Abstract
L’espressione ‘strumenti finanziari’ ricorre in una pluralità di contesti normativi, assumendo un ruolo centrale come referente normativo per l’applicazione di discipline cruciali tanto nel quadro del diritto dei mercati finanziari, quanto nel contesto del diritto societario. Vengono esaminate sia la nozione di strumenti finanziari posta alla base del complesso normativo contenuto nel Testo Unico della Finanza, sia quella di strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi, accolta nel codice civile e descrivente le formule di investimento e finanziamento diverse dalle azioni e dalle obbligazioni, attivabili dalle società per azioni.
La nozione di strumenti finanziari occupa una posizione di assoluta centralità all’interno del diritto dei mercati finanziari, specie in quanto essa costituisce il prius logico, sul piano dell’oggetto, della categoria dei servizi di investimento (gestione di portafogli, consulenza in materia di investimento, collocamento e negoziazione ecc.); i servizi di investimento, cioè, sono tali in quanto hanno per oggetto strumenti finanziari (art. 1, co. 5, t.u.f.).
La nozione in esame ha per la verità, nel contesto normativo del t.u.f., una funzione polivalente, essendo alla base anche della non meno cruciale fattispecie degli emittenti quotati (art. 1, co. 1, lett. w), come pure della disciplina della gestione accentrata (artt. 79 quater ss.) e di quella penalistica concernente l’insider trading (art. 180 ss.).
La storia (tutta relativamente recente) del diritto dei mercati finanziari, in effetti, è la storia di una disciplina che presenta un grado di complessità crescente nel tempo. Esso attualmente comprende diversi corpi normativi, senza dubbio interdipendenti, ma dotati di un certo, reciproco grado di autonomia. La categoria degli strumenti finanziari funge da parziale cerniera tra i medesimi, ma risente anch’essa di questa elevata complessità, sotto due diversi profili.
In primo luogo, se si guarda alla dimensione dell’oggetto delle distinte fattispecie fondanti tali corpi normativi (l’oggetto delle attività di investimento, l’oggetto dell’appello al pubblico risparmio, e via dicendo), spicca il carattere solo relativo che la centralità della figura degli strumenti finanziari presenta, venendo affiancata, nei termini che si vedranno, dalle categorie dei prodotti finanziari (art. 1, co. 1, lett. u) e dei valori mobiliari (art. 1, co. 1-bis).
In secondo luogo, l’ipertrofia legislativa tipica di questi ultimi anni e incontrollata specie e proprio nell’ambito del diritto dei mercati finanziari non ha risparmiato neppure la definizione dedicata agli strumenti finanziari, contenuta nell’art. 1, co. 2, 2-bis, 3 e 4, la quale si rivela inutilmente prolissa, scarsamente geometrica e caratterizzata da una vocazione più catalogatrice che sistematica.
La nozione di strumenti finanziari si fonda eminentemente sul concetto di relazione di investimento: essi rappresentano beni economici non in senso materiale (non sono ‘cose corporali’, nonostante in alcuni casi possano essere rappresentati da certificati) e neppure costituiscono l’oggetto immateriale di diritti assoluti al pari delle privative industriali; si sostanziano invece in rapporti bilaterali, costruiti attorno all’allocazione di risorse finanziarie tra due parti.
L’attuale nozione costituisce il punto d’approdo di una lunga parabola normativa, che ha oscillato nel corso degli anni tra questo sintagma e quello di ‘valore mobiliare’. La l. 2.1.1991, n. 1, che a suo tempo aveva disciplinato le attività di intermediazione mobiliare, si basava proprio su quest’ultima figura (art. 1), come già era stata definita nell’art. 18 bis d.l. 8.4.1974, n. 95. Valore mobiliare era «ogni documento o certificato che direttamente o indirettamente rappresent[asse] diritti in società, associazioni, imprese o enti di qualsiasi tipo..., ogni documento o certificato rappresentativo di un credito... [o] di diritti relativi a beni materiali o proprietà immobiliari...», cui si aggiungevano (art. 1, co. 2, l. n. 1/1991) i contratti a termine collegati a valori mobiliari, tassi di interesse e valute. Fu il d.lgs. 23.7.1996, n. 415, nel ridisciplinare su impulso comunitario la materia dei servizi di investimento, a sostituire questa nozione con quella di strumenti finanziari, cui esso già dedicava in apertura una corposa definizione (art. 1, co. 1). Il t.u.f. confermò la scelta, con una prima catalogazione riproducente quella precedente e rilevante ai fini dell’individuazione dei servizi di investimento e dei soggetti emittenti, cui però sin dall’origine affiancò, come categoria più generale, quella dei prodotti finanziari, comprensiva della prima, ma più estesa e costituente il presupposto per l’applicazione della disciplina sulle offerte pubbliche di acquisto e di scambio. Su questo quadro definitorio il legislatore è successivamente intervenuto a più riprese, rimodulando la nozione di strumento finanziario e recuperando, quale sottoinsieme di questa, la figura dei valori mobiliari (su questo processo storico Costi, R., Il mercato mobiliare, VIII ed., Torino, 2013, 7 s.).
Le tre definizioni disegnano un sistema a cerchi concentrici. La categoria dei prodotti finanziari è la più ampia: essa comprende gli strumenti finanziari e «ogni altra forma di investimento di natura finanziaria», con l’eccezione dei depositi bancari e postali non rappresentati da strumenti finanziari, ossia, come si vedrà, da prodotti negoziabili sul mercato dei capitali. Il riferimento a forme di investimento ‘diverse’ apre la categoria ad ogni relazione giuridica in cui si preveda la destinazione di un capitale finanziario, con assunzione del relativo rischio e attesa di una remunerazione (v. Costi, R., Il mercato mobiliare, cit., 11 ss.; Annunziata, F., La disciplina del mercato mobiliare, VII ed., Torino, 2014, 317 ss.; Fratini, M., Prodotti finanziari, valori mobiliari e strumenti finanziari, in Fratini, M. - Gasparri, G., a cura di, Il testo unico della finanza, I, Torino, 2012, sub art. 1, 20 ss.): vi rientrano dunque, e ad esempio, le quote di partecipazione in società a responsabilità limitata (in arg. Accettella, F., Il collocamento di strumenti finanziari, Milano, 2013, 16 ss.), come pure gli ‘strumenti finanziari partecipativi’, emissibili dalle società per azioni (art. 2346 c.c.), i quali, a dispetto del nome, potrebbero non costituire al contempo strumenti finanziari ai sensi del Testo unico della finanza perché non negoziabili (in arg. Cian, M., Strumenti finanziari partecipativi e poteri di voice, Milano, 2006, 4, nt. 9; Accettella, F., Il collocamento di strumenti finanziari, cit., 15 s.). Il carattere della finanziarietà e la circostanza che il bene deve consistere in una relazione bilaterale tra soggetti esclude invece dal perimetro della nozione investimenti consistenti nell’acquisto di beni materiali, che pure potrebbero essere motivati dalla ricerca di un profitto (acquisto di beni immobili o di collezioni d’arte a fini speculativi: in arg. Costi, R., Il mercato mobiliare, cit., 13).
La categoria degli strumenti finanziari è dunque sottoinsieme dei prodotti finanziari e a sua volta comprende tutti i valori mobiliari, nonché le altre relazioni finanziarie elencate nel co. 2 dell’art. 1 t.u.f. Ciascuna delle tre famiglie assume una rilevanza giuridica propria. Quella dei prodotti finanziari rileva principalmente in quanto traccia il perimetro di applicazione della disciplina sull’appello al pubblico risparmio (art. 1, co. 1, lett. t e v, e artt. 93 bis ss.), per quanto questa risulti poi variamente articolata a seconda del tipo di prodotto oggetto dell’offerta. La categoria dei valori mobiliari è richiamata in diverse norme relative specialmente alla disciplina degli emittenti, ove essa segna il limite logico della loro applicazione, escludendone quegli (altri) strumenti finanziari che, per loro natura, rimangono estranei alle finalità perseguite dalle medesime.
La categoria degli strumenti finanziari viene generalmente scomposta in una coppia di sottoclassi: quella degli strumenti finanziari non derivati e quella dei derivati (Annunziata, F., La disciplina del mercato mobiliare, cit., 85 ss.). La definizione offerta dal legislatore è in realtà ben lungi dal tentare una simile classificazione e si guarda altresì dall’individuare i tratti comuni e fondanti l’insieme.
a) Strumenti finanziari non derivati sono i valori mobiliari, gli strumenti del mercato monetario e le quote di OICR (art. 1, co. 2, lett. a-c, t.u.f.). Ciascuna di queste tre voci rimanda a sua volta ad una ulteriore definizione.
Valori mobiliari sono le relazioni di investimento e finanziamento negoziabili nel mercato dei capitali, rappresentate essenzialmente dalle azioni e obbligazioni di società, dalle opzioni di acquisto o vendita delle medesime (co. 1 bis). La catalogazione normativa non è peraltro chiusa e tassativa ed è dichiarata anzi espressamente esemplificativa. Vi rientrano dunque senz’altro, ad esempio, gli strumenti finanziari partecipativi o non partecipativi seriali emessi dalle società per azioni, quando negoziabili (Annunziata, F., La disciplina del mercato mobiliare, cit., 88).
Gli strumenti del mercato monetario sono quelli “normalmente negoziati” in tale mercato (co. 1 ter), come ad esempio i buoni del tesoro, i certificati di deposito e le carte commerciali. Anche questo elenco non risulta chiuso.
Le quote di OICR sono quelle emesse dagli organismi di investimento collettivo del risparmio, come definiti al co. 1, lett. k: si tratta degli organismi «istituit[i] per la prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, il cui patrimonio è raccolto tra una pluralità di investitori mediante l'emissione e l'offerta di quote o azioni, gestito in monte nell'interesse degli investitori e in autonomia dai medesimi nonché investito in strumenti finanziari, crediti, inclusi quelli erogati a valere sul patrimonio dell'OICR, partecipazioni o altri beni mobili o immobili, in base a una politica di investimento predeterminata».
I primi due gruppi sono caratterizzati dall’elemento, comune, della negoziabilità. Si tratta di una caratteristica di non agevole decifrazione (in arg. Annunziata, F., La disciplina del mercato mobiliare, cit.., 86 s.; Onza, M. - Salamone, L., Prodotti, strumenti finanziari, valori mobiliari, in Banca borsa, 2009, I, 575 ss.). Essa può condensarsi fondamentalmente in due elementi, i quali debbono coesistere: l’idoneità giuridica ad essere oggetto di vicende circolatorie, e dunque di atti dispositivi, e il concreto apprezzamento del rapporto finanziario, da parte della comunità finanziaria, quale normalmente destinato ad essere oggetto di tali vicende. Non è richiesto che la circolazione avvenga in un mercato regolamentato, sicché non è necessario che lo strumento finanziario vi sia o abbia i requisiti per potervi essere ammesso: il riferimento al «mercato dei capitali» (e «monetario») rende sotto questo profilo la definizione più elastica. Non è neppure necessario che la circolazione sia libera, purché i vincoli eventualmente posti non siano tali da rendere del tutto occasionale l’ipotesi di un trasferimento e purché gli eventuali limiti soggettivi non siano a tal punto restrittivi da rendere non più qualificabile in termini di «mercato» il plafond dei possibili destinatari.
Al fine di comprendere le ragioni sottostanti alla complessa perimetrazione della categoria degli strumenti finanziari non derivati, è necessario tenere presenti le finalità delle discipline di cui essa costituisce l’antecedente logico dell’applicazione, e in special modo la disciplina dei servizi e delle attività di investimento. E’ proprio alla luce di questa correlazione e per effetto dei moderni e torrentizi sviluppi dei mercati finanziari, che la nozione si rivela destinata ad un progressivo allargamento: rappresenta un interessante esempio di questo fenomeno la prima diffusione, in questi anni, delle società innovative, quasi sempre costituite in forma di s.r.l., e la prima proposta di investimenti in tali imprese per mezzo dei portali oggi regolati dall’art. 100 ter t.u.f.
b) Alla classe degli strumenti finanziari derivati appartengono tutti i rapporti finanziari elencati nelle lett. d-j dell’art. 1, co. 2. In tal caso, ancor più che rispetto all’altra classe, il legislatore rinuncia a qualsiasi tentativo di ordinazione e di sistemazione della figura, procedendo ad una lunga e pedante sequenza di proposizioni descrittive, prive di qualsiasi criterio ordinatore. È discusso se sia individuabile un elemento unificante, comune a ciascuno di questi modelli (per una ricognizione del dibattito Barcellona, E., Strumenti finanziari derivati, in Fratini, M. - Gasparri, G., a cura di, Il testo unico della finanza, cit., sub art. 1, 37 ss.). In termini generali, e per la verità poco incisivi, può dirsi che essi consistono in relazioni aventi ad oggetto un impegno finanziario (un obbligo comportante una movimentazione pecuniaria o la consegna di un certo bene, purché, in tale ultimo caso, l’operazione abbia per altri versi una connotazione spiccatamente finanziaria – v. infra – e non sia finalizzata eminentemente all’utilizzo del bene), la cui entità è correlata ad un determinato parametro esogeno, da cui dunque lo strumento “deriva” la misura delle proprie ricadute finanziarie. In termini più pregnanti e giuridicamente più significativi, è però meno agevole comprendere se sussista un nucleo comune all’intera categoria.
Di regola questi strumenti finanziari vengono suddivisi in tre gruppi: i derivati finanziari, i derivati su merci e i derivati ‘diversi’, distinti tra loro sostanzialmente in base alla natura del parametro sottostante (Annunziata, F., La disciplina del mercato mobiliare, cit., 88 ss.; Barcellona, E., Strumenti finanziari derivati, cit., 32 ss., seppure con una parzialmente difforme scomposizione). Ciascun gruppo riunisce poi relazioni destinate a svolgersi secondo meccanismi tra loro diversi.
I derivati finanziari possono consistere in operazioni standardizzate a termine (futures), aventi ad oggetto la futura consegna di valute o valori mobiliari ad un prezzo predeterminato ab origine; la connotazione finanziaria della relazione consiste nel rischio derivante dalla fluttuazione nel valore del parametro sottostante tra il momento del perfezionamento dell’operazione e quello della consegna, ricadente sulla parte figurante come cedente o sulla cessionaria a seconda del segno della fluttuazione. Al medesimo gruppo appartengono gli swaps, relazioni che prevedono uno scambio reciproco di flussi di denaro (con regolamento mediante pagamento del differenziale), ciascuno di entità commisurata all’andamento di un distinto parametro di carattere finanziario (la quotazione di un determinato valore mobiliare, il tasso di cambio di una valuta, un tasso di interesse, un indice finanziario). L’opzione consiste nel diritto, dietro corresponsione di un premio, di cedere o acquistare a scadenza un dato bene finanziario a prezzo predeterminato.
I derivati su merci presentano la stessa varietà e le medesime strutture dei precedenti, sennonché il parametro sottostante consiste non già in beni finanziari, bensì in altri beni, quali metalli, prodotti agricoli, energia ecc. (v., per riferimenti, gli aa. da ultimo citati). La finanziarietà dell’operazione, al fine di poterla distinguere dalle vicende meramente circolatorie che possono avere ad oggetto i medesimi beni (come sarebbe l’acquisto a termine di materie prime per il loro sfruttamento nel contesto di un’attività produttiva), dipende qui da un dato estraneo all’oggetto: dalla circostanza che il rapporto giuridico in cui essa consiste sia negoziato su un mercato regolamentato e/o in un sistema multilaterale di negoziazione, oppure dal fatto che l’operazione sia destinata ad essere regolata mediante pagamento del differenziale in contanti o, se l’esecuzione avviene in natura, attraverso una stanza di compensazione (v. lett. e, f, g, art. 1, co. 2).
Il terzo gruppo di derivati comprende tutte le relazioni ancorate a parametri non squisitamente finanziari e non consistenti in merci. Può trattarsi ad esempio degli strumenti «per il trasferimento del rischio di credito» (co. 2, lett. h), in virtù dei quali una parte, dietro corresponsione di un premio, acquista il diritto alla percezione di una data somma al verificarsi di un evento incidente sul profilo creditizio di un soggetto terzo (per riferimenti Barcellona, E., Strumenti finanziari derivati, cit., 37); o di opzioni, futures o swaps facenti riferimento a «variabili climatiche, tariffe di trasporto, quote di emissione, tassi di inflazione o altre statistiche economiche ufficiali» (co. 2, lett. j), destinati ad essere regolati mediante pagamento di differenziali in contanti (i cd. derivati ‘esotici’: Annunziata, F., La disciplina del mercato mobiliare, cit., 90; è il caso in cui le parti, ad esempio, si impegnino a scambiarsi flussi di denaro di entità commisurata, per ciascuna di esse, al diverso andamento di una data variabile climatica suscettibile di avere un impatto economico in un dato settore).
L’espressione ‘strumenti finanziari’ viene utilizzata anche dal diritto societario, per contraddistinguere rapporti di investimento/finanziamento nelle società per azioni, diversi dalle partecipazioni azionarie e dalle obbligazioni. Il sintagma ricorre nell’art. 2346 (la società può emettere, «a seguito dell’apporto da parte dei soci o di terzi anche di opera o servizi, strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell’assemblea generale degli azionisti»; si tratta degli «strumenti finanziari partecipativi», secondo l’espressione cui ricorre la rubrica della Sezione V cui l’art. 2346 appartiene), nell’art. 2411 («strumenti finanziari…, che condizionano i tempi e l’entità del rimborso del capitale all’andamento economico della società»: strumenti finanziari non partecipativi, o quasi-obbligazionari) e nell’art. 2447-ter («strumenti finanziari di partecipazione all’affare» per cui è costituito un patrimonio destinato).
L’articolato ventaglio normativo dà conto dell’ampiezza che la struttura partecipativa e di finanziamento di una s.p.a. può oggi assumere. Le tre disposizioni sono il portato della nuova visione della dimensione finanziaria propria di questo tipo societario, introdotta con la riforma del 2003: una visione che ha condotto al recepimento e alla codificazione di tutte quelle formule di investimento ‘ibride’, che la prassi economica e, in parte, le esperienze normative straniere avevano già da tempo elaborato e sperimentato, e che si collocano nella terra di mezzo tra la partecipazione al rischio d’impresa costituita a fronte del conferimento di risorse imputate a capitale (azione) e il finanziamento con diritto al rimborso del prestito ad una data scadenza (obbligazione).
Gli strumenti finanziari di s.p.a. vengono così ad occupare, oggi, uno spazio i cui confini sono delimitati dalle formule di investimento e finanziamento tradizionali e le cui forme possono essere le più varie, affidate, nella loro concreta definizione, all’autonomia statutaria e negoziale della società. A questo florilegio di possibili relazioni finanziarie ‘ibride’ si aggiunge l’amplissimo ventaglio delle possibili declinazioni della stessa partecipazione azionaria (azioni ordinarie, privilegiate, correlate, postergate nelle perdite, prive del diritto di voto, a voto plurimo: art. 2348 ss. c.c.) e del rapporto obbligazionario (obbligazioni postergate nel rimborso, obbligazioni a rendimento indicizzato: art. 2411, co. 1 e 2). La s.p.a. viene così a configurarsi come una struttura produttiva attorno a cui può orbitare una galassia poliedrica di relazioni finanziarie, con una gamma di tipologie associative e di prestito potenzialmente ricchissima (Cian, M., Strumenti finanziari partecipativi e poteri di voice, cit., 1 ss.; Valzer, A., Gli strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi nelle società per azioni, Torino, 2012).
La collocazione di questa disciplina all’interno della materia delle società per azioni si giustifica in ragione della vocazione, propria di questo tipo societario, alla raccolta di risorse sul mercato dei capitali. È in questa stessa logica che si deve riconoscere negli strumenti finanziari, partecipativi e non, delle formule relazionali necessariamente seriali, al pari delle azioni e delle obbligazioni, rappresentative cioè di un’operazione finanziaria complessa, frazionata in unità elementari tra di loro attributive di eguali posizioni giuridiche (Cian, M., Strumenti finanziari partecipativi e poteri di voice, cit., 31; ma la questione è dibattuta e v. infatti Bartolacelli, A., La partecipazione non azionaria nella s.p.a., Milano, 2012, 79 s.). A partire dal 2012 il legislatore ha però progressivamente aperto l’accesso ai mercati anche alle società a responsabilità limitata, attraverso la regolamentazione delle società start-up innovative prima e delle PMI innovative poi; allorquando queste siano costituite (come in concreto di regola accade) in forma di s.r.l., all’autonomia statutaria è possibile dare vita ad una struttura finanziaria di tipo para-azionario ed in particolare emettere strumenti finanziari partecipativi, alla stregua di quelli previsti per le s.p.a. (v. rispettivamente l’art. 26, co. 7, d.l. 18.10.2012, n. 179 e l’art. 4, co. 9, d.l. 24.1.2015, n. 3, che il primo richiama). L’espressione trova quindi oggi cittadinanza nell’universo delle società di capitali (e v. art. 2526 c.c. per le cooperative) senza distinzione per tipo (sebbene le s.r.l. non innovative rimangano estranee a questa disciplina).
Vengono emessi, se lo prevede lo statuto (mentre è discusso se la competenza a deliberarne in concreto l’emissione spetti all’assemblea o all’organo amministrativo), a fronte di qualsivoglia apporto, che può consistere, oltre che nella prestazione di denaro e nell’attribuzione di beni in natura, anche in opere o servizi, ossia in prestazioni collaborative da parte del sottoscrittore. I valori di tali apporti non vengono imputati a capitale e non possono dunque concorrere alla dotazione patrimoniale indisponibile della società (sul tema della rilevazione contabile Valzer, A., Gli strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi nelle società per azioni, cit., 227 ss.).
Questi strumenti finanziari accordano diritti patrimoniali di carattere partecipativo o anche diritti amministrativi, con l’eccezione (non assoluta, tuttavia) del diritto di voto. Sotto il primo profilo, si tratterà principalmente del diritto alla percezione di una quota degli utili maturati dalla società e di una quota di liquidazione dipendente dalle sorti dell’impresa. Sul piano organizzativo, potranno essere accordati innanzitutto diritti amministrativi deboli (ad es., di consultazione della documentazione sociale, di ricezione di rendiconti periodici, e via dicendo: Cian, M., Sub art. 2346, in Santosuosso, D., a cura di, in Comm. c.c. Gabrielli, Torino, 2015, 897 s.); nonostante l’art. 2346 vieti l’attribuzione del diritto di voto nell’assemblea degli azionisti, l’art. 2351, ult. co., consente che gli strumenti finanziari siano dotati del diritto di voto su particolari argomenti (ad es., sulle modifiche statutarie) e del potere di nomina di un componente indipendente degli organi sociali. Per mezzo del primo si accorda ai titolari degli strumenti finanziari il potere di concorrere con gli azionisti alla formazione della maggioranza nell’assunzione di determinate decisioni (il tema è però dibattuto: alcuni autori ritengono infatti che il voto degli strumenti finanziari vada esercitato in una assemblea speciale, chiamata ad approvare la deliberazione dell’assemblea dei soci, e si configuri dunque essenzialmente come diritto di veto: in arg. Cian, M. Strumenti finanziari, cit., 82 ss.; Valzer, A., Gli strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi nelle società per azioni, cit., 275 ss.). Riguardo alla nomina alle cariche sociali, si riserva invece ai possessori degli strumenti finanziari un potere di designazione che esclude il concorso con gli azionisti. Deve ritenersi, nell’un caso e nell’altro, che l’autonomia statutaria, pur nell’ampio spazio di libertà riconosciutole, non possa assegnare agli investitori non soci un potere maggiore di quello degli azionisti, in termini di numero dei voti esercitabili e di numero degli amministratori (o dei componenti dell’organo di controllo) da eleggere.
La società può emettere una o più categorie di strumenti finanziari, differenziate in base ai diritti accordati. Gli strumenti finanziari partecipativi possono essere negoziabili oppure no, a seconda di quanto stabilito nello statuto. È per tale motivo che non necessariamente essi costituiscono anche strumenti finanziari (valori mobiliari) ai sensi del t.u.f. Se negoziabili, possono essere rappresentati da titoli di credito o immessi in forma dematerializzata nei sistemi di gestione accentrata.
La fattispecie degli strumenti finanziari non partecipativi è inserita all’interno dell’art. 2411, che enuclea le diverse formule di finanziamento assortibili dalla società. Accanto alle obbligazioni tradizionali, a quelle postergate nel rimborso del capitale e a quelle che prevedono un rendimento periodico variabile, è data la possibilità di emettere strumenti finanziari, liberamente denominabili, in cui il diritto al rimborso è subordinato all’andamento economico della società. Si tratta di relazioni connesse comunque ad una operazione di finanziamento a titolo di capitale di credito e ciò giustifica l’applicazione della disciplina delle obbligazioni (co. 3), specialmente in ordine ai limiti quantitativi posti dall’art. 2412 alla loro emissione.
La parametrazione del rimborso all’andamento economico della società può riguardare sia il tempo che la misura di esso. Può così prevedersi uno slittamento in avanti del diritto al recupero del capitale (sino, al limite, alla liquidazione della società), oppure una riduzione percentuale dell’importo restituito, nel caso in cui non siano raggiunti determinati risultati economici (è dubbio invece se possa essere al contrario previsto un premio, nel caso in cui dati obiettivi vengano raggiunti: in arg. Ginevra, E., Gli strumenti finanziari diversi da azioni e obbligazioni, in Cian, M., a cura di, Diritto commerciale, II, Torino, 2014, 358 s.; Valzer, A., Gli strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi nelle società per azioni, cit., 374 ss.). Le combinazioni possono essere le più diverse, a condizione, secondo l’orientamento prevalente, che la variabile della formula sia riferita a dati economico-finanziari dell’impresa societaria e non a elementi esogeni (Ginevra, E., Gli strumenti finanziari diversi da azioni e obbligazioni, cit., 358).
Anche sotto il profilo organizzativo questi strumenti finanziari sono assimilati alle obbligazioni. Ne è dunque prevista una organizzazione comune destinata ad interagire con la società nei termini previsti dagli artt. 2415 ss., ma essi non sono dotati di diritti amministrativi accostabili a quelli che possono invece caratterizzare gli strumenti partecipativi.
Strumenti finanziari partecipativi e strumenti quasi-obbligazionari costituiscono due fattispecie teoricamente distinte e non comunicanti. E’ tuttavia discusso se la società possa altresì emettere strumenti finanziari misti, ossia contenenti elementi dell’una e dell’altra figura, e come tali assoggettati contestualmente alle due discipline (con prevalenza di quella più rigida, per i profili comuni ad entrambe). La soluzione affermativa appare preferibile, specie in ossequio alla filosofia di apertura all’autonomia statutaria, accolta nell’attuale ordinamento delle s.p.a. (Cian, M., Strumenti finanziari, cit., 10 ss.; ma v. Ginevra, E., Gli strumenti finanziari diversi da azioni e obbligazioni, cit., 359 s.). Potranno così venire emessi strumenti finanziari attributivi di un diritto pieno al rimborso del capitale e del diritto ad una remunerazione periodica in misura fissa (e come tali equipollenti ad una obbligazione, sotto il profilo patrimoniale), cui sia accordato peraltro anche il diritto di nomina di un amministratore, e come tali dotati di una indubbia componente di partecipatività, sia pure solo sul piano organizzativo.
In questo articolato scenario anche gli strumenti finanziari correlati ad un patrimonio destinato (art. 2447 ter) si presentano come una formula aperta, declinabile tanto dal punto di vista patrimoniale, quanto da quello amministrativo, in piena libertà, con la possibilità così di dare vita a rapporti di investimento cui siano collegati non già semplici diritti di controllo sull’affare (come prevede lo stesso art. 2447 ter a favore dei terzi che apportino risorse al patrimonio destinato), bensì anche diritti di voice forti, come potrebbe essere il diritto di voto sulle autorizzazioni che l’assemblea degli azionisti fosse chiamata a dare, ex art. 2364, n. 5, su talune operazioni gestorie relative all’affare (Cian, M., Strumenti finanziari, cit., 18 ss.).
Art. 1 t.u.f.; arrt. 2346, 2411, 2447 ter c.c.; art. 26, co. 7, d.l. 18.10.2012, n. 179; art. 4, co. 9, d.l. 24.1.2015, n. 3.
Annunziata, F., La disciplina del mercato mobiliare, VII ed., Torino, 2014; Barcellona, E., Strumenti finanziari derivati, in Fratini, M. – Gasparri, G., a cura di, Il testo unico della finanza, I, Torino, 2012, sub art. 1; Bartolacelli, A., La partecipazione non azionaria nella s.p.a., Milano, 2012; Caputo Nassetti, F., Strumenti finanziari derivati, in Enc. dir., Ann. VI, Milano, 2013, 911 ss.; Cian, M., Strumenti finanziari partecipativi e poteri di voice, Milano, 2006; Costi, R., Il mercato mobiliare, VIII ed., Torino, 2013; Gabrielli, E. - Lener, R., Mercati, strumenti finanziari e contratti di investimento dopo la Mifid, in I contratti del mercato finanziario, I, Tratt. Rescigno-Gabrielli, II ed., Torino, 2011; Ginevra, E., Gli strumenti finanziari diversi da azioni e obbligazioni, in Cian, M., a cura di, Diritto commerciale, II, Torino, 2014; Miola, M., Gli strumenti finanziari nella società per azioni e la raccolta del risparmio tra il pubblico, in Riv. dir. comm., 2005, I, 433 ss.; Notari, M., Azioni e strumenti finanziari: confini delle fattispecie e profili di disciplina, in Banca, borsa, 2003, I, 542 ss.; Onza, M. - Salamone, L., Prodotti, strumenti finanziari, valori mobiliari, in Banca borsa, 2009, I, 567 ss.; Righini, E., Sub art. 1, in Vella, F., a cura di, Commentario TUF, I, Torino, 2012,; Righini, E., Strumenti e prodotti finanziari, in Enc. dir., Ann. IV, Milano, 2011, 1162 ss.; Valzer, A., Gli strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi nelle società per azioni, Torino, 2012; Vitelli, F., Contratti derivati e tutela dell’acquirente, Torino, 2013.