STRUTTURA
(App. II, II, p. 923; III, II, p. 857; IV, III, p. 504)
Ingegneria civile. Strutture di acciaio. - Le più recenti applicazioni delle s. nella carpenteria tradizionale mostrano l'orientamento verso un più esteso uso di membrature ottenute per formazione di coils (profilati leggeri formati a freddo) e di elementi in lamiera sottile conformati in modo da aggiungere una funzione strutturale, quali diaframmi controventanti (effetto pelle), al loro principale ruolo di orizzontamento o di chiusura. Anche l'impiego di acciai auto-passivanti tipo COR-TEN (che in zone ordinarie non manifestano processi incrementali di corrosione) risulta sempre più esteso laddove non si richiede la protezione antincendio, mentre quando questa è necessaria si preferisce spesso ricorrere alle vernici intumescenti, che uniscono la protezione contro la corrosione a quella ignifuga, con ottimi risultati anche estetici. La saldatura in opera viene oggi rivalutata per collegamenti che richiedono particolare duttilità (per es. nelle zone sismiche) e quando le condizioni ambientali la favoriscono.
Ma la più importante evoluzione delle s. si prospetta nel superamento della netta distinzione fra i diversi sistemi costruttivi (acciaio, cemento armato normale o precompresso, muratura normale o armata), attraverso la realizzazione di s. miste ottenute per combinazione di diversi materiali o per collegamento di membrature di differente natura. Ciò ha già un'estesa tradizione per le travi inflesse in acciaio-calcestruzzo, ma altre occasioni d'impiego e di studio trovano oggi largo spazio, attingendo motivazioni anche nell'importante sviluppo della carpenteria metallica per il consolidamento e per l'adeguamento sismico di edifici da riparare perché danneggiati da un sisma o per semplice vetustà; in tali casi l'impiego dell'acciaio avviene in simbiosi statica con i sistemi costruttivi preesistenti. Quando la fabbrica da conservare ha caratteristiche artistiche e monumentali e si entra nel delicato ambito del restauro strutturale, le s. s'inquadrano bene nei criteri informatori preconizzati dalla moderna teoria del restauro, che predilige interventi reversibili.
Le s. sono regolamentate dalla normativa emanata dal ministero dei Lavori Pubblici ai sensi dell'art. 21 della l. 5 novembre 1971 e tenuta aggiornata con decreti e circolari periodiche. Le ultime disposizioni armonizzano la normativa italiana con quella elaborata in sede europea (Eurocodici: EC3 per le strutture interamente in acciaio e EC4 per quelle miste) attraverso un Documento di Applicazione Nazionale dell'EC3 (DAN) che copre questioni ancora non completamente definite nelle normative europee e fornisce prescrizioni sui livelli di sicurezza da adottare in Italia. Rimangono peraltro ancora validi i criteri classici di proporzionamento e di verifica del D.M. 14 febbraio 1992 che pertanto costituisce alternativa. Le s. in acciaio sono inoltre oggetto delle seguenti istruzioni pubblicate dall'UNI: 10.011 (costruzioni in acciaio. Istruzioni per il calcolo, l'esecuzione e la manutenzione); 10.016 (travi composte in acciaio-calcestruzzo); 10.021 (s. in acciaio per apparecchi di sollevamento); 10.022 (istruzioni per l'impiego dei profilati a freddo); 10.026 (piattaforme di lavoro elevabili); 10.027 (s. in acciaio per opere provvisionali); 10.029 (s. in acciaio a elevata resistenza); 10.030 (anime irrigidite di travi a parete piena).
Strutture antisismiche. - Due possono essere i sistemi in grado di realizzare una s. antisismica. Il primo, con tutta una serie di varianti, è quello che consente alla s. di sfuggire all'azione del sisma, fornendole caratteristiche tali da risentire poco dello scuotimento dinamico che si produce nel terreno su cui essa poggia. Il secondo è invece quello che conferisce alla s. capacità resistenti e dissipative tali da consentirle di assorbire anche elevati livelli di input sismico.
Dei due sistemi, il primo è molto più recente e sta attualmente ricevendo un grande sviluppo. Sono infatti degli ultimi anni numerose sue importanti applicazioni sia nell'ambito della costruzione di ponti sia nella realizzazione di nuovi edifici. Tale sistema utilizza la tecnica del cosiddetto ''isolamento'' dell'edificio dal terreno. In tale ambito un particolare interesse ha rivestito l'idea, in fase di sperimentazione in alcuni edifici prototipo negli Stati Uniti e in Giappone, della costruzione dell'edificio antisismico ''intelligente'', a s. con rigidità variabile che, analizzando in tempo reale il contenuto di frequenza dell'input sismico che colpisce la sua base, è in grado di modificare istantaneamente la propria deformabilità, e quindi i propri periodi di oscillazione, in modo da sfuggire sempre allo scuotimento sismico che lo sta colpendo. La comprensione di questo suggestivo primo modo di fornire il carattere di antisismicità a una costruzione può scaturire dall'esame del diagramma dello spettro di risposta, per es. in termini di accelerazioni.
Questo, com'è noto, fornisce la massima accelerazione (detta accelerazione spettrale) cui viene sottoposta la massa dell'oscillatore elementare − che rappresenta nel più semplice modo possibile la generica s. − se la base di questa è sottoposta a un assegnato scuotimento sismico, descritto da un'assegnata distribuzione temporale di accelerazioni orizzontali al suolo. Sull'asse delle ascisse sono riportati i periodi propri di una sequenza continua di oscillatori elementari, e sull'asse delle ordinate i valori massimi dell'accelerazione, e quindi della forza orizzontale che agisce sulla massa dell'oscillatore, per un assegnato valore del suo coefficiente di smorzamento. Nelle figg. 1 e 2 sono riportati numerosi spettri di risposta, normalizzati a uno stesso livello d'intensità, relativi a diverse distribuzioni di accelerazioni orizzontali registrate alla superficie di terreni poco deformabili (fig. 1), o molto deformabili (fig. 2), in occasione di terremoti. Il contenuto di frequenze del segnale dipende infatti dal tipo di fratturazione, il cosiddetto meccanismo focale prodotto negli strati profondi della roccia che ha determinato il terremoto, e ancora dalla distanza del sito dalla sorgente, in relazione alla diversa attenuazione che subiscono le varie componenti in frequenza delle oscillazioni sismiche. Così, di conseguenza, lo scuotimento sismico che colpisce un determinato sito e proveniente da un terremoto T contiene prevalentemente armoniche di periodo più elevato rispetto allo scuotimento registrato nello stesso sito e dovuto allo stesso terremoto T, ma più vicino. Pur nella grande variabilità dei caratteri dinamici delle oscillazioni al suolo che si verificano durante i terremoti, i periodi delle diverse armoniche contenute nei vari scuotimenti sismici variano di regola all'incirca tra 0,1 s fino a circa 2÷2,5 s, ma le massime energie sismiche si concentrano intorno a periodi di 0,3-0,6 s. Ciò costituisce l'intervallo delle frequenze dominanti dell'eccitazione sismica al suolo. A seconda quindi che il contenuto di frequenze dominante approssima o meno la frequenza propria fondamentale delle oscillazioni per spostamenti orizzontali della s., maggiore o minore sarà la massima accelerazione subita dalle masse della s. stessa se investita dal sisma, e quindi maggiori o minori saranno le sollecitazioni indotte dal sisma. Una costruzione, allora, a elevato periodo proprio, per es. dell'ordine di almeno qualche secondo, è in grado di ''sfuggire'' al sisma. Labilità, opportunamente controllate, inserite alla base della s. e tali da amplificare fortemente il periodo proprio per oscillazioni orizzontali, possono isolare la s. stessa dal suolo e consentirle quindi di sopravvivere anche a terremoti di grande violenza. In ciò consiste il primo modo di rendere antisismica una costruzione. Gli edifici normali hanno periodi propri che cadono invece nell'intervallo, prima indicato, delle frequenze dominanti dell'eccitazione sismica al suolo. Se allora non si modificano le caratteristiche dinamiche degli edifici, affinché le s. dell'edificio stesso risultino antisismiche, occorrerà intervenire sulle loro caratteristiche di resistenza e di capacità dissipativa. In ciò consiste il secondo modo di rendere antisismica una costruzione.
Strutture antisismiche isolate dal suolo. - Il metodo, prima indicato, d'isolare alla base un edificio, consiste nel realizzare una grande deformabilità agli spostamenti orizzontali, opportunamente controllata da sistemi smorzanti, alla base della struttura. Il sistema che si utilizza consiste nel creare una sovrastruttura di fondazione − costituita di regola da un reticolo di travi e plinti − che a sua volta poggia, per il tramite di speciali elementi particolarmente deformabili in orizzontale e a elevata funzione smorzante, detti isolatori, su un reticolo di travi analogo al primo e direttamente poggiato sul piano di posa o innestantesi su pali di fondazione (fig. 3). Nei ponti e nei viadotti l'isolamento è attuato interponendo i dispositivi isolanti tra la testa delle pile e la travata. Con l'isolamento viene fortemente distanziata la frequenza fondamentale dell'edificio da quella dominante del terremoto e si riduce fortemente l'energia trasmessa dal terreno alle masse dell'edificio.
Tale slittamento in avanti del periodo proprio della s. − prodotto dall'inserimento alla sua base degli isolatori − costituisce l'azione centrale dell'isolamento sismico. Un efficiente sistema di isolamento può consentire non solo di proteggere dal collasso l'edificio, se sottoposto ad azione sismica di grande violenza, ma anche di eliminare, o almeno di contenerli notevolmente, danni alle s. e alle apparecchiature contenute nell'edificio stesso
Se la frequenza fondamentale dell'edificio fisso alla sua base è molto più alta di quella dell'edificio isolato, come accade se l'isolamento è realizzato sotto edifici a struttura non flessibile e poggianti su terreni consistenti, il primo modo di oscillazione dell'edificio isolato è sostanzialmente rappresentato da una semplice traslazione rigida, con tutta la deformazione concentrata negli isolatori, con massa modale all'incirca del 100% e coefficiente di partecipazione eguale a 1. L'accelerazione orizzontale cui sono sottoposte le masse dell'edificio risulta così quasi costante con l'altezza e gli spettri di risposta sono praticamente gli stessi per tutti i piani. L'input sismico, di modesta entità, esercitato sulla s. è così rappresentato da un carico laterale proporzionale al modo rigido traslazionale. Poiché una caratteristica dei sistemi vibranti è che tutti i modi di oscillazione sono tra loro ortogonali, tutti i modi più alti del primo saranno ortogonali al moto di input. Pertanto, se nel movimento sismico del terreno vi sono energie a frequenza più elevata, queste saranno filtrate e non verranno trasmesse alla costruzione. Gli spostamenti da prevedere che si sviluppino tra la base e la testa degli isolatori e cioè tra il suolo e la struttura sovrastante il piano di isolamento, sono invece molto grandi, dell'ordine di 20-40 centimetri, e possibilmente anche il doppio, nel caso che l'edificio debba essere protetto anche nei riguardi di terremoti d'intensità estrema. Ciò, ovviamente, comporta notevoli problemi concreti da risolvere, come speciali giunti, collegamenti speciali agli impianti, ecc. Gli isolatori, che attualmente sono in grado di sostenere elevati carichi verticali, dalle 200 t fino alle 1000 t, sono realizzati incollando strati di gomma, di elevate caratteristiche meccaniche che si conservano nel tempo, a piastre di rinforzo in acciaio. Talvolta l'isolatore è costituito da un nucleo interno in metallo molto duttile, per es. piombo, avente funzione smorzante che si inserisce in una s. in gomma laminata multistrato (fig. 4).
L'isolatore presenta un'elevata rigidità agli spostamenti verticali. La rigidità traslazionale dell'isolatore risulta di regola anch'essa elevata solo per piccolissimi spostamenti orizzontali iniziali, mentre poi cala fortemente al crescere dello spostamento: per spostamenti orizzontali estremi la rigidità infine aumenta di nuovo. In tal modo l'isolatore è in grado di assorbire, con lievissime deformazioni, azioni orizzontali di modesta entità, per es., derivanti dal vento o da sismi di piccola entità, mentre invece esplica tutta la sua funzione di isolamento sotto azione sismica medio-forte. Sotto un'azione orizzontale che travalichi quella di progetto, l'isolatore invece si blocca e la capacità di resistenza al sisma è trasferita alle s. dell'edificio. Complessi sistemi smorzanti, come quelli che utilizzano smorzatori a olio o ad attrito, ovvero elementi in piombo o in acciaio, vengono talvolta aggiunti per limitare l'entità degli spostamenti orizzontali. Lo smorzamento introdotto con i suddetti sistemi, particolarmente se prodotto da azioni altamente non lineari, come di regola si verifica negli smorzatori ad attrito o metallici, può d'altra parte alterare il processo di isolamento e consentire trasmissione di energia all'edificio attraverso l'interfaccia di isolamento. Possono allora essere indotte accelerazioni nei modi più alti della s. e sollecitazioni elevate negli elementi strutturali posti ai piani più alti dell'edificio. Tale aspetto è attualmente oggetto di un acceso dibattito e analisi. L'isolamento sismico è molto efficiente anche nel ridurre gli elevati effetti torsionali negli edifici dovuti a irregolarità strutturali. Tali effetti vengono ridotti facendo in modo che il centro di rigidezza del complesso degli isolatori sia piazzato sulla verticale passante per il baricentro delle masse dell'intero edificio.
Una caratteristica degli edifici isolati alla base è che essi tendono ad avere periodi coincidenti in entrambe le direzioni laterali. Vi è allora la possibilità che si producano accoppiamenti tra questi modi di vibrare e quindi risposte inaspettate del sistema isolato. Occorre quindi verificare se si produce accoppiamento tra i modi di vibrare e, nel caso che ciò si verifichi, determinare quali siano le caratteristiche del moto conseguente. L'isolamento deve essere di regola usato per edifici rigidi su terreno consistente. In tal caso esso raggiunge la massima efficienza di protezione sismica. Al contrario, esso può determinare effetti negativi o controproducenti. Così, per es., nel caso di telai in acciaio molto flessibili, cioè caratterizzati da elevato periodo proprio anche su base fissa, la realizzazione del loro isolamento alla base determina amplificazioni dell'input sismico. La stessa cosa si verifica nel caso in cui l'edificio sia situato su terreni dotati di elevata deformabilità orizzontale, quali per es. su grandi e profondi depositi alluvionali, con terreni di scarsa consistenza meccanica. In tali situazioni, in alternativa alla tecnica dell'isolamento, sono utilizzati − e sono anch'essi in grande sviluppo in questi anni −sistemi smorzanti che vengono aggiunti alle strutture dell'edificio, cioè apparecchi capaci di assorbire, all'atto del sisma, elevate quantità di energia. Con l'inserimento di questi sistemi resta immutata l'energia cinetica fornita dal sisma alle masse dell'edificio, contrariamente a quanto si verifica usando gli isolatori, ma questa energia viene prevalentemente assorbita dagli smorzatori, senza richiedere che intervenga quella dissipazione conseguente allo sviluppo di plasticizzazioni nella struttura che, in ogni caso, producono danneggiamento strutturale.
Strutture antisismiche a controllo di resistenza e duttilità. - Il secondo sistema, di gran lunga più diffuso per realizzare una s. antisismica e a prima vista meno sofisticato del primo, consiste nell'intervenire non sulle caratteristiche di deformabilità ma su quelle di resistenza e di duttilità della struttura. Tale sistema viene utilizzato sia nella realizzazione di edifici antisismici nuovi che nell'adeguamento antisismico di edifici già esistenti e inizialmente non provvisti della richiesta resistenza antisismica. Il conferire caratteri di antisismicità alla s. di un edificio civile intervenendo sulle sue capacità resistenti e dissipative costituisce d'altra parte un problema non semplice, la cui analisi è in forte evoluzione. Per ben comprendere i vari aspetti di questo problema occorre far riferimento agli effetti in termini di sollecitazioni e di deformazioni elasto-plastiche che un violento scuotimento sismico produce alle s., fino al limite del crollo.
Lo scuotimento sismico è usualmente caratterizzato, in una sequenza continua di oscillazioni di una certa durata, dalla presenza di poche scosse veramente di grande violenza, che sono di norma le vere responsabili della maggior parte dei crolli (fig. 5). Pertanto, quando una s. investita dal sisma e quindi sottoposta a una sequenza continua di scosse, a un certo istante viene investita da uno shock violento, trascinata dapprima dal movimento del suolo su cui poggia, sarà costretta ad assorbire nelle proprie masse elevate quantità di energia cinetica. Subito dopo, la s. subirà una violenta deformazione laterale durante la quale cercherà di trasformare l'energia cinetica prima accumulata in lavoro di deformazione interna e di dissipazione plastica.
In una semplice schematizzazione del moto di una tipica s. colpita da shock sismico violento (fig. 6) potremo individuare la presenza di due stadi differenziati: a) un primo stadio, di accumulo di energia cinetica, durante il quale la s., a seconda delle proprie caratteristiche dinamiche e del contenuto delle frequenze dell'eccitazione sismica che la colpisce alla base, assorbe energia cinetica dal suolo (fig. 6A); b) un secondo stadio, di dissipazione dell'energia, nel quale la massima energia cinetica accumulata alla fine del primo stadio si trasforma, per quanto possibile, in lavoro interno di deformazione elasto-plastica. In questo secondo stadio, in una prima parte della trasformazione, la s. si deformerà in campo elastico (fig. 6B), come se fosse sottoposta a forze orizzontali gradualmente crescenti; poi, a un certo livello della deformazione, se l'eccitazione sismica è stata particolarmente intensa, la s. entrerà in campo plastico (fig. 6C). Le forze orizzontali dovranno allora raggiungere, alla fine della prima parte del secondo stadio della trasformazione, l'intensità limite Foi corrispondente alla resistenza laterale ultima della s. (fig. 6D).
È l'energia cinetica accumulata nel primo stadio, se non ancora del tutto trasformata in energia di deformazione elastica, a richiedere, dopo che le spinte sismiche avranno raggiunto la resistenza laterale limite, il progredire della deformazione laterale. In tale aspetto s'incentra la natura dinamica del collasso delle s. sotto sisma, la cui analisi non può essere limitata a sole valutazioni di resistenza laterale.
Il progredire della deformazione laterale da parte della s. per dissipare per quanto possibile energia cinetica sarà caratterizzato dallo sviluppo del meccanismo di collasso. La dissipazione di energia verrà così a prodursi nelle zone della s. dove si concentrano le distorsioni anelastiche. Con riferimento alla fig. 6, relativa a una s. a telaio in cemento armato, ciò si verificherà nelle zone dove si sono formate le cerniere plastiche, zone di forte incurvamento flessionale, così come nelle zone di nodo, per es. all'attacco delle travi con i pilastri, e ancora all'innesto dei pilastri con le s. delle fondazioni (fig. 6D). Le doti di adattabilità plastica che tali zone della s. potranno presentare risulteranno allora preziose per la possibilità di sopravvivenza della s. stessa al violento shock sismico che l'ha colpita. Se la s. ha elevate capacità di adattabilità plastica, potrà subire elevate deformazioni plastiche e quindi, senza distruggersi, dissipare elevate quantità di energia cinetica. Al contrario, se fragile, essa dovrà rompersi frantumandosi vistosamente, appena le deformazioni prodottesi abbiano raggiunto il livello limite di frattura.
Lo studio delle capacità delle membrature − travi e pilastri − a subire elevate deformazioni plastiche senza rompersi − capacità che viene di regola indicata come duttilità - si rileva pertanto della massima importanza, particolarmente per le s. in cemento armato nelle quali la coesistenza di un materiale intrinsecamente fragile, come il calcestruzzo, con un materiale duttile come l'acciaio dolce di cui sono costituite le armature, può condurre a una grande varietà di comportamenti. Situazioni simili possono d'altra parte verificarsi negli elementi di acciaio se intervengono effetti d'instabilità locale che rendono fragile l'elemento. Per le normali membrature di cemento armato, per le quali il regime statico determinante è quello flessionale, la maggiore o minore duttilità locale può venire rappresentata dal relativo comportamento di un semplice elemento inflesso, vale a dire dal modo con cui un tronco di trave risponde all'azione esterna flettente. Si consideri quindi il diagramma momento-curvatura (fig. 7A) di un elemento di trave in cemento armato (fig. 7B). È noto che, al variare della resistenza del calcestruzzo, della tensione di snervamento dell'acciaio e delle percentuali di armatura, nonché dell'eventuale compressione presente, il suddetto elemento può presentare comportamenti completamente diversi. Nel caso illustrato dal diagramma a, la sezione della trave, subito dopo aver raggiunto la sua massima capacità portante, che può anche essere molto elevata, non è in grado di conservarla all'aumentare della curvatura. Il diagramma c rappresenta, al contrario, il comportamento di un elemento inflesso che conserva a lungo la sua massima capacità resistente col progredire della deformazione d'incurvamento. Il diagramma b rappresenta un comportamento intermedio tra i primi due. La duttilità di un elemento inflesso di trave può allora definirsi come la sua capacità a subire elevate deformazioni flessionali senza perdere l'attitudine a trasmettere momento flettente. La fragilità dell'elemento inflesso corrisponde invece al comportamento opposto. Duttile è pertanto una sezione che esibisce un diagramma momento curvatura del tipo c di fig. 7; al contrario, fragile è la sezione che presenta il diagramma momento curvatura del tipo a. Per una sezione in cemento armato elevate quantità di acciaio presenti nella zona tesa possono condurre a elevate fragilità, così come la presenza di uno sforzo normale di compressione. Per es., fragile è una costruzione in muratura. La progettazione di una s. antisismica, in grado di sopravvivere all'azione di un terremoto di grande violenza − se non si vogliono chiamare in causa elevati valori delle resistenze −richiede pertanto la realizzazione di sezioni duttili proprio nelle zone dove si dovranno sviluppare elevate deformazioni plastiche, cioè lì dove andranno a localizzarsi le cerniere plastiche che individuano il meccanismo di collasso della s. per spinte orizzontali. Tale progettazione, cosiddetta a duttilità controllata, richiede anzitutto la scelta, attraverso un opportuno dosaggio di resistenze nelle travi e nei pilastri, del meccanismo secondo il quale la s. dovrà plasticizzarsi se colpita da terremoto violento; ancora − se in cemento armato − si dovranno definire le dimensioni strutturali e le armature, unitamente agli essenziali dettagli esecutivi di aggancio, sovrapposizioni ecc., ovvero − se in acciaio −le piastre di rinforzo atte ad allontanare pericoli d'imbozzamento locale nelle lamiere compresse, in modo da assicurare la duttilità richiesta nelle sezioni critiche del meccanismo. Le costruzioni in muratura sono invece molto fragili ed è molto difficile renderle duttili. La grande disponibilità di area resistente può d'altra parte consentire, se si prendono provvedimenti opportuni in modo da evitare collassi anticipati, di ottenere elevati valori delle resistenze.
Si esamineranno ora in dettaglio i problemi specifici inerenti le s. antisismiche in calcestruzzo armato, in acciaio e in muratura.
Strutture in calcestruzzo armato. - Per le comuni s. in cemento armato, a schema prevalente a telaio, il meccanismo di collasso dovrà essere scelto in modo da coinvolgere il maggior numero possibile di cerniere plastiche, da localizzare poi, per quanto possibile, nelle sezioni delle travi, più ricche di duttilità rispetto alle sezioni dei pilastri. Dovrà quindi farsi in modo, per es., da escludere il sopraggiungere del collasso con un meccanismo traslazionale localizzato a un solo interpiano. Con quest'ultimo meccanismo, infatti, tutta l'energia cinetica assorbita dalle masse dell'edificio dovrà essere dissipata dalle poche cerniere presenti alla base e alla testa dei pilastri di un solo interpiano (fig. 8A). Un meccanismo che è invece opportuno che si realizzi è quello della fig. 8B, nel quale le cerniere plastiche si formano prevalentemente nelle travi e investono l'intero telaio.
Le sezioni dei pilastri nei nodi dovranno pertanto risultare relativamente più resistenti delle sezioni delle travi. Le sezioni di base delle pilastrate in corrispondenza dell'attacco con le fondazioni dovranno essere analizzate anch'esse con cura perché costituiscono le uniche sezioni dei pilastri impegnate dal meccanismo. Costerà molto quindi, in termini di sicurezza, realizzare per i pilastri sezioni sottili anche se fortemente armate. Queste infatti risulteranno caratterizzate da un'elevata compressione sotto carico verticale, e quindi dovranno necessariamente risultare molto fragili, anche se particolarmente resistenti.
È ovvio inoltre come per una s. antisismica in cemento armato sia richiesta un'attenta progettazione dei collegamenti delle armature, con cura particolare del dettaglio esecutivo. Per es., all'attacco pilastro-fondazione, le armature di attesa dei pilastri fuoriuscenti dai plinti non potranno essere legate attraverso la sola aderenza acciaio-calcestruzzo, sia pure con notevoli lunghezze di sovrapposizione, alle barre superiori costituenti il prosieguo dell'armatura del pilastro. Le armature dovranno perciò essere opportunamente agganciate tra di loro con giunti in grado di sostenere lo sforzo di snervamento della barra. È inoltre opportuno realizzare in tutte le sezioni critiche delle travi e dei pilastri una stretta fasciatura a mezzo di staffe. Nelle zone di attacco ai pilastri le armature inferiori delle travi dovranno essere opportunamente dimensionate e ben connesse tra di loro. Particolare attenzione dovrà inoltre essere riposta nel definire le armature dei nodi, specialmente di quelli esterni. I nodi esterni sono infatti più vulnerabili di quelli interni perché il calcestruzzo del cuore del nodo, necessariamente fessurato dalla violenta sollecitazione sismica alternata, può essere espulso all'esterno sotto elevata compressione diagonale. Il nodo esercita infatti una funzione statica fondamentale nel funzionamento della s. a telaio. Almeno i nodi esterni dei telai in cemento armato devono essere perciò opportunamente armati con staffature in modo tale da realizzare un efficace confinamento del calcestruzzo.
Strutture in acciaio. - Per le tipiche s. in acciaio i controventi reticolari assolvono il compito dell'assorbimento delle spinte orizzontali. La duttilità dei controventi è quindi l'elemento essenziale che caratterizza l'adattabilità plastica dell'edificio. Controventi a schema puramente reticolare sono sottoposti a sollecitazioni prevalentemente assiali, di compressione e di trazione. Se gli elementi compressi risultano opportunamente dimensionati, sono gli elementi tesi a presentare fragilità e fatica per le inevitabili concentrazioni di tensione che si producono dove sono presenti saldature o forature. Maggiori duttilità sono invece fornite da controventi a campi con geometria non perfettamente triangolare, quali quelli a K, ecc., in grado di determinare sollecitazioni flessionali in zone limitate di elevata duttilità.
Strutture in muratura. - Per queste il problema prevalente è quello dell'adeguamento antisismico di edifici esistenti che di norma sono stati costruiti nel passato senza prevedere l'azione sismica. È noto infatti che per gli edifici in muratura a s. tradizionale l'azione del terremoto si presenta particolarmente distruttiva. L'eccitazione sismica al suolo è infatti caratterizzata dalla presenza di forti accelerazioni orizzontali, e il sisma si fa quindi prevalentemente sentire attraverso l'insorgere di azioni dinamiche orizzontali, di carattere completamente nuovo rispetto alle usuali forze peso. Sono peraltro ben noti i gravi danni e il gran numero di vittime che, purtroppo, si verificano ogniqualvolta un terremoto colpisce un antico centro storico.
In Italia numerosissimi sono gli edifici in muratura in aree soggette a elevato rischio sismico: interi paesi e interi quartieri di città sono costituiti da aggregati più o meno continui di edifici in muratura. Importantissimi monumenti, di cui è fondamentale la conservazione, sono in muratura. Il problema della sicurezza sismica e dell'eventuale adeguamento antisismico delle costruzioni in muratura riveste quindi in Italia importanza particolare, dal punto di vista sia tecnico che sociale ed economico. Tale problema è complesso anche dal solo punto di vista statico; se ne indicheranno ora solo molto sommariamente gli aspetti più rilevanti.
La s. resistente del tipico edificio in muratura è costituita da un sistema principale e da uno secondario. Il sistema resistente principale è costituito dall'insieme delle pareti murarie a giacitura parallela alla direzione dell'azione sismica. Il sistema resistente secondario è quello che porta le azioni sismiche dalle masse dove queste si sono generate − se non coincidenti con le masse delle stesse pareti principali − fino alle pareti resistenti principali (fig. 9). È subito evidente la scarsa resistenza alle azioni sismiche offerta dall'edificio in muratura, se non rinforzato.
Si consideri anzitutto il caso in cui i solai, in legno, dell'edificio abbiano orditura ortogonale alla direzione sismica. In tal caso nessun vincolo viene esercitato dai solai sulla parete di facciata considerata. La parete muraria viene pertanto impegnata, sull'interasse tra due murature trasversali, da una flessione orizzontale che si sviluppa a tutta altezza, ovvero da una contemporanea sollecitazione di pressoflessione nelle fasce orizzontali continue sovrastanti i vani, corrispondente all'instaurarsi ivi di un effetto arco se gli spigoli dell'edificio sono in grado di assorbirne la spinta. In tali condizioni la resistenza laterale della parete è molto bassa, e il crollo della muratura di facciata è molto frequente. In caso di azione sismica più lieve sono ancora tipiche lesioni nelle facciate ad andamento pressoché verticale o a V e distacchi all'altezza pavimento tra solai e murature.
Situazioni analoghe si hanno anche nel caso in cui la direzione del sisma sia parallela all'orditura dei solai, in quanto l'azione di vincolo esercitata, per attrito, dalle travi di legno sulle murature è molto precaria. L'adeguamento antisismico della s. di un tipico edificio in muratura deve pertanto prevedere, in primo luogo, l'aggancio delle murature ai piani solaio. Di regola l'adeguamento antisismico dell'edificio si accompagna alla realizzazione di un suo generale recupero funzionale. Le vecchie travi in legno presentano molto spesso s. deteriorata e fatiscente, particolarmente nelle zone d'innesto nelle murature; di conseguenza, il progetto di recupero dovrà prevedere la sostituzione dei vecchi solai. In tal caso la realizzazione di sistemi di aggancio dei nuovi solai alle murature viene effettuata con grande semplicità, per es., prevedendo delle armature orizzontali a spina che dalla soletta dei solai s'innestano in perforazioni cementate nelle murature. L'esecuzione di cementazioni non armate, di cuci scuci, di ripresa dei giunti, ecc., costituisce una comune operazione prevista dal progetto di adeguamento per riprendere il tessuto della muratura che, di regola, richiede una più o meno profonda ripresa delle malte. Il rinforzo dell'edificio si completa, oltre che con l'esecuzione di piattabande sui vani, con l'eventuale esecuzione di cuciture corte negli spigoli, nei martelli e negli incroci murari per rinforzare il collegamento tra i due ordini murari e quindi conferire ai maschi, a sezione a T, a croce o a L, la necessaria compattezza d'assieme. In numerosi casi può essere richiesta l'esecuzione di catene più o meno cementate nelle pareti murarie, da eseguirsi a livello dei piani solaio, per realizzare il collegamento tra i maschi delle pareti e quindi migliorare la resistenza laterale della parete muraria nel suo piano. Il calcolo della resistenza alle spinte orizzontali dell'edificio rinforzato può allora essere eseguito valutando la resistenza delle pareti nel loro piano (fig. 10). Nella resistenza di queste è prevalente l'effetto di sollevamento dei carichi verticali che deve instaurarsi all'atto dello sviluppo del meccanismo di collasso della parete e la dissipazione elasto-plastica che si sviluppa nei cordoli di piano o nelle piattabande nelle sezioni d'innesto nelle murature (fig. 11). È invece di regola del tutto trascurabile il contributo offerto alla resistenza della parete da parte della debole e illusoria resistenza a trazione della muratura.
Problemi più complessi si hanno negli edifici in cui sono rilevanti gli effetti spingenti di volte o archi in muratura, e che richiedono di volta in volta esami ad hoc. Particolarmente nell'ambito degli edifici monumentali in muratura un'analisi rigorosa dell'effettivo sistema resistente del complesso murario dell'edificio − da considerare nel rispetto del suo specifico modello di comportamento − può rivelare, d'altra parte, la presenza di inaspettate resistenze offerte dalla s. originaria. Dissennati e arbitrari interventi di rinforzo vanno pertanto sempre evitati.
Valutazione del livello di sicurezza delle strutture antisismiche e controllo di resistenza e duttilità. - Sulla base delle precedenti considerazioni può allora trovare una risposta, almeno in forma qualitativa e di sintesi, il problema della valutazione della sicurezza sismica − ovvero della vulnerabilità − di una s. che insiste in un'area di definita sismicità e per la quale è assegnato uno spettro di risposta relativo a una definita classe di terremoti convenzionali. Per verificare i risultati dell'analisi di sintesi che segue si saggia opportunamente la risposta elasto-plastica della s. ad assegnati input sismici.
Sia S l'assegnato spettro di risposta (fig. 12) e siano Fi = cγiWi le forze sismiche relative al piano i (i = 1, 2, ...N) dell'edificio, valutate in relazione allo spettro S, dove c è il relativo coefficiente d'intensità sismica, γi i coefficienti di distribuzione forniti, com'è noto, dalla relazione γi = zi (Σ Wi)/(Σ zi Wi), se zi indica la quota del piano i, e Wi i pesi sismici di piano. Con riferimento all'attuale normativa antisismica italiana, risulta c = 0,10/0,07/0,04 rispettivamente per le aree di alta, media e bassa sismicità. Siano ancora Foi le forze sismiche limiti, cioè le forze orizzontali in corrispondenza delle quali la s. raggiunge la condizione di meccanismo. Le forze Foi avranno la stessa distribuzione lungo l'altezza delle forze Fi. La valutazione dell'intensità delle forze Foi verrà effettuata mediante l'applicazione del calcolo a rottura e, ovviamente, tenendo conto della presenza delle forze peso Wi. Sarà quindi possibile definire il rapporto ko = Foi/Fi tra le spinte limiti e quelle convenzionali prefissate, per es. di normativa.
Se μu rappresenta l'amplificazione del terremoto convenzionale che porta l'edificio in condizioni limiti di crollo, l'energia cinetica ultima, cioè quell'energia che si accumula nelle masse murarie all'ultimo ciclo delle oscillazioni distruttive, subito prima del crollo, risulterà Tu = μu2T, se T indica l'energia cinetica massima assorbita dalle masse dell'edificio − in relazione al suo periodo proprio − sotto l'azione del terremoto convenzionale prestabilito.
L'equazione di bilancio allo stato ultimo consente di scrivere d'altra parte Tu = Wo + Du se Wo indica l'energia elastica limite assorbita dall'edificio quando si attinge la condizione limite di meccanismo e Du indica la dissipazione di energia che si produce nella s. dell'edificio stesso quando, con il progressivo sviluppo della deformazione da meccanismo, si verificano nella s. deformazioni al limite della rottura. Definito allora come duttilità sismica Δs il rapporto
Δs = Du/Wo
e tenendo ancora presente che Wo = ko2W, T = W si ha:
μu = ko(1 + Δs)1/2
Tale relazione fornisce l'amplificazione limite del terremoto convenzionale −per es. di normativa − che porta l'edificio in condizione limite di crollo. La quantità μu definisce la sicurezza sismica della struttura. Il suo inverso
vu = 1/μu
ne costituisce invece la vulnerabilità sismica. È evidente l'influenza della duttilità globale sismica della s. sulla sua sicurezza sismica. La sicurezza sismica μu non risulta infatti pari al rapporto ko − definito come coefficiente di sicurezza statica al sisma − ma è pari a ko amplificato della quantità (1 + Δs)1/2. Se la s. è poco duttile, per assorbire un terremoto di assegnata intensità è richiesta maggiore resistenza. Al contrario, se la s. è poco resistente, è richiesta maggiore duttilità. La capacità di una costruzione nell'assorbire terremoti di elevata intensità dipende, pertanto, da un'opportuna combinazione di resistenza e duttilità, che viene definita tenacità antisismica.
La fig. 13 fornisce l'amplificazione μu di una s. che ha un assegnato fattore di resistenza ko e un'assegnata duttilità Δs. Per es. un'amplificazione dell'ordine di 10, tenendo presente che il fattore di resistenza è dell'ordine di regola di 2÷2,5, richiede duttilità sismiche dell'ordine di almeno 15.
Bibl.: R. Park, T. Paulay, Reinforced concrete structures, New York 1976; M. Como, G. Lanni, Elementi di costruzioni antisismiche, Roma 1979; Id., Aseismic toughness of structures, in Meccanica, 18 (1983); Proceedings of international conference of Earthquake engineering (Tokyo 1988), a cura di Japan association for Earthquake disaster prevision, Tokyo 1989.
Strutture prefabbricate. - Il termine prefabbricazione (v. in questa Appendice) viene ormai sempre più comunemente inteso con il senso di industrializzazione. Infatti, oltre all'impiego sempre più diffuso di elementi prefabbricati prodotti in stabilimento o a piè d'opera in cantiere, viene spesso richiesto l'uso delle tecniche della prefabbricazione per risolvere problemi particolari di costruzione in opere di tipo tradizionale. Esempi di questi tipi di realizzazioni si riscontrano in numerose s. speciali (quali i ponti, le gallerie, i serbatoi sopraelevati, ecc.), nelle quali fino a pochi anni fa l'impiego delle s. prefabbricate era limitato a poche tipologie.
Nell'ambito della prefabbricazione delle s. da ponte le luci delle opere condizionavano alla base la scelta dei tipi strutturali che restavano fondamentalmente legati anche alle possibilità di trasporto su strada. Inoltre l'elevato peso degli elementi che compongono la s., ivi compresa la soletta d'impalcato, condizionava le scelte progettuali tanto da limitarle ad alcuni tipi ormai codificati e di conseguenza escludendo tipologie di sezione trasversale e di schema molto più aderenti al complesso delle sollecitazioni presenti in una s. da ponte.
L'impiego della prefabbricazione restava legato alla tendenza, logica per certi aspetti, di estendere le possibilità di prefabbricazione a tutte le parti componenti l'opera e riducendo al minimo il rapporto tra calcestruzzo gettato in opera e calcestruzzo prefabbricato. Non si esclude certo che tale finalità possa essere raggiunta in determinate condizioni, sino a realizzare, nell'ambito dei ponti, quasi un assemblaggio a secco. Parimenti, però, le scelte progettuali non devono essere condizionate alla base dal processo costruttivo. Con ciò non si vuole né si può escludere che in opere d'impegno come i ponti, i processi progettuali e costruttivi non s'influenzino mutuamente e non interferiscano reciprocamente nelle scelte. Si vuole invece sottolineare la necessità che la progettazione di un ponte, la scelta dello schema strutturale e della tipologia delle sezioni, le tecniche esecutive, raggiungano una coerente connessione attribuendo all'opera quelle caratteristiche statiche ottimali che devono competerle necessariamente anche ai fini della durabilità e quelle semplificazioni costruttive che l'orografia, le situazioni di fatto e anche l'economia richiedono. Con tali premesse la tecnica della prefabbricazione può rappresentare, in alcune situazioni, un supporto fondamentale alla realizzazione dell'opera anche senza esserne parte integrante.
Ciò può ampliare notevolmente il settore delle scelte verso l'adozione di tipologie di sezioni, con particolare riferimento alle sezioni a cassone, sino a pochi anni fa completamente escluse dalla prefabbricazione di grande serie, ma riproposte di nuovo negli ultimi anni. Infine può presentarsi la necessità, nella realizzazione di grandi opere, di un completamento della costruzione cambiando la tecnica esecutiva di base per alcune parti di essa con l'inserimento di supporto di parti strutturali prefabbricate, ma rispettando le caratteristiche globali di progetto. Da tali premesse può nascere la possibilità di conferire alla prefabbricazione un compito diversificato più ampio, attribuendo all'elemento prefabbricato una funzione preliminare di cassero da integrare nel complesso strutturale statico.
Tali concetti non sono certo nuovi. Le centine Melan adottate per la realizzazione dei ponti ad arco rivestivano la doppia funzione di cassero-sostegno prima e di armatura poi. Più recentemente le predalles (fig. 14) con tralicci di armatura per la costituzione degli impalcati di piano e anche delle solette da ponte costituiscono esempio di tale orientamento. Nell'esempio illustrato in fig. 15 si può esaminare come, nell'ambito delle sezioni a cassone, la possibilità di un impiego diverso della tecnica della prefabbricazione, senza limitare i vantaggi fondamentali che essa può conseguire, possa lasciare più libere le scelte progettuali con il ritorno all'adozione di sezioni a cassone e di schemi a trave continua. L'adozione di tali criteri può poi portare a coprire, con soluzioni di prefabbricazione semplice, luci che sino a oggi sono restate dominio di tecniche specialistiche anche nel quadro della prefabbricazione. Lo stesso concetto è stato applicato alla realizzazione di serbatoi sopraelevati per acqua potabile, impiegando tecniche ed elementi correnti prefabbricati integrati con completamenti in opera senza quindi fare ricorso a tecnologie specialistiche spesso adottate in questo genere di realizzazioni. Nell'esempio illustrato in fig. 16 si può osservare l'impiego di tecniche varie di prefabbricazione. Infatti nella realizzazione di quest'opera si sono impiegate sia la prefabbricazione di cantiere per gli elementi di maggiori dimensioni e peso (travi a cassone), sia la produzione in stabilimento di elementi speciali (mensole per gradonate), sia l'adozione di prefabbricati prodotti in serie (elementi prefabbricati per tribune) integrando poi la costruzione con interventi in cantiere.
Quanto detto sopra sta a indicare quale può essere uno dei futuri sviluppi delle costruzioni prefabbricate. L'attuale produzione, ormai consolidata, si rivolge comunque a molti settori della produzione.
Edifici industriali. - In questo campo le costruzioni prefabbricate, già impiegate da molto tempo, hanno ormai raggiunto la più completa affermazione. Quasi tutti gli edifici industriali vengono previsti e realizzati con l'impiego di s. prefabbricate.
Le coperture sono in parte rimaste ancora legate alla tradizionale differenziazione tra piane e a doppia pendenza con prevalenza delle prime quando si richiedono particolari caratteristiche di estetica, di isolamento termico e di condizionamento, e delle seconde quando è dominante il fattore dell'economicità. In entrambi i casi, però, le scelte attuali si rivolgono a s. più ricche e curate di un tempo. La necessità di garantire la qualità del prodotto e la sua durabilità da parte del produttore, la necessità di maggiori prestazioni di portata, risparmio energetico, ecc. da parte del committente, le maggiori conoscenze tecnologiche relative ai materiali impiegati e l'introduzione di finiture sempre più affidabili (guaine impermeabili, lucernari, giunti, sigillature) hanno portato a un sensibile miglioramento dal punto di vista sia estetico sia funzionale di questi edifici.
Soprattutto in Italia sono quindi sempre più adottate soluzioni di edifici industriali con notevoli ricerche di estetica (pannelli rivestiti di graniglia lavata, sagomati, verniciati, con forme particolari), caratteristiche funzionali elevate (grandi luci, per es. realizzate con travi a conci, fig. 17, edifici pluripiano con elevati carichi utili di esercizio, isolamenti termici spinti per es. con pannelli a doppia lastra, a taglio termico completo, ecc.).
Ulteriori spinte al miglioramento della qualità sono derivate dalle richieste sempre più onerose di resistenza al fuoco e di durabilità agli agenti atmosferici, che hanno comportato un miglioramento dei materiali impiegati e della tecnologia di produzione, quali la maggior impermeabilità dei calcestruzzi, il maggior ricoprimento delle armature e altro. Recentemente sono inoltre stati introdotti nel mercato della prefabbricazione elementi prefabbricati di copertura più complessi che inglobano già nel manufatto, oltre alla parte strutturale, anche l'isolamento termico e l'impermeabilizzazione.
Edifici civili. - La distinzione delle s. per edilizia abitativa è rimasta quella classica che proponeva: s. tridimensionali, s. a pannelli piani portanti, s. a elementi lineari (travi e pilastri). I primi due sistemi hanno avuto nel nostro paese una notevole flessione perché, a esclusione di alcuni grossi complessi realizzati soprattutto in zone turistiche o per edilizia economico-popolare, sono venuti a mancare cantieri di dimensioni elevate tali da giustificare l'impiego di tecnologie così complesse come quelle dei sistemi a grandi pannelli portanti. È rimasto invece di uso comune l'impiego di s. più flessibili come quelle costituite dai sistemi di elementi lineari a travi e pilastri. Per questi ultimi anzi è stato sempre più spinto l'impiego di elementi complementari quali le piastre di solaio, le pannellature di chiusura esterna, le rampe scale, ecc., costituendo, in alcuni casi, un sistema completo di edificio finito nell'usuale terminologia del ''chiavi in mano''.
Nell'ambito delle case d'abitazione, minore successo hanno avuto, per il momento, nonostante la difficoltà sempre crescente di reperire mano d'opera e di ridurre i tempi di realizzazione, le pareti divisorie interne costituite da sistemi industrializzati leggeri quali quelle in cartongesso, legno, plastica, metallo. Viceversa queste soluzioni sono ampiamente adottate, soprattutto per la rapidità di esecuzione e la facilità di modifiche successive, nelle costruzioni a destinazione terziaria quali gli uffici e gli edifici commerciali. La prefabbricazione è spesso impiegata nella realizzazione di edifici quali scuole, mense, auditori, palestre, piscine, in cui vengono spesso integrate tipologie proprie della prefabbricazione civile con quelle proprie della prefabbricazione industriale con le quali è possibile coprire grandi luci libere e realizzare impalcati di solaio con notevole portata.
Grande successo ha avuto nel campo della prefabbricazione la componentistica, cioè la produzione di elementi prefabbricati da inserire nel complesso di un'opera tradizionale. Alcuni elementi di questo tipo, quali per es. i solai, hanno avuto un grande impulso di meccanizzazione della produzione con l'adozione di macchinari anche complessi che servono a realizzare quantità notevoli di prodotto con basso impiego di mano d'opera. Si possono citare come esempio di questi elementi i solai estrusi o formati con macchine vibrofinitrici, i solai a predalles tradizionali o precompressi. Anche in questo settore la qualità del prodotto è andata via via migliorando sia per le richieste dei capitolati, sempre più precise, sia per le garanzie di durabilità sempre più necessarie dopo la constatazione del possibile degrado verificatosi anche in s. recenti, soprattutto tradizionali, a causa dell'aggressività dell'ambiente esterno.
Viabilità. - In questo settore negli ultimi tempi vi è stato un forte inserimento della prefabbricazione dovuto alle ragioni intrinseche che questa tecnologia comporta: elementi strutturali ripetibili in serie, riduzione dei tempi di realizzazione, migliore qualità del prodotto che, realizzato in stabilimento, è più facilmente controllabile, con il risultato di una precisione dimensionale maggiore e un miglioramento delle sue caratteristiche, in primo luogo della durabilità.
Sono state studiate e impiegate soluzioni per muri di sostegno contro terra, elementi per il contenimento dei rilevati (''terra armata''), elementi di copertura, derivati da quelli industriali, per realizzare gallerie paramassi (fig. 18), ecc. Nuovi concetti di sicurezza nei trasporti hanno poi imposto l'adozione di guardavia in calcestruzzo secondo profili standardizzati (New Jersey o Tric Bloc) in sostituzione di quelli metallici. In quest'ultimo impiego la scelta di elementi prefabbricati anziché gettati in opera deriva dalle richieste specifiche di durabilità del prodotto che si possono più facilmente garantire in uno stabilimento organizzato che non nel cantiere tradizionale (fig. 19).
Le nuove s. per i ponti, oltre quanto detto nelle note introduttive, hanno visto lo sviluppo di tutti gli elementi complementari della costruzione. Oltre alle travi classiche prefabbricate, esistono elementi per il completamento di tutta la s. del ponte quali solette prefabbricate, capitelli, pile, spalle, pozzetti di fondazione, cordoli guardavia, marciapiedi. Inoltre le classiche travi a I a fili di precompressione aderenti sono state affiancate da elementi più completi e con caratteristiche prestazionali più elevate quali le travi a cassone, le s. a trave continua, le s. miste acciaio calcestruzzo, ecc. (fig. 20).
Strutture speciali. - Esempi di s. prefabbricate sono ormai diffusi anche nel campo delle opere speciali. In molti casi si tratta di prefabbricazioni di componenti particolari per opere singole quali per es. stadi (fig. 21), centrali nucleari, edifici di culto, ecc., ma in alcuni casi si tratta di veri e propri prefabbricati di serie quali per es. i serbatoi sopraelevati, le vasche per impianti di depurazione, ecc. Oppure componenti speciali di serie quali per es. le traversine ferroviarie.
Piccoli componenti. - Esiste un campo della prefabbricazione, che viene ritenuto secondario rispetto a quello strutturale perché meno noto, che riguarda le piccole costruzioni. Esistono in questo settore varie tipologie quali i bagni prefabbricati, le scale elicoidali, le cabine elettriche, i blocchi copriscarpata, le pensiline, i piccoli componenti per arredo urbano e altro. Questi elementi, anche se non sono molto appariscenti, hanno notevole rilievo economico perché di produzione e di uso molto diffuso (fig. 22).
Normativa. - L'importanza assunta dalle costruzioni prefabbricate ha fatto nascere l'esigenza di una normativa specifica per questo tipo di realizzazioni. Già dal 1969 era vigente la Circolare 6090 del ministero dei Lavori Pubblici relativa alle costruzioni a grandi pannelli prefabbricati. Questa tipologia di prefabbricazione, che ha raggiunto un'esperienza ormai trentennale, è ampiamente consolidata e resa affidabile anche grazie alla normativa esistente. Questa Circolare è stata ormai superata e inglobata in una legge più generale, il D.M. 3 dicembre 1987 "Norme tecniche per la progettazione, esecuzione e collaudo delle costruzioni prefabbricate". Precedentemente erano state pubblicate le norme CNR "Istruzioni per il progetto, l'esecuzione e il controllo delle strutture prefabbricate in conglomerato cementizio e per le strutture costruite con sistemi industrializzati".
Oltre a questo, in campo internazionale una voce specifica relativa alle s. prefabbricate, nonché una voce relativa alla manutenzione, è contenuta nel MODEL CODE edizione 1990.
La normativa italiana sui prefabbricati è improntata alla ricerca, oltre che dei criteri di sicurezza, di un miglioramento della qualità e dell'affidabilità delle costruzioni. Alcuni punti della norma impongono infatti in modo specifico vincoli più severi di quelli richiesti per le s. tradizionali. In particolare: è richiesta una verifica a forze orizzontali convenzionali sia nelle fasi transitorie di montaggio, sia in fase definitiva, anche per le s. non edificate in zona sismica; è richiesto il contenimento della propagazione di un dissesto locale, il cosiddetto collasso a catena, prima imposto solo per le costruzioni a pannelli portanti; sono imposti spessori minimi della sezione trasversale, dei particolari di appoggio, dei ricoprimenti delle armature; sono indicati valori di tolleranze di produzione e di montaggio da tenere in conto nei calcoli statici; è infine richiesto, per i manufatti prodotti in serie (cioè quei manufatti il cui impiego singolo o insieme ad altri componenti è ripetitivo), il preventivo deposito della documentazione progettuale presso il ministero dei Lavori Pubblici, distinguendo tra serie "dichiarata" e serie "controllata": per quest'ultima si prevedono verifiche sperimentali su prototipo e controlli particolari della produzione.
Organismi. - Numerosi enti si occupano dei problemi dell'industrializzazione edilizia. I più significativi sono: il Collegio dei Tecnici dell'industrializzazione Edilizia (CTE), che promuove convegni, corsi, pubblicazioni, ecc. con soli scopi culturali volti all'approfondimento della conoscenza e allo sviluppo nel campo specifico dei prefabbricati; l'Associazione Italiana Cemento Armato e Precompresso (AICAP), ente culturale, che spesso tratta argomenti relativi alle s. prefabbricate; l'Associazione Italiana Tecnico Economica del Cemento (AITEC), che spesso si occupa di s. prefabbricate con convegni e numerose pubblicazioni; l'Associazione dei Tecnologi per l'Edilizia (ATE) che promuove lo sviluppo delle tecnologie edili, la formazione dei tecnici del settore, la pubblicazione di testi e riviste tecniche e l'organizzazione di convegni e gruppi di studio; e infine va ricordata l'Associazione dei produttori di manufatti in calcestruzzo (ASSOBETON). Vedi tav. f.t.
Bibl.: Atti congressi CTE (biennali): Siena 1976, Perugia 1978, Ferrara 1980, Verona 1982, Firenze 1984, Ravenna 1986, Venezia 1988, Bologna 1990, Arezzo 1992, Milano 1994. V. inoltre: R. von Halász, La prefabbricazione nell'edilizia industrializzata, Berlino 1966; G. Menditto, Statica delle strutture prefabbricate, Milano 1969-71; A. Parducci, Tecnica delle costruzioni prefabbricate, Roma 1981; F. Finzi, Manuale della prefabbricazione, Milano 1984; M. Catania, G.M. Cocchi, La stabilità delle travi prefabbricate, ivi 1985. "Quaderni del CTE", Milano: E. Massa, M. Nebuloni, F. Scirocco, R. Turriziani, Gestione e controllo della produzione dei calcestruzzi (1976); L. Cini, E. Massa, M. Nebuloni, F. Martinez y Cabrera, A. Molin Zian, F. Finzi, Attrezzature e tecnologie per la produzione dei prefabbricati (1977); M. Zanuso, N. Tubi, H. Weber, F. Sironi, L. Gerola, G. Blachère, La progettazione integrata per l'edilizia industrializzata (1977); P.N. Maggi, G. Saggese, M. Bassan, F. Ossola, La progettazione integrata per l'edilizia industrializzata (1977); P. Matildi, M. Catania, G. Menditto, F. Martinez y Cabrera, A. Castellani, Problemi di statica delle strutture prefabbricate (1979); V. Conte, M. Donato, R. Capra, P. De Lama, M. Catania, L. Lorusso, Sicurezza sul lavoro nelle costruzioni prefabbricate (1980); P. Stasi, P. Steve, Ganci e sicurezza (1980). Cfr. infine le monografie curate dall'AITEC.
Matematica. - Il senso del termine s. deve innanzitutto ricondursi al metodo assiomatico e alla funzione unificante, assunta da questo metodo, nei confronti delle varie discipline matematiche. Secondo una classificazione proposta da N. Bourbaki, esistono tre tipi fondamentali di s., le cosiddette s. madri, che dipendono dal tipo di operazione o di relazione considerata. Si hanno precisamente: a) le s. algebriche, b) le s. definite da una relazione d'ordine, c) le s. topologiche. Al di là del livello delle s. madri si possono considerare s. multiple, ove si trovano combinati assiomi di diversa natura; l'algebra topologica ne è un esempio. In un articolo di L. Pontrjagin (1932) si considerano campi algebrici F che sono anche spazi topologici, ove si assumono proprietà riguardanti simultaneamente operazioni di somma, prodotto e inversione e passaggi al limite, del tipo: lim (xi + yi) = lim xi + lim yi, lim(xiyi) = lim xi lim yi, lim xi−1 = (lim xi)−1 nel caso lim xi≠0. Pontrjagin dimostra che, sotto opportune condizioni, tali campi F sono isomorfi o con i reali, o con i complessi o con i quaternioni reali.
Una notevole circostanza che riguarda la maggior parte delle s. è l'esistenza di modelli non isomorfi che soddisfano a un dato insieme di assiomi. Esistono per es., banalmente, diversi esempi di gruppi non isomorfi tra loro. Questa non categoricità delle teorie assiomatiche che definiscono le s. è senza dubbio un fatto desiderabile ed è in accordo con il proposito originale di astrarre un comune nucleo di proprietà da diverse (non isomorfe) teorie. Essa assume dunque un significato diverso dalla proprietà di non categoricità di sistemi formali, come per es. la teoria del primo ordine dei numeri naturali, in cui si è spesso vista una prova dei limiti intrinseci del formalismo logico. Tra le questioni di carattere epistemologico legate alle s. nel senso bourbakista, figurano quelle sollevate da J. Piaget. La psicologia, scrive Piaget, fornisce strumenti per scoprire se le s. matematiche, pur presentandosi come un'elaborazione tecnica recente, corrispondono a s. mentali generali nei meccanismi operativi del soggetto. Una volta stabilita l'esistenza di s. naturali che siano in qualche corrispondenza con quelle matematiche, si tratta poi di stabilire in qual modo le prime si sviluppino geneticamente in funzione di diverse esperienze del soggetto. Un'interessante questione epistemologica è quella riguardante la funzione di modello svolta dalle s. matematiche per la descrizione di fenomeni del mondo esterno. Il ruolo di unificazione svolto dalla nozione di s. all'interno della matematica potrebbe estendersi, secondo una teoria recentemente sviluppata da R. Rosen, alla descrizione di fenomeni biologici, privilegiando, all'interno di tale descrizione, una visione globale e non riduzionistica.
Nel definire le s. N. Bourbaki non tenne molto conto, com'è noto, di settori della matematica in cui prevalgono aspetti computazionali o sviluppi algoritmici. La ricerca bourbakista è inoltre legata a un momento introspettivo della storia della matematica in cui prevale il tentativo di ricondurre le verità a pochi principi. Una filosofia più recente, dovuta per es. a G. Chaitin, Hao Wang e altri, punta ora, piuttosto, sulla necessità di economizzare in termini di velocità ed efficienza dei calcoli o di complessità degli algoritmi e delle dimostrazioni, anche a costo di ampliamenti empirici dell'insieme degli assiomi di una teoria. In ogni caso, molti recenti capitoli dell'informatica e della matematica computazionale debbono riferirsi all'idea di struttura. Ciò accade per es. nel caso della teoria dei linguaggi di programmazione di livello superiore, nel calcolo approssimato delle soluzioni di problemi differenziali, nel problema dell'approssimazione di funzioni e nel calcolo della trasformata discreta di Fourier. Tale circostanza contribuisce a dimostrare come idee maturate in seguito a ragioni teoriche e speculative si rivelino poi spesso (e inaspettatamente) quali insostituibili strumenti per la risoluzione di problemi applicativi. Nel seguito si darà un breve resoconto del tipo di ruolo giocato dalle s. nello studio dei linguaggi di programmazione e in alcuni problemi della matematica computazionale.
Linguaggi di programmazione. - Lo studio dei linguaggi di programmazione di livello superiore si svolge di solito a un grado di astrazione che non tiene conto dell'architettura di un qualsiasi elaboratore specifico e che si avvale piuttosto di enti matematici generali come le strutture. Alcune s. algebriche sono specialmente utili per definire in modo astratto la semantica di un linguaggio, per es. il tipo di funzione che viene calcolata in seguito all'elaborazione di un insieme di dati. La cosiddetta semantica denotazionale, inizialmente concepita da D. Scott e C. Strachey, può avvalersi di speciali s. per caratterizzare la denotazione, ovvero la funzione calcolata da un programma. Per es., taluni costrutti linguistici alternativi o ripetitivi, come if-then-else o while-do, suggeriscono l'introduzione di s. di riferimento quali i monoidi e le categorie parzialmente additive. Una trattazione esauriente di questo argomento è dovuta a E.G. Manes e M.A. Arbib. Per monoide s'intende un insieme E con un'operazione binaria associativa e con un elemento neutro. Un monoide in cui ogni elemento è invertibile è un gruppo. Una categoria C è, informalmente, un'astrazione di un concetto del tipo ''insiemi e funzioni definite tra di essi''. Gli insiemi sono gli oggetti della categoria, che devono essere considerati quali enti astratti privi di struttura. Se E ed F sono oggetti di C, s'introduce l'insieme dei morfismi da E a F. Si assume che l'operazione di composizione di tali morfismi soddisfi la proprietà associativa e inoltre che ci siano morfismi identici.
Si considerino ora due insiemi E ed F. Una funzione parziale da E a F si definisce specificando un sottoinsieme S di E e una funzione f che trasforma ogni elemento di S in un unico elemento di F. Il sottoinsieme S = D(f) è il dominio di definizione di f. Per es., la funzione 1/x è una funzione parziale da ℛ a ℛ, ove S = {xεℛ:x≠0}. Se D(f) = E, f è una funzione totale da E a F. Con gli insiemi e con le funzioni parziali si può formare una categoria Pfn: gli insiemi formano gli oggetti di Pfn, mentre le funzioni parziali da un insieme all'altro formano i morfismi. La composizione di due morfismi f e g, rispettivamente tra gli insiemi E ed F e tra gli insiemi F e G, si definisce come il morfismo fg tale che (fg)(x) = g(f(x)) per xεD(gf), ove D(gf) = {xεE:xεD(f), f(x)εD(g)}.
Si denoti l'insieme di tutte le funzioni parziali da E a F con il simbolo Pfn(E,F). Ora in Pfn(E,F) si può definire una funzione parziale Σ (somma) al modo seguente: sia {fi}iεI un insieme di elementi di Pfn(E,F) e sia D(fr)∩D(fs) l'insieme vuoto per r≠s. La somma Σ(f) = ΣiεIfi si definisce allora mediante le posizioni
D(Σ(f)) = ∪iεID(fi),
Σ(f)(x) = fj(x) se esiste un j tale che xεD(fj) (non definita in caso contrario).
La funzione Σ così definita soddisfa alcune proprietà interpretabili quali assiomi di nuove s. come le categorie e i monoidi parzialmente additivi. Per monoide parzialmente additivo s'intende formalmente una coppia (M,Σ) ove M è un insieme non vuoto e Σ denota una funzione parziale che trasforma insiemi numerabili di elementi di M in elementi di M secondo tre regole o assiomi (diciamo che {xi}iεI è sommabile se la somma ΣiεIxi è definita): 1) una somma si può decomporre in somme parziali di cui si sommano i risultati; in simboli ΣiεIxi = Σjεj(ΣiεIjxi) ove {Ij} è una partizione di I, cioè l'unione degli Ij è uguale a I mentre l'intersezione di Ij e Ik è l'insieme vuoto se j≠k. 2) Ogni insieme {xi}iεI in cui I ha un unico elemento è sommabile e la somma degli xi è uguale a xj se I = {j}. 3) Se {xi}iεI è un insieme numerabile e se il sottoinsieme {xi}iεK è sommabile per ogni sottoinsieme K di I, allora {xi}iεI è sommabile. L'operazione di somma Σ definita astrattamente dai precedenti assiomi appare come la naturale generalizzazione delle formule additive in cui si traducono alcuni costrutti tipici dei linguaggi di programmazione. Per es., la costruzione if-then-else del linguaggio Pascal può tradursi come segue: sia A1 un sottoinsieme di E e sia A2 il complemento di A1, cioè l'insieme degli elementi di E che non appartengono ad A1. Siano pi, 1≤i≤2, due elementi di Pfn(E,E) definiti dalle relazioni D(pi) = Ai, pi(x) = x (da cui segue che l'intersezione dei due domini, rispettivamente di p1 e p2, è vuota). Se fεPfn(E,F) il simbolo fpi(x) significa: ''se x appartiene a D(pi) (oppure: se pi(x) è vera) esegui f, altrimenti il risultato non è definito''. In altri termini la funzione pi controlla l'accesso alla funzione f. Ora, se f1 e f2 appartengono entrambe a Pfn(E,F), la costruzione linguistica if A1 then f1 else f2 si traduce nella somma f1p1 + f2p2, che vuol dire appunto: ''se x appartiene ad A1 (oppure: se p1 è vera) esegui f1, altrimenti esegui f2''. Oltre alla s. di categoria e di monoide parzialmente additivo, nella semantica denotazionale interviene anche la s. di algebra booleana, la quale può essere utilmente introdotta nell'insieme dei morfismi di controllo p, precedentemente definiti, relativi ai sottoinsiemi A di E.
Matrici con struttura e problemi computazionali. - Nella teoria della rappresentazione s'introducono matrici che svolgono un ruolo importante in molti algoritmi numerici. Una rappresentazione matriciale, o semplicemente rappresentazione, di un gruppo G è un omomorfismo tra G e un sottogruppo del gruppo moltiplicativo delle matrici n × n invertibili a elementi complessi.
Sia G un gruppo finito di ordine n con elementi ordinati g1, g2, ..., gn. Siano xgi variabili in corrispondenza uno a uno con gli elementi di G. La matrice n × n X il cui elemento (i,j) è xgigj−1, 1≤i,j≤n, si chiama matrice di gruppo per il gruppo G. Per es., se G è il gruppo ciclico con elemento generatore g e gi = gi, la matrice X è una matrice circolante, cioè la i-ma riga di X = (xrs) si ottiene dalla prima spostando a destra, ciclicamente, ogni elemento di i posizioni. In altri termini la matrice X è di Toeplitz (si ha cioè xij = xi−1,j-n,1) ed è soddisfatta l'ulteriore condizione xi1 = x1,n-i + n,2 (ove gli indici sono presi modulo n). Questo tipo di matrice può intervenire nella risoluzione numerica di equazioni differenziali in cui si traduce di solito la modellizzazione matematica di problemi di varia natura. Il problema differenziale può spesso tradursi, nel discreto, in un sistema di equazioni lineari, la cui matrice dei coefficienti ha di solito una speciale struttura. La descrizione di tale s. e gli algoritmi di risoluzione numerica possono allora ricondursi a proprietà di speciali algebre di matrici tra cui figurano le matrici circolanti. Un'analoga considerazione vale per taluni metodi di approssimazione di funzioni, per es. nell'interpolazione spline, ove intervengono matrici strutturate, per es. matrici X a banda (tali cioè che per un certo p si ha xij = 0 se ∣i-j∣>p) e di Toeplitz.
Una semplice circostanza in cui possono direttamente intervenire matrici circolanti è quando i valori della derivata di una funzione u(x) periodica devono sostituirsi con differenze divise. Se per es. u(x) ha periodo 2π e i suoi valori ui = u(xi) sono noti nel discreto nei punti xi = ih, ove h = 2π/n, i = 0,1, ..., n-1, un'approssimazione alla derivata Dxu(x) può essere data dalle differenze divise Dh(u(x)) = [u(x + h)−u(x-h)]/2h. La trasformazione che porta dal vettore u = [u0 u1...un−1]T al vettore delle differenze divise Dh = [Dh(u0)Dh(u1)...Dh (un−1)]T è lineare e ha perciò una rappresentazione matriciale della forma Dh = Du, ove D è una matrice circolante n × n. Le matrici di gruppo, e in particolare le matrici circolanti, sono essenziali nella costruzione di algoritmi per il calcolo della trasformata discreta di Fourier. La trasformata discreta di Fourier (DFT) su n punti è definita dal prodotto matrice per vettore Fnx, ove x è un vettore a n componenti e Fn è la matrice n × n il cui elemento (i,j) è ω(i-1)(j-n,1), con ω = e2πi/n, i=√−1. La s. di gruppo interviene per il fatto che la parte ''essenziale'' di Fn, nel caso in cui n sia un numero primo, si può ricondurre, con una trasformazione individuata da una matrice di permutazione, a una matrice circolante. Se n è un intero qualsiasi, il problema Fnx si riduce, con opportune permutazioni di righe e colonne, a un insieme di sottoproblemi di dimensione più piccola (in dipendenza dalla particolare fattorizzazione di n in fattori primi), consistenti in prodotti di matrici circolanti per vettori (o, equivalentemente, in convoluzioni di vettori). Le proprietà algebriche e spettrali delle matrici circolanti intervengono quindi in modo essenziale nei più recenti algoritmi per la DFT (principalmente nell'algoritmo dovuto a T. Winograd, 1978) e nell'analisi della loro complessità. L'algoritmo di Winograd per la DFT utilizza inoltre concetti di aritmetica modulare formalizzabili in domini astratti euclidei. Le applicazioni della DFT riguardano la teoria dei segnali, la risoluzione numerica di equazioni differenziali, l'aritmetica dei polinomi e degli interi, l'approssimazione (interpolazione trigonometrica) di funzioni.
Struttura e algoritmi efficienti. - Gli esempi citati nel precedente paragrafo sono la premessa per un passo ulteriore: stabilire una più chiara e sistematica relazione tra la s. di un problema e la possibilità di risolverlo con metodi numerici adeguati. Nell'immediato dopoguerra, J. von Neumann, H.H. Goldstine, A. Turing, J. Wilkinson e altri inaugurarono un nuovo tipo di ricerche sulla possibilità di definire algoritmi eseguibili in modo efficiente con un calcolatore. Il termine efficienza è cruciale e discriminante: fino alla metà degli anni Quaranta il termine ''algoritmo'' non implicava generalmente una connotazione di efficienza, e riguardava piuttosto un problema di pura risolubilità teorica. Soprattutto negli anni Trenta le ricerche erano per lo più orientate a stabilire quali problemi della matematica e della logica erano risolubili per via costruttiva, ovvero con un algoritmo, e si erano scoperti, su questa linea, diversi risultati di indecidibilità: per es. Turing dimostrò che il ''problema della fermata'' è indecidibile, cioè non esiste una procedura di calcolo che decida, per ogni programma, se questo avrà termine. Von Neumann e Goldstine si posero successivamente, per primi, la questione se gli algoritmi ''concreti'' della matematica sono anche efficienti, se cioè rispondono ad almeno due fondamentali requisiti: un buon livello di stabilità, ovvero un comportamento non patologico dell'errore nel corso della loro esecuzione automatica; e una complessità computazionale accettabile, ovvero un numero non esponenziale di operazioni da eseguire. Anche Turing si pose quesiti analoghi in un articolo del 1948, in cui venne data per la prima volta una definizione esplicita del numero di condizionamento di una matrice A n × n, un numero utile a stabilire il comportamento dell'errore nella risoluzione di sistemi lineari aventi A come matrice dei coefficienti.
La principale questione, sollevata in uno storico articolo del 1947 da von Neumann e Goldstine, riguarda la possibilità di delegare alla macchina l'esecuzione delle grandi, spesso enormi, quantità di operazioni aritmetiche elementari a cui si riconduce di solito la risoluzione numerica di molti importanti problemi della matematica applicata. Divenne successivamente più chiaro che questa operazione di delega è possibile soprattutto per il fatto che i problemi da risolvere possiedono generalmente una struttura speciale. Diversi esempi, a questo riguardo, sono stati menzionati nel paragrafo precedente. Nei primi anni Sessanta R. Varga trattò estesamente i casi in cui un problema differenziale si discretizza in modo da permettere una risoluzione numerica con metodi efficienti. L'esempio più classico è il problema di Dirichlet discretizzato su un quadrato, che conduce a sistemi lineari in cui intervengono ''naturalmente'' matrici non negative, a predominanza diagonale e irriducibili. A tali sistemi si possono applicare algoritmi iterativi convergenti, che un calcolatore è in grado di eseguire velocemente con limiti di precisione accettabili. La presenza di s. permette in questi casi di affidare alla macchina il calcolo di tutte le operazioni aritmetiche richieste senza che sia necessario l'intervento del soggetto umano durante l'esecuzione dell'algoritmo, e in modo tale che il risultato finale sia sensato. Senza s. sarebbe generalmente difficile una valutazione a priori dell'errore da cui è affetto il risultato calcolato dalla macchina; questo risultato sarebbe in tal caso illeggibile, e dunque inutilizzabile.
Il significato del termine ''struttura'' viene ampliato dalla richiesta di efficienza computazionale. La s. nel senso bourbakista mira prevalentemente a un'idea di organizzazione e composizione statica degli elementi di un insieme astratto. Le s. che intervengono nei problemi computazionali ''concreti'' si ottengono spesso attraverso intere rielaborazioni degli enti matematici in gioco, al fine di ottenere vantaggi in termini di efficienza. Con queste rielaborazioni emergono s. in cui si evidenzia quello che si potrebbe informalmente chiamare ''contenuto informativo computazionale'' di un dato oggetto matematico, un insieme di elementi che ne definiscono la complessità intrinseca, o ne individuano la capacità di comportarsi come operatore ''stabile''. Il caso delle matrici è quello più notevole, sia per l'interesse dell'oggetto matematico in sé, sia per la quantità di applicazioni possibili, dalla discretizzazione di problemi differenziali al problema dei minimi quadrati, dall'aritmetica dei polinomi all'approssimazione di funzioni, dall'elaborazione dei segnali alla teoria dei grafi. Una tecnica generale per facilitare i calcoli, nell'algebra matriciale, consiste nel decomporre una matrice in varie forme, in modo da rendere minima la complessità di un prodotto matrice × vettore (o matrice × matrice), oppure la complessità di un insieme di p forme bilineari fk(a, b) = aTMkb, 1≤k≤p, ove a e b sono vettori di indeterminate, rispettivamente ai e bj, rispetto a un campo G assegnato, e Mk è una matrice definita su G. Si dimostra in particolare che la complessità moltiplicativa di fk(a, b) è esattamente individuata dal minimo intero q tale che valga la decomposizione Mk = UDkV, ove U e V sono matrici a elementi in G e Dk è una matrice diagonale q × q. Il numero q si chiama rango tensoriale delle matrici Mk e dipende dalla struttura di G. Tra le decomposizioni Mk = UDkV rientrano, come caso speciale, le decomposizioni ''canoniche'', in cui Dk è la matrice degli autovalori e U, V sono la matrice degli autovettori e la sua inversa. Le decomposizioni UDkV sono quindi più generali delle decomposizioni che mettono in evidenza la composizione spettrale, e sono orientate non solo a capire ''come sono fatte'' le matrici Mk, ma anche e soprattutto a renderne minima la complessità. Leggendo le matrici Mk della forma UDkV, si mira a una sorta di ''preelaborazione'' o di ''precondizionamento'' del problema (in questo caso il calcolo di fk(a, b), evidenziandone gli aspetti strutturali utili a rendere il calcolo più veloce. Questa idea di ''precondizionamento'' è stata applicata in molti settori della teoria della complessità, per es. nel calcolo di polinomi e nella geometria computazionale.
Bibl.: N. Bourbaki, L'architecture des mathématiques, in Les grands courants de la pensée mathématique, a cura di F. Le Lionnais, Parigi 1948; R. Rosen, Fundamentals of measurement and representation of natural systems, New York 1978; J.H. McClellan, C.M. Rader, Number theory and digital signal processing, Englewood Cliffs 1979; P.J. Davis, Circulant matrices, New York 1979; T. Tymoczko, New directions in the philosophy of mathematics, Boston 1985; E.G. Manes, M.A. Arbib, Algebraic approaches to program semantics, New York 1986; R. Bevilacqua, D. Bini, M. Capovani, G. Capriz, B. Codenotti, M. Leoncini, G. Resta, P. Zellini, Complexity of structured computational problems, "Applied Mathematics Monographs", Pisa 1991.