Stratificazione sociale
Sommario: 1. Metastoricità e complementarità del concetto di stratificazione sociale. 2. Dimensioni della stratificazione e usi della ricerca. 3. Teorie della stratificazione. 4. La stratificazione sociale nelle società contemporanee. 5. Il ricambio degli strati. La mobilità sociale. 6. Stratificazione sociale, marginalità ed esclusione. 7. Rappresentazioni collettive della stratificazione. □ Bibliografia.
1. Metastoricità e complementarità del concetto di stratificazione sociale
In ogni società del passato o del presente le principali risorse sociali - materiali o simboliche che siano - appaiono distribuite in modo diseguale tra i suoi membri. Si tratti di reddito o di istruzione, di proprietà terriera o di potere politico, di prestigio personale o di influenza intellettuale, si osserva in ogni caso, pur con rilevanti variazioni da una società all'altra, che una quota della popolazione possiede una determinata risorsa in misura superiore o inferiore rispetto ad altre quote della stessa popolazione.
A fronte di tale realtà il concetto di stratificazione svolge due funzioni. In primo luogo esso serve a connotare alcune caratteristiche generiche delle diseguaglianze sociali e in particolare:
1) la loro universalità, e al tempo stesso la loro estrema variabilità, che fa sì che il concetto di stratificazione sociale sia guardato con ostilità, e ricorrentemente criticato, sia dalle utopie che intendono realizzare società di uguali mai viste nella storia, sia dalle dottrine conservatrici che affermano l'immodificabilità di una data forma di disuguaglianza;
2) la tendenza delle disuguaglianze a disporsi oggettivamente su un asse verticale, e a essere comunque soggettivamente percepite come se fossero così disposte. Innumerevoli modi di dire, quali ‛la tale è salita in alto' o ‛il tale è sceso in basso', ‛l'ascesa di X' o ‛la caduta di Y', tradiscono il senso di verticalità delle disuguaglianze che alberga nella coscienza sociale, non meno del fatto che chi dispone di maggiori risorse si colloca realmente, di norma, in luoghi più elevati rispetto a chi ne possiede meno. I piani superiori del palazzo d'una corporation sono riservati per lo più ai massimi dirigenti; la borghesia agiata - detta per l'appunto ‛alta borghesia' - abita di solito sulle colline attorno alla città; la prima classe delle navi da crociera sta fisicamente al di sopra delle altre;
3) le disuguaglianze, pur disposte in verticale, non formano un continuum ininterrotto che sale dall'individuo meno provvisto in assoluto di risorse in una data società fino all'individuo in assoluto privilegiato, bensì suddividono la popolazione in un numero variabile (più o meno elevato) di grandi gruppi orizzontali, contraddistinti dal possesso di un ammontare di risorse che è, grosso modo, analogo per tutti i loro membri. È appunto a tale spessore orizzontale che si riferisce il termine strato;
4) infine, la distribuzione delle disuguaglianze sociali, il loro profilo, ha carattere strutturale, ovvero deriva da istituzioni fondamentali dell'organizzazione sociale. Ciò comporta che tale distribuzione sia relativamente stabile, salvo eventi traumatici quali rivoluzioni o guerre, che abbia tempi di mutamento naturali piuttosto lenti e che sia modificabile con difficoltà tramite interventi riformatori.
Munito di tale valenza connotativa, derivante in parte dalle sue late ascendenze geologiche, il concetto di stratificazione sociale è applicabile a ogni tipo di disuguaglianza sociale, quale che sia la società, la cerchia culturale o l'epoca storica in cui essa venga osservata. In questo senso la stratificazione sociale non è la forma moderna o contemporanea che le disuguaglianze sociali hanno assunto, ma piuttosto il genere macrosociologico e metastorico di cui le varie forme di disuguaglianza susseguitesi nella storia sono altrettante specie. In questa ottica formazioni sociali quali le caste in India, gli stati dell'ancien régime in Europa e le classi delle società industriali si configurano come altrettante forme storiche di stratificazione sociale.
Il concetto di stratificazione sociale svolge, peraltro, una seconda funzione che lo colloca in posizione complementare rispetto a ciascuna delle sue forme storiche. Di fatto ogni classe sociale - ma lo stesso accadde a suo tempo per gli stati o ceti, e per le caste -, per quanto risulti nettamente demarcata rispetto ad altre dalla professione o dalla posizione giuridica o da altro criterio, appare al suo interno, in genere, fortemente disuguale. Nella classe degli imprenditori alcuni hanno redditi di decine di milioni l'anno, altri di miliardi; vi sono, tra i politici di professione, uomini potentissimi e altri che contano ben poco, come quelli che formano il ‛parco buoi' (i deputati che votano a comando dei capigruppo) in parlamento; certi docenti godono d'un prestigio scientifico di molto superiore a quello di altri, così come l'influenza spirituale di un cardinale è superiore a quella di un parroco di quartiere.
A fronte di siffatte disuguaglianze interne alle singole classi, il concetto di stratificazione sociale è un efficace strumento complementare per l'analisi delle strutture di classe e della loro dinamica. Senza affatto diluire i confini stabiliti tra le classi in base a riferimenti funzionali o storici, esso porta a una descrizione più realistica di ogni classe considerata e fornisce una miglior comprensione dell'azione sociale di ciascuna, essendo questa attivata e condizionata dalle disuguaglianze che reca in sé non meno che dai rapporti conflittuali o cooperativi con altre classi. D'altra parte va precisato che la teoria sociale contemporanea, specie quella anglosassone, utilizza sovente i termini strato e classe come sinonimi.
2. Dimensioni della stratificazione e usi della ricerca
Lo studio della stratificazione sociale pone al ricercatore complessi problemi di strategia cognitiva, intimamente collegati agli usi che il ricercatore stesso, o il suo committente, intende fare dei risultati della ricerca. Il problema principale consiste nella scelta delle dimensioni la cui misurazione porta il ricercatore a modellizzare la distribuzione di una popolazione in strati sovrapposti. Le dimensioni della stratificazione sono le singole proprietà o tipi di risorse che ciascun individuo possiede in misura uguale, oppure minore o maggiore di altri: reddito, ricchezza, istruzione, qualificazione professionale, potere economico, potere politico, influenza, prestigio, valutazione sociale, per menzionare alcune delle più comuni. Un modello della stratificazione fondato su una sola dimensione sarà detto ‛unidimensionale'; i modelli che fanno ricorso a più dimensioni sono detti ‛multidimensionali'.
Vale qui una legge inflessibile: quanto più cresce il numero delle dimensioni utilizzate, tanto più crescono l'interesse teorico e la capacità predittiva del modello, ma al tempo stesso le difficoltà di misurazione (da cui l'indeterminatezza di quest'ultima). Si prenda la dimensione ‛istruzione': non è particolarmente difficile, né a livello nazionale, facendo ricorso ai dati dell'istituto centrale di statistica del relativo paese, né a livello locale, compiendo un'apposita ricerca su un campione di popolazione, suddividere la popolazione stessa in una serie di strati ben definiti. Il modello che ne deriva collocherà in basso lo strato dei ‛senza titoli di studio'; verso il mezzo gli strati formati da coloro, rispettivamente, che hanno completato solo la scuola dell'obbligo o che hanno conseguito il diploma di maturità; infine, al vertice, gli strati di coloro in possesso di laurea universitaria o che hanno un'istruzione post-laurea (dottorato di ricerca, diplomi di specializzazione, ecc.).
Tuttavia, non appena si voglia combinare la dimensione istruzione con una seconda dimensione, ad esempio il reddito - al fine di tenere conto del fatto che vi sono sia analfabeti ricchi che laureati poveri, nonché diplomati sia ricchi che poveri - ci si imbatte in serie difficoltà. Anzitutto, da un punto di vista pragmatico è molto più arduo rilevare il reddito effettivo degli individui che non il loro grado di istruzione. In secondo luogo, da un punto di vista teorico la combinazione dei due fattori solleva vari interrogativi: i laureati poveri vanno considerati come un sottostrato superiore dello strato dei poveri, oppure come un sottostrato inferiore dello strato dei laureati? O invece formano uno strato a sé?
Emerge qui l'importanza di far chiarezza in via preliminare sugli usi che si vorranno fare del modello di stratificazione derivante da una ricerca sul campo, oppure da una elaborazione statistica. In molti casi un modello unidimensionale di stratificazione è sufficiente alla bisogna, purché la dimensione prescelta sia adeguata. Se un governo intende contrastare l'aumento delle disuguaglianze sociali conseguente alla globalizzazione dell'economia, un profilo della distribuzione della popolazione per strati di reddito gli sarà sufficiente, sia che intenda ricorrere alla leva fiscale, sia che preferisca invece agire sul fronte del sostegno alle famiglie. Per contro, una regione che voglia promuovere lo sviluppo economico del proprio territorio, favorendo in esso l'insediamento di piccole e medie imprese, anche straniere, troverà più utile commissionare al proprio istituto di ricerca una rilevazione della stratificazione della popolazione regionale per grado di istruzione e qualificazione professionale.
Applicabili come sono a vari fini di politica sociale, i modelli di stratificazione unidimensionali risultano d'altra parte inefficaci a fini esplicativi, allorché si tratta di comprendere in qual modo potrebbe agire, e perché, un determinato strato sociale in campo politico, economico, culturale o altro. Infatti, da una singola dimensione è quasi impossibile desumere come si comporteranno in determinate circostanze gli individui che ne partecipano in maggiore o minore misura. Non esiste alcun tipo di agire che possa dirsi ‛strato-specifico', quando lo strato di riferimento sia individuato sulla base di un unico criterio. Questa difficoltà ha condotto ben presto i sociologi a costruire modelli di stratificazione multidimensionali. A onta della loro varietà, la maggior parte di tali modelli si concentra su un gruppo di dimensioni o criteri il quale, al di là della molteplicità dei riferimenti linguistici, appare notevolmente costante: tali dimensioni sono il reddito (o ricchezza, o patrimonio); il potere politico (o autorità, o influenza); il potere economico; il prestigio (o stima, o valutazione sociale). Esistono peraltro modelli che non distinguono tra potere politico ed economico. L'ammontare delle diverse risorse indica nell'insieme lo status dell'individuo (o della posizione sociale, o di altra unità di osservazione utilizzata per modellizzare la stratificazione). Sono quindi detti sintetici gli indici di status che mediante vari accorgimenti metodologici combinano in una sola misura le diverse dimensioni.
I modelli che utilizzano tale gruppo di dimensioni, configurante ogni strato come una subpopolazione i cui membri hanno uno status all'incirca analogo, permettono di formulare specifiche ipotesi esplicative e predittive circa l'agire sociale di strati e classi, muovendo da alcune metaipotesi: 1) chi appartiene a un determinato strato prende a riferimento non solo lo status complessivo degli strati contigui o superiori, ma anche le singole dimensioni dello status. Se i membri dello strato A hanno un reddito vicino a quello dello strato B, ma sentono di godere d'una valutazione sociale inferiore, percepiranno questa come una forma di ingiustizia distributiva, esattamente come il suo reciproco (stessa valutazione, ma minore reddito). Sollecitato perennemente dal processo dei gruppi di riferimento - posto che ciascuno strato sociale può essere preso a gruppo di riferimento da quasi tutti gli altri - il senso di ingiustizia distributiva è un possente fattore di dinamizzazione dell'agire sociale; 2) se i membri di un dato strato sociale ritengono che il loro reddito non sia proporzionale al prestigio di cui godono, o il potere economico proporzionale al reddito, e così via permutando le varie dimensioni, considereranno il loro status ‛squilibrato' o ‛incongruente', e sfrutteranno ogni situazione allo scopo di portare la dimensione carente al livello di quella che presenta la misura più elevata. Il caso degli imprenditori è forse, al riguardo, quello storicamente più indicativo. Dopo aver accumulato ricchezze e potere economico nel corso della rivoluzione industriale - secondo i tempi della sua diffusione nei paesi europei e negli Stati Uniti - essi impegnarono una lunga battaglia, durata decenni, per accrescere il proprio potere politico e il proprio prestigio nella società in modo da renderli congruenti con le altre due dimensioni; 3) in molte situazioni ciascuna risorsa è suscettibile di venire utilizzata per accrescere la quantità delle altre di cui il soggetto dispone, in un circuito accumulativo il quale avvantaggia inesorabilmente i soggetti che, per qualche ragione, partono con un certo vantaggio differenziale rispetto ad altri. Un reddito elevato rende più agevole acquisire potere politico; il potere politico apre sovente la strada alla ricchezza; il prestigio ottenuto in un campo dell'organizzazione sociale può essere speso per accrescere la propria influenza in un campo diverso. Di conseguenza, salvo vigorosi interventi in senso contrario, anche disuguaglianze iniziali di segno limitato tendono a diventare in breve tempo assai ampie.
Al fine di convertirle in ipotesi empiricamente validabili (o confutabili) circa il comportamento della popolazione di questo o quello strato sociale, tali metaipotesi devono essere ovviamente applicate a concrete situazioni storiche, previa la conversione di ogni dimensione in indici osservabili.
Sebbene coloro che detengono ricchezza o potere, prestigio o influenza siano sempre in ultimo degli individui reali, le unità della stratificazione prese a riferimento dalle ricerche sociologiche sulla stratificazione sono spesso, anziché individui, ‛posizioni sociali': nodi della struttura di rapporti da cui è formata l'organizzazione sociale, definiti di solito dal tipo di attività ricorrente - oppure di inattività - che in essi si svolge. Definiscono quindi altrettante posizioni sociali attività preprofessionali quali quelle di studente o apprendista, e attività professionali quali quelle dell'insegnante, del medico, dell'operaia, dell'impiegato, dell'imprenditrice, del dirigente, della scrittrice o del tecnico. Ma anche attività quali quella del trafficante di droga, dell'usuraio o del protettore configurano posizioni sociali, così come forme coatte di inattività quali quelle del disoccupato, del barbone o della detenuta. In questa ottica lo status è attribuito alle posizioni sociali, non agli individui; questi entrano nelle posizioni sociali, le occupano per un certo tempo ed eventualmente ne escono. Così il medesimo individuo può occupare in successione la posizione di studente, tecnico, disoccupato e barbone; oppure di operaia, impiegata e imprenditrice, usufruendo in ciascuna di queste del particolare status che il sistema della stratificazione sociale assegna, in quella determinata società ed epoca, a tale posizione.
Il vantaggio di utilizzare le posizioni sociali, piuttosto che gli individui, come unità della stratificazione, va visto sia nella maggior stabilità della struttura che in tal modo viene rilevata - un aspetto significativo, questo, ai fini della politica sociale: migliorare a lungo termine, per dire, lo status degli insegnanti come figure professionali è impresa ben diversa, e assai più ostica, che non migliorare lo status contingente degli individui che in un certo momento svolgono la professione di insegnante -, sia nella possibilità di comparare il profilo della stratificazione di una società in momenti diversi della sua storia, indipendentemente dagli individui che si sono avvicendati in essa.
Oltre agli individui e alle posizioni sociali, per lo studio della stratificazione sociale possono essere considerati ‛unità reali' anche le famiglie, i gruppi etnici, le affiliazioni religiose. Accertare una serie di dati - quante famiglie rientrano nello strato inferiore di reddito, in quello medio e in quello superiore, in funzione di proprietà quali la grandezza del nucleo familiare, la professione di uno o d'entrambi i partners, la presenza o l'assenza di uno o di ambedue i genitori, l'origine sociale - fornisce informazioni utili sia per comprendere vari aspetti dell'organizzazione sociale, sia per modificarli mediante atti di riforma del diritto di famiglia o del sistema fiscale o altro. Tuttavia, al di là della singola dimensione ‛reddito', l'impiego della famiglia come unità della stratificazione incontra non poche difficoltà metodologiche ed empiriche nel combinare la misurazione dello status dei singoli in un indice sintetico dello status della famiglia nel suo complesso.
In tutte le società in cui convivono più gruppi etnici si osservano, anche in presenza di una formale parità giuridica tra i gruppi medesimi, disuguaglianze più o meno marcate di prestigio, di ricchezza media, di potere politico o economico, spesso combinate asimmetricamente, nel senso che, ad esempio, il gruppo più agiato gode di scarso prestigio, o il gruppo politicamente più potente non è il più ricco. Ciascun gruppo forma dunque uno specifico strato sociale, e il profilo che ne risulta si presta sia a valutare la distanza che separa la parità sostanziale da quella giuridica (posto che questa sussista), sia a spiegare tensioni e conflitti sociali. In una società tipicamente multietnica come quella statunitense, un modello di stratificazione multidimensionale dei gruppi etnici porrebbe nello strato inferiore, alla base della piramide, gli Americani nativi; in quello al di sopra i Neri, gli Ispanici, i gruppi d'origine asiatica (Cinesi, Coreani, Giapponesi); quindi i gruppi d'origine europea meridionale (Italiani, Greci), poi gruppi d'origine europea settentrionale (Tedeschi, Polacchi), mentre lo strato superiore sarebbe formato da Anglosassoni residenti da più generazioni. Per contro, in Germania lo strato inferiore sarebbe formato in prevalenza da Turchi, quelli intermedi da Italiani e Slavi, mentre i Tedeschi vissuti all'Est sotto la scomparsa Repubblica Democratica Tedesca, e come tali portatori di tratti di cultura peculiari, formerebbero il substrato più basso dello strato superiore e quelli dell'Ovest il substrato più alto del medesimo. Nella Repubblica Sudafricana, anche dopo la cessazione ufficiale dell'apartheid, il gruppo etnico che si colloca al sommo del sistema locale di stratificazione rimane quello dei Bianchi, composto da Afrikaners (discendenti dai Boeri, i coloni olandesi) e Inglesi; in posizione intermedia si trova lo strato dei Meticci (Coloureds), formatosi già agli inizi della colonizzazione, e degli Asiatici; lo strato inferiore è costituito dai Neri, che rappresentano oltre il 75% della popolazione. Il fatto che nei vari paesi un certo numero di individui appartenente al gruppo etnico che forma lo strato inferiore si ritrovi negli strati superiori (negli Stati Uniti esiste una borghesia nera benestante; il primo presidente della nuova Repubblica Sudafricana è stato un nero, ecc.) non modifica la struttura di fondo dei sistemi di stratificazione a base etnica.
Qualcosa di analogo avviene con le affiliazioni religiose. In funzione della storia religiosa e politica d'una società, vi sono gruppi religiosi che godono come tali d'uno status più elevato di altri. Il fenomeno è evidente nelle società in cui diversi gruppi hanno dimensioni rilevanti, come negli Stati Uniti, in Germania, in Gran Bretagna. Ancor più marcato esso si presenta là dove esiste una religione che raccoglie la gran maggioranza della popolazione, come in Italia o in Polonia, o nella maggior parte dei paesi arabi: ai gruppi minoritari è ascritto in genere uno status più basso. La stratificazione sociale fondata sull'affiliazione religiosa si interseca spesso con l'appartenenza etnica; il suo profilo in tal modo si complica. In Sudan, ad esempio, lo strato sociale degli Arabi islamici (sunniti) sovrasta massicciamente, specie per il potere politico ed economico, quelli delle popolazioni nilotiche, formate da Neri animisti e cristiani, e distinguere il peso relativo del gruppo etnico e dell'affiliazione religiosa è quasi impossibile.
Una strategia cognitiva completamente diversa da quelle finora indicate consiste nel prendere, come unità della stratificazione, non un gruppo professionale, etnico o religioso, bensì una misura statistica: sovente un quintile, più raramente un decile. In questo caso la grandezza dello strato è evidentemente predeterminata; ma proprio la grandezza costante vale a far risaltare - se tale è lo scopo - le disuguaglianze tra uno strato e l'altro. Dire che il largo strato dei lavoratori dipendenti ottiene in media un reddito annuo di 20 milioni, mentre il ristretto strato dei dirigenti ne riceve 200, è meno efficace - come indicatore di diseguaglianza - del dire che nella medesima società il quintile più ricco (il quale ovviamente comprende molti individui che dirigenti non sono) riceve un reddito dieci volte maggiore del quintile più povero.
3. Teorie della stratificazione
Poiché non si è mai osservata alcuna società che fosse priva di forme di stratificazione sociale, chiedersi quali siano i fattori che danno origine a quest'ultima suona altrettanto astratto che chiedersi come abbia avuto origine la società in genere. Tuttavia i sistemi di stratificazione presentano, da una società all'altra e anche in una medesima società considerata nella sua evoluzione storica, grandi variazioni nel numero degli strati, così come esso può essere definito in base a una o più dimensioni; nella distanza fra lo strato più basso e quello più alto; nella grandezza di ciascuno; nel profilo (a piramide, a trottola, a colonna) che essi insieme delineano; nella composizione per professione, sesso, età, gruppo etnico della popolazione dei diversi strati; nella possibilità per individui o gruppi di salire o di scendere nella gerarchia degli strati attraverso differenti canali di mobilità.
L'imputazione delle variazioni di simili caratteri dei sistemi di stratificazione a determinate cause è compito, in sociologia, delle ‛teorie della stratificazione'. Esse si suddividono in tre grandi gruppi: ‛individualistiche', ‛storico-materialistiche', ‛funzionalistiche'. Secondo le teorie individualistiche, la distribuzione entro una popolazione di risorse sociali quali il reddito, il potere e il prestigio avviene sulla base di meccanismi di mercato. Una società esprime una domanda di competenze che è variabile in funzione delle istituzioni nazionali, dei rapporti internazionali, del livello di sviluppo economico, del momento storico che la stessa società attraversa. Quindi gli individui più abili e tempestivi nel fornire le competenze richieste ottengono maggiori quantità di risorse - divise però per il loro numero. Ciò spiegherebbe come mai gli operai siano pagati individualmente poco: non perché siano meno qualificati, ma per il fatto di esser molti rispetto alla domanda, mentre i professionisti conseguono redditi individuali elevati perché sono pochi.
Esistono poi strumenti artificiali di riduzione e regolazione dell'offerta di forza-lavoro strutturata in tipologie di competenze, quali i sindacati per gli operai e gli ordini professionali per i professionisti. Ma dinanzi ai meccanismi di mercato delle risorse sociali nessun tipo di competenze assicura a tempo indeterminato una posizione di privilegio. Allorché in una società la domanda di intellettuali, di tecnici, di politici di professione o di banchieri è alta, e il numero di individui che offrono al momento adatto tali competenze è scarso, intellettuali, tecnici, politici e banchieri riceveranno il massimo di reddito, potere e prestigio e formeranno così lo strato superiore di quella società. Tuttavia, a mano a mano che cresce il numero di individui competenti che si offrono per svolgere le medesime attività, i compensi offerti a ciascuno diminuiscono, e lo strato che detti individui formano scenderà di qualche gradino nella piramide (o trottola, o colonna) della stratificazione sociale.
Le teorie storico-materialistiche, che antepongono il concetto di classe a quello di strato sociale, mentre riconoscono che le molteplici e complesse disuguaglianze osservabili in una società non si configurano in prima istanza come classi, collegano le variazioni della stratificazione alla proprietà dei mezzi di produzione. Chi possiede la terra, i fondi, le macchine - in una parola il capitale - che sono necessari per produrre beni e servizi ottiene il massimo delle risorse e forma quindi lo strato (la classe) superiore. Chi codesti mezzi non possiede, e per vivere non può far altro che vendere la propria forza-lavoro, va a formare lo strato (la classe) inferiore. Tali teorie ammettono l'esistenza di strati intermedi, che risulterebbero composti o da figure ausiliarie del capitale (dirigenti, quadri, intellettuali), o da frazioni dello strato inferiore (impiegati, operai specializzati, tecnici) salite a condizioni di relativo benessere. Però esse prevedono che in situazioni di crisi sociale o economica, e comunque negli stadi ultimi del capitalismo, i componenti degli strati intermedi saranno inesorabilmente riassorbiti entro lo strato inferiore. Nel lessico delle teorie storico-materialistiche, tutti gli strati sono quindi destinati a ricompattarsi nelle due classi contrapposte dei proprietari dei mezzi di produzione e dei lavoratori privi di tali mezzi.
Le teorie funzionalistiche muovono dai seguenti assunti complementari: a) in una società certe competenze sono funzionalmente più importanti di altre nell'assicurare la riproduzione socio-culturale, l'adattamento all'ambiente, il mantenimento dell'identità, la capacità di conseguire scopi comuni, e sono collettivamente riconosciute come tali; b) al fine di acquisire e mettere in atto tali competenze occorre che un individuo possegga talento e compia un investimento personale rilevante, in termini di percorso formativo, di differimento del guadagno sino a età matura, e di rinuncia a gratificazioni immediate; c) gli individui dotati del necessario talento, e insieme capaci di sopportare tali costi materiali e psicologici, sono relativamente pochi. Perciò, allo scopo di ottenere che un numero adeguato di individui affluisca nelle posizioni in cui tali competenze sono richieste, la società attribuisce alle posizioni stesse uno status complessivo, in termini di reddito, potere e prestigio, più elevato che non alle posizioni reputate funzionalmente meno importanti. Il profilo della stratificazione sociale di una società riflette dunque, primariamente, la scala di valutazione che essa esprime delle competenze necessarie alla sua sopravvivenza e riproduzione; e, secondariamente, le strategie che individui e gruppi mettono in opera per modificare a proprio vantaggio tale scala.
Nessuna di queste teorie pare invero possedere la chiave per spiegare l'intera misura delle variazioni della stratificazione sociale che si osservano nelle società moderne e contemporanee. Al volgere del secolo, le teorie storico-materialistiche hanno buon gioco nell'imputare la crescita degli strati più poveri in seno alle società avanzate, non meno che in quelle sottosviluppate - e con essa l'impoverimento relativo delle classi medie - alla sfrenata competizione tra lavoratori eccedenti rispetto alla domanda indotta dal cosiddetto ‛turbocapitalismo', il capitalismo divenuto, o meglio identificatosi, con il sistema-mondo. Ma le teorie individualistiche dispongono di argomenti non meno validi quando indicano negli scarti della transizione demografica tra paesi avanzati e paesi sottosviluppati (gli ultimi con troppi giovanissimi, i primi con troppi anziani), o nelle masse di lavoratori qualificati resi disponibili all'Ovest dal crollo del comunismo all'Est, le cause dell'eccesso di offerta di forza-lavoro rispetto alla capacità produttiva delle imprese capitalistiche. Né si possono ignorare le ragioni delle spiegazioni funzionalistiche. Con una percepibile connotazione etica, esse attribuiscono alla difficoltà di acquisire le competenze considerate socialmente e tecnicamente essenziali in un'economia fondata sul brain-power, sulla capacità creativa del lavoro intellettuale, più che sui mezzi di produzione tradizionali, la maggior capacità di ascesa sociale delle minoranze che di tali competenze sono riuscite a dotarsi, a paragone delle maggioranze che ne sono prive.
Analogamente a quanto accade in altri campi disciplinari, le differenti teorie della stratificazione, ciascuna delle quali concorre a spiegare singoli aspetti di questo fenomeno, attendono ancora la ‛grande teoria' capace di unificarle.
4. La stratificazione sociale nelle società contemporanee
Assumendo come unità di riferimento la posizione sociale, un modello di stratificazione multidimensionale che voglia coprire gran parte delle società contemporanee dovrebbe comprendere, dall'alto in basso, almeno i seguenti strati.
I. Alti dirigenti - ossia amministratore delegato, presidente, chief executive officer, procureur-directeur général, secondo le denominazioni dei vari paesi - di grandi imprese transnazionali dell'industria, della finanza, dei servizi; direttori e dirigenti delle banche centrali; dirigenti di organizzazioni internazionali (ad esempio, l'ONU, la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l'Organizzazione Mondiale per il Commercio, la Commissione Europea, ecc.); membri del governo. Per effetto dell'indice sintetico richiesto da questo modello, si ritrovano affiancate nel medesimo strato posizioni, come gli alti dirigenti d'impresa, cui è attribuito in genere un reddito elevatissimo e grande potere economico, e altre che compensano il minor reddito con un maggior potere politico.
II. Politici ai vertici dei maggiori partiti; magistrati dei massimi gradi; professionisti di successo, soprattutto architetti, direttori d'orchestra, avvocati, chirurghi, scienziati di pubblica fama; personaggi di spicco del sistema dei media e del cinema.
III. Dirigenti d'azienda, alti funzionari dello Stato, ambasciatori, prefetti, alti gradi delle forze armate, docenti universitari.
IV. Piccoli imprenditori, medi professionisti (medici, avvocati, notai, fiscalisti, ecc.), tecnici (ingegneri, biologi, informatici, consulenti d'azienda) che operano come indipendenti, giornalisti, piloti.
V. Professionisti e tecnici situati in posizione di dipendente entro organizzazioni private e pubbliche, insegnanti, ufficiali delle forze armate, funzionari pubblici di medio livello.
VI. Anziani benestanti, le cui entrate derivano da pensioni elevate, da redditi addizionali da lavoro, da rendite immobiliari o finanziarie.
VII. Lavoratori autonomi con un'attività regolare: artigiani, commercianti, coltivatori diretti, trasportatori; supervisori e quadri dell'industria.
VIII. Operai e impiegati dell'industria e dei servizi a elevata qualificazione e con contratto di lavoro a tempo indeterminato, operatori socio-sanitari.
IX. Operai e impiegati dell'industria e dei servizi aventi una qualificazione medio-bassa ma un contratto di lavoro a tempo indeterminato, commessi, conducenti di veicoli, militari e assimilati.
X. Lavoratori autonomi che cumulano irregolarmente spezzoni di attività. Lavoratori interinali, sia operai che impiegati, o a tempo parziale, o con un contratto a tempo determinato.
XI. Lavoratori poveri, braccianti, lavoratori dipendenti nell'economia sommersa, immigrati clandestini.
XII. Membri di famiglie ‛spezzate' privi di lavoro stabile, disoccupati di lunga durata e/o a reddito zero, percettori di sussidi a termine, anziani con pensione minima, bambini lavoratori, nomadi, mendicanti.
XIII. Detenuti, forzati in campi di lavoro, schiavi per debito, bambini che vivono in strada, persone senza casa, ricoverati coatti in manicomio, rifugiati e profughi.
A seconda delle società cui si applica, ovvero dei dati locali con cui viene empiricamente caricato, questo modello genererà un profilo differente, in relazione alla numerosità dei diversi strati in questa o quella società. Nei paesi in via di sviluppo si troverà che lo strato I è meno numeroso che non nei paesi avanzati, mentre è più numeroso lo strato XI, soprattutto per la maggior presenza di lavoratori attivi nell'economia sommersa. Lo strato VI, formato da anziani benestanti, è quasi sconosciuto in India o in Cina, ma è numeroso e potente negli Stati Uniti, come pure - sempre in rapporto alla popolazione totale - in Germania. Lo strato X, in cui si concentrano i lavoratori istituzionalmente precari, è proporzionalmente ampio, commisurato alla popolazione presente, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, meno in Francia o in Italia. Non vi sono forzati in campi di lavoro in Svezia o in Spagna, ma in Cina essi si contano a milioni.
Peraltro, i sistemi di stratificazione sociale nel mondo sono in perenne movimento, e cogliere le direzioni di questo movimento presenta in genere maggior interesse, tanto per la teoria sociologica quanto per la politica sociale, che non le immagini statiche. La dinamica della stratificazione nelle società contemporanee, osservata facendo un confronto con lo stesso modello - ove questo fosse caricato con i dati di trenta o quarant'anni fa - manifesta al volgere del XXI secolo nove caratteristiche principali.
1. Mondializzazione del potere economico-politico dello strato I. - Il potere economico e politico dello strato I (alti dirigenti di grandi imprese, di banche centrali, di organizzazioni internazionali) è diventato un potere mondiale, assai superiore a quello di molti governi. Le direttive della Banca Mondiale e dell'FMI in tema di aggiustamento strutturale dell'economia, o dell'Organizzazione Mondiale per il Commercio in tema di tariffe e libertà degli scambi, condizionano tasso e modello di sviluppo, nonché il bilancio pubblico, di decine di paesi indebitati con l'Occidente. In vista dell'introduzione della moneta unica, le banche centrali europee, ovvero i loro dirigenti, hanno avuto maggior peso dei singoli governi nell'anteporre i parametri della stabilità monetaria ai tassi di sviluppo e di occupazione, con conseguenze di prima grandezza a carico delle popolazioni dell'Unione Europea.
2. Aumento delle disuguaglianze economiche. - Sono fortemente cresciute, a livello planetario, le disuguaglianze di reddito ai due estremi della piramide della stratificazione. Nel 1960 il quinto più ricco della popolazione del pianeta, che si può stimare includa i primi quattro-cinque strati superiori, si divideva il 70,2% del PIL mondiale, mentre al quinto più povero, formato all'incirca dai quattro strati inferiori, toccava il 2,3%: il rapporto tra il primo e l'ultimo quintile era dunque di 30:1. Ma nel 1991 la disuguaglianza di reddito tra i due quintili era salita a 61:1. Il primo quintile disponeva infatti dell'84,7% del reddito prodotto nel mondo; all'ultimo quintile restava l'1,4% (v. UNDP, 1992; tr. it., pp. 46-47).
Entro determinate società si possono osservare diseguaglianze ancora più marcate tra singoli strati. Negli Stati Uniti, ad esempio, il reddito medio dei dirigenti esecutivi di massimo livello (chief executive officers), componenti dello strato I, ammontava nel 1975 a 326.000 dollari l'anno, contro gli 8.000 dollari in media degli operai e impiegati (strati VIII e IX); donde un rapporto di 41:1 tra il reddito dei primi e il reddito dei secondi. Nel 1994 il reddito medio di un chief executive officer era giunto a toccare i 3.700.000 dollari, quello degli operai e impiegati i 20.000, per cui il rapporto tra i due redditi risultava salito a 187 :1.
3. Nuove forme di disuguaglianza. - Sono comparse o ricomparse nuove forme di disuguaglianza, sia in assoluto (nel senso che poche società avanzate le conoscevano), sia localmente (disuguaglianze già esistenti in altre società sono ora osservabili in società dov'erano pressoché ignote). Nuova, ad esempio, è la disuguaglianza manifestatasi nelle società europee tra i lavoratori stabili, assunti con un contratto a tempo pieno e a durata indeterminata, e i lavoratori definibili a vario titolo come precari: operai e impiegati assunti a tempo parziale, tecnici con contratti a tempo determinato, dipendenti di società che forniscono prestazioni interinali, quadri e dirigenti licenziati e utilizzati saltuariamente come consulenti, ecc. In Gran Bretagna i lavoratori precari formano ormai oltre il 50% delle forze lavorative entrate in attività nell'ultimo decennio; le altre società europee si stanno rapidamente avvicinando a tale limite.
4. Aumento dei ‛lavoratori poveri'. - Strati sociali di cui si preconizzava nelle società avanzate una forte riduzione, se non addirittura la scomparsa, hanno conservato le stesse dimensioni o le hanno accresciute. Tra questi spiccano i ‛lavoratori poveri' - così definiti perché il loro reddito si colloca al di sotto della soglia della povertà assoluta pur derivando da un lavoro stabile - che, lungi dall'essere un retaggio delle prime fasi dell'industrializzazione, sono in forte aumento sia in Europa che negli Stati Uniti. In quest'ultimo paese - se si pone la soglia della povertà a 15.000 dollari di reddito l'anno (in moneta odierna) per una famiglia di 4 persone - i ‛lavoratori poveri' sono aumentati dall'8,4%, sul totale della popolazione attiva, del 1969 al 23,2% del 1994.
5. Sopravvivenza di strati sociali nei cambi di regime. - Strati sociali la cui presenza sembrava legata all'esistenza di regimi politici totalitari si ritrovano, pienamente inseriti nell'economia produttiva, anche nei regimi che sono succeduti a quelli. È il caso degli ospiti forzati dei campi di lavoro in Cina. Una ricerca effettuata da un autore che fu costretto a soggiornarvi per diciannove anni, elencava nel 1992 almeno 990 campi di tre diversi tipi (‟Detenuti al lavoro", ‟Rieducazione attraverso il lavoro", ‟Collocamento coatto al lavoro"), stimando tuttavia che essi rappresentassero solamente tra un quarto e un sesto del totale (v. Wu, 1992). Poiché ognuno di questi campi ospita almeno un migliaio di lavoratori, una stima prudente farebbe ammontare la popolazione di questo strato, nella sola Cina, a 3-5 milioni di persone.
6. Maggiore differenziazione interna degli strati sociali. - Quasi tutti gli strati sono diventati assai più eterogenei e internamente disuguali. La differenziazione delle professioni e delle condizioni di lavoro indotta dalle tecnologie e dai modelli organizzativi; la variabilità del sistema delle relazioni industriali; le diversità delle condizioni di vita e di abitazione tra aree territoriali e all'interno delle grandi città rappresentano tutte variabili che incrociandosi tra loro danno origine a una crescente varietà di posizioni e di status entro il medesimo strato sociale. Per quanto riguarda in specie la diseguaglianza dei redditi da lavoro nei paesi avanzati, dai primi anni settanta agli anni novanta essa è cresciuta non soltanto fra i lavoratori qualificati e quelli non qualificati, ma ancor più entro, rispettivamente, lo strato dei primi e lo strato dei secondi; entro lo stesso settore d'attività più che tra un settore e l'altro; tra gli individui aventi lo stesso livello di istruzione - basso, medio o alto che sia - più che tra quelli aventi un grado di istruzione differente (v. Thurow, 1996, p. 22).
7. Ricomparsa di strati sociali marginali. - Strati sociali che si consideravano ormai limitati alle società del Sud del mondo si stanno nuovamente sviluppando anche nelle società del Nord. È il caso dei lavoratori di età inferiore ai 15 anni, uno strato la cui consistenza è stimata in 200 milioni di unità nel Sud, e in almeno 5 milioni nei paesi dell'Unione Europea. In questi stessi paesi sono in forte espansione altri strati già considerati tipici dei paesi del Sud, come lo strato XI (lavoratori dell'economia sommersa, immigrati clandestini) e il XII (membri di famiglie spezzate privi di lavoro stabile, disoccupati di lunga durata o a reddito zero, anziani con pensione minima o privi di pensione, ecc.).
8. Diversa distribuzione delle donne. - È moderatamente aumentata la proporzione di donne negli strati medio-alti, dal III al VI, ma essa rimane insignificante negli strati superiori, il I e il II, mentre è elevatissima negli strati bassi, dal IX al XII. Le donne occupano tuttora solo il 10% dei seggi parlamentari - con un'escursione intorno a tale media che va dal 4% negli Stati arabi al 35% dei paesi scandinavi - e il 6% delle cariche governative. In 55 paesi si registra o la totale assenza delle donne dal parlamento o una loro presenza inferiore al 5%. Su 1,3 miliardi di poveri nel mondo, il 70% è costituito da donne. La presenza femminile è massicciamente superiore a quella degli uomini nell'economia informale (v. UNDP, 1995, pp. 14, 49 e 52).
9. Aumento negli strati più bassi dei minori e dei senza casa. - Nel XII e XIII strato, al fondo della scala sociale, è fortemente cresciuta la proporzione di minori e, tra questi, di bambini al di sotto dei 10 anni. In America Latina, nell'Asia sudorientale, in Africa, decine di milioni di bambini conducono un'esistenza contrassegnata da droga, mendicità, violenza, prostituzione. Si stima che il numero di bambini e adolescenti in età inferiore ai 15 anni che vive, mangia e dorme in strada nel solo Brasile sia di almeno 8 milioni. Il fenomeno è peraltro in espansione anche nelle metropoli europee e nordamericane.
Del pari in aumento è il numero degli adulti senza casa, i quali vivono nelle strade sia di giorno che di notte. In Francia si stima che essi siano più di 600.000 - lo stesso numero degli Stati Uniti, che hanno però una popolazione quattro volte più grande. Tra i componenti in peggiori condizioni, entro questo strato al fondo della scala sociale, vanno menzionati i rifugiati per cause belliche ed economiche. Nel 1995 il solo numero di coloro che avrebbero avuto bisogno di interventi d'urgenza era stimato dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR) in oltre 27 milioni. Questa massa includeva sia coloro che avevano attraversato una o più frontiere per sfuggire a conflitti e persecuzioni (come nel caso Ruanda-Zaire), o a gravi crisi politico-economiche (come nel caso Nicaragua-Costa Rica), sia quelli che per le stesse ragioni avevano dovuto abbandonare le loro case spostandosi in altre regioni, in molti casi lontane, del medesimo paese. Secondo stime meno mirate di quelle dell'ACNUR - che guarda soprattutto alle situazioni di emergenza - il totale dei rifugiati supera invece i 50 milioni. Decine di popolazioni in quattro continenti sono coinvolte in questo fenomeno, tra cui gli Afghani, i Bosniaci, gli Indiani, gli Iracheni, i Liberiani, i Nepalesi, i Nicaraguensi, i Palestinesi, i Somali, i Sudanesi, gli Yemeniti.
5. Il ricambio degli strati. La mobilità sociale
La popolazione che forma i differenti strati sociali è soggetta a un continuo ricambio, in primo luogo per cause demografiche. Gli strati intermedi presentano in genere tassi di fertilità minori in relazione agli altri strati, e i vuoti che in essi si registrano sono colmati da individui provenienti dagli strati sottostanti o soprastanti. Si tratta di un fenomeno relativamente recente. Nei primi decenni del secolo, infatti, sociologi come Vilfredo Pareto ed economisti-demografi come Corrado Gini calcolavano che i meno prolifici fossero gli strati superiori, per cui concetti quali la ‟circolazione delle élites" (Pareto) o il ‟metabolismo demografico" (Gini) definivano anzitutto i flussi di individui che dagli strati inferiori salivano a compensare le perdite verificatesi nelle file degli strati alti. La transizione demografica dei decenni successivi, insieme con il forte aumento verificatosi negli investimenti individuali e famigliari necessari per la copertura dei ‟costi dell'uomo" - secondo la nota espressione di François Perroux - hanno invece provocato soprattutto la riduzione della prolificità degli strati intermedi. D'altra parte i grandi movimenti immigratori, come quelli che hanno conosciuto gli Stati Uniti nel primo terzo del secolo e l'Europa occidentale nell'ultimo, tendono a gonfiare prevalentemente gli strati medio-bassi.
In secondo luogo si ha ricambio nella stratificazione sociale perché, col tempo, una certa quota dei componenti degli strati più bassi riesce a salire di propria iniziativa in uno strato più alto, o vi è sospinta da fattori esterni, mentre altri compiono, in genere contro la loro volontà, un percorso inverso.
Il passaggio di quote di individui da uno strato a un altro è detto ‛mobilità sociale', che sarà ‛ascendente' nel caso che tali quote si trasferiscano in uno strato superiore rispetto a quello di partenza, e ‛discendente' nel caso contrario. La mobilità è definita ‛intragenerazionale' se il confronto è fatto tra le posizioni d'uno stesso individuo in due momenti diversi della sua vita; ‛intergenerazionale' se il termine di riferimento è la posizione dei genitori, di solito il padre, quando avevano la stessa età del soggetto considerato.
I processi di ricambio degli strati sociali, e più specificamente i flussi di mobilità intra- e intergenerazionali, presentano grande interesse sia per la teoria che per la politica sociale per le ragioni sottoelencate.
1) Si reputa che una società in cui il tasso di mobilità ascendente è elevato, o - si noti - è creduto tale dalla popolazione, sia soggetta a minori tensioni sociali. Il desiderio di promozione sociale differenziale, vale a dire l'aspirazione a migliorare le proprie iniziali condizioni di vita rispetto a un dato gruppo di riferimento, trova nella mobilità oggettiva, come pure nella speranza di mobilità, la sublimazione più efficace, mentre ove venisse frustrato predisporrebbe gli individui a disconoscere l'ordine sociale esistente. Mobilità oggettiva e speranza di mobilità appaiono peraltro scarsamente correlate; vi sono società in cui la seconda appare elevata, come elemento dell'ideologia dominante, laddove la prima risulta limitata.
2) Una mobilità sociale elevata contribuirebbe a conferire maggior efficacia ed efficienza all'intera organizzazione sociale, perché risulterebbe facilitato il rapido inserimento degli individui in possesso di determinate forme di talento e di competenza nelle posizioni sociali a loro più congrue, nelle quali tali qualità sarebbero impiegate a vantaggio della collettività.
3) Per contro, una società nella quale una quota rilevante di individui ha conosciuto, per ragioni economiche o politiche o belliche, una rapida e marcata perdita di status, a causa della quale si trova costretta a scendere da uno strato più alto a uno più basso, va incontro a gravi forme di instabilità. La mobilità discendente su larga scala, specialmente se improvvisa, è considerata di regola un fattore di radicalizzazione politica. L'avvento dei regimi autoritari in Italia e in Germania - rispettivamente nel 1922 e nel 1933 - ebbe tra le sue concause la perdita di status di milioni di appartenenti agli strati intermedi (insegnanti, professionisti, ufficiali, piccoli proprietari terrieri, commercianti, funzionari statali), causata dalla sconfitta militare, dalla disoccupazione e dall'inflazione.
4) Sulle modalità d'azione di uno strato sociale non influisce solamente la sua posizione assoluta e relativa nel sistema di stratificazione, ma anche la sua composizione, derivante dalla provenienza dei suoi membri. Come ebbe a notare Pareto, ‟chi da un gruppo passa a un altro vi reca generalmente certe inclinazioni, certi sentimenti, certe attitudini che ha acquistato nel gruppo da cui viene" (v. Pareto, 19643, §§ 2.041 ss.). Quando siano diffuse in un dato strato, le particolari proprietà individuali dei suoi componenti sono atte a indurre comportamenti non desumibili dalle caratteristiche oggettive di quel medesimo strato.
5) In una elevata mobilità ascendente molti autori hanno scorto un fattore di crisi delle concezioni tradizionali del mondo, di concomitante sviluppo nella circolazione delle idee, di affermazione di idee innovative in campo artistico, filosofico, scientifico, morale (così Karl Mannheim nel 1929, in Ideologia e utopia). Al tempo stesso essa può indurre, però, un aumento dell'ansia individuale e collettiva, conseguente alla difficoltà di definire la propria posizione sociale - un processo che presuppone punti di riferimento stabili - di avere relazioni interpersonali continuative, di costruirsi un'identità, di conoscere le regole sociali da seguire nello strato al quale si appartiene.
I fattori che influiscono sul tasso e sulla natura del ricambio degli strati sociali, e più specificamente della mobilità interstrato, si sogliono distinguere in ‛normativi', ‛strutturali' e ‛individuali'. Tra i primi vanno inclusi tutti gli interventi, legali e non, che uno Stato, un governo, una élite politica mettono in opera al fine deliberato di far scendere o salire nel sistema nazionale di stratificazione una classe sociale, una categoria professionale, un gruppo etnico o religioso, un sesso, una classe di età o di istruzione, o qualsiasi altro raggruppamento socio-anagrafico. Nella Russia sovietica, a cavallo degli anni trenta del XX secolo, la classe dei kulaki, contadini benestanti, fu spinta materialmente e simbolicamente al fondo del sistema di stratificazione, perché così esigeva, secondo il regime allora dominante, la collettivizzazione delle campagne. Lo stesso accadde agli Ebrei come gruppo etnico nella Germania nazista, o agli intellettuali, di nuovo come classe, nella Cambogia di Pol Pot durante gli anni settanta. Un caso storico di segno contrario è stato invece la concessione del diritto di voto alle donne nelle democrazie liberali e in altri paesi nel corso del Novecento. Ma fattori di tipo normativo sono all'opera nel far salire o scendere gruppi sociali nel sistema di stratificazione anche in casi meno drammatici. Ad esempio, una pronunciata riduzione dell'aliquota marginale dell'imposta sul reddito delle persone fisiche è atta a favorire la mobilità ascendente di categorie o frazioni di classe come i dirigenti d'azienda o i professionisti, così come un forte aumento della stessa aliquota può concorrere a far discendere almeno parte di essi negli strati sottostanti.
Strutturali sono detti invece quei fattori - in primo luogo demografici ed economici - che sospingono quote di popolazione da uno strato all'altro, per vie indipendenti tanto dagli interventi normativi - anche se talora si intrecciano con questi - quanto dall'azione o dalle caratteristiche individuali. Nelle società avanzate, più di qualsiasi altro fattore, è stato un fenomeno demografico come l'aumento della durata media della vita, insieme con la bassa natalità, a fare degli anziani uno strato numeroso e politicamente influente. Per converso, l'alta natalità, combinata con tassi di crescita economica insufficienti, ha accresciuto in molti paesi sottosviluppati lo strato dei bambini diseredati, privi di casa, di istruzione e di assistenza sociale. In Europa come negli Stati Uniti, masse di immigrati clandestini, dell'ordine di alcuni milioni l'anno, ingigantiscono gli strati inferiori dei lavoratori precari.
Quanto ai fattori economici, il maggior agente di mobilità sociale, ascendente e discendente, è sempre stato lo sviluppo economico d'un paese. Esso accresce la domanda di impiegati, di tecnici, di professionisti, di operatori dei servizi; apre nuove opportunità per fondare imprese; crea nuovi posti di quadro e di dirigente. Dagli strati correlativamente inferiori affluiscono quindi gli individui, in specie i figli di famiglie operaie e contadine, che puntano a ricoprire le posizioni che in tal modo si offrono. Tale processo, che ha caratterizzato per prime le società europee via via che percorrevano in epoche successive la strada della industrializzazione, è evidente alle soglie del XXI secolo in tutti i paesi in via di sviluppo.
Per un altro verso accade, al volgere del secolo, che i sistemi di stratificazione delle società avanzate siano influenzati, più che dai modesti tassi di sviluppo nazionali, dalla globalizzazione dell'economia. Essa ha posto in competizione gli strati dei lavoratori a bassa qualificazione dei paesi avanzati, i quali hanno salari relativamente alti, con larghissimi strati di lavoratori dei paesi in via di sviluppo, i quali hanno basse qualifiche e bassi salari. Inoltre, la globalizzazione ha ridotto quasi ovunque i redditi reali (cioè ricondotti a una moneta costante) dei membri delle classi medie, che hanno reagito aumentando il numero di occupati per famiglia; essa ha tuttavia consentito a una frazione minoritaria dei medesimi soggetti di accrescere sostanzialmente il proprio reddito, nel mondo sempre più competitivo e mobile di un'economia in cui gli scambi finanziari eccedono da 50 a 1 gli scambi di beni e servizi, facendo così salire tale gruppo verso il culmine della stratificazione.
Tra i fattori strutturali di mobilità ascendente non va sottaciuta la guerra. Essa comporta, quasi senza eccezione, una elevata mortalità di giovani maschi e, tra questi, di una quota elevata di diplomati, di studenti universitari e di laureati. Nelle due guerre mondiali 1914-1918 e 1939-1945 i paesi europei persero una quota elevatissima della propria intelligencija. Tra gli effetti di simile falcidia di giovani vite, che hanno lasciato scoperte milioni di posizioni sociali negli strati intermedi, vi è stato un notevole aumento della mobilità ascendente nei paesi che subirono le maggiori perdite, quali la Germania, la Russia, la Polonia e la Iugoslavia. Le decine di conflitti locali di questa fine secolo stanno producendo un po' dovunque, dall'Afghanistan alla ex Iugoslavia, dal Burundi al Kurdistan, effetti analoghi (v. AA. VV., 1996).
Sotto la denominazione di fattori individuali, infine, vengono sussunti tutti i corsi d'azione che i singoli pongono consapevolmente in essere al fine di salire nella piramide della stratificazione sociale. Un comune fattore individuale di mobilità è stato - ed è tuttora nei paesi in via di sviluppo - il grado di istruzione. Famiglie di operai, di contadini, di piccoli commercianti, spingono i figli a conseguire un diploma di scuola superiore, o la laurea, favorendone così la promozione sociale e l'inserimento negli strati sovrastanti. D'altra parte, nelle società avanzate l'influenza positiva del fattore educazione sulla mobilità tende ad annullarsi, sia perché diminuiscono per ragioni strutturali le aperture negli strati medio-alti, sia perché l'ampia disponibilità di diplomati e di laureati accresce la competizione tra gli individui e spinge le organizzazioni a chiedere titoli di studio sempre più elevati, anche per lavori di qualificazione media o bassa. In tale situazione gli individui sono comunque spinti a conseguire un titolo di studio elevato, perché senza di esso non avrebbero alcuna speranza di ottenere o conservare un posto di lavoro qualsiasi.
La mobilità ascendente di un individuo dipende anche dalle strategie comportamentali di ciascuno. Rientrano, tra queste, comportamenti per certi versi opposti, quali il conformismo e l'aggressività, parimenti efficaci se adeguati volta a volta alla situazione in cui il soggetto agisce. Mediante il conformismo un individuo si mostra ligio al volere dei superiori, attesta d'aver interiorizzato i codici comportamentali dello strato superiore, assicura i membri di quest'ultimo che se sarà cooptato in esso agirà allo stesso modo che se vi fosse nato. È questo il comportamento che meglio propizia l'ascesa nelle organizzazioni complesse. A sua volta l'aggressività che si esprime in superlavoro, iniziativa continua, competizione senza remore con chi si trova nella stessa posizione, spregiudicatezza di azioni e dichiarazioni, benché possa contribuire alla mobilità pure in un'organizzazione, soprattutto se unita a strategie conformiste, si addice maggiormente all'ascesa in una professione, in uno sport, in politica e nella sfera imprenditoriale.
Fattori di mobilità normativi, strutturali e individuali possono combinarsi in vari modi. Se un regime politico vuol promuovere l'ascesa degli intellettuali come strato, si può ipotizzare che a trarne i maggiori vantaggi saranno gli intellettuali conformisti, e non certo quelli che avversano il regime. Quando lo sviluppo economico moltiplica le posizioni di quadro, di tecnico, di dirigente, è probabile che a occuparle siano in prevalenza gli individui più aggressivi. Ove un tasso eccezionalmente elevato di incremento della popolazione accresca in modo spropositato la dimensione degli strati medio-inferiori, avranno maggiori chances di salire negli strati soprastanti gli individui più conformisti, o i più aggressivi, o quelli maggiormente capaci di combinare tra loro le due strategie.
Una sorta di legge della mobilità sociale ascendente vuole che il tasso di mobilità da uno strato all'altro, inteso come la quota di individui che salgono dallo strato X, più basso, allo strato Z, più alto, sia inversamente proporzionale alla distanza sociale esistente tra X e Z. Più grande la distanza tra X e Z, minore l'entità dei passaggi da X a Z, e viceversa. Se X e Z non sono adiacenti, ma tra di essi esiste lo strato Y, la quota degli individui mobili che si ferma in Y è assai maggiore di quella che riesce a raggiungere Z. Una ricerca intergenerazionale condotta su un campione di famiglie italiane illustra efficacemente tale legge (in questa ricerca si usa il termine ‛classe' anziché ‛strato'; si tratta peraltro di uno dei tanti casi in cui i due termini possono venir considerati sinonimi). Le classi/strati considerate sono in tutto sei, dal basso verso l'alto: classe operaia agricola, classe operaia, piccola borghesia agricola, piccola borghesia urbana, classe media impiegatizia, borghesia. Tra gli individui appartenenti in origine alla classe operaia, il 24,4% arriva a inserirsi - dopo una generazione - nella classe media impiegatizia, che nel modello utilizzato in tale ricerca si colloca due strati più in alto; ma soltanto il 4,7% riesce a entrare nei ranghi della borghesia, che forma invece il terzo strato al disopra degli operai. Tra la piccola borghesia urbana, il 26,3% sale nella classe immediatamente sovrastante, quella degli impiegati; però coloro che compiono il salto sino alla borghesia si riducono all'8,8% (v. De Lillo, 1988, p. 32).
Simile carattere dissipativo della mobilità è in genere sopravvalutato nelle società in cui prevalgono rappresentazioni che enfatizzano le possibilità per ogni individuo di sperimentare forme di mobilità ascendente. In esse una quota rilevante di popolazione crede che i passaggi dal basso in alto siano più numerosi di quanto le ricerche non dicano.
Un altro aspetto del medesimo fenomeno si può cogliere misurando il tasso di ‛immobilità', ovvero il ‛potere di ritenzione' dei diversi strati di ingresso, intesi come la percentuale di persone che, giunte a uno stadio avanzato della loro vita professionale, si ritrovano nello stesso strato della prima occupazione. Da una ricerca condotta in alcuni paesi i quali avevano all'epoca (metà degli anni ottanta) regimi politici diversi (Inghilterra, Francia, Ungheria e Polonia), risulta che, quale che fosse la loro classe di origine, dal 70 a oltre il 90% dei soggetti che avevano cominciato a lavorare come professionisti e dirigenti erano ancora - in tutti i paesi considerati - nella stessa posizione al momento dell'indagine, ossia parecchi anni più tardi. Al contrario, il potere di ritenzione di strati come quelli degli impiegati esecutivi e dei lavoratori manuali appare decisamente minore, quello dei primi essendo inferiore a quello dei secondi: solo il 30% o poco più di coloro che hanno iniziato a lavorare come impiegati si ritrova tempo dopo nel medesimo strato, mentre per gli operai si va dal 40 al 70%, a seconda dei paesi (v. Erikson e Goldthorpe, 1988, p. 163). Ciò non significa che tutti siano saliti a strati superiori, giacché anche la mobilità discendente contribuisce a modificare i tassi di immobilità.
6. Stratificazione sociale, marginalità ed esclusione
In tutti i sistemi di stratificazione sociale sono esistiti ed esistono componenti o frazioni consistenti di strati inferiori che - in alcuni casi per cause oggettive, in altri per dispositivi normativi - risultano privi di qualsiasi opportunità di mobilità ascendente, o che vengono spinti inesorabilmente da strati intermedi verso strati più bassi. Per designare specificamente tale fenomeno la sociologia ha elaborato i concetti di ‛marginalità' ed ‛esclusione': il primo fa parte da quasi un secolo del lessico tradizionale della sociologia, mentre il secondo ha conosciuto un'eccezionale diffusione a partire dagli anni ottanta del Novecento, soprattutto a opera di sociologi, economisti ed esperti di politica sociale di area francese. Attualmente i due concetti sono usati nella letteratura in modo difforme, sino a invertirne talora i rispettivi significati. Nella medesima antologia si può leggere, ad esempio: ‟la marginalità è l'effetto di procedure concertate di esclusione [...] l'esclusione non è la marginalizzazione, benché vi possa condurre"; oppure che l'esclusione è ‟una forma recente di marginalizzazione sociale" (v. Paugam, 1996, pp. 34 e 112 ). Due distinti significati di marginalità ed esclusione sono tuttavia discernibili. L'individuo marginale è un soggetto avente uno status basso o infimo, il quale non ha alcuna reale possibilità di migliorarlo, sebbene goda in astratto dei medesimi diritti formali degli individui che di tali possibilità dispongono. I bambini senza famiglia, per lo più analfabeti, che vivono in permanenza nelle strade di São Paulo - collocandosi in tal modo nello strato più basso delle società contemporanee - hanno dal punto di vista formale gli stessi diritti di tutti i cittadini brasiliani, ma di certo non riusciranno mai a diventare nemmeno operai, per non dire tecnici o coltivatori diretti. Si tratta qui della versione moderna di una forma di marginalità che ha attraversato la storia: i mendicanti che nel Seicento affollavano le strade di Parigi o di Londra non avevano alcuna possibilità concreta di diventare mercanti o vetturini, benché in via di principio ciò non fosse loro vietato.
Per contro, l'individuo definibile come escluso è colui (o colei) che è spinto in uno strato inferiore - quanto meno inferiore a quello cui apparteneva precedentemente - oppure è costretto a rimanervi, vuoi a causa di qualche dispositivo normativo (abbia o no quest'ultimo uno specifico carattere giuridico), vuoi perché esposto a forme di ‛etichettamento' sociale esplicitamente formulate. Sebbene il largo uso del termine ‛esclusione' sia recente, il fenomeno che esso indica è molto antico. In quasi tutte le società europee, in vari periodi, gli Ebrei sono stati esclusi per legge da professioni, forme di proprietà e luoghi. Dopo la riconquista cristiana, conclusasi nel 1492, editti reali e papali sottoposero i moriscos (musulmani di Spagna) a ogni sorta di esclusione. In ogni tempo gruppi sociali screditati per ragioni politiche, giuridiche, morali, religiose, o ‛mediche' - dai folli agli ex detenuti, dai dissidenti politici agli omosessuali, dai malati di lebbra ai malati di AIDS - hanno infoltito i ranghi degli esclusi. Anche nella maggior parte delle società contemporanee chi non possiede la cittadinanza locale, ancorché risieda nel paese da decenni, è escluso per legge dall'elettorato politico e amministrativo, attivo e passivo, dalle professioni sottoposte a controllo statale, dalla facoltà di costituire imprese e dalla possibilità, in taluni casi, di acquisire proprietà immobiliari.
D'altro canto, a partire dagli anni ottanta del XX secolo il concetto di esclusione è stato soprattutto applicato - nei paesi dell'Unione Europea - alla situazione di chi non trova più posto nel processo produttivo, sia perché ne è stato espulso, sia - come avviene a una percentuale crescente di giovani - perché non riesce a entrarvi. Punto di partenza della discussione è stata la disoccupazione di lunga durata, cioè superiore a un anno. Fra i paesi dell'Unione Europea essa riguarda negli anni novanta da un minimo di oltre il 40% a un massimo di oltre il 75% del totale dei disoccupati. Il massimo si registra in Italia, ma anche paesi considerati modelli di prosperità economica, come la Germania e l'Olanda, fanno registrare valori elevati, intorno al 50%.
La disoccupazione di lunga durata ha sugli individui effetti cumulativi, prima economici, poi sociali e psicologici. Chi ne è colpito, dopo aver perduto il salario resta prima o poi anche privo di quelle indennità che gli Stati, in forma differente e per periodi diversi, erogano ai disoccupati. Per una famiglia può essere la rovina economica; per l'individuo l'inizio di un percorso di degrado delle proprie relazioni interpersonali, con i famigliari e con la comunità. Infine, l'essere continuativamente disoccupati per più anni provoca anche effetti negativi sull'identità sociale di una persona, sulla sua autostima, sulle motivazioni e sulle competenze che sono necessarie per poter sperare di trovare un altro lavoro. Ne deriva che, più a lungo si resta disoccupati, tanto più peggiora lo status complessivo della persona, e tanto più diminuisce la probabilità di trovare un nuovo lavoro. La caduta nella povertà e nella solitudine diventano irreversibili. Tramite un simile circolo vizioso, l'esclusione giunge a investire tutte le sfere dell'esistenza.
Ci si può chiedere dove stiano in tali casi i fattori normativi che dovrebbero distinguere il processo di esclusione da quello di marginalizzazione, ovvero i processi di ‛etichettamento' sociale. Essi vanno cercati nell'affermazione, tanto nella teoria economica quanto nella prassi delle aziende e nella politica dei governi, di una cultura che antepone a ogni regola la ‟logica della competenza" (v. Paugam, 1996, p. 117). Agli individui si richiede che facciano fronte alle sfide dell'economia mondializzata mostrando capacità di rapido adeguamento ai mutamenti tecnologici e organizzativi, spirito di iniziativa, disposizione alla mobilità professionale e territoriale, assunzione di responsabilità per il proprio futuro. Chi mostra di non possedere in elevata misura tale pluriforme competenza - o è comunque sospettato di non possederla, come accade frequentemente da un lato ai giovani in cerca di prima occupazione, dall'altro agli occupati appena sopra i quarant'anni, siano essi operai, quadri o dirigenti - ha elevate probabilità di essere escluso dal sistema produttivo, o perché è costretto a uscirne, o perché non riesce a entrarvi. I principî in base ai quali avviene l'esclusione non hanno qui uno statuto giuridico, ma costituiscono norme di comportamento - quali sono appunto descritte nella teoria sociologica dell'etichettamento - cui gli attori economici collettivi e lo Stato si adeguano in modo generalizzato e sistematico, legittimati dalla cultura del primato della ‟logica della competenza". Allorché si possono ‟identificare dei gruppi aventi uno status definito che li colloca in una posizione speciale, tale da sanzionare la loro esteriorità in rapporto alla società ‛normale'", sembra legittimo parlare di esclusione (v. Castel e altri, 1995, p. 21).
Ricercatori francesi hanno quantificato il ‛rischio' di esclusione - caduta nella povertà e poi nella miseria - di tre grandi fasce di popolazione:
a) la popolazione economicamente e socialmente ‛integrata', grazie a un impiego stabile, un reddito regolare, un buon capitale sociale e culturale (reti di relazioni famigliari e associative, titoli di studio). Essa comprende in Francia l'80,3% degli attivi e, rapportata al modello delineato sopra (v. cap. 4), includerebbe all'incirca gli otto strati superiori;
b) la popolazione ‛fragile', pari al 14,5% degli attivi, formata da individui segnati da una forte instabilità professionale (impiego precario, disoccupazione fino a due anni) e legami sociali deboli. Questa fascia corrisponderebbe agli strati dal IX all'XI del nostro modello;
c) individui in situazione di ‛ritiro dal mercato del lavoro' - 5,2% degli attivi - come i disoccupati da più di due anni, e gli inoccupati da più di cinque. Sono persone affette simultaneamente da grave povertà materiale, carenza di relazioni sociali, stato di salute mediocre o cattivo (strato XII). La quota di a) che corre un rischio elevato o molto elevato di perdere l'impiego stabile, e quindi di scivolare in b) sfiora il 34%; i ‛fragili' che rischiano seriamente di uscire dal mercato del lavoro superano il 51%; infine le persone che, già ai margini del mercato del lavoro - fascia c) - rischiano di trovarsi privi di qualsiasi reddito, di perdere la casa e di essere scissi da ogni legame sociale, superano il 64% (v. Bihr e Pfefferkorn, 1995, pp. 512 ss.).
A causa delle differenze di struttura istituzionale e di meccanismi assistenziali e previdenziali, tali dati non sono estendibili meccanicamente ad altri paesi, quali l'Italia o la Germania. Ciò nonostante, la somiglianza dei processi economici tra un paese e l'altro indotta dalla globalizzazione fa di essi un indicatore significativo dei rischi di esclusione sociale presenti pure in società provviste di sistemi di protezione sociale assai sviluppati.
7. Rappresentazioni collettive della stratificazione
Nell'analisi della struttura e della dinamica dei sistemi di stratificazione sociale un posto di rilievo occupano le ‛rappresentazioni mentali' che individui e gruppi si formano collettivamente in relazione a vari aspetti della stratificazione stessa. In complesso esse rientrano nella ‛ideologia della stratificazione': credenze, in parte vere e in parte false, e valutazioni, le une come le altre, insensibili alla confutazione empirica, che circolano tra i membri di una società in tema d'individuazione ‛di' e appartenenza ‛a' strati sociali. Alla rilevazione di tali rappresentazioni si provvede con mezzi quali interviste di campioni di popolazione, analisi del contenuto di film, messaggi pubblicitari, periodici, studio della comunicazione politica di differenti partiti. Tre tipi di rappresentazione sembrano meritevoli di particolare considerazione.
1. Rappresentazioni delle disuguaglianze e del loro mutamento. - Le disuguaglianze sociali sono differenze oggettive tra gruppi, soggettivamente rappresentate. Occorre una rappresentazione soggettiva affinché una differenza oggettiva sia percepita come una disuguaglianza: simile processo è intrinseco a ogni sistema di stratificazione. A elaborare tali rappresentazioni provvedono la coscienza sociale e, in modo più deliberato, i media, gli intellettuali, i politici, i membri degli strati superiori. Varie condizioni concorrono a trasformare, nella mente dei soggetti interessati, una differenza in una disuguaglianza. Anzitutto debbono intervenire i meccanismi già citati dei gruppi di riferimento (v. cap. 2), in base ai quali i membri del gruppo A constatano che i membri del gruppo B - i quali, a loro parere, svolgono lo stesso lavoro, sono situati in analoga posizione sociale, o hanno gli stessi diritti - usufruiscono di maggiori privilegi, risorse o riconoscimenti. Tale differenza comparata è allora percepita come una disuguaglianza, e questa viene interpretata come un'ingiustizia. In secondo luogo, è necessario che le differenze considerate appaiano alla coscienza collettiva, non già come un fatto ‛naturale', bensì quali condizioni socialmente determinatesi, superabili in quanto tali mediante interventi appropriati di politica economica, sociale o fiscale.
2. Rappresentazioni dei caratteri strutturali della stratificazione. - Questo tipo di rappresentazioni collettive viene spesso discusso sotto la dizione di ‛immagini della società'. Si tratta di complessi più o meno articolati e coerenti di elementi cognitivi e valutativi mediante i quali i membri dei diversi strati sociali rappresentano a se stessi, ed eventualmente ad altri, con gradi variabili di coscienza, quanti strati o classi sono presenti nella società, quali caratteri definiscono i loro membri, quale distanza separa gli strati superiori dagli inferiori, qual è il tasso di mobilità prevalente, e quali i suoi principali fattori.
In generale, le rappresentazioni collettive della stratificazione appaiono semplificate rispetto ai modelli elaborati in proposito dai ricercatori. Tale semplificazione può essere riscontrata, in primo luogo, a partire dal numero degli strati: rari sono gli intervistati che indicano l'esistenza nella società di un numero di strati superiore a quattro o cinque, mentre sono comuni le rappresentazioni tripartite (lavoratori, ceto medio, proprietari). Non meno comuni sono le rappresentazioni dicotomiche, come padroni e lavoratori, ricchi e poveri, possidenti e privi di mezzi. Il riferimento implicito è quasi sempre il reddito o il patrimonio; il potere è rappresentato come un'appendice di questi piuttosto che come una variabile autonoma. La complessità della rappresentazione tende a crescere con il livello di istruzione e con l'appartenenza a strati via via più alti: negli strati intermedi cresce il numero di coloro che distinguono nel sistema di stratificazione almeno tre strati.
La rappresentazione della mobilità esistente tra i diversi strati sociali nella società di riferimento rientra nel tipo che abbiamo appena descritto. In questo caso si riscontra una correlazione definita tra individui mobili e non mobili, da un lato, e giudizio sul tasso di mobilità dall'altro. Dinanzi a domande quali: ‟A parte il suo caso personale, quante possibilità lei crede che ci siano in questa società di migliorare la propria posizione sociale: molte, abbastanza, poche o nessuna" i primi tendono a sopravvalutare il tasso reale, quale risulta dalle ricerche; i secondi tendono invece a sottovalutarlo. L'esperienza personale, con tutta evidenza, influenza la rappresentazione.
3. Autocollocazione in un determinato strato. - Se si chiede ai componenti di un qualsiasi strato sociale X a quale strato reputino di appartenere, si ottengono spesso risposte scarsamente correlate con l'appartenenza a X così come essa è definibile da un osservatore esterno. La tendenza prevalente è quella di autocollocarsi in uno strato più centrale rispetto allo strato di appartenenza. Individui appartenenti, secondo l'osservatore, a strati bassi o medio-bassi dichiarano di appartenere allo strato medio, premesso che - come si è notato in precedenza - la rappresentazione collettiva della stratificazione appare in genere semplificata rispetto ai modelli del ricercatore. Lo stesso avviene con gli appartenenti a strati medio-alti o decisamente alti.
Peraltro, la tendenza ad autocollocarsi di preferenza negli strati intermedi varia in funzione dell'ideologia dominante, che include come elemento caratteristico la rappresentazione dei caratteri strutturali della stratificazione e degli stadi di sviluppo di una società. In Europa, dove hanno predominato a lungo rappresentazioni ideologiche della stratificazione di tipo conflittuale-dicotomico, tale tendenza è storicamente minore. Negli Stati Uniti, per contro, il predominio di rappresentazioni che fanno coincidere con le classi medie l'insieme della popolazione che lavora, che ha una famiglia, un'affiliazione religiosa e una casa, sollecita i più ad autocollocarsi in tali classi. Anche in Europa, tuttavia, durante la fase di sviluppo protrattasi dalla fine della seconda guerra mondiale agli anni novanta, il modello di vita delle classi medie induceva la maggior parte della popolazione a identificarsi con queste ultime. Più di recente, la riduzione del reddito relativo e delle garanzie - riduzioni che le classi medie hanno subito a causa della politica economica indotta dal progetto di unione monetaria e dalla globalizzazione - ha nuovamente accresciuto il numero di coloro che, pur appartenendo agli strati intermedi, si definiscono membri di uno strato inferiore.
Le rappresentazioni collettive della stratificazione non sono semplicemente un riflesso passivo di quest'ultima, più o meno semplificato. Esse influiscono fortemente sull'agire sociale degli individui e possono così modificare la struttura di un sistema di stratificazione. Se gli individui sono convinti che non avranno mai i mezzi per salire nella scala sociale, non compiranno sforzi per conseguire tal fine (v. Mongardini e Maniscalco, 1987, pp. 56 ss.), e la mobilità ascendente in quel sistema sarà ridotta. Nei casi in cui la loro immagine della società è radicalmente dicotomica, saranno più inclini, in funzione della situazione, ad aderire a movimenti sociali estremisti, di sinistra o di destra. Infine, allorché le disuguaglianze esistenti in una società, sebbene considerevoli, sono interpretate come sostanzialmente eque, esse motiveranno gli individui a comportamenti sociali e politici diversi rispetto al caso in cui, benché siano oggettivamente meno marcate, tali diseguaglianze vengano percepite come ingiuste.
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