STRUMENTI ottici
Che cosa si debba intendere per "strumento ottico" non è possibile definire con precisione. Accanto a strumenti tipicamente e indiscutibilmente ottici, come una lente d'ingrandimento, si trovano molti altri complessi in cui la parte ottica è essenziale, ma ridottissima, come nel microscopio, e ancora molti altri in cui la parte ottica è insieme accessoria e di mole modesta. Si passa per gradi insensibili dagli strumenti ottici tipici a quelli di altra natura.
Classificazione. - Per classificare gli strumenti ottici, si possono formare cinque grandi categorie, in base al criterio fondamentale del loro funzionamento ottico. E cioè: 1. occhialeria; 2. strumenti di osservazione e di misura; 3. strumenti fotografici e affini; 4. strumenti d'illuminazione; 5. strumenti speciali.
La prima categoria comprende la gamma degli occhiali in tutte le loro forme e varietà. La seconda categoria comprende tutti quegli strumenti che contengono come elemento fondamentale il cannocchiale e il microscopio; e in essi alla fine si osservano delle immagini virtuali, con l'occhio davanti a un oculare. La terza categoria comprende gli strumenti che dànno un'immagine reale sopra un piano, sia quello della lastra d'una macchina fotografica, sia quello di uno schermo bianco, in una proiezione luminosa. La quarta categoria riguarda quegli strumenti che hanno un sistema ottico condensatore, per distribuire opportunamente la luce di una sorgente luminosa. La quinta categoria comprende tutti gli strumenti che non rientrano nelle categorie precedenti.
1. Occhialeria. - Un elenco degli strumenti di ciascuna categoria può esser fatto solo per sommi capi, perché le varietà sono innumerevoli. Così la prima categoria comprende gli occhiali, considerati nel complesso delle lenti e delle montature.
È opinione molto diffusa che le lenti da occhiali siano una cosa semplice, quasi non degna di molta considerazione da parte dei tecnici e degli studiosi; mentre i problemi in proposito sono tra i più duri che si possano presentare. Basti pensare alla diffusione enorme di questo strumento, alle pretese di semplicità, di leggerezza e di economia, alle condizioni di uso irregolarissime e molto variabili, in contraddizione con la squisita sensibilità dell'occhio umano per comprendere come sia impossibile trovare una soluzione optimum per tutti i quesiti insieme, ma occorra ricorrere a compromessi. E allora sarà spiegabile perché si trovino in uso lenti da occhiali di tipo, di struttura e di costo molto diversi: dalle lenti a superficie sferiche isosceli (lenti bi) a quelle periscopiche, a menisco, puntali, a base fissa e a base variabile (notoriamente col nome di base si indica la potenza di una certa faccia della lente). Poi si hanno le lenti piano-cilindriche, che per gli usi più fini vengono sostituite con le toriche; inoltre vi sono le combinazioni sfero-cilindriche, nelle forme con una faccia cilindrica, oppure con una faccia torica. Poi si hanno lenti asferiche per operati di cataratta, lenti prismatiche per la correzione dello strabismo, con o senza correzione sferica, lenti bifocali per sopperire alla deficienza di accomodazione dell'occhio; lenti protettive contro l'eccessiva luminosità, contro le radiazioni dannose all'occhio, contro gli urti; si hanno le lenti colorate in varia tonalità; e altri tipi ancora.
A questo si aggiunga la varietà delle montature, necessarie per sopperire alle diversità d'impiego degli occhiali e alle diversità di struttura di ogni cranio; e si vede subito che il campo dell'occhialeria, per la sua vastità, costituisce una delle parti più importanti dell'intero campo degli strumenti ottici.
2. Strumenti di osservazione e di misura. - In questa categoria sono riuniti i gruppi seguenti: a) strumenti per l'osservazione lontana; b) strumenti per l'osservazione vicina.
Nel primo gruppo entrano: gli strumenti atti semplicemente a facilitare l'osservazione, come cannocchiali, binocoli, panoramici, periscopî; gli strumenti astronomici, equatoriali e meridiani; gli strumenti geodetici e topografici, come teodoliti, tacheometri, livelli; quelli per studiare i fenomeni luminosi, come spettroscopî, spettrometri, rifrattometri; quelli distanziometrici, tra cui primeggiano i telemetri monostatici. Nel secondo gruppo entrano le lenti d'ingrandimento, i microscopî composti, i micrometri, i comparatori.
In tutti questi strumenti penetrano le onde luminose emesse dai varî punti dell'oggetto osservato; vengono deformate dalle parti ottiche e infine escono dall'oculare per entrare nell'occhio dell'osservatore. Le onde stesse sarebbero entrate nell'occhio anche direttamente, se questo avesse guardato l'oggetto senza interporre lo strumento sul loro percorso: ma lo strumento ha il compito di procurare che le onde acquistino all'uscita delle caratteristiche più agevoli per l'osservazione. Si suol dire che l'immagine (cioè il luogo dei centri delle onde emergenti dall'oculare) è più atta a essere osservata e utilizzata che non l'oggetto direttamente.
Per valutare questo beneficio, si definiscono tre rendimenti: quello geometrico, quello ottico, quello fotometrico.
In generale il primo rendimento riguarda le caratteristiche di natura geometrica, e cioè studia quali inclinazioni, rispetto all'asse dello strumento, possono avere le onde incidenti perché vi penetrino e ne emergano, e così si definisce il campo reale abbracciato; inoltre studia quante volte l'angolo che fanno fra loro due onde emergenti è maggiore di quello che facevano fra loro prima di entrare nello strumento, e così si misura l'ingrandimento. In casi particolari possono interessare anche altri requisiti del genere.
Il rendimento ottico riguarda la bontà delle immagini, ossia la struttura delle onde emergenti dall'oculare. Così a seconda dei difetti di queste, si parla d'irregolarità e di aberrazioni; infine, siccome ciò che interessa come ultimo scopo in generale è la possibilità di percepire i particolari dell'immagine, e poiché le aberrazioni e le irregolarità hanno come effetto una diminuzione di questa facoltà, si determina il cosiddetto potere risolutivo, sia assiale sia periferico. Siccome poi per ogni tipo di strumento è stato trovato il cosiddetto "limite teorico" del potere risolutivo, limite che dovrebbe essere raggiunto dallo strumento otticamente perfetto, si valuta il rendimento ottico dello strumento in esame facendo il rapporto tra il potere risolutivo reale e quello teorico.
Il rendimento fotometrico riguarda sia la distribuzione del flusso luminoso che ha attraversato lo strumento, sia la perdita del flusso nello strumento stesso. La prima dipende dalla struttura geometrica delle parti ottiche; la seconda dipende da molti fattori, tra cui principalmente la riflessione sulle superficie trasparenti, l'assorbimento negli spessori delle parti ottiche, la diffusione nelle parti mal lucidate, l'occultazione per opera di ostacoli opachi. Per valutare questo rendimento si misura l'"efficienza fotometrica" e la "luminosità", concetti definiti solo recentemente in modo preciso e che si vanno dimostrando all'atto pratico d'importanza sempre maggiore.
Negli strumenti di misura, oltre alle qualità ottiche, conviene considerare e valutare anche la precisione conseguibile nell'uso dell'apparecchio e ciò riguarda molto anche la parte meccanica. In uno strumento bene calcolato le due parti, quella ottica e quella meccanica, debbono essere opportunamente equilibrate.
3. Strumenti fotografici e affini. - In questa categoria sono comprese le macchine fotografiche ordinarie, le macchine di presa cinematografica, le macchine per ingrandimenti fotografici, gli strumenti astrofotografici, quelli fotogrammetrici e aerofotogrammetrici, quelli microfotografici; inoltre le macchine da proiezione episcopica, diascopica ed epidiascopica, gli apparecchi da microproiezione, i sistemi di proiezione cinematografica.
Senza entrare nella discussione delle caratteristiche di natura meccanica, elettrica, termica, ecc., si può dire che anche per questi strumenti esistono i tre rendimenti geometrico, ottico e fotometrico, basati su concetti fondamentali analoghi a quelli precedenti, ma applicati con criterî profondamenti diversi. Anche per l'obiettivo fotografico si parla di campo e d'ingrandimento, ma specie quest'ultimo ha un significato ben distinto da quello dell'ingrandimento del telescopio o del microscopio.
Così le pretese sul rendimento ottico di un apparecchio di presa fotografica sono sostanzialmente diverse da quelle di uno strumento di osservazione, in cui l'ultimo giudice è l'occhio, organo ben più fino della lastra sensibile. Il potere risolutivo nel nuovo caso è quasi sempre limitato dalla grana della lastra, anziché dalla struttura dell'obiettivo.
E infine anche il rendimento fotometrico poggia su basi ben distinte nei due casi, perché negli strumenti di osservazione, in cui si osservano delle immagini virtuali, interessa lo "splendore" di queste, mentre in quelli di presa fotografica e di proiezione, in cui si utilizzano immagini reali, interessa la loro "illuminazione". E le leggi sono naturalmente diverse nei due casi.
Anche qui, poi, quando questi strumenti si applicano a scopi di misura, intervengono serî problemi di natura meccanica, che vanno studiati in relazione alle possibilità delle parti ottiche.
4. Strumenti d'illuminazione. - Compongono questa categoria strumenti di dimensioni svariatissime, destinati a utilizzare convenientemente la luce di sorgenti luminose per scopi particolari: dai grandi proiettori ad arco forzato per uso bellico, ai più modesti fanali a fiamma. Rientrano ancora in questa categoria i riflettori, i rifrattori e i diffusori usati per le lampadine ordinarie d'illuminazione, nonché il complesso degli apparecchi per fari e per segnalazioni marine ed aeree. Si collegano ancora con questi tutti gli apparecchi modernissimi per telegrafia e telefonia ottica, sia in luce visibile, sia mediante radiazioni ultrarosse e ultraviolette; e ancora apparecchi speciali, come i microfotometri e le lampade a fessura, hanno caratteri che li fanno rientrare in questa categoria.
Per quanto l'opinione comune sia portata a considerare questa classe di strumenti come grossolana e degna di poca considerazione, tuttavia il progresso della tecnica ha messo in evidenza che spesso non solo bisogna richiedere alle loro parti ottiche il massimo sforzo di cui sono capaci, ma non si arriva neppure con questo a realizzare il risultato desiderato. Si è dovuti giungere pertanto a uno studio accurato degli strumenti d'illuminazione, con i criterî adottati con successo per gli strumenti precedenti.
Anche per essi dunque si sono definiti i rendimenti: quello geometrico, relativo al campo illuminato; quello ottico, relativo alla regolarità di funzionamento delle parti ottiche, e quello fotometrico. che ora assume un carattere di maggior importanza, perché riguarda proprio gli elementi fondamentali per lo scopo a cui lo strumento è dedicato.
In questi strumenti, dato che vi funziona una sorgente luminosa o un organo sensibile alla radiazione, spesso meritano molta considerazione anche le parti di natura diversa da quella ottica, come gli accessorî elettrici, le celle fotosensibili, preparati chimici e affini; generalmente la parte meccanica è interessante più per mole che per finezza.
5. Strumenti speciali. - In questa categoria entrano moltissimi apparecchi, destinati agli usi più disparati e che non possono essere conglobati a rigore in nessuno dei gruppi precedenti, pur essendo tipicamente ottici. Così tutto il complesso di strumenti nati per uso scientifico, ma poi molto usati anche nella tecnica e destinati a eseguire esperienze di diffrazione, d'interferenza, di polarizzazione, di fotometria, sono appunto in queste condizioni. In particolare meritano menzione gl'interferometri dei varî tipi, strumenti oltremodo interessanti, sia per lo studio dell'ottica, sia per le applicazioni tecniche.
Per questi strumenti, che non hanno caratteri fondamentali comuni, non è possibile dare un'idea neppure sommaria dei criteri di valutazione generale.
Progetto di uno strumento ottico. - La finezza dell'occhio, nei casi in cui è questo che osserva, e la finezza delle pretese ottiche in tutti i casi, hanno fatto del progetto di uno strumento ottico un'operazione delle più delicate, per cui è indispensabile tutta una competenza specializzata.
Dopo aver definito precisamente lo scopo a cui lo strumento è dedicato, si deve passare a definire dimensionalmente l'insieme delle caratteristiche delle parti ottiche, meccaniche e di altra natura, in modo da equilibrarle opportunamente, mantenendole nei limiti dovuti, i quali sono segnati spesso non solo dalla natura della luce e degli elementi fisici utilizzati, ma anche dalla disponibilità di mezzi tecnici e di denaro.
Una volta determinate le caratteristiche ottiche, si deve passare al progetto delle parti ottiche, determinando la natura delle sostanze e la forma delle superficie; e prima di procedere oltre, si deve verificare sulla carta, mediante gli opportuni metodi di calcolo, che il rendimento geometrico sia quello voluto, e quello ottico, per la parte delle aberrazioni, sia contenuto nei limiti prefissati.
Solo giunti a questo punto si può progettare la parte meccanica, o elettrica, in modo da rispondere convenientemente ai requisiti imposti sia dal richiedente, sia dalla parte ottica stessa come è stata calcolata. Per chiarire questo concetto, si deve aggiungere che non di rado avviene di dovere scartare dei sistemi ottici, per quanto sulla carta rispondessero molto bene, e ciò soltanto perché la costruzione meccanica non poteva assicurare la finezza e la precisione necessaria per contenere le parti ottiche nelle loro sedi.
Realizzazione di uno strumento ottico. - Fatto il progetto, si tratta di realizzarlo. La lavorazione meccanica o di altro tipo esula troppo dal campo, perché si debba farne cenno; ma a proposito di quella ottica si deve dire che nella realizzazione dei dati forniti dal progettista è necessaria una cura come forse in nessun'altra branca della tecnica. Le tolleranze nella forma delle superficie non sorpassano, salvo poche eccezioni, il quarto di lunghezza d'onda luminosa (un decimo di micron all'incirca) e spesso sono contenute entro l'ottavo della stessa lunghezza d'onda. Con criterî opportuni sono fissate le tolleranze analoghe per l'omogeneità e l'isotropia delle sostanze trasparenti impiegate, per gli spessori e le distanze, per i raggi di curvatura e per gli angoli.
Dal momento che questi limiti sono imposti dalla diffrazione della luce e non da convenzioni arbitrarie, è oggi dimostrato che uno strumento qualunque, in cui le tolleranze di lavorazione sono contenute in essi, riuscirà perfetto e insuperabile dal punto di vista del rendimento ottico; mentre che lo strumento in cui questi limiti non sono rispettati, avrà dei difetti sensibili. Può darsi che per usi particolari questi difetti siano tollerabili, ma è anche vero che i migliori strumenti debbono esserne privi.
Una volta realizzate le parti ottiche sciolte e verificatele opportunamente mediante mezzi interferometrici, i soli capaci di svelare le ultime infrazioni alle tolleranze, si passa al montaggio. L'esperienza, d'accordo con la teoria, ha dimostrato che anche questa operazione è della stessa delicatezza delle precedenti e che se è fatta male può anche annullare l'effetto della cura posta nelle altre. Uno strumento calcolato bene, lavorato bene e montato bene, in base ai criterî riportati, deve funzionare bene.
Cenni storici. - Tralasciando le primissime notizie sugli specchi e lenti lavorate nell'antichità, notizie non sempre meritevoli di fiducia, come quelle sugli specchi ustorî di Archimede, si può dire che l'industria degli strumenti ottici nacque con l'invenzione, italiana, delle lenti da occhiali, verso il sec. XIV.
Un perfezionamento e un progresso considerevole si manifestò al principio del sec. XVII, specie per opera di Galileo, che portò il suo cannocchiale a un grado di eccellenza veramente meravigliosa per quei tempi. I suoi discepoli diretti, il Mariani e il Torricelli, nonché il Divini e il Campani, continuarono nella via segnata dal grande maestro. Il famoso errore di Newton, che negò la possibilità dell'acromatismo delle combinazioni di lenti diverse, ritardò di molti decennî un progresso che si sarebbe realizzato anche prima della fine del sec. XVIII, quando fu trovato che mediante l'impiego di vetri opportuni era possibile correggere l'aberrazione cromatica e anche quella sferica dei sistemi ottici. Di conseguenza nel secolo scorso si sviluppò la scienza del calcolo ottico e, mediante la collaborazione di matematici e di fisici illustri, tra cui primeggiano gli italiani Santini, Mossotti, Billotti e G. B. Amici, si è giunti alla mirabile potenza odierna in fatto di realizzazioni ottiche.
Intanto da una parte la tecnica del vetro ottico ha fornito qualità e varietà sempre più numerose e più adatte alle esigenze dei calcolatori; dall'altra potenti ingegni, come quello d'Ignazio Porro, hanno ideato un grande numero di dispositivi per rispondere in modo sempre più pratico e più agevole alle richieste della pratica; si è giunti pertanto a disporre oggi di una collezione di strumenti ottici, la cui vastità è stata messa in evidenza qui sopra.
Attualmente l'Italia, dopo un periodo di rilassamento, ha ripreso la sua tradizione. In seguito alla fondazione del R. Istituto nazionale di ottica, si sono formati sia gl'ingegneri, sia i tecnici capaci di progettare, realizzare e montare gli strumenti ottici con i criterî razionali sopra accennati, e con questo la produzione degli strumenti stessi, per quanto resa sempre più difficile dai continui progressi in ogni ramo, è stata riportata rapidamente, anche nelle officine italiane, a quel grado di precisione che è richiesto dalla tecnica moderna.
Sistemi ottici centrati.
Un sistema ottico in generale è costituito da un insieme di superficie riflettenti (specchi) e di superficie rifrangenti (separanti mezzi trasparenti). Generalmente queste superficie sono sferiche e, se i centri di curvatura di queste si trovano allineati, il sistema si dice centrato. La retta che contiene i centri di curvatura si dice asse principale del sistema. Nel caso che alcune superficie siano piane, si riterranno ancora sferiche con centro all'infinito e, perché facciano parte di un sistema centrato, dovranno essere perpendicolari all'asse principale. Lo studio dei sistemi ottici centrati conduce alla determinazione di alcune proprietà, dette proprietà cardinali, mediante le quali si risolvono tutti i problemi inerenti a sistemi formati di un numero qualunque di lenti (v. lente), di qualunque spessore, consentendo esse di determinare la posizione di un raggio rifratto dal sistema, quando siano noti il raggio incidente e alcuni elementi del sistema, ma tutto ciò senza che sia necessario seguire il raggio nel suo percorso nell'interno del sistema e quindi senza che occorra conoscere gl'indici di rifrazione dei mezzi attraversati. Queste proprietà cardinali vengono dimostrate come teoremi di geometria, dopo che siano poste alcune limitazioni (limitazioni di Gauss) che si possono riassumere nel seguente modo:
a) Superficie rifrangenti sferiche.
b) Raggi centrali, cioè poco inclinati sull'asse, tanto che gli angoli, formati dai raggi con l'asse del sistema, siano così piccoli da poterli considerare misurati dai rispettivi seni e tangenti.
c) Piccola apertura del sistema, cioè piccolo angolo formato dall'asse del sistema col raggio di curvatura passante per il punto d'incidenza di un raggio incidente qualunque.
d) Raggi luminosi monocromatici.
e) Fasci di luce incidente sul sistema sempre omocentrici, cioè aventi per origine un punto.
Se un fascio divergente uscente da un punto A1, in seguito a rifrazioni attraverso uno o più mezzi, convergerà in un punto A2, questo sarà l'immagine del primo. Data la reversibilita dei cammini ottici, se A2 verrà assunto come oggetto, A1 ne sarà l'immagine; i due punti A1 e A2 si dicono punti coniugati; così si dicono coniugati due raggi R1 e R2 quando l'uno è generato dall'altro. Un sistema ottico si dice poi stigmatico quando ad un fascio omocentrico incidente fa corrispondere dopo la rifrazione un fascio di raggi pure omocentrico, astigmatico nel caso contrario. Un sistema può essere stigmatico solo per alcune coppie di punti oppure può essere generalmente stigmatico, e in questo caso, siccome le superficie rifrangenti che noi consideriamo avranno sempre per asse di simmetria l'asse principale, sarà facile seguire con schemi grafici l'andamento dei raggi luminosi; infatti a raggi incidenti giacenti sul piano del disegno corrisponderanno sempre raggi rifratti pure giacenti sullo stesso piano. Per convenzione considereremo sempre raggi propagantisi da sinistra a destra: i fasci divergenti saranno perciò dovuti a onde luminose con la convessità rivolta a destra, mentre i convergenti avranno la concavità a destra. Un punto-immagine virtuale sarà un punto nel quale non convergono realmente i raggi luminosi, bensì un punto dal quale sembrano partire i raggi luminosi, o al quale convergerebbero se invertissero il loro senso di propagazione senza subire nuovamente nessuna rifrazione.
Il più semplice sistema ottico centrato è rappresentato dal diottro, cioè da una sola superficie sferica rifrangente, separante due mezzi trasparenti; in questo caso, essendovi un solo centro di curvatura, qualunque direzione passante per questo centro costituisce un asse principale (fig. 1). Una comune lente costituisce già un sistema ottico centrato più complesso, costituito da due superficie sferiche rifrangenti, i cui centri di curvatura individuano l'asse principale.
Indichiamo con C ed R il centro e il raggio di curvatura, con n1 ed n2 i due indici di rifrazione assoluti, con V il vertice della calotta rifrangente; l'asse principale è quello passante per V. Il raggio di curvatura viene preso positivo se la convessità è rivolta verso l'oggetto, negativo in caso contrario. Indichiamo con A1 e A2 un punto-oggetto e la sua immagine, con p e q le distanze di questi due punti computate a partire dal vertice V, con i ed r gli angoli d'incidenza e di rifrazione del raggio incidente A1P e di quello rifratto PA2. Sempre entro i limiti d'approssimazione sopra detti, con semplici considerazioni geometriche si trova valida la seguente relazione nota col nome di formula classica dei punti coniugati:
espressione dalla quale si ricava q indipendentemente dall'inclinazione dei raggi (purché piccola) e che perciò mostra che a un punto-oggetto A1 corrisponde un punto-immagine A2, cioè che A1 e A2 sono punti coniugati, ovvero che a raggi omocentrici corrispondono, in seguito a rifrazione attraverso ad una superficie sferica, pure raggi omocentrici.
Una coppia di raggî uscentì da un punto, se il sistema è stigmatico, s'incontreranno in un altro punto coniugato del primo e se ω1 è l'angolo che i due raggi formavano tra loro prima della rifrazione ed ω2 è quello che formano dopo, diremo rapporto di convergenza o ingrandimento angolare il rapporto K = ω1/ω2. Il sistema si dice ortorifrangente, rispetto a una data coppia di punti coniugati, se per qualunque coppia di raggi coniugati questo rapporto si mantiene in valore costante. Ora se a fasci di raggi omocentrici corrispondono fasci di raggi pure omocentrici, ai punti dell'oggetto corrisponderanno punti dell'immagine, che proprio da questi punti sarà costituita, e, se ad una figura piana il sistema ottico fa corrispondere una figura pure piana, diremo che il sistema è ortoscopico e i piani su cui rispettivamente giacciono l'oggetto e la sua immagine si diranno piani coniugati. Se AB misura la distanza di due punti-oggetto e A′B′ quella dei due punti-immagine, il rapporto G = A′B′/AB si dice ingrandimento lineare della prima figura rispetto alla seconda; per ogni coppia di piani coniugati resta costante, ma varia da coppia a coppia. Generalmente interessano solamente i piani coniugati normali all'asse.
Nel caso del diottro, l'esistenza di piani coniugati si può vedere nel seguente modo: tracciamo un altro asse, che assumiamo come nuovo asse principale; ripetendo le considerazioni precedenti troviamo l'immagine di un punto oggetto A1′; avendo preso A1′ su una calotta sferica con centro in C e raggio CA1, l'immagine si formerà manifestamente su una calotta A2 A′2 di raggio CA2; con le limitazioni precedentemente poste, alle calotte sarà lecito sostituire degli elementi di piano ad esse tangenti rispettivamente in A1 e A2, che sono appunto i piani coniugati di cui ora si è detto e il sistema risulta ortoscopico. Analogamente a quanto si usa per le lenti semplici, nella trattazione elementare si chiamano fuochi del diottro quei due punti F1 e F2, per i quali passano i raggi incidenti il diottro parallelamente all'asse. Si dicono distanze focali le due distanze f1 e f2 da cui i fuochi sono separati dal vertice V e che si ricavano dalla (1) facendo successivamente p = ∞, e q = ∞, ottenendo:
da cui per rapporto:
I piani normali all'asse e passanti per F1 e F2 sono detti rispettivamente primo e secondo piano focale. Misurando le distanze x1 e x2 di A1 e A2 dai fuochi anziché dal vertice V, si trova che queste sono legate alle distanze focali da una relazione espressa dalla seguente formula, nota col nome di formula di Newton:
Il secondo fuoco è reale se giace nel secondo mezzo e virtuale in caso contrario. Nel primo caso il diottro è convergente, nel secondo è divergente.
La determinazione grafica dell'immagine di un punto, nel caso del diottro, è immediata come mostra la fig. 2. Si tracciano due raggi che partono da un punto-oggetto, l'uno parallelo all'asse e l'altro passante per il primo fuoco; dopo la rifrazione il primo raggio passerà per il secondo fuoco e il secondo raggio procederà parallelamente all'asse; il loro punto d'incontro individuerà l'immagine. È facile ricavare con semplici considerazioni geometriche l'espressione seguente dell'ingrandimento trasversale, cioè del rapporto tra la grandezza dell'immagine A2 A2′ e quella dell'oggetto A1 A1′; si trova che
da cui si vede come l'ingrandimento, dato il valore di f1, dipenda unicamente da p. Così è facile mostrare come l'ingrandimento angolare sia esprimibile nel seguente modo
e come sia verificata la seguente relazione n1 A1A1′ ω1 = n2 A2A2′ ω2 che rappresenta quello che si dice l'invariante ottico di LagrangeHelmholtz.
Per determinare l'andamento di un raggio rifratto da un diottro, serve utilmente una semplice costruzione grafica dovuta al Weierstrass (fig. 3) nella quale non intervengono i fuochi. Fatto centro in C si traccino due sfere rispettivamente di raggio R1 = R n1/n2 e R2 = R n2/n1. Di un raggio qualunque incidente sul diottro si trova il coniugato nel seguente modo: si prolunga la direzione del raggio incidente fino a incontrare la sfera di raggio R2 in un punto A1, e congiungendo A1 con C s'individua un punto A2 della sfera di raggio R1; la congiungente i punti A e A2 rappresenta il raggio rifratto cercato. Il punto A1, in cui concorre il raggio proveniente da A, può essere considerato, per la reversibilità dei cammini ottici, come una sorgente virtuale del raggio AA1. Così il punto A2 può essere considerato immagine reale della sorgente reale A, e di quella virtuale A1, e considerando A2 sorgente; i raggi usciranno dal diottro come se provenissero dalla sorgente virtuale A1. Sopra la retta CA2A1 esistono dunque due punti A2 e A1 tali che un fascio che ha origine in uno di essi, in seguito a rifrazione attraverso il diottro, si trasforma in un altro con origine nell'altro punto. Questi due punti si dicono aplanetici. Eccettuati i punti aplanetici, non vi sono altre coppie tali che a fasci uscenti da uno corrispondono fasci incontranti il secondo - la costruzione di Weierstrass lo mostra chiaramente - bensì un fascio avente origine in un punto, in seguito alla rifrazione, inviluppa una caustica (v.). Perciò le coppie di punti veramente aplanetici sono solo quelle di punti allineati col centro C e da questo distanti R1 ed R2 rispettivamente; il diottro quindi non sarà a rigor di termini stigmatico, ma considerarlo tale sarà lecito, con buona approssimazione, per un fascio di raggi centrale.
Ripetendo per un numero qualunque di mezzi quanto si è detto relativamente al semplice caso di due mezzi, con le stesse limitazioni, si viene a stabilire che un sistema ottico centrato può essere stigmatico, ortoscopico e ortorifrangente per ogni coppia di piani perpendicolari all'asse. Indicando con ω, ω1, ω2, ..., gli angoli solidi, aperture dei coni formati da raggi luminosi, con n, n1, n2, ... gl'indici di rifrazione relativi ai varî mezzi attraversati, con I1, I2, I3, ... le successive immagini di un oggetto O, mediante l'applicazione successiva dell'espressione che fornisce quello che si è detto l'invariante ottico di Lagrange-Helmholtz, si ha:
Se, per un dato sistema ottico, ad un raggio incidente parallelo all'asse principale corrisponde un raggio emergente pure parallelo all'asse principale, il sistema si dice telescopico o afocale, denominazioni di facile interpretazione, indicando chiaramente la prima dove tale condizione si riscontri e la seconda quali siano le proprietà di tale sistema.
Se il sistema non è telescopico, tra le infinite coppie di piani coniugati ne esiste una di piani detti piani principali per i quali G = 1. I punti d'incontro tra asse principale e piani principali si dicono punti principali. Dalla fig. 4 si ha un'idea più chiara dei punti e piani principali. Il punto A è individuato da due raggi r1 ed r2, il punto B dai due raggi r1′ ed r2′ rispettivamente coniugati di r1 ed r2, dunque B è coniugato di A. Lo stesso si può ripetere per qualunque altra coppia di punti coniugati dei piani principali π1, e π2. Queste coppie di punti sono equidistanti dall'asse e contenute su uno stesso piano passante per l'asse principale. Segue da ciò che la congiungente AB è parallela all'asse e così avviene per qualunque altra congiungente di punti coniugati giacenti sui piani principali, e perciò a una figura giacente su un piano corrisponde sull'altro una figura eguale in grandezza e non capovolta.
I piani che passano per i fuochi e che sono perpendicolari all'asse si dicono piani focali, CF1 prima distanza focale, DF2 seconda distanza focale. Dato un sistema centrato e per esso i suoi elementi essenziali cioè i fuochi e i piani principali, è facile procedere alla costruzione dell'immagine di un oggetto, nel modo indicato in fig. 5. Dalla similitudine dei triangoli OAM, F1 CM e rispettivamente BIN e BF2 D si ricavano immediatamente formule analoghe a quelle del diottro:
e misurando le distanze x1 ed x2 dell'oggetto e dell'immagine dai fuochi anziché dai piani principali, si ottiene la relazione di Newton già vista per il diottro:
Come per il diottro semplice il rapporto di convergenza
è costante per i punti situati su piani coniugati, e il sistema è ortorifrangente. L'ingrandimento lineare trasversale è
cioè è perfettamente determinato, noti che siano p e f1, o q e f2.
Le due relazioni che permettono di determinare per ogni punto dello spazio-oggetto il corrispondente punto dello spazio-immagine, e perciò di un oggetto la sua immagine, sono le seguenti:
che nel caso in cui, come avviene generalmente per gli strumenti ottici, il primo e l'ultimo mezzo siano costituiti dall'aria cioè da mezzi di egual indice di rifrazione, per cui f1 = f2 = f, si riducono alle:
mentre l'ingrandimento angolare diviene
e la formula di Newton
Sia A un punto del primo piano focale (fig. 6), un raggio parallelo all'asse principale dopo la rifrazione passerà per F2; tiriamo da A una parallela a A′F2: questa incontra l'asse principale in N1. Si dimostra che tutti i raggi partenti da A, dopo la rifrazione escono paralleli ad AN1. Con eguale criterio si determina il punto N2; i punti N1 ed N2 si dicono punti nodali o semplicemente nodi, i piani passanti per essi e normali all'asse piani nodali. Tutti i raggi passanti per N1 escono dal sistema paralleli alla direzione d'incidenza, ma passanti per N2, le proprietà dei punti nodali sono perciò analoghe a quelle del centro ottico di una lente sottile, da ciò il loro nome di centri ottici.
I fuochi, i punti principali, i punti nodali si dicono complessivamente punti cardinali.
Si consideri un sistema ottico centrato, con il primo e l'ultimo mezzo di egual indice di rifrazione e perciò con la prima distanza focale eguale alla seconda, cioè con f1 = f2 = f. Ora considerando una lente sottile di eguale distanza focale e osservando l'andamento dei raggi nei due casi, se ne nota subito l'analogia, a parte il fatto che nel caso della lente sottile il fascio incidente e quello emergente sono a contatto, mentre nel caso del sistema centrato i due fasci sono staccati di un tratto che corrisponde alla distanza dei due piani principali. Tutto ciò si suole esprimere dicendo che una opportuna lente sottile equivale a un sistema ottico dato. Nel caso poi che primo ed ultimo mezzo avessero differenti indici di rifrazione, è facile provare che la lente non può più equivalere ad un sistema ottico, bensì è possibile trovare una superficie sferica unica, separante i due dati mezzi e che equivale al sistema dato. Anche in questo caso si nota una traslazione del fascio emergente corrispondente alla distanza dei due piani principali. Perciò in generale un sistema ottico centrato sarà sempre riconducibile al caso più semplice di una lente sottile o di una superficie sferica rifrangente.
La teoria degli strumenti ottici quali in pratica si usano è sempre ricavabile, ben inteso con le limitazioni, imposte per la trattazione elementare, di Gauss, con le nozioni sopraddette. Si trova così che nel caso di uno strumento ottico formato da due sistemi immersi nello stesso mezzo (aria), indicando con f1 ed f2 le distanze focali dei due sistemi, con O e con I la grandezza dell'oggetto e dell'immagine di O fornita dal secondo sistema, con ω1 e ω2 l'apertura di un fascio luminoso incidente ed emergente si ha:
In pratica poi il fascio di raggi che attraversa un sistema ottico è limitato da diaframmi, cioè da schermi muniti di foro, centrati sull'asse principale del sistema. Questa limitazione può anche essere dovuta ai bordi dei mezzi rifrangenti di cui il sistema è formato.
I diaframmi vengono introdotti nei sistemi ottici allo scopo o di ridurne la luminosità o di ottenere immagini più nitide usando fasci di raggi più centrali e aperture più piccole, accostandosi per quanto è possibile alle condizioni limitative di Gauss. Il diaframma che limita il fascio di raggi che il sistema può ricevere si dice iride. Per determinare l'iride si trova l'immagine di ogni diaframma formata dalla parte del sistema ottico compresa tra il diaframma stesso e l'oggetto. Di tutte le immagini così ottenute quella che, dal punto in cui l'asse principale incontra l'oggetto, viene vista sotto un angolo 2α più piccolo (che viene detto apertura angolare, mentre si dice apertura numerica il valore n sen α, essendo n l'indice di rifrazione del primo mezzo) sarà l'immagine dell'iride e vien detta pupilla d'ingresso o prisma pupilla. L'immagine poi che tutto il sistema proietta della pupilla d'ingresso si chiama pupilla di egresso. Naturalmente la presenza dei diaframmi toglie splendore all'immagine ed è facile provare come questo sia per qualunque strumento ottico minore di quello dell'oggetto o al massimo eguale, nel caso in cui il primo mezzo e l'ultimo abbiano eguale indice di rifrazione. Tra i varî diaframmi quello che limita l'estensione osservabile dell'oggetto si dice diaframma di campo e per determinarlo si opera nel seguente modo. Si costruiscano per tutti i diaframmi le immagini dovute alla parte del sistema compreso tra ognuno di questi e l'oggetto. Queste varie immagini saranno viste dal centro della pupilla d'ingresso sotto varî angoli, il più piccolo dei quali corrisponderà all'immagine del diaframma di campo.
Gli strumenti ottici con i quali le immagini vengono raccolte direttamente dall'occhio, come nel microscopio e nel cannocchiale, anziché essere raccolte da lastre o da schermi, come avviene per la macchina fotografica o per quella da proiezione, constano di due sistemi distinti, l'uno obiettivo rivolto verso l'oggetto e destinato a ricevere la luce proveniente da questo, l'altro oculare a cui viene applicato l'occhio dell'operatore.
Obiettivi. - In generale il compito dell'obiettivo è quello di fornire dell'oggetto un'immagine reale e per quanto possibile corretta; quest'immagine dell'oggetto generalmente capovolta può essere ingrandita come nel microscopio o rimpiccolita come nel cannocchiale; per gli obiettivi da microscopio e cannocchiale rimandiamo alle due voci relative; per quanto concerne gli obiettivi fotografici, v. fotografia. Ricordiamo pure che sono sistemi convergenti destinati a fornire dell'oggetto un'immagine reale; perché l'immagine sia simile all'oggetto debbono essere stigmatici e ortoscopici. Per quanto riguarda la luminosità, l'obiettivo è caratterizzato dall'apertura relativa cioè dal rapporto h/f tra il diametro utile dell'obiettivo e la distanza focale. Gli obiettivi fotografici si dicono grandangolari se l'angolo sotto cui viene abbracciato il campo da ritrarre è grande, come occorre che sia allorché l'obiettivo è destinato a ritrarre da breve distanza soggetti estesi.
L'obiettivo per macchine da proiezione deve essere, al solito, quanto è possibile corretto, compatibilmente con la necessità della luminosità dell'obiettivo stesso, e particolarmente per la epidiascopia è necessario che sia quanto più grande è possibile.
Oculari. - Sono questi dei dispositivi il cui scopo è di raccogliere e osservare l'immagine reale fornita dall'obiettivo trasformandola in altra virtuale posta a distanza conveniente dall'occhio per la visione distinta. Il più semplice oculare può essere costituito da una lente convergente o divergente; ma mentre la prima fornisce un'immagine non capovolta di quella fornita dall'obiettivo e quindi capovolta rispetto all'oggetto, la lente divergente fornisce un'immagine diritta rispetto all'oggetto e quindi funziona da obiettivo raddrizzatore. In generale peraltro l'obiettivo è di per sé un sistema ottico formato da più lenti non a contatto fra loro, in modo da poter realizzare la formazione di un'immagine sufficientemente corretta dalle varie aberrazioni (v. cannocchiale; microscopio).