contrattazione, struttura della
Modalità con cui avviene la c. collettiva. Viene definita in base a differenti livelli di c. e ai diversi soggetti coinvolti.
A partire dall’accordo interconfederale del luglio 1993, la c. collettiva in Italia avviene su 3 livelli distinti.
A livello nazionale interconfederale, le confederazioni sindacali e le associazioni negoziali delle imprese definiscono accordi o protocolli d’intesa sulle relazioni industriali che riguardano la generalità dei lavoratori. ● A livello nazionale di categoria, si stipulano i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) tra le categorie nazionali (per es., i metalmeccanici) e le relative associazioni imprenditoriali (per es., Federmeccanica). Tali accordi, che hanno effetto per ogni settore su tutto il territorio nazionale, definiscono i minimi salariali con incrementi commisurati al tasso di inflazione programmato dal governo (con possibilità di rinegoziazione), superando così il precedente meccanismo di adeguamento salariale automatico (➔ scala mobile). ● A livello aziendale (c. decentrata), di norma si stipulano accordi tra le rappresentanze sindacali (➔ consiglio dei lavoratori) e il singolo datore di lavoro, con efficacia per i dipendenti di una data impresa. La c. aziendale non può stabilire livelli retributivi inferiori a quelli definiti dal CCNL e gli aumenti devono inoltre essere correlati agli incrementi di redditività e produttività realizzati dall’impresa.
La struttura della c. è stata lievemente modificata nel 2009, con l’accordo quadro tra governo e parti sociali, al fine di rilanciare lo sviluppo economico e la crescita occupazionale tramite l’aumento della produttività. Tale accordo, di natura sperimentale, prevede una durata del CCNL pari a 3 anni, sia per la parte normativa sia per quella economica. Prevede inoltre incentivi alla c. di secondo livello (aziendale), attraverso il potenziamento e il consolidamento delle misure di riduzione delle imposte e dei contributi, e conferma la relazione tra incrementi definiti in questa fase e il raggiungimento di obiettivi rilevanti ai fini del miglioramento della competitività dell’impresa. Oltre a ciò, l’accordo stabilisce che l’aumento dei minimi salariali per l’Italia sia basato sull’Indice dei prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo (➔ IPCA), depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati. La scelta di una c. su più livelli, secondo alcuni, risponderebbe meglio all’obiettivo di combinare i vantaggi della centralizzazione e del coordinamento con quelli del decentramento: moderazione salariale da un lato e differenziali salariali più sensibili alle esigenze delle imprese e del mercato del lavoro locale dall’altro. Alcuni studi hanno mostrato che esiste un legame tra c. e performance macroeconomica. In seguito agli shock (➔) petroliferi degli anni 1970, per es., le performance migliori sono state quelle dei Paesi con c. o centralizzata o decentrata, mentre quelli con c. intermedia hanno evidenziato tassi di disoccupazione più elevati e persistenti. La spiegazione fa riferimento al ruolo dei sindacati, che agiscono per tutelare gli interessi specifici dei loro membri. Se la c. è centralizzata, essi tengono conto dell’interesse collettivo, mentre se è decentralizzata la disciplina proviene dal mercato. La struttura intermedia genera invece maggiori esternalità, in quanto è assente sia la disciplina del mercato sia la moderazione salariale, che ha origine nell’obiettivo di tutela degli interessi collettivi, tipico del sindacato centrale.