stress
Risposta funzionale con cui l’organismo reagisce a uno stimolo più o meno violento (stressor) di qualsiasi natura (microbica, tossica, traumatica, termica, emozionale, ecc.). Nel 1936 H.H.B. Selye descrisse una «sindrome prodotta da diversi agenti nocivi», caratterizzata dalla medesima reazione, indipendente dal tipo di agente stressante somministrato all’animale da esperimento. I suoi lavori e quelli di altri scienziati, nell’arco di diversi decenni, hanno stabilito che, nei Mammiferi, l’organismo, di fronte a uno stimolo, sia esso fisico, chimico o psichico, reagisce attivando la stessa reazione biologica fondamentale. Dalle ricerche sullo s. è sorta la psiconeuroendocrinoimmunologia (➔).
Dai nuclei paraventricolari dell’ipotalamo origina un segnale chimico (con rilascio di CRF, ormone che costituisce il fattore di rilascio della corticotropina) il quale, a sua volta determina il rilascio dell’ACTH (l’ormone adrenocorticotropo) da parte dell’ipofisi, inducendo la corteccia della ghiandola surrenale a produrre cortisolo. Al tempo stesso si attiva un segnale nervoso che, tramite il locus ceruleus e il simpatico, determina la liberazione di catecolammine (adrenalina, noradrenalina e dopamina) da parte delle midollare del surrene. Tali sostanze rilasciate in circolo agiscono su diversi sistemi, in particolare determinano un aumento della frequenza cardiaca con conseguente incremento della gittata, vasocostrizione periferica, dilatazione dei vasi muscolari, riduzione delle difese immunitarie, e incremento dei valori glicemici.
La reazione di s. comporta una variazione rilevante di molti sistemi (nervoso, endocrino, immunitario, metabolico, circolatorio) che mette in condizione l’organismo di affrontare al meglio la situazione che ha originato la reazione medesima. Come conseguenza dell’aumento degli ormoni dello s. e di altri collegati (vasopressina, ossitocina, oppioidi endogeni, ormoni sessuali), il cervello è più attivo e attento, i muscoli maggiormente irrorati e riforniti di substrati energetici, il sangue più ricco di sostanze utili a contrastare il dolore e a riparare eventuali ferite. In questo senso, come scrisse lo stesso Selye, «lo stress è l’essenza della vita». I problemi sorgono quando lo s. è molto potente (trauma) o dura nel tempo e, soprattutto, quando viene interpretato e vissuto come una fonte di preoccupazione. Alla fine del secolo scorso sono emerse evidenze che hanno permesso di comprendere le conseguenze di un cattivo controllo dello stress. Ricerche effettuate direttamente su aree cerebrali hanno dimostrato che in casi di situazioni di s. post-trauma si producono in eccesso gli ormoni dello s., capaci di determinare alterazioni degli stati emotivi. Inoltre si è osservata apoptosi dei neuroni dell’ippocampo, indotta dal cortisolo in eccesso, generando così alterazioni della capacità di memoria, di cognizione e di controllo neurofisiologico, regolate dall’ippocampo stesso. Sul sistema immunitario, si ha la prova che lo s. cronico determina una disregolazione della risposta immunitaria mediata dai linfociti T a favore della sottopopolazione Th2 inadatta a contrastare patologie infettive o neoplastiche. Studi dimostrano che lo s. è correlato a disturbi dell’umore (ansia e depressione) e che in queste condizioni aumenta la produzione di sostanze infiammatorie. Esistono evidenze che la partecipazione a programmi di gestione dello s. ha effetti positivi nella riduzione di ansia, depressione, ipertensione e nel miglioramento del profilo immunitario.
Fisiologia e patologia nelle reazioni da stress
Lo studio della reazione di stress nell’uomo ha messo in luce l’importanza di due fattori chiave, rilevanti quanto lo stimolo stressante stesso: l’attivazione emozionale e il ruolo dei fattori cognitivi. Varie ricerche hanno dimostrato che la reazione biologica di stress (in partic., l’aumento del cortisolo nel sangue) è innescata non tanto dallo stimolo di per sé, quanto dalla reazione emozionale che esso suscita. Così, l’esposizione a stimoli puramente fisici (caldo, freddo, rumore, alterazioni somatiche, ecc.) o di tipo psicosociale (interazioni personali con carattere di minaccia, pericolo per l’incolumità fisica, per la vita, ecc.) produce una reazione di stress soprattutto perché attiva una significativa reazione emozionale, per es., di paura, minaccia o aggressività.
Oltre alla risposta neurofisiologica, nello stress i fattori cognitivi hanno rilevante importanza nel determinare l’innesco, l’entità e la durata della reazione. Gli stimoli provenienti dall’esterno sono sottoposti a livello cerebrale a un veloce processamento, nel corso del quale vengono valutati in sequenza caratteristiche e significato potenziale dello stimolo per il soggetto stesso. Per es., la visione di un cane genera reazioni diverse, a seconda sia delle caratteristiche del cane e del contesto sia, soprattutto, del significato che individualmente viene attribuito a tale immagine, influenzato dalle precedenti esperienze, dalle proprie credenze, convinzioni e aspettative. Il tipo di valutazione cognitiva dello stimolo ‘cane’ dà luogo pertanto a differenti reazioni emozionali, che possono essere piacere, interesse, tenerezza, o al contrario disgusto, paura, terrore. Il ruolo dei fattori cognitivi è quindi determinante nella genesi della reazione di stress e nella spiegazione della differente reattività individuale a uno stesso tipo di stimolo. La reazione si manifesta contemporaneamente con risposte biologico-somatiche e psicologico-comportamentali, strettamente integrate tra loro. Un esempio classico sono le risposte di lotta o di fuga della vittima di fronte all’aggressore. In tale circostanza l’organismo, impegnato nell’attacco o nella fuga, attiva un complesso di risposte determinate da veri e propri programmi di stress geneticamente preordinati (eventualmente modificati dalle esperienze successive). Un primo programma, di tipo biologico, porta all’attivazione di sistemi fisiologici come i sistemi muscolare, neurovegetativo ed endocrino. Un secondo programma, comportamentale, innesca le sequenze motorie e i comportamenti necessari sempre per l’esecuzione della risposta di lotta o di fuga. Di norma l’attivazione di questi due programmi è sinergica, integrata e finalizzata ad assicurare la sopravvivenza. Esiste una sorta di bilanciamento ottimale tra reazioni comportamentali e reazioni biologiche e la rottura di tale equilibrio è la base per lo sviluppo di molte patologie.
Si è frequentemente rilevato, in campo psichiatrico, che eventi e situazioni stressanti sono spesso fattori che precedono, talvolta con ruolo preparante, altre volte con ruolo precipitante o scatenante, la manifestazione di disturbi psichiatrici, come disturbi depressivi, disturbi d’ansia, disturbi psicotici quali schizofrenia e psicosi reattive, disturbi d’adattamento e da stress post-traumatici. Studi neurobiologici hanno inoltre dimostrato che le principali aree cerebrali sono sensibili ad agenti stressanti, aprendo interessanti prospettive per comprendere il rapporto tra alterazioni centrali nello stress e sviluppo di disturbi psicopatologici. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) prevede specifiche categorie di malattie stress-dipendenti come il disturbo d’adattamento e il disturbo da stress post-traumatico. La diagnosi psichiatrica di disturbo dell’adattamento è riservata ai casi in cui il soggetto manifesta una sofferenza psicologica, in genere ansiosa o depressiva, in chiaro rapporto causale e temporale con recenti eventi o situazioni della vita. La diagnosi di disturbo da stress post-traumatico è invece riservata a casi di manifestazioni susseguenti all’esposizione a situazioni traumatiche non comuni (gravi incidenti, catastrofi, traumi di guerra, prigionia, ecc.), in cui siano presenti il rinnovarsi dell’esperienza angosciosa dell’evento, incubi, l’evitare situazioni che ricordano l’accaduto, e un’iperreattività psicofisiologica cronica. In altri settori della psichiatria, il rapporto tra stress esistenziale e sviluppo di patologie è riconosciuto soprattutto per i disturbi depressivi, dove sono frequentemente in causa avvenimenti di perdita affettiva, i disturbi d’ansia dove agiscono condizioni di stress cronico, il disturbo di panico che segue spesso a eventi di separazione affettiva. Più controverso è il ruolo dello stress nelle schizofrenie: in linea di massima, si ritiene che esso rivesta un ruolo significativo più che nell’insorgenza della patologia, soprattutto nel favorire ricadute in episodi psicotici attivi della malattia. Particolare rilievo è dato da vari studi alle condizioni di stress legate all’ambiente familiare. È accertato infine il ruolo di eventi stressanti nello scatenamento di disturbi psicotici (psicosi reattiva breve), generalmente temporanei e con buona prognosi.
La possibile insorgenza di malattie in seguito a shock emotivi, morte di persone care, gravi problemi familiari, di lavoro, difficoltà finanziarie, fallimenti, ecc., è stata confermata da ricerche clinico-sperimentali di psicosomatica. Gli studi, di pertinenza della psiconeuroendocrinoimmunologia, sui correlati biologici dello stress hanno permesso infatti di identificare un sempre maggior numero di funzioni dell’organismo sensibili agli stimoli emozionali e psicosociali e di chiarirne il ruolo non solo in patologie funzionali, gastrointestinali, ma anche in malattie infettive e forse nelle patologie tumorali.