha permesso a sua volta l'abbattimento di parte delle spese per la difesa grazie a ritorni tecnologici riconvertibili provenienti da altri settori: ciò ha consentito di ridurre enormemente il peso, in termini di prodotto interno lordo, dei bilanci militari e degli oneri sociali per la difesa. L'URSS invece cercò di attenuare le sue carenze tecnologiche con la quantità delle armi, mantenendo in pratica un'economia di guerra in tempo di pace, in condizioni sempre peggiori di bilancio statale. Inoltre, la tecnologia è stata utilizzata dall'Occidente non solo come mezzo per accrescere le proprie capacità difensive, ma anche come una vera e propria arma offensiva per provocare nei responsabili del regime sovietico decisioni favorevoli agli interessi occidentali. In sostanza, quanto è avvenuto nel corso della guerra fredda, pur dovendo essere considerato nel suo più ampio contesto politico e sociale, dimostra che in campo tecnologico-militare possono verificarsi vere e proprie guerre virtuali che si concludono con vincitori e vinti, come nelle guerre combattute realmente. È perciò importante comprendere i meccanismi che vengono attivati da tale competizione tecnologico-militare. Essa non è un fatto nuovo nella storia. È sempre esistita una lotta fra il cannone e la corazza, fra l'attacco e la difesa. La superiorità tecnologica dell'uno o dell'altro è sempre stata relativa, e si è teso a neutralizzarla, almeno in un primo tempo, mediante contromisure tattiche, in modo da non consentire al nemico di sfruttare appieno le caratteristiche delle nuove tecnologie che aveva introdotto.
La competizione tecnologica ha quindi una forma di spirale, che deriva dall'introduzione dialettica di misure offensive e contromisure difensive, le quali conferiscono alternativamente la superiorità a chi le introduce per primo. Di larga massima, nel secondo dopoguerra e limitatamente ai mezzi corazzati, controcarro, aerei e contraerei, tali oscillazioni hanno avuto una frequenza di 5÷10 anni (Bonen 1993). Ciò ha una grande importanza politico-strategica, potendo infatti determinare un'instabilità strutturale a favore dell'attacco e quindi aumentare la propensione a ricorrere alla forza militare per conseguire obiettivi politici. La superiorità strutturale della difesa consente invece di trasformare le operazioni di annientamento in operazioni di logoramento, di durata tale da consentire una reazione internazionale e la mobilitazione delle forze della difesa stessa, comunque molto onerose in termini di consumi di materiali e di perdite. La propensione a ricorrere alle armi perciò diminuisce. Per inciso, la difficoltà di considerare gli aspetti qualitativi della potenza militare costituisce un elemento intrinseco di debolezza di tutti gli accordi sul controllo e la limitazione degli armamenti. Ma gli equilibri di potenza dipendono grandemente da fattori non misurabili e i rapporti di forza materiale rappresentano solo un aspetto dell'equazione strategica: il significato della tecnologia dei sistemi d'arma, infatti, non può essere considerato indipendentemente dall'ambito politico in cui si colloca. Inoltre, il ricorso alle moderne, sofisticate tecnologie multimediali aumenta enormemente gli effetti della guerra psicologica, ora denominata anche softwar: con essa, vengono amplificate enormemente le potenzialità della guerra indiretta. Le tecnologie 'morbide' hanno un'importanza strategica che non va trascurata, anche se l'attenzione è spesso concentrata sulle sole tecnologie 'dure'. Attualmente, la ricerca di una guerra a "zero morti" o "post-eroica" (Luttwak 1996; Luttwak, Koehl 1998) sta provocando un notevole sforzo non solo per l'utilizzazione di tecnologie 'morbide' ma anche per lo sviluppo di armi non letali o a ridotta letalità, cioè in grado di battere l'avversario senza provocare vittime, ma rendendolo inoffensivo attraverso nuove tecniche inabilitanti (The Institute for Strategic Studies 1996). Esse non potranno sostituire le armi letali tradizionali: dovrebbero però consentire una più larga gamma di opzioni, o quanto meno una giustificazione politica di fronte alle opinioni pubbliche occidentali per il successivo impiego di armi letali. Armi di questo tipo sono state impiegate dalla NATO nelle azioni contro la Serbia nel 1999. Tra queste spiccano quelle in grado di interrompere l'erogazione della corrente elettrica senza distruggere le centrali di produzione. Il dibattito sulla loro effettiva utilità è ancora aperto: molti sono infatti coloro che sostengono che le armi non letali potrebbero complessivamente provocare in modo indiretto perdite addirittura superiori, dato che non hanno l'effetto dissuasivo delle armi tradizionali. Comunque, appaiono le uniche idonee a consentire, per es. in operazioni di mantenimento della pace (peacekeeping rinforzato), di fronteggiare folle di donne e bambini utilizzati come schermo da guerriglieri che attacchino le forze di pace.
Rivoluzione tecnico militare (RTM) e Rivoluzione negli affari militari (RAM)
Le due locuzioni indicano fenomeni differenti (Strategic assessment 1996, 1996). La RTM è evolutiva e incrementale e si riferisce all'incorporazione progressiva di sistemi informativi e di combattimento, dotati di capacità più avanzate, nella struttura delle forze e nella dottrina operativa esistenti. La RAM è invece discontinua, e quindi veramente rivoluzionaria: con essa vengono modificate radicalmente anche le dottrine e le strutture delle forze, e può mutare il significato, la strumentalità e quindi l'utilità politica della forza militare. Tipiche RAM sono quella della Blitzkrieg negli anni Trenta, quella delle armi nucleari o quella attualmente in corso, soprattutto negli Stati Uniti, denominata guerra basata sulle informazioni (Information Based Warfare, IBW). Spesso una RAM è provocata dal convergere di più RTM. Dal Medioevo ai tempi nostri si sarebbero prodotte una decina di RAM e diverse centinaia di RTM (Buzan 1987; van Creveld 1989; Krepinevich 1994).
Costi dell'innovazione tecnologica militare
Come è stato già accennato, negli ultimi quarant'anni il costo di un sistema d'arma nuovo è stato pari a circa 2÷3 volte quello del sistema d'arma destinato a essere sostituito (dopo un servizio di 15÷20 anni). Poiché dunque la spesa è sempre molto rilevante per le tecnologie innovative, l'opportunità di introdurre sistemi d'arma basati su di esse dipende dai costi relativi nei confronti di altri programmi, considerando che a ogni scelta corrisponde sempre una rinuncia. Spesso si rivela più conveniente, sotto il profilo del rapporto tra costo ed efficacia, utilizzare tecnologie imitative, e comunque tendere a impiegare tecnologie sviluppate in campo commerciale. Né ci si deve lasciare impressionare dalla messa a punto di armamenti dalle caratteristiche sbalorditive: a parte il forte impatto sull'opinione pubblica, infatti, esse possono produrre un effetto operativo (e quindi politico) significativo solo se i relativi sistemi sono introdotti in servizio in ragionevole quantità, impiegati secondo concetti tattici e tecnici idonei e integrati nella struttura generale delle forze, cioè nei cosiddetti sistemi di campo di battaglia. Sbagliata, anche se molto generalizzata, è anche la tendenza ad acquistare nuovi armamenti tenendo conto solo dei costi iniziali del sistema principale e trascurando quelli del supporto logistico, il cui costo relativo cresce con la sofisticazione tecnologica dei mezzi e degli equipaggiamenti complementari: si comprano cioè cannoni migliori, ma non gli equipaggiamenti per l'acquisizione degli obiettivi né le munizioni. Il ritmo crescente dell'evoluzione tecnologica impone quindi scelte spesso molto difficili, poiché fra l'altro l'introduzione in servizio di mezzi tecnologicamente più avanzati si può talvolta tradurre in una riduzione, anziché in un aumento, dell'efficienza dell'insieme, fenomeno dovuto anche a una diminuzione della prontezza operativa e della sostenibilità logistica, forse anche semplicemente perché le forze armate non riescono a reclutare gli specialisti necessari: per evitare ciò, occorre che vengano adottate rigorose metodologie di valutazione e di analisi e che le pianificazioni militari vengano protette da pressioni di varia natura, sia politica che industriale. Infine, come è stato detto anche in precedenza, la rincorsa alle nuove tecnologie potrebbe provocare il fenomeno del disarmo strutturale, che riduce la flessibilità e quindi le capacità operative reali di un esercito. Ma, tutto ciò considerato, all'innovazione tecnologica non si può rinunciare: essa infatti riduce le perdite e i danni collaterali alle popolazioni civili e ai territori, aspetti che renderebbero politicamente inaccettabile qualsiasi intervento militare. Un altro fattore da considerare nella valutazione dell'esigenza di ammodernamento tecnologico degli eserciti è rappresentato dal fatto che le forze armate degli Stati Uniti stanno affrontando un radicale processo in questo senso: ciò impone anche ai loro alleati un notevole sforzo, non per mera competizione ma per mantenere un ragionevole livello d'interoperabilità e quindi poter intervenire pariteticamente in occasione di operazioni multinazionali; in caso contrario, la guida statunitense nella NATO potrebbe trasformarsi in egemonia e le forze alleate in semplici formazioni ausiliarie di quella americana. Queste nuove tecnologie militari avanzate, che hanno fra l'altro la potenzialità intrinseca di permettere un certo livello di dissuasione convenzionale, si stanno diffondendo molto rapidamente anche nei paesi non industrializzati (più delicato e grave è l'aspetto della proliferazione in questi paesi delle armi di distruzione di massa - nucleari, biologiche e chimiche - e dei loro vettori - missili balistici e da crociera - in grado di colpire a grande distanza: v. oltre), dove però il livello professionale dei militari risulta incompatibile con l'impiego operativo e il mantenimento dell'efficienza di sistemi d'arma molto sofisticati, soprattutto dei moderni macrosistemi di combattimento che solo l'Occidente è in grado di impiegare.
Principali settori tecnologici e loro prospettive di impiego militare
Armi nucleari. - Le armi nucleari delle prime due generazioni (a fissione e a fusione) avevano una potenza distruttiva indiscriminata, che permetteva fra l'altro di compensare la scarsa precisione dei vettori. Sin dagli inizi degli anni Settanta sono iniziate a comparire armi nucleari con una maggior selezione di effetti. Per es., nelle bombe a radiazione rinforzata o a neutroni, denominate anche bombe N, circa il 95% dell'energia liberata dall'esplosione produce radiazioni immediate, capaci di penetrare le corazze d'acciaio ma non di distruggere le cose o di contaminare permanentemente il territorio. L'aumento della precisione dei vettori ha poi consentito la costruzione di armi nucleari miniaturizzate o di bassissima potenza. Di recente produzione sono anche armi nucleari a scoppio cilindrico concentrico, capaci di distruggere silos per missili, fabbriche di aggressivi chimici o biologici e posti comando costruiti sottoterra anche a grandi profondità (centinaia di metri). Inoltre, sono state messe a punto armi nucleari che producono forti effetti elettromagnetici in grado di distruggere gli apparati elettronici e informatici, basi dei sistemi di comando, controllo, comunicazione e informazione avversari.
Le armi nucleari, anche se non svolgono più nell'equazione strategica generale il ruolo centrale che avevano nella guerra fredda, rimangono ancora cruciali per gli equilibri strategici mondiali: è per questo che tanta importanza viene attribuita alle misure intese a evitare una proliferazione nucleare. In ogni caso, qualsiasi esame delle armi nucleari va completato, da un lato, con quello della possibilità di mantenere tecnologicamente stabile la dissuasione, e quindi la capacità di secondo colpo che dipende dall'invulnerabilità delle proprie forze nucleari a un attacco di sorpresa; dall'altro, con quello delle prospettive di difesa antimissile (fig. 1). Il problema della vulnerabilità dei propri vettori strategici è divenuto ancora più cruciale che in passato per la drastica riduzione del numero delle armi nucleari americane e russe a seguito degli accordi START (Strategic Armaments Reduction Talks): infatti, quanto minore è il numero di vettori e quante più testate sono montate a bordo dello stesso vettore, tanto maggiore è la possibilità di successo di un attacco a sorpresa e, quindi, tanto meno è stabile la dissuasione. Nei negoziati sulla riduzione degli armamenti nucleari, perciò, Washington e Mosca hanno concordato di ridurre non solo il numero di testate, ma anche quello di testate per vettore. Strumento fondamentale per garantire una capacità di rappresaglia sono i sommergibili dotati di missili a testata nucleare: nonostante i progressi fatti nel settore della detenzione sottomarina acustica e magnetica, infatti, le attuali capacità d'individuazione dei sommergibili nucleari non dovrebbero aumentare in misura significativa, ed è quindi prevedibile che, nonostante l'evoluzione tecnologica, la dissuasione nucleare a livello globale rimanga stabile. Per quanto riguarda le difese antimissile, il gigantesco programma di ricerche tecnologiche iniziato dagli Stati Uniti nella prima metà degli anni Ottanta è stato abbandonato. La tendenza è quella di adottare sistemi multiruolo antiaerei e antimissile, balistico o da crociera. Ma tali sistemi non sono in grado di garantire una protezione completa, e la s. perciò continuerà a essere basata su armi offensive, come nel periodo della guerra fredda. Solo Israele, il cui territorio è sottoposto a minaccia da parte di missili a corta gittata, mira a realizzare una protezione globale del proprio territorio. Gli altri Stati vulnerabili a un attacco missilistico, come l'Italia, fanno affidamento invece sulla capacità di dissuasione della NATO. Infine, la constatazione che la proliferazione delle armi di distruzione di massa non potrà essere arrestata ma solo rallentata ha innescato un dibattito, per ora limitato agli esperti strategici, sulle risposte possibili in caso di attacco: rappresaglie selettive, attacchi ai leader ecc.
Armi chimiche e biologiche. - Le armi chimiche e biologiche sono considerate le armi nucleari dei 'poveri': solo marginalmente meno distruttive delle armi nucleari, come queste sono considerate armi di distruzione di massa. Ancora più difficile è però controllarne la proliferazione, talché potrebbero divenire le armi di elezione per gruppi terroristici, come è accaduto nel 1995 per l'attentato alla metropolitana di Tokyo. Inoltre, le moderne tecnologie non solo ne hanno aumentato la potenza, ma ne rendono anche conservazione e maneggio più facili, come nel caso degli aggressivi chimici binari, che diventano pericolosi solo al momento della miscelatura dei componenti. Il progresso nel settore è continuo, tanto che si stanno sviluppando anche armi biologiche 'etniche', capaci di realizzare una selezione fra gli obiettivi e colpire solo persone che possiedono determinate caratteristiche biologiche. Quello delle armi biologiche è forse il settore di maggiore pericolosità, sia per la difficoltà di detenzione, protezione e antidoto che esse presentano, sia per l'impossibilità di controllo della loro produzione su piccola scala, sia per la loro capacità di provocare, accanto a quelli propriamente materiali, enormi danni psicologici tali da suscitare destabilizzanti fenomeni di panico collettivo.
Tecnologie spaziali. - Le forze armate moderne utilizzano sempre più estensivamente lo spazio per le telecomunicazioni, per l'osservazione della Terra, per i sistemi di navigazione e per quelli di localizzazione. Lo spazio assolve le funzioni che fino al 19° secolo avevano i punti dominanti, da cui il comandante dirigeva le proprie forze in battaglia, e costituisce un enorme moltiplicatore di potenza offensiva e difensiva. Gli Stati Uniti e la Russia dispongono di un imponente e costoso sistema di satelliti militari 'dedicati', adeguatamente protetti da contromisure elettroniche, e di un rilevante numero di satelliti 'pesanti', da lanciare all'emergenza per integrare il sistema funzionante in tempo di pace. Gli altri Stati, a parte qualche esempio di satellite propriamente militare (fig. 2), sono sempre più portati a utilizzare satelliti civili, eventualmente da integrare in caso di necessità con minisatelliti a orbita bassa. In caso di conflitto di intensità medio-alta contro un avversario in grado di neutralizzare satelliti non protetti, gli altri Stati occidentali fanno affidamento sulle capacità degli Stati Uniti. Sono in corso di sviluppo armi antisatellite, a energia sia diretta (laser) sia cinetica (missili iperveloci), che potranno essere installate anche a bordo di stazioni spaziali.
Tecnologie elettroniche e informatiche. - L'elettronica ha trasformato le armi del passato in sistemi d'arma, caratterizzati dall'esistenza di varie componenti integrate fra di loro. Gli enormi progressi compiuti nel settore della velocità di calcolo e di trattamento dei dati stanno consentendo ora l'integrazione di diversi sistemi fra di loro, provocando una vera e propria rivoluzione negli affari militari (Pelanda 1996; Jean 1997; Pierantoni, Pierantoni 1997). L'elettronica e l'informatica insieme hanno mutato tutte e tre le funzioni fondamentali di un sistema militare (ricognizione e identificazione degli obiettivi; decisione e ordine di attaccarli; loro attacco e valutazione degli effetti di quest'ultimo): nuovi sensori consentono di avere una conoscenza del campo di battaglia in tempo reale, in profondità e durante l'intero arco temporale diurno e notturno; la potenza di calcolo consente la fusione delle informazioni; i sistemi esperti e l'intelligenza artificiale costituiscono ormai supporti indispensabili per prendere decisioni operative; la miniaturizzazione dei sensori e delle capacità di calcolo consente di aumentare notevolmente la precisione delle armi. Ormai, da centinaia di chilometri di distanza si possono distruggere obiettivi mobili e protetti come i carri armati, fatto che era possibile fino agli anni Settanta solo con tiri diretti e da distanza ravvicinata. Inoltre, l'automazione dei sistemi consente di estendere il combattimento per durate superiori a quelle consentite dalle capacità di resistenza fisica dei soldati. Da tutto ciò derivano varie conseguenze: 1) la scomparsa di ogni differenziazione fra fronte e retrovie e l'estensione in profondità del campo di battaglia; 2) la sovrapposizione ai tradizionali sistemi militari gerarchici, organizzati verticalmente, di strutture funzionali di tipo orizzontale, destinate appunto a coprire il campo di battaglia in profondità; 3) l'importanza del dominio dello spazio elettromagnetico, nuova dimensione delle operazioni militari. In particolare, diventa prioritario colpire i sistemi elettromagnetici e informatici nemici: la guerra si sta trasformando in primo luogo in un conflitto per acquisire il dominio dell'informazione, ormai divenuta essenziale (information dominance: v. anche oltre); 4) il ritmo delle operazioni si è enormemente accelerato e sono prevedibili perdite elevatissime concentrate nel tempo, tanto da rendere la battaglia terrestre sempre più simile a quella navale; 5) la precisione delle armi e la possibilità di colpire gli obiettivi da grande distanza (per es., i missili da crociera con gittate oltre 2000 km, lanciati da navi o sommergibili) consentono di ridurre il volume delle forze e il peso del supporto logistico. Questo aumenta la velocità strategica degli interventi e consente di ipotizzare nuovi concetti strategici, come quello della rapid dominance o dello shock and awe, ora in corso di definizione negli Stati Uniti.
Altre tecnologie. - Sono da ricordare in tale ambito progressi in vari settori, fra cui quelli relativi a: nuovi materiali; armi a energia diretta quali laser o acceleratori di fasci di particelle; cannoni a propulsione elettromagnetica; robotica aerea e terrestre, che ha già consentito la produzione di diversi tipi di velivoli ad ala fissa o rotante e di veicoli terrestri non pilotati; sistemi di supporto decisionale (basati sulla simulazione e sull'utilizzazione di realtà virtuali); strumenti atti a influire sulle percezioni dell'avversario.
La rivoluzione dell'informazione
Come si è sopra accennato, attraverso la continua evoluzione tecnologica e il suo effetto autoamplificato fra le varie componenti e i vari sistemi si può dire che si stia producendo una nuova RMA, nota anche come rivoluzione dell'informazione. La nuova RMA si fonda sulla volontà di utilizzare la superiorità della tecnologia nel settore dell'informazione per trasformare quest'ultima nello strumento essenziale per il mantenimento della pax americana nel 21° secolo, come lo fu la superiorità della Royal Navy per la pax britannica del 19° (Nye, Owens 1996). Come nell'economia l'informazione ha sostituito energia, materie prime, capitale e lavoro, così in campo militare può sostituire la potenza di fuoco e la manovra delle forze. La rivoluzione informatica ha migliorato la tempestività e l'accuratezza dell'intelligence, e soprattutto la sua distribuzione all'utilizzatore più opportuno nel momento più idoneo e nella misura più adeguata. Associata a sistemi di fuoco di precisione a lunga gittata e a sistemi elettronici, integrativi o sostitutivi dei primi e capaci di attaccare gli analoghi sistemi avversari, la capacità di informazione o IRSTA (Intelligence, Reconnaissance, Surveillance and Target Acquisition) consente di condurre operazioni simultanee in tutta la profondità del teatro d'operazione, distruggendo ogni obiettivo visibile a distanza anche di centinaia o addirittura di migliaia di chilometri. L'elemento più importante per utilizzare l'information dominance sarà il 'sistema dei sistemi' (Fitzsimonds, van Tol 1994), che si fonda sull'integrazione e sulla concezione unitaria dei sistemi di intelligence, sorveglianza e acquisizioni obiettivi, di quelli di comando e controllo e di quelli di fuoco di precisione a lunga gittata. Nella configurazione attuale il 'sistema dei sistemi' sarà in grado di coprire un'area di 300×300 km e di operare a distanza dal contatto diretto con l'avversario, minimizzando quindi le proprie perdite.
Il peso logistico del 'sistema dei sistemi' sarà molto ridotto, tanto da essere trasportato anche per via aerea, riducendo a pochi giorni, dalle settimane o mesi attuali, i tempi d'intervento in un conflitto regionale di dimensioni simili a quelle della guerra del Golfo. L'aumento della tempestività di reazione dovrebbe avere un enorme potere dissuasivo contro possibili aggressioni e, comunque, consentire di bloccarle sul loro insorgere.
Tecnologia militare e tecnologia civile
Nel periodo della guerra fredda le forze armate impiegavano prevalentemente tecnologie 'dedicate', il cui sviluppo cioè era stato finanziato direttamente dai bilanci della Difesa o dalle grandi industrie di armamenti. Dibattiti molto serrati sono avvenuti in merito alle cosiddette ricadute tecnologiche (spinoff) connesse al passaggio dalle tecnologie militari a quelle civili. Ben raramente tali dibattiti sono stati oggettivi: coloro che si avvantaggiavano degli sforzi di ricerca e di sviluppo della Difesa (industriali, scienziati e militari) sono sempre stati portati a ingigantire tali ricadute e a sostenere che i programmi scientifici militari erano alla base stessa del progresso tecnologico commerciale. Coloro invece che, per motivi ideologici o indipendentemente dalla loro volontà, erano esclusi da tali vantaggi, sono stati sempre indotti a minimizzare la portata di tale fenomeno: per questi, la ricerca e lo sviluppo militare distorcevano scienza e tecnologia e rappresentavano un freno allo sviluppo tecnologico in campo commerciale (Kaldor 1981), anche per la segretezza imposta alle ricerche militari e per gli ostacoli posti al trasferimento di alcuni tipi di tecnologie, considerate critiche per motivi strategici, dalle produzioni militari a quelle commerciali. In realtà, le spese per la ricerca e lo sviluppo militari mirano a soddisfare un'esigenza politica, e quindi sociale, precisa, quella della sicurezza, e solo marginalmente sono finalizzate al progresso tecnologico delle produzioni commerciali. Il dibattito era quindi in sé privo di senso: per realizzare un aereo di linea nessun costruttore impianterebbe la progettazione di un cacciabombardiere per utilizzarne poi i ritorni tecnologici. Dato però che il cacciabombardiere va costruito per garantire la sicurezza, sarebbe del tutto improprio non utilizzare le sue ricadute tecnologiche per le produzioni commerciali. Inoltre, con il finanziamento della ricerca militare, gli Stati spesso sostengono in forma indiretta le proprie industrie ad alta tecnologia, aggirando i vincoli posti (per es., dall'Unione Europea) al sostegno pubblico all'industria che altererebbe le condizioni di concorrenza e di libero mercato. Ma si deve anche sottolineare il fatto, già messo in luce precedentemente (v. sopra: La corsa al riarmo tecnologico), che si sta verificando un fenomeno che va in senso contrario a quello della ricaduta tecnologica delle produzioni militari su quelle commerciali: le tecnologie commerciali, infatti, sono ormai in molti campi più avanzate di quelle militari e le ricadute, anziché dal militare al civile, si verificano dal civile al militare. Inoltre, le tecnologie militari e quelle commerciali tendono sempre più a coincidere. Ciò da un lato consente di riportare sotto controllo i costi delle nuove tecnologie militari e di evitare l'aleatorietà del loro sviluppo; dall'altro, però, gli equilibri strategici mondiali ne sono resi estremamente precari. In questo modo, infatti, esiste la possibilità per gli Stati di nuova industrializzazione di utilizzare massicciamente e in tempi molto brevi le loro capacità tecnologiche commerciali per aumentare la potenza militare: ciò obbliga gli Stati Uniti a una vigilanza continua, accelerando il proprio sviluppo tecnologico nei settori 'duali' (quelli cioè in cui le medesime tecnologie possono avere utilizzazioni sia civili sia militari) e mantenendo una supremazia nella capacità di utilizzare a livello macrosistemico le tecnologie di cui dispongono. Comunque, la gerarchia mondiale delle potenze potrebbe essere gravemente alterata in tempi piuttosto brevi, con conseguenze molto gravi sulla stabilità politico-strategica complessiva.
Tecnologia e controllo degli armamenti
La tecnologia moderna fornisce strumenti per migliorare le capacità di verifica degli accordi di controllo e di limitazione degli armamenti. Permette non solo di disporre di mezzi di ricognizione e di sorveglianza di area, ma anche di avere mezzi di controllo più penetranti, per es. con la marcatura elettronica dei sistemi d'arma limitati dai trattati, con il controllo delle produzioni e con il rilevamento di attività militari insolite. C'è inoltre da dire che la tecnologia è stata sempre usata per lo scopo contrario, vale a dire aggirare la sostanza degli accordi di limitazione degli armamenti: basti ricordare le corazzate tascabili tedesche prodotte per aggirare il divieto di disporre di corazzate imposto alla Germania dopo la Prima guerra mondiale, o la produzione di missili nucleari a testata multipla, volta ad aggirare la limitazione dei vettori prevista nel trattato SALT 1. Tale possibilità di circonvenzione dei trattati è accresciuta dalla natura degli attuali sviluppi tecnologici militari: infatti tutti i negoziati sul controllo degli armamenti convenzionali (fanno eccezione quelli relativi alle armi nucleari, biologiche e chimiche) hanno come paradigma di riferimento la quantità dei sistemi d'arma principali, non la loro qualità intrinseca; inoltre non considerano gli equipaggiamenti, che costituiscono un fattore moltiplicatore della potenza operativa, strategica e politica. Questo fa sì che, per la stabilità strategica regionale e globale, acquistino importanza non gli aspetti quantitativi, ma quelli operativi degli accordi di disarmo e di controllo degli armamenti, cioè le misure di sicurezza e di fiducia. Tale possibilità è resa però difficile dall'evoluzione tecnologica, che, per sua natura, è destabilizzante.
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