strazio
La parola è usata quattro volte nella Commedia, due volte in rima: vale " maltrattamento ", con tormenti e percosse. Di tal genere è lo s. che le fangose genti infliggono a Filippo Argenti (If VIII 58), quasi rispondendo a un desiderio di D. (cfr. i vv. 52-54 e 56-57), uno s. che si continua e completa nella rabbia dello spirito contro sé stesso: in sé medesmo si volvea co' denti (v. 63).
Nell'espressione Lo strazio e 'l grande scempio / che fece l'Arbia colorata in rosso (X 85), il termine allude con maggior intensità semantica, messa in evidenza anche dal rafforzamento sinonimico, alla sanguinosa sconfitta di Montaperti inferta dai ghibellini di Farinata ai guelfi fiorentini.
Il vocabolo si riferisce ancora a una lacerazione, non del corpo in senso stretto, ma del cespuglio dov'è prigioniero un suicida, in If XIII 140 lo strazio disonesto / c'ha le mie fronde sì da me disgiunte (si confrontino i vv. 131-132 menommi al cespuglio che piangea / per le rotture sanguinenti in vano).
Entriamo invece in un campo figurato con l'accezione di If XIX 57 non temesti tòrre a 'nganno / la bella donna, e poi di farne strazio, dove il sintagma ‛ far s. ' è evocativo, nella prospettiva dantesca, degli oltraggi inflitti da Bonifacio VIII alla Chiesa.