STROZZI, Bernardo, detto il Prete genovese o il Cappuccino
STROZZI, Bernardo, detto il Prete genovese o il Cappuccino. – Nacque a Genova, da Pietro e da Ventura Pizzorno, nel 1581 secondo le indicazioni fornite dal biografo Raffaele Soprani (1674, p. 155; Soprani - Ratti, 1768, p. 185), o nel 1582, sulla base di quanto ammesso dallo stesso pittore che, in una testimonianza rilasciata il 6 giugno 1624, dichiarava quarantadue anni di età (Labò, 1925, p. 432; Alfonso, 1981, p. 12). Dalle carte sul decesso risulterebbe fondata la prima data, poiché Bernardo fu dichiarato sessantatreenne il 2 agosto 1644 (da Ottone, 1940, pp. 23 s.; Dugoni - Orlando, in Bernardo Strozzi, 1995, p. 383), mentre dalla documentazione attestante la presenza nel corso del 1610 a Milano, ove è registrato come ventottenne (Terzaghi, 2010, pp. 110 s.), sembrerebbe corretta la seconda.
L’attitudine per la pittura fu contrastata dai genitori, fino a quando Bernardo, defunto il padre che l’aveva avviato allo studio delle lettere, poté iniziare, verosimilmente intorno alla metà degli anni Novanta del secolo, l’apprendistato presso Cesare Corte (Soprani, 1674, p. 69) – esponente di spicco della tradizione cambiasesca –, poi proseguito con il più aggiornato maestro senese Pietro Sorri, durante il periodo del suo soggiorno a Genova (ibid., p. 156), quindi dal febbraio del 1596 a tutto il 1598 (Martini, 1983, pp. 5, 12 s.; Algeri, in Bernardo Strozzi, 1995, p. 36 nota 12). Ma a diciassette anni prevalse la decisione di interrompere l’alunnato e di entrare nell’Ordine cappuccino (Soprani, 1674, p. 156).
Una testimonianza rilasciata dallo stesso pittore nel contesto della supplica rivolta al Senato nel settembre del 1630 permette di confermare che l’ingresso nel convento genovese di S. Barnaba era avvenuto oltre trent’anni prima, quindi intorno al 1599, e che l’abbandono dell’abito si verificò dopo nove anni, quindi tra il 1608 e il 1609 (Algeri, in Bernardo Strozzi, 1995, p. 36 nota 6).
Nell’ambito della vita da consacrato, Strozzi non trascurò la pittura, grazie a un progressivo aggiornamento sulle novità toscane – mediate ad apertura del Seicento da Giovanni Battista Paggi –, sui modelli barocceschi – direttamente appresi dall’osservazione della Crocifissione della cappella Senarega in cattedrale – e sugli esiti cromatici desunti dalla Circoncisione dipinta nel 1605 da Pieter Paul Rubens per la chiesa del Gesù. Pertanto iniziò a dipingere qualche «mezza figura d’un San Francesco, d’una Santa Chiara o d’altro santo del Paradiso» (Soprani, 1674, p. 156), di cui un esempio è stato individuato nel Cristo portacroce del Museo diocesano di Chiavari (Algeri, in Bernardo Strozzi, 1995, pp. 98 s.). Tra le prime commissioni pubbliche si annoverano la Madonna Odigitria della chiesa di S. Maurizio di Monti presso Rapallo (Algeri, 1992) e la Madonna del Rosario della parrocchiale di Borzoli (la cui datazione è dibattuta; Algeri, in Bernardo Strozzi, 1995, pp. 102 s.; Manzitti, 2012, p. 121), caratterizzate da una morbidezza di stesura e da un’accentuata ricerca cromatica desunte, appunto, da Paggi e dai toscani attivi in città, in particolare Aurelio Lomi.
Dopo la dispensa dalla vita conventuale, ottenuta per recare assistenza alla madre vedova, Strozzi occupò «un picciol podere [...] al luogo di Campi» (Soprani, 1674, p. 157), a pochi chilometri da Borzoli. Il «reverendo Bernardo Strozzi» di «anni 28» è rintracciabile a Milano, negli stati delle anime del 1610, presso la famiglia del conte spagnolo Andrea Manrique de Lara (Terzaghi, 2010, pp. 110 s.), notizia interpretabile come un’esigenza di guadagno sicuro in qualità, probabilmente, di precettore. L’8 gennaio 1614, nuovamente a Genova, egli presentò al Senato della Repubblica un progetto per risolvere le persistenti rotture dei cavi d’ormeggio nella zona portuale (Faina, 1969, p. 53; Stefani Mantovanelli, in Bernardo Strozzi, 1995, p. 351), cosa che implica una propensione ingegneristica, già ricordata da Soprani (1674, p. 160). Il pieno inserimento nell’ambiente pittorico cittadino è poi documentato, il 6 giugno 1616, dal ruolo di perito, accanto a Paggi, per la stima degli affreschi realizzati nel chiostro del convento di S. Domenico da Bernardo Pagano e da Giovanni Battista Burletto (Dugoni - Orlando, in Bernardo Strozzi, 1995, p. 379). Il lungo inventario della collezione di Giovan Carlo Doria, databile al 1617, documenta la presenza di dieci tele di Strozzi (Farina, 2002, pp. 130 s.; Morandotti, 2017b), tra cui Alessandro consegna la corona ad Addolomino (Tokyo, Fuji Art Museum; Manzitti, 2012, p. 77), mentre nel secondo inventario della stessa quadreria, compilato entro la fine del 1621, i dipinti del Prete salgono a venticinque, tra i quali è possibile identificare la S. Caterina d’Alessandria (Hartford, Wadsworth Atheneum Museum of art) e la S. Cecilia (Kansas City, The Nelson-Atkins Museum of arts), entrambe note in altre versioni autografe (Manzitti, 2012, pp. 96-98).
Tra il 1617 e il 1618 Strozzi si assicurò la proprietà di alcune terre, immediatamente affittate, in numerose località circostanti Framura (Alfonso, 1981, pp. 13 s.), borgo levantino di cui era originario Onofrio Zino, sposo, in seconde nozze, di Ginetta, sorella del pittore (Dugoni - Orlando, in Bernardo Strozzi, 1995, p. 379): nel 1619 Zino dichiarava di aver ricevuto per quattro anni alimenti per la moglie e i figli dal cognato, di cui divenne procuratore, e l’ammontare del proprio debito (Alfonso, 1981, p. 15). In questo rapporto di parentela indiretta si deve inserire la commissione della pala con la Madonna del Rosario, dipinta, probabilmente intorno alla metà del secondo decennio, per la cappella dei fratelli Nicolò e Francesco Zino nella chiesa di S. Martino presso la frazione Costa di Framura (Algeri, in Bernardo Strozzi, 1995, pp. 112 s.; Manzitti, 2012, p. 92); della pala è noto il bozzetto preparatorio, in collezione privata (Algeri, in Bernardo Strozzi, 1995, pp. 114 s.; Manzitti, 2012, p. 92).
Nel corso del 1618 Strozzi risultava risiedere a Genova, nell’abitazione sita nella contrada degli Orti di S. Andrea (Alfonso, 1981, p. 13). Nello stesso anno è probabile che stesse lavorando agli affreschi della volta di una sala al pianterreno del palazzo di Giovanni Stefano Doria, cugino di Giovan Carlo, dato che in quella sede, il 26 marzo, fu steso l’atto di acquisto, a suo favore, di una vigna, sempre a Framura (ibid., pp. 13 s.): la volta reca il Trionfo di David circondato da una serie di riquadri sagomati ove siedono figure allegoriche (Gavazza, 2004; Manzitti, 2012, pp. 118 s.). Il 14 dicembre 1618 l’artista chiese al governo di beneficiare degli Statuti per rivalersi contro i suoi debitori della podesteria di Framura (Grosso, 1922, p. 157). Il 22 gennaio 1619 inoltrò ai Serenissimi Collegi un progetto finalizzato al rinnovo del porto della città, trasmesso l’8 luglio dai Padri del comune in approvazione al Senato (Faina, 1969, pp. 54 s.; Stefani Mantovanelli, in Bernardo Strozzi, 1995, p. 351). Dell’attenzione rivolta a mettere a frutto i propri guadagni è testimonianza la società, per l’apertura di una bottega, con lo speziaro Bastiano De Ferrari, al quale veniva affidata la gestione dell’attività (16 ottobre 1619; Alfonso, 1981, p. 15).
Il 15 giugno 1620 i procuratori della confraternita di S. Lazzaro gli commissionarono, per il compenso di trecento scudi d’argento, un’Ultima Cena per l’oratorio di S. Tommaso a Genova (p. 36), perduta ma nota attraverso un probabile bozzetto già in collezione Bertollo (Manzitti, 2012, p. 104). Il 2 luglio dello stesso anno la sorella Ginetta dettò testamento nella casa di Bernardo, presso gli Orti di S. Andrea (Alfonso, 1981, pp. 17 s.), mentre il 5 dicembre egli acquistò una casa con appartamenti e botteghe nella stessa contrada (p. 15). Dal 1620 Giovanni Gerolamo Ghisolfi trattava, in via esclusiva, il commercio dei quadri dipinti dall’artista, come si evince da una dichiarazione del 3 febbraio 1626 (Assini, in Bernardo Strozzi, 1995, p. 365). Il 24 marzo 1621 Strozzi diede in affitto a Battista Costa un solaio di sua proprietà (Dugoni - Orlando, in Bernardo Strozzi, 1995, p. 380), e il 4 maggio nominò suo procuratore Cornelio Zino per la riscossione degli affitti dai conduttori dei terreni in Framura (Alfonso, 1981, p. 16). Il 31 agosto un testimone, per conto di Strozzi, dichiarò di aver contrattato con Ghisolfi diversi quadri del pittore – tra cui «tre dozzine di imperatori a cavallo [...]; cinque copie di un Ecce Homo [...]; sei copie di San Gerolamo [...] e due Pietà» –, di cui conobbe il prezzo solo dopo cinque o sei mesi (ibid.). Nell’autunno dello stesso anno (1° ottobre, 9 novembre, 19 novembre) i Padri del Comune approvarono il progetto del Prete per il porto di Genova, che comunque non venne in seguito attuato (Faina, 1969, pp. 56 s.; Stefani Mantovanelli, in Bernardo Strozzi, 1995, p. 351).
In questi anni iniziali del terzo decennio Strozzi firmò uno dei suoi dipinti più celebri, la Madonna con Gesù Bambino e s. Giovannino (Genova, Musei di Strada Nuova, Palazzo Rosso), manifesto del grado di comprensione delle accensioni cromatiche rubensiane e del naturalismo caravaggesco, filtrato, nella posa mariana, attraverso l’interpretazione più classicheggiante offerta da Bartolomeo Cavarozzi, presente a Genova nel 1617 (Sanguineti, 2005, p. 34; Id., 2017, p. 47). Contemporaneamente avviò il legame con Filippo Centurione, per il quale, negli anni iniziali del decennio, si occupò della decorazione di tre stanze nella villa di Sampierdarena: ricettivo verso la parallela produzione di frescanti quali Lazzaro Tavarone e Andrea Ansaldo, affrescò nei soffitti Orazio Coclite sul ponte Sublicio, Curzio Rufo che si getta nella voragine ed Enea e Didone (Galassi, in Bernardo Strozzi, 1995, pp. 40, 42; Manzitti, 2012, p. 126). Allo stesso committente è riconducibile la paletta raffigurante la Madonna in gloria con s. Teresa e il beato Salvatore da Horta, di collezione privata (Orlando, in Bernardo Strozzi, 1995, pp. 188 s.). Risultano invece perduti gli affreschi con le Quattro stagioni eseguiti per Battista Centurione, fratello di Filippo, nel palazzo di piazza Fossatello a Genova (Galassi, in Bernardo Strozzi, 1995, pp. 42 s.). Nel 1622, in occasione della cerimonia di canonizzazione di Teresa d’Avila, Strozzi realizzò con ogni probabilità la pala con S. Teresa in gloria (Genova, Musei di Strada Nuova, Palazzo Bianco) per la chiesa del convento genovese dedicato alla santa, fondato nel 1619 (p. 39). Il 23 settembre di quell’anno Giovan Carlo Doria e, per suo tramite, il cugino Giovanni Stefano saldarono il pittore con settecento scudi d’argento per l’esecuzione degli affreschi del coro della chiesa genovese di S. Domenico, distrutti nel 1825 (Galassi, 1992, p. 51; Manzitti, 2012, pp. 120 s.): della grandiosa composizione, incentrata sulla scena della Visione di s. Domenico, restano il bozzetto preparatorio e un frammento con la testa del Battista, entrambi conservati presso il Museo dell’Accademia Ligustica.
Il 23 agosto 1623 il Cappuccino diede inizio agli affreschi per il palazzo di Luigi Centurione in strada Nuova (Alfonso, 1981, p. 24; Bozzo, 2004; Newcome Schleier, 2004; Banta, 2010), occupando, per l’occasione, una casa nei pressi della chiesa di S. Siro, che aveva ricevuto da settembre in affitto dallo stesso Centurione, e che il 7 novembre subaffittò al pittore Goffredo Wals (Labò, 1925, p. 432; Alfonso, 1981, p. 16). Entro diciotto mesi Strozzi avrebbe dovuto concludere il ciclo con le Allegorie dell’evangelizzazione del Nuovo Mondo, che interessava le volte di tre sale adiacenti (Allegoria della Fede, Astrologia e Allegoria della Navigazione), di due ‘recamerini’ e dello scalone (Alfonso, 1981, pp. 23-26; Newcome Schleier, 2004): tuttavia un forte contrasto con il committente provocò l’interruzione dei lavori, che furono parzialmente reintonacati. La Madonna della Giustizia (Parigi, Louvre), la grande pala di commissione civica destinata alla sala dei Supremi sindicatori a palazzo ducale, potrebbe datarsi intorno al 1624, se si collega, come probabile, all’incarico di Supremo sindicatore ricoperto in quell’anno da Filippo Centurione (Galassi, in Bernardo Strozzi, 1995, p. 43; Manzitti, 2012, pp. 159 s.).
Il 1° giugno 1624, insieme al collega Luciano Borzone, Strozzi stimò, su richiesta del committente, Giuseppe Gilardi, la decorazione ad affresco che Andrea Ansaldo aveva concluso nella cappella di S. Carlo nella chiesa di Nostra Signora della Concordia ad Albissola Marina; il 6 giugno, a questo proposito, venne interrogato, con Borzone, per volere di Gilardi (Labò, 1925, pp. 431 s.). Nel gennaio dell’anno successivo si rivolse alla Rota civile per la riscossione del prestito concesso da tempo a Onofrio Zino (Alfonso, 1981, p. 17), mentre il 25 aprile la madre Ventura venne nominata sua procuratrice per la riscossione del compenso di un’ancona che era stata fornita a Pietro Antonio Guano e che si deve identificare con la pala raffigurante il Miracolo di s. Diego, realizzata per la cappella Guano nella chiesa dei francescani di Levanto (ibid., p. 26; Manzitti, 2012, p. 133). Quest’ultimo documento implica l’assenza di Bernardo da Genova almeno fino all’estate del 1625, periodo in cui è stato ipotizzato un soggiorno a Roma favorito dai cappuccini, dato che in una lettera del provinciale ligure al padre guardiano dei cappuccini di Roma è contenuta una raccomandazione a favore del pittore (Galassi, 1992, p. 48; Ead., in Bernardo Strozzi, 1995, p. 45; l’ipotesi del soggiorno romano non trova concorde Manzitti, 2012, pp. 15, 17).
Nel corso del 1625 Strozzi fu costretto ad affrontare, nelle sedi deputate, una «fiera tempesta di controversie» (Soprani, 1674, p. 158). La prima riguardava i danni procurati ai suoi dipinti dalle polveri provenienti dalla bottega attigua, ove si produceva calcina: tra i testimoni furono ascoltati, il 10 giugno, i pittori Andrea Ansaldo, Giovan Domenico Cappellino e Antonio Travi (Assini, in Bernardo Strozzi, 1995, p. 366). L’insoddisfazione manifestata, il 23 agosto, da Raffaele Ravano per alcuni lavori eseguiti da Strozzi nella sua dimora si tradusse, tra settembre e novembre, nella pretesa di risarcimento e nella relativa sentenza di condanna (Alfonso, 1981, pp. 26 s.). Contemporaneamente insorse una lite con Luigi Centurione, che aveva accusato Bernardo del mancato rispetto delle clausole di commissione circa il tempo stabilito e le modalità previste nell’esecuzione degli affreschi nel palazzo in strada Nuova, già ricordati: il pittore, che il 24 novembre presentò una supplica al Senato per la soluzione della lite, coinvolse nella controversia Marco Antonio Doria, suo garante alla stipula del contratto (pp. 23 s.). Infine il 12 dicembre Strozzi ricevette l’accusa, sostenuta dal procuratore fiscale Antonio Guido Castiglione, di esercitare la pittura in forme tali da recare disonore all’abito sacerdotale in quanto praticata in luoghi pubblici, per fini di lucro e includendo soggetti profani: il 29 e il 30 dicembre furono ascoltati, davanti al tribunale arcivescovile, i testimoni dell’accusa, ossia i pittori Andrea Ansaldo e Bernardo Castello e il mercante Giovanni Gerolamo Ghisolfi (Assini, in Bernardo Strozzi, 1995, pp. 365 s.). Strozzi, dopo la comparsa davanti allo stesso tribunale (2 marzo 1626), iniziò a organizzare la propria difesa, chiamando a testimoniare Giovanni Agostino Barbano, suo medico personale (17 marzo), e Filippo Centurione (20 marzo); infine il 25 aprile fu convocato per ascoltare la sentenza, dopo aver richiesto la propria assoluzione e la condanna di Castiglione per danni (ibid.). In parallelo si stava protraendo la diatriba con Luigi Centurione: il 20 marzo 1626 il nobile rilasciò una dichiarazione, mentre l’11 maggio Strozzi convocò alcuni testimoni a sua difesa, tra cui il pittore Giuseppe Catto, che si era occupato, nel palazzo in strada Nuova, degli ornamenti delle volte (Alfonso, 1981, pp. 25 s.).
Intanto per l’Ordine cappuccino Strozzi dipinse la Madonna con Bambino e s. Felice da Cantalice, collocata sull’altare dedicato al confratello, beatificato nel 1625, nella chiesa genovese della Ss. Concezione (Galassi, in Bernardo Strozzi, 1995, p. 46; Manzitti, 2012, p. 147). Per la chiesa di Nostra Signora della Misericordia di Genova (ora chiesa dei Sordomuti) firmò e datò 1629 la Madonna con Gesù Bambino e i ss. Giovannino e Lorenzo (Manzitti, 2012, pp. 146 s.). Lo stesso 1629, anno di consacrazione della chiesa di S. Ambrogio a Genova Voltri, deve essere assunto come ante quem per l’esecuzione della pala raffigurante la Madonna con Gesù Bambino e i ss. Chiara, Ambrogio ed Erasmo (Galassi, in Bernardo Strozzi, 1995, pp. 194 s.; Manzitti, 2012, p. 136). Entrambe le opere danno conto, nella palpitante tavolozza cromatica e nel solenne comporre, dell’assimilazione, dovuta evidentemente al soggiorno romano, degli esiti raggiunti da Simon Vouet, dal Lanfranco e dalla divulgazione del ‘neo-venetismo’.
Tra il 17 e il 21 giugno 1629, tre anni dopo la conclusione del processo, Strozzi convocò davanti al notaio quattro testimoni (Barbano, Paolo Andrea De Ferrari, Lorenzo Raggi e Giovanni Battista Podestà) per sottolineare la sua onorata conduzione della professione di pittore (Banta, 2009). Una seconda testimonianza (8 maggio 1630) vide una serie di sodali, tra cui il medico Barbano e il pittore Antonio Travi, dar conto del precario stato di salute del Cappuccino (ibid.). Come ricorda Soprani (1674, p. 158), la morte della madre corrispose all’obbligo di «ripigliar l’habito franciscano e rientrar nella religione»: infatti, nel corso del 1630, Strozzi mise in atto il tentativo di transito alla congregazione dei canonici regolari lateranensi (Zaverio, 1912, pp. 292-294), che gli avrebbe consentito di esercitare liberamente la professione. In un primo tempo ottenne il consenso del Consiglio provinciale dell’Ordine dei cappuccini, ma, costituendosi il 5 luglio davanti al vicario generale di Genova per annunciare l’accoglienza ricevuta dai lateranensi, gli venne spiccato contro dalla Curia arcivescovile di Genova un mandato di cattura, approvato dal doge Andrea Spinola il 25 agosto (da Ottone, 1940, pp. 75 s.). Il 13 settembre indirizzò una supplica ai Serenissimi collegi della Repubblica di Genova per l’ottenimento di un salvacondotto che gli consentisse di difendersi dalle rivalse dell’Ordine dei cappuccini (Grosso, 1922, pp. 159 s.; da Ottone, 1940, pp. 76 s.): gli fu concesso un mese di proroga prima di rientrare in convento (Zaverio, 1912, p. 296), ma in seguito ottenne altre proroghe. Probabilmente non era estranea alla vicenda la volontà manifestata da Antonio Barberini, cardinale cappuccino fratello di papa Urbano VIII, e dal padre genovese Francesco De Negri, procuratore generale dell’Ordine, di ottenere, nel 1630, la permanenza del Prete a Roma in una posizione di servizio subordinato alle esigenze dell’Ordine (Galassi, 1992; Ead., in Bernardo Strozzi, 1995, pp. 46, 49; Fantelli, ibid., p. 70).
Alla seconda metà del 1631 deve riferirsi l’esecuzione della grande Annunciazione per una cappella del conservatorio Interiano, ora nella collezione d’arte della Banca Carige: dai documenti risulta che Strozzi, già inquilino dal 1626 di una parte del palazzo Interiano (quando aveva lasciato l’abitazione in S. Siro per i sopraggiunti problemi con Luigi Centurione), dal 28 febbraio 1628 aveva assunto il ruolo di cappellano, mentre l’8 maggio 1632 ricevette il compenso per quest’ultima attività e per la pala (Boccardo, 2010). Ma una nuova complicanza sorse nel 1631, allorché il Prete fu accusato dal bargello Francesco Gattorno di avere impedito la cattura di Giovanni Maria Scaglioso: successivamente all’incarcerazione seguita al processo, celebrato tra settembre e ottobre (Alfonso, 1981, pp. 30-35), egli accettò la sentenza di reintegrazione nell’Ordine dei cappuccini (1631-32). La sorella Ginetta, nel testamento del 1632, affidò a Giuseppe Catto e a Giovanni Francesco Cassana, stretti collaboratori del Prete, il materiale di una bottega ormai smantellata (Belloni, 1988, pp. 50 s.).
Il 20 luglio 1633 Strozzi rivolse una supplica alla Signoria di Venezia per ottenere un salvacondotto a garanzia di un soggiorno sicuro nella città lagunare (Barzazi, 1982, p. 49): la fuga dal convento, dopo alcuni tentativi falliti, era dunque riuscita grazie all’ottenimento, per un periodo di buona condotta, di un permesso per visitare la sorella (Soprani, 1674, p. 160). Da Venezia, il 9 ottobre 1635, il pittore nominò sua procuratrice a Genova Ginetta (Alfonso, 1981, p. 22). Il 26 novembre dello stesso anno i procuratori di S. Marco lo ricompensarono per la tela raffigurante la Scultura destinata al soffitto della Biblioteca Marciana di Venezia, messa in opera dal 27 ottobre, accanto a un dipinto affidato in contemporanea al Padovanino (Fantelli, in Bernardo Strozzi, 1995, pp. 75 s.). Al primo tempo veneziano vanno datati i ritratti del doge Francesco Erizzo (Venezia, Galleria dell’Accademia) e del cardinale Federico Corner (Venezia, Ca’ Rezzonico), caratterizzati da un intenso naturalismo (Manzitti, 2012, pp. 229, 231). Strozzi firmò e datò 1635 il ritratto di Giulio Strozzi (Oxford, Ashmolean Museum; Banta, 2016, p. 30), mentre l’anno successivo ottenne l’incarico di fornire, sempre accanto al Padovanino, la tela con la Parabola dell’invitato a nozze per il soffitto dell’ospedale degli Incurabili a Venezia, di cui restano due frammenti (Venezia, Gallerie dell’Accademia e collezione privata; Manzitti, 2012, pp. 176 s.) e due bozzetti (Genova, Museo dell’Accademia Ligustica; Firenze, Galleria degli Uffizi; ibid., pp. 175 s.). L’attività di ritrattista, già avviata a Genova, fu intensificata durante gli anni veneziani. In particolare si può far risalire a questo periodo (1638 circa) la fornitura di una serie di ritratti di famiglia richiesti da Tommaso Raggi (Galassi, in Bernardo Strozzi, 1995, p. 45, 174-177; Boccardo - Orlando, 2004, pp. 327 s.; Banta, 2009, p. 16). Anche l’attività di naturamortista, già praticata in ambito genovese, ebbe un notevole incremento negli anni finali, grazie alla presenza di collaboratori specialisti (ma questo tipo di produzione è un nodo critico ancora da dipanare, soprattutto nei rapporti con Simone del Tintore e la bottega di Pietro Paolini; Salerno, 1984; Id., 1989; Suida Manning, 1985; Sanguineti, in Bernardo Strozzi, 1995, pp. 230 s.; Orlando, 2002; Ead., 2006; Manzitti, 2012, pp. 29-32; Orlando, 2018).
Verso la fine del quarto decennio datano le pale d’altare raffiguranti S. Sebastiano curato dalle pie donne e S. Cristoforo con i ss. Sebastiano e Rocco destinate, rispettivamente, alla chiesa di S. Benedetto a Venezia e alla parrocchiale di Almenno S. Salvatore nel bergamasco (Fantelli, in Bernardo Strozzi, 1995, p. 76). Intorno al 1640 vanno datate l’Elemosina di s. Lorenzo per la chiesa di S. Nicolò da Tolentino a Venezia, l’Assunta per la chiesa di S. Domenico a Genova (1639-42 circa; ora a Laigueglia, chiesa di S. Matteo) e la pala della chiesa di Tiarno di Sopra, in Trentino, di struttura ‘neocinquecentesca’ (Fantelli, in Bernardo Strozzi, 1995, p. 80). A Venezia Strozzi progettò un sistema di regolamentazione delle acque della Laguna, tramite l’invenzione di una ‘serraglia’ da impiegare nello scavo di depositi in profondità, per rendere omogenei e pianeggianti i fondali: il 30 agosto 1638 il Senato richiese al pittore di fornire i modelli, ma il 9 maggio dell’anno successivo Strozzi volle assicurarsi l’esclusiva per il brevetto, concessa venti giorni dopo (Stefani Mantovanelli, in Bernardo Strozzi, 1995, pp. 353-355). Il 10 maggio 1641 il Senato deliberò di attuare il progetto presentato da Strozzi per il ripristino della navigazione nella Cavanella, per il quale egli ottenne, il 23 dicembre 1642, un vitalizio di 1000 scudi (ibid.).
Il 1° agosto 1644 Strozzi, gravemente malato da qualche giorno (Soprani, 1674, pp. 160 s.), fece testamento, alla presenza dei pittori Ermanno Stroiffi, Johann Eisenmann e Taddeo Pino, nella sua abitazione in contrada di S. Fosca. Morì il giorno successivo (Dugoni - Orlando, in Bernardo Strozzi, 1995, p. 383), quando venne redatto l’inventario dei dipinti presenti nell’abitazione, suddiviso in tre classi: originali di Strozzi, copie e opere di altri artisti, quadri di antichi maestri (Moretti, in Bernardo Strozzi, 1995).
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