Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’invenzione del fonografo costituisce un momento decisivo non soltanto nella storia della tecnica ma anche in quella della musica e, più in generale, della cultura. Un’invenzione che può considerarsi “parallela” a quella del cinema: il fonografo è del 1877 e precede di 18 anni la nascita del cinema, ma soltanto negli anni Venti del Novecento, riproduzione sonora e riproduzione dell’immagine in movimento s’incontreranno per dar vita al film sonoro.
L’invenzione del fonografo
L’invenzione del fonografo costituisce un momento decisivo non soltanto nella storia della tecnica ma anche in quella della musica e, più in generale, della cultura. Il complesso e spesso aggressivo mondo sonoro entro il quale noi, consapevoli o inconsapevoli, quotidianamente viviamo è in massima parte conseguenza di quella invenzione. Un’invenzione che può considerarsi “parallela” a quella del cinema. Infatti, se il fonografo offre per la prima volta la possibilità di fissare e rendere nuovamente e perennemente fruibile un fenomeno così squisitamente effimero quale il suono, il cinema offre per la prima volta la possibilità di fissare e rendere nuovamente e perennemente fruibile un fenomeno altrettanto effimero quale il movimento. L’invenzione del fonografo è del 1877 e precede di 18 anni quella del cinema, ma soltanto alle soglie degli anni Venti del Novecento, riproduzione sonora e riproduzione dell’immagine in movimento s’incontreranno per dar vita al film sonoro.
In Francia, si è voluto attribuire l’invenzione del fonografo a Charles Cross (1842-1888) che, nell’aprile del 1877 deposita all’Accademia delle scienze di Parigi il progetto d’un apparecchio – definito paléographone – in grado non soltanto di tracciare diagrammi di vibrazioni sonore su un disco di cristallo, ma anche di riprodurre acusticamente quelle vibrazioni. Per mancanza di mezzi tuttavia Cross non riesce a realizzare praticamente la sua scoperta e così il merito di aver dato effettivamente vita al primo strumento di riproduzione del suono spetta all’americano Thomas Alva Edison.
Edison arriva al fonografo lavorando al perfezionamento del telefono e in parte questa “invenzione” è imputabile alla sua crescente sordità. Volendo controllare il livello del segnale in arrivo al ricevitore, Edison inventa un fonometro tattile, vale a dire un ago applicato al diaframma di riproduzione che, tenuto fra i polpastrelli delle dita gli segnala, con le sue piccole vibrazioni, il segnale che non riesce a cogliere con l’orecchio.
Di qui Edison intuisce che è possibile trasformare le onde sonore di una punta in vibrazioni capaci di modificare lo stato meccanico di una superficie e, per azione esattamente complementare, riconvertire la traccia meccanica in vibrazioni acustiche.
Inizialmente Edison utilizza, quale superficie su cui “incidere” le vibrazioni, una striscia di carta paraffinata e la riproduzione è tale che, per sua stessa ammissione, soltanto con molta immaginazione è possibile riconoscere i suoni incisi.
Tralasciando i vari stadi e passaggi della ricerca e i tempi della sperimentazione (è noto che il diario di laboratorio di Edison è stato più volte da lui stesso rielaborato per retrodatare certi progressi e certe parziali invenzioni, soprattutto per questioni di priorità), dobbiamo vedere nel 6 dicembre 1877 la vera data di nascita del fonografo, non come progetto, ma quale macchina realizzata e funzionante. La macchina è costituita da un cilindro d’ottone, montato orizzontalmente su un perno filettato terminante in una manovella; sulla superficie del cilindro è disteso un foglio di stagno e una puntina metallica è montata su un diaframma posto lateralmente, avvicinabile e allontanabile dal foglio di stagno.
Questo diaframma serve a “incidere” il foglio di stagno, mentre il cilindro è messo in movimento lungo il perno filettato per mezzo della manovella. Sempre lateralmente è montato un secondo diaframma, più leggero dell’altro, destinato alla riproduzione.
Girando lentamente e il più regolarmente possibile la manovella, Edison riesce, con questa macchina, a incidere quattro versi di una popolarissima rima infantile: Mary had a little lamb. Tuttavia, soltanto conoscendole è possibile riconoscere le parole della canzoncina, ma il risultato è egualmente di straordinaria importanza.
I primi fonografi sono prodotti e commercializzati dall’estate del 1878; suscitano molto interesse anche in Europa, ma non trovano reale applicazione che nelle fiere.
Il grammofono
È Alexander Graham Bell ad applicarsi al perfezionamento del fonografo, sostituendo il foglio di stagno con un cilindro di cera, portando il passo a 0,16 mm – con un notevole guadagno di tempo d’incisione (fino a due minuti) – e applicando un motore elettrico (sia a rete che a batterie) che garantisce una rotazione molto più costante. Non potendo chiamare questo apparecchio “fonographe” in quanto il nome appartiene a Edison, Bell lo nomina “graphophone”.
Il 14 maggio 1886 l’American Graphophone Co. di Bell ottiene il brevetto e inizia la produzione commerciale dell’apparecchio.
Di fronte al successo di Bell, Edison decide di rimettersi al lavoro per perfezionare il suo fonografo; nasce così il perfected phonograph che è posto sul mercato all’inizio dell’estate 1888. È questo apparecchio a stabilire il successo del fonografo, prima dell’invenzione del grammofono da parte di Emil Berliner nel 1887, vale a dire dell’incisione su disco, che consente, il facile stampaggio, da una matrice, di un gran numero di copie di ogni incisione, risultato possibile, con il cilindro, soltanto attraverso delicate e lunghe operazioni. Il disco si troverà inizialmente a competere, sul mercato, con il cilindro, ma poi vincerà pienamente e definitivamente la battaglia nei primi 15 anni del Novecento.
Emil Berliner è anche il primo, fin dal 1888, a immaginare per il disco un’importante funzione di diffusione e documentazione musicale e con l’aiuto di Fred Gaisberg, dà vita a una produzione industriale di dischi. Una sua pubblicità recita: “Quelli che posseggono un grammofono potranno acquistare un assortimento di fonoautogrammi, da arricchire saltuariamente, comprendente prosa, canzoni, assoli strumentali e pezzi orchestrali di ogni genere”.
Tuttavia, il primo catalogo di registrazioni musicali poste in commercio non è quello di Berliner, bensì quello della Columbia Phonograph (su cilindri), nel 1891: 12 paginette di marce e musica da ballo che rappresentano l’atto di nascita dell’industria della musica riprodotta.
La possibilità di fissare il suono consente, fin dalla fine dell’Ottocento, di preservare importanti documenti musicali. Già nel 1889 Hans Bülow incide, su un fonografo Edison, una mazurca di Chopin; poco dopo sono molti illustri concertisti (da Kreisler a Schnabel, da Rachmaninov a Paderewsky, dal Quartetto Busch a Backhaus), grandi compositori (da Claude Debussy a Edvard Grieg), direttori d’orchestra di successo (da Nikisch a Coates, da Sargent a Furtwängler) – attivi alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento – a consegnarci la testimonianza viva della loro arte.
Ma è soprattutto nel melodramma che il cilindro e il disco sono di grandissima importanza nel preservare la grande tradizione vocale dell’Ottocento che altrimenti sarebbe andata perduta.
Possiamo così ascoltare ancora oggi la voce di Francesco Tamagno che incide Giuseppe Verdi due anni prima di morire, a 53 anni.
Ed è ancora la nuova invenzione che rende possibile ascoltare la voce dell’ultimo castrato della Cappella Sistina di Roma, Alessandro Moreschi, inciso a Roma nel 1904 (aveva allora poco meno di 50 anni).
Il fonografo e il grammofono ci consentono inoltre di conoscere stili e repertori della canzone, della romanza, della musica da ballo, della musica per banda, del varietà, del caffè concerto e del teatro comico che altrimenti sarebbero scomparsi e che invece sono oggi a nostra disposizione per restituirci, con l’evidenza insostituibile del suono, la vita musicale, “alta” e “bassa”, del tempo.
Il fonografo, inoltre, consente la nascita e lo sviluppo di una nuova disciplina musicologica, l’etnomusicologia, vale a dire lo studio delle musiche orali nel concreto della loro realtà sonora. Il primo documento della nuova scienza è del 1890: un canto degli Indiani nordamericani Passamaquoddy, inciso da Jesse Walter Fewcett.
Gli strumenti meccanici
Già assai prima dell’invenzione di Edison, l’ingegno umano si era esercitato a immaginare e progettare macchine e strumenti in grado di produrre il suono senza il diretto intervento umano. Lasciando ovviamente da parte i riferimenti mitologici e leggendari quali la statua parlante del semidio Memnon nella Tebe del XV secolo a.C. o comunque i casi del mondo antico non documentabili (le orchestre meccaniche a movimento idraulico della corte cinese nel 300 a.C. o il suonatore meccanico di Apollonio di Perga del 247-205 a.C.), o gli organi idraulici creati ad Alessandria da Ctesibius e Hero tra il III e il I secolo a.C., e anche le pretese teste metalliche “parlanti” di Gerber, di Alberto Magno e di Ruggero Bacone, è nel XVIII secolo che incomincia rapidamente a svilupparsi (su esperimenti già realizzati fin dal XVI secolo) l’arte degli strumenti meccanici, degli automi, dei carillon, delle scatole musicali, realizzati con i più vari e sofisticati sistemi. E l’Ottocento sarà il secolo del trionfo di questi apparecchi, ora semplici e poco costosi ora grandi e capaci di uno straordinario rendimento musicale.
Della famiglia degli strumenti meccanici fanno anche parte i grandi organi da fiera come il Gavioli, costruito a Parigi, che propone un’affascinante esecuzione del più famoso dei valzer di Johann Strauss figlio, Sul bel Danubio blu (An derschönen blauen Donau).
Se gli strumenti musicali meccanici hanno un ruolo nella preistoria della musica riprodotta non si deve dimenticare la differenza decisiva tra questi e il fonografo e il grammofono: questi ultimi infatti consentono di fissare e poi riprodurre esecuzioni reali di interpreti reali, mentre i primi riproducono musiche “composte” meccanicamente, con diversi procedimenti (su rulli dentati, carte perforate, ecc.), da un operatore che trascrive una musica scritta.
Inoltre, il suono delle scatole musicali (ottenuto con la vibrazione di lamelle per lo più metalliche, o di canne ad ancia, odi tamburelli e campanellini, ecc.) non corrisponde a nessun suono esistente fra i veri strumenti musicali.
Il piano-player
Al vasto gruppo degli strumenti meccanici appartiene anche il “piano-player”, nel quale, tuttavia, il suono è quello di un vero pianoforte; anche in questo strumento il movimento dei martelletti è determinato dallo scorrere di un rullo di carta perforato meccanicamente e quindi, non dipendendo da un’esecuzione reale ma dall’estro di un “operatore perforatore”, molti brani destinati a questo strumento presentano passaggi tecnicamente irreali e impossibili.
È proprio il piano-player a consentirci di ascoltare le realizzazioni del primo ragtime, nella forma in cui questo genere si sviluppa negli Stati Uniti alla fine dell’Ottocento. Del 1897 è la pubblicazione di una composizione di un musicista di colore, Scott Joplin, dal titolo Maple Leaf Rag, che apre la strada alle fortune del ragtime e che giungerà fino a nostri giorni in forma rinnovata.
Il vero ponte di passaggio – ma siamo già all’inizio del Novecento – dallo strumento meccanico al fonografo e al grammofono è il “pianoforte registratore” di Emil Welte, nel quale è ancora un rullo di carta perforata a determinare meccanicamente il movimento dei martelletti, ma questo rullo non è perforato da un operatore che “trascrive” una pagina scritta, bensì dall’esecuzione di un vero pianista, trasferita graficamente sul rullo di carta. Benché non sia in grado di registrare l’intensità di ciascuna nota, e quindi vada perduta parte della dinamica dell’esecuzione (ma possibili sono gli accelerando e i rallentando), il piano riproduttore Welte (che oltre tutto utilizza splendidi strumenti a coda) ci ha trasmesso le preziose esecuzioni di alcuni dei maggiori pianisti del primo Novecento.
Ai giorni nostri, con il trionfo dell’elettronica, il cerchio di questa vicenda sembra chiudersi: gran parte della musica che ascoltiamo non deriva che in parte dalla fissazione di un’esecuzione reale, ma da operazioni di sintetizzazione del suono ed elaborazioni al computer.
Del resto già l’avvento del nastro magnetico, all’indomani della seconda guerra mondiale, consentirà operazioni di tagli, incastri, sostituzioni di passaggi piccoli o estesi, cioè di vero e proprio “intarsio” sonoro – impossibili con la vecchia incisione su disco di cera – tali da offrirci esecuzioni mai esistite, in quella forma, nella realtà.