Strutture e architettura
Il rapporto che lega l’universo della struttura con quello dell’architettura è imprescindibile. Molteplici sono le definizioni, date nel corso delle varie epoche storiche, del concetto di struttura e di quello di architettura. In questa sede, risulta indubbiamente opportuno sottolineare il legame che esiste tra l’idea di struttura-architettura e il concetto di spazio, ed è altrettanto appropriato evidenziare il rapporto tra queste correnti e tutti gli aspetti dell’espressione di una società. In un panorama così vasto, il nesso che lega l’architettura alla struttura è dunque molto stretto, ed è proprio la struttura a essere il mezzo che consente all’architettura di presentarsi come tale. Nel corso del tempo tale nesso è stato fortemente vincolato alla conoscenza dei materiali e soprattutto delle tecniche costruttive; ma, all’inizio del 21° sec., non è più così, e tutto ciò che un tempo era definito e costituiva un vincolo è diventato oggi una capacità, una possibilità. La forza di questo potenziale si esprime in organismi architettonici plastici che sembrano sfidare le regole della fisica, della statica e della tecnica di costruzione.
L’evoluzione costruttiva dell’architettura si sta avviando verso una sempre più evidente libertà stilistica, in continuo ed esponenziale aumento. In tutto il mondo si assiste a una crescente proliferazione di edifici spettacolari dalle forme e dalle dimensioni ardite; questi primi anni del 21° sec. sono stati certamente caratterizzati da una sempre maggiore tendenza verso l’inconsueto. Anche se l’originalità e la volontà di realizzare edifici fuori dal comune non sono concetti nuovi tra gli architetti, ora il progresso tecnologico e la maggiore consapevolezza delle proprie capacità stanno rendendo sempre più concreta la possibilità di realizzare edifici dalle forme prima inimmaginabili. Se, dunque, si può identificare nella storia un’incessante tendenza, da parte degli architetti, alla progettazione di opere fantastiche, attualmente tale volontà si incontra con una reale fattibilità tecnica e con un’evidente propensione, da parte dei committenti e dei finanziatori, alla realizzazione di architetture fuori dai canoni classici, che abbiano la funzione di status symbol e che, anche solo per la loro forma appariscente, garantiscano un ritorno di immagine e, probabilmente, anche di finanziamenti.
Ampliando il panorama di indagine, è necessario soffermare l’attenzione su come questi nuovi modi di costruire l’architettura siano oggi utilizzati dal contesto socioculturale. In termini di rapporto struttura-architettura, non è l’architettura ‘del quotidiano’, quella fatta di residenze e di altri oggetti architettonici cosiddetti minori, a usufruire delle maggiori innovazioni. È, infatti, proprio nel momento in cui l’architettura diviene simbolo che è possibile osservare le peculiarità di questo rapporto di stretta collaborazione, quando cioè subentrano questioni e possibilità economiche che consentono di identificare nuove espressioni di forma e di spazio. L’organismo architettonico, con la sua struttura palesata o nascosta, diviene un elemento catalizzatore, un oggetto in cui identificare un potere o per il quale essere riconosciuti. Il ricorso a un’architettura monumentale, nel campo dell’edilizia, non è mai mancato. Se storicamente se ne è fatto un uso legato alla politica e all’affermazione del potere realizzando edifici rappresentativi della forza e dell’economia di un Paese o di un’azienda, ora a questo se ne sta affiancando un altro consistente nel costruire edifici che hanno la funzione di caratterizzare le città e richiamare l’afflusso di turisti nei Paesi, i cosiddetti edifici-calamita. Ne è un esempio la Ciutat de les arts i les ciències a Valencia, progettata nel 1991 dallo spagnolo Santiago Calatrava.
In Italia, a Milano, sono in corso di attuazione alcuni interventi di riorganizzazione che, in occasione dell’Expo del 2015, modificheranno in maniera radicale l’aspetto della città. Il progetto è il frutto di una pianificazione messa in opera secondo un programma molto vasto: prima la realizzazione del nuovo polo della Fiera di Milano (2005) a Rho-Pero, opera di Massimiliano Fuksas e Doriana O. Mandrelli, e il riuso del quartiere storico della Fiera con il progetto (2004) CityLife (Arata Isozaki, Daniel Libeskind, Zaha Hadid, Pier Paolo Maggiora), e poi gli interventi mirati ad accogliere e ospitare l’esposizione mondiale. La tendenza, sempre più evidente nel 21° sec., è quella di scegliere edifici-simbolo che offrano una visione spettacolare dell’architettura e che esaltino, con la loro forma e la loro immagine rappresentativa, l’avanguardia tecnica e stilistica dell’opera e, di conseguenza, di chi ne è stato promotore e responsabile.
Evoluzione storica del rapporto
Ingegneria e architettura, ingegnere e architetto. Sono due ambiti e due mestieri che seguono strade parallele, che si incontrano con difficoltà. Non è stato sempre così: nel passato sono state realizzate magnifiche architetture basandosi su presupposti strutturali e costruttivi; è sempre stata la struttura a determinare le forme e le innovazioni nell’architettura; la figura dell’architetto e quella dell’ingegnere si equivalevano e convivevano, esisteva infatti un unico progettista che aveva, oltre all’estro creativo, anche la conoscenza tecnica, grazie alla quale riusciva a plasmare a suo piacimento la forma dell’edificio per esprimere la propria volontà stilistica. L’evoluzione e l’avvicendamento degli stili nella struttura e nell’architettura sono sicuramente da attribuire, oltre che alla necessità propria dell’uomo di esprimersi, anche all’innovazione tecnologica. Il progresso e il conseguente accrescimento della cultura e del sapere nell’ambito dell’architettura e in quello dell’ingegneria, hanno avuto come conseguenza la necessità di dividere le due discipline, per poterne meglio approfondire la specifica conoscenza. Infatti, un primo allontanamento tra l’ingegnere e l’architetto è derivato dall’avvento del calcestruzzo e dell’acciaio e dalla conseguente affermazione del cemento armato nell’edilizia, affermazione che ha portato a nuove sperimentazioni nel campo dell’ingegneria.
Spesso, la progettazione nasce da un semplice gesto dell’architetto, il quale ha l’esigenza, e forse anche la pretesa, di non avere limiti, di non essere costretto dentro vincoli di alcun genere; poi, è dell’ingegnere il compito di studiare la struttura adatta al caso. Nelle nuove architetture, nei confronti del rapporto che esiste tra struttura e architettura, è possibile individuare e identificare alcune differenze, in base alle quali fare qualche riflessione. Le architetture contemporanee appaiono estremamente innovative e libere nel loro aspetto e nelle loro forme; ma qual è il loro rapporto con la struttura? Hanno lo stesso apporto innovativo, sia dal punto di vista strutturale sia da quello architettonico? Nel tentativo di operare una distinzione, le correnti e gli atteggiamenti moderni possono essere suddivisi e qualificati in due posizioni. Le architetture cosiddette libere nelle forme e nell’aspetto possono essere supportate, da un lato, da una struttura piuttosto tradizionale, dall’altro da una struttura ugualmente libera e assolutamente non tradizionale.
Del primo caso, fanno parte edifici contraddistinti e definiti da un ‘guscio’ esterno, elemento primario dell’opera stessa, sia nella forma sia nell’innovazione che ne deriva, ma organizzati all’interno in maniera molto tradizionale, con una struttura a travi e pilastri. Il guscio è, quindi, semplicemente un rivestimento esterno al corpo dell’edificio, solitamente autoportan-te e collegato alla struttura interna. Si ricordano, a ti-tolo esemplificativo, la Ing House (2002) di Meyer & Van Schooten e il Living Tomorrow Pavillion (2004) di UN studio, entrambi ad Amsterdam, e la City Hall (2002) dello studio Foster & partners a Londra. Quest’ultimo edificio si trova lungo la riva meridionale del Tamigi, non lontano dal Tower Bridge; l’opera è caratterizzata da un’insolita forma a sfera allungata e dalla totale assenza di un riconoscibile fronte principale. L’involucro esterno, completamente trasparente, racchiude perfettamente la struttura principale interna, costituita da una rampa pedonale ellittica che ne occupa l’intera superficie.
Un esempio altrettanto interessante di questa prima tipologia è rappresentato dal nuovo Centro congressi Italia nel quartiere EUR a Roma (concorso 1998-2000), progetto di Fuksas e Mandrelli. L’edificio è caratterizzato da una struttura tradizionale a travi e pilastri la quale, come una scatola, contiene una forma libera e apparentemente fluttuante. Infatti, si mostra come un contenitore parallelepipedo trasparente, in accordo con le forme razionaliste che caratterizzano il quartiere in cui sorgerà, e in netto contrasto con la forma della struttura in acciaio e teflon racchiusa al suo interno; la cosiddetta Nuvola sarà sospesa al centro della scatola, in modo da poter essere percepita interamente da ogni angolazione, e sarà sostenuta da una rigida maglia di nervature e tiranti in acciaio. Il progetto rappresenta un modello estremo, che dimostra di essere in grado di imprigionare una nuvola all’interno di una teca, per esporla agli occhi di tutti. L’architetto italiano non è l’unico a cimentarsi nella progettazione di forme libere racchiuse all’interno di strutture rigide; anche lo statunitense Frank O. Gehry fa uno splendido sfoggio di questa aspirazione nella sede della DG Bank (2001) in Pariser Platz a Berlino, realizzando, all’interno della corte di un edificio piuttosto tradizionale, una splendida sala riunioni dalle forme libere e ardite.
Un ulteriore esempio di questa categoria è anche la Mediateca (2001) del giapponese Toyo Ito a Sendai: un edificio dalla forma regolare, con l’aspetto di un parallelepipedo e diviso internamente da piani tra loro paralleli, che ha una struttura unica e originale. La pianta rettangolare, infatti, viene segnata da fori circolari di diverse dimensioni, forma e posizione, che creano suggestive prospettive. I fori sono collegati verticalmente tra loro da una struttura in acciaio, la quale sostiene l’intero edificio, non essendo, infatti, presenti altri elementi strutturali. Il sistema strutturale è costituito da una corona di elementi verticali in acciaio disposti sul perimetro dei fori, conferendo ai vuoti che attraversano l’edificio il gravoso quanto inaspettato incarico di sorreggerlo e puntellarlo.
Si tratta di opere in cui l’elemento innovativo riguarda in maniera più radicale la forma, l’aspetto architettonico, mentre quello strutturale, sebbene con dimensioni e aggetti imponenti, o facendo ricorso a tecniche eccezionali, rimane comunque legato a una concezione classica.
Al secondo caso appartengono quelle architetture che coinvolgono, nella loro innovazione, anche aspetti strettamente strutturali, in cui cioè la stessa struttura non appare più come tradizionalmente la intendiamo, ossia una maglia rigida, fondamentale per la realizzazione dell’opera e non necessariamente riconoscibile, ma in cui è invece particolarmente difficile individuare un sistema di travi e pilastri. Un esempio di tale concezione è costituito da molti edifici dello stesso Gehry e dell’irachena naturalizzata britannica Z. Hadid, ciascuno caratterizzato da proprie peculiarità costruttive. Nelle opere di Gehry, la struttura di sostegno dell’involucro esterno è, in realtà, necessaria ma in un certo senso quasi accessoria: nella struttura del rivestimento non è individuabile una particolare bellezza estetica, un disegno che ne evidenzi la volontà di realizzare un unicum concettuale che si lega con la struttura principale, ma un’opera aggiuntiva, a sostegno unicamente dell’involucro esterno.
Lo stesso non si può dire per strutture come la vela di vetro della citata nuova Fiera di Milano, o come i due coni rovesciati della BMW Welt (2007), realizzati a Monaco, in Germania, dalla Coop Himmelb(l)au. Queste opere, nonostante siano estremamente libere nelle forme, mettono in evidenza anche il valore estetico di una struttura che non è accessoria e coincide con la forma architettonica, generando un tutt’uno tra il gesto architettonico e la progettazione strutturale. Altrettanto importante, anche se radicalmente differente, è il concetto che caratterizza le opere di Hadid; ne è un esempio il progetto (1998) per il MAXXI (Museo nazionale delle Arti del XXI secolo) nel quartiere Flaminio di Roma. In questo caso, è l’opera stessa a essere struttura: l’edificio, infatti, è composto da volumi sovrapposti e affiancati, strutturalmente autoportanti. Le forme sono sempre più complesse a mano a mano che ci si addentra nell’edificio, le diverse quote si intrecciano sviluppando un reticolo spaziale molto particolare, attraversato e collegato da un percorso museale, il quale si accosta alle sagome arrotondate degli edifici e si introduce al di sotto dei volumi in aggetto, inserendosi perfettamente all’interno del complesso espositivo. Il cantiere romano ha visto una sperimentazione non solo formale ma anche costruttiva, in funzione di uno sfruttamento sempre migliore dei veri protagonisti: i materiali. Il calcestruzzo, l’acciaio e il vetro hanno svolto un ruolo fondamentale nel progetto, ognuno caratterizzando un particolare elemento costruttivo, in modo da affrontarne e migliorarne sia le prestazioni strutturali sia l’aspetto estetico. Nel progetto è presente in maniera molto forte la volontà di osare sempre di più con la struttura e con l’architettura, di cercare di compiere un progresso maggiore e di proporre una nuova concezione, anche e soprattutto strutturale, nell’intenzione di rompere e di uscire dai canoni classici.
Oltre a Hadid, un progettista i cui edifici costituiscono altrettanti esempi di questa corrente che lega struttura e architettura è Calatrava; nelle sue opere è infatti difficile, se non impossibile, scindere ciò che è architettonico da ciò che è strutturale, anche se egli spesso trascura la componente innovativa, in un unicum che fonde la forma, lo spazio e la tecnologia. In sintesi, appartengono a questo secondo caso tutte quelle opere in cui risulta evidente che la progettazione è pensata in funzione del raggiungimento di una maggiore integrazione tra l’innovazione architettonica e quella strutturale.
Nel 20° sec. sono numerosi coloro i quali hanno operato sulla plasticità del cemento armato, tentando sperimentazioni sulla capacità di tale materiale di assumere qualsiasi forma: estremamente interessante, in tal senso, è il lavoro di studi quali MVRDV (Winy Maas, Jacob van Rijs, Nathalie de Vries) e OMA (Office for Metropolitan Architecture). Le loro opere non presentano spiccate innovazioni tecnologiche o strutturali né soluzioni particolarmente estrose, ma catturano l’attenzione per l’innovativo uso plastico del materiale e per le sensazioni che esso è in grado di suscitare. Per gli uffici VPro (1997) di MVRDV a Hilversum (Paesi Bassi), per es., gli architetti hanno realizzato un progetto estremamente regolare, tanto in pianta quanto in alzato, dando vita a un edificio quadrato, scandito da una rigida maglia strutturale. L’interrogativo (e il conseguente dibattito) che si viene provocatoriamente a creare è il seguente: data una base di partenza, ossia una pianta quadrata con una scansione strutturale anch’essa quadrata, la successione dei piani genera un effetto compositivo a variazione sul tema, quindi quante possibili soluzioni distributive si riescono a ottenere da uno stesso punto di partenza? La particolarità e l’innovazione progettuale di quest’opera risiedono, però, nel modo in cui vengono realizzati i solai. Il cemento armato è utilizzato per l’esecuzione di veri e propri piani-superficie, dall’aspetto del tutto simile a dei ‘fogli’. Il risultato finale è quello di nastri, estremamente agili, con la capacità di piegarsi e rigirarsi su sé stessi, effetto enfatizzato dal loro esiguo spessore e dalla loro estrema versatilità. L’ingresso, per es., viene realizzato mediante il semplice sollevamento di uno spigolo della lastra del primo piano, mentre uno dei solai effettua una piega su sé stesso e diviene il solaio del piano superiore, generando una parete perfettamente curva. Tale versatilità è posta in netto contrasto con l’estrema rigidità dell’uso del cemento.
Oggi, quindi, assistiamo a una grande innovazione culturale, dove coesistono atteggiamenti diametralmente opposti e nei quali l’enorme accrescimento e moltiplicazione di posizioni e punti di vista diversi portano alla loro stessa estremizzazione. La struttura è sempre stata parte integrante dell’architettura, ma ora, in alcuni casi, ne diventa protagonista. In questo modo, da un lato, si assiste alla realizzazione di opere in cui la struttura è l’elemento essenziale della loro bellezza e della loro innovazione, finalizzata a una caratterizzazione plastica, piuttosto che a un’evoluzione tecnica; dall’altro lato, invece, è possibile osservare edifici in cui la struttura è un elemento accessorio e presente solo in quanto strettamente necessario. Sebbene ogni opera abbia bisogno di una propria struttura per essere realizzata, in questi casi essa sembra quasi non fare parte dello stesso iter procedurale. In progetti architettonici che sembrano non avere più alcuna legge, che non rispettano più regole cartesiane né spazi euclidei, è una conseguenza logica che anche la struttura sia, almeno apparentemente, esente dalle regole che fino a oggi abbiamo considerato.
Nella realtà dei fatti, una buona parte delle forme libere che caratterizzano questi anni sono in realtà governate da rigide regole geometriche e matematiche, che ne hanno reso possibile la realizzazione e che hanno dato modo all’oggetto architettonico di plasmarsi nelle tre dimensioni.
Cemento e acciaio
Ai nostri giorni la qualità strutturale degli edifici è aumentata a dismisura, parallelamente e unitamente alla maggiore arditezza delle forme nello spazio architettonico. Si assiste a un aumento esponenziale attraverso il quale le innovazioni tecnologiche si diffondono e divengono consuetudine: ciò che è innovativo oggi, diviene acquisito e quasi obsoleto subito dopo. I nuovi materiali hanno dimostrato di non riuscire a essere competitivi, almeno su vasta scala, con gli ormai consolidati materiali da costruzione del passato: si può affermare senza alcun dubbio che sia l’acciaio sia il cemento armato continuano ad avere un ruolo principale nei sistemi strutturali.
Volgendo lo sguardo al passato, in termini di materiali innovativi e per quanto concerne gli aspetti strutturali, bisogna tornare al 19° sec. per trovare i primi esempi d’impiego dell’acciaio. Da allora, ciò che ha permesso l’espressione e la realizzazione di oggetti architettonici innovativi non è stato il materiale, bensì l’uso che si è imparato a farne e l’impiego strettamente connesso all’utilizzo di tecniche di calcolo avanzate. Sotto questo punto di vista, infatti, non sono riscontrabili né rivoluzionarie innovazioni tecnologiche, né l’avvento di materiali con migliori capacità. Per quanto esistano cementi e acciai più efficienti di prima (essendo passati da cementi di classe 250/300 kg/m3 di impasto finale a cementi di classe 900/950, e da acciai da 1400 kg/cm2 di carico ad acciai da 2400), tali miglioramenti non sono altrettanto rivoluzionari di quanto lo sia stato il loro avvento.
Il campo delle costruzioni è stato notevolmente influenzato dall’uso del cemento armato, che ha cambiato completamente il modo di fare struttura e, di conseguenza, di fare architettura. Dalla ‘scoperta’ e dal primo impiego del cemento armato sono stati compiuti notevoli progressi nella sua applicazione: miglioramenti che riguardano le prestazioni fisiche, le tecnologie d’impiego e le capacità portanti, attraverso l’aggiunta di additivi specifici e adatti al caso. Non si riesce oggi a trovare un’alternativa valida e non si può sperare in uno stravolgimento dei materiali da costruzione; i molteplici e notevoli progressi nel campo della tecnologia, la semplificazione delle metodologie di calcolo strutturale e la tendenza a realizzare opere sempre più fantasiose e fuori dai canoni non trovano un riscontro altrettanto avanzato nei materiali, che sono sempre gli stessi. Anche i limiti nell’uso dell’acciaio e del cemento rimangono sempre gli stessi, in quanto non esiste una nuova tecnologia valida in grado di superarli. In realtà, anche se i materiali da costruzione non sono cambiati, quello che è mutato è l’atteggiamento nei loro confronti; esiste, infatti, una maggiore facilità ad affrontarne i limiti, ma anche a sfruttarne le potenzialità.
Il progresso tecnologico
L’architettura del 21° sec., nella maggior parte dei casi, ha una conformazione ‘plastica’, una ‘non forma’ che nasce dall’estro creativo di un artista e sembra, apparentemente, indipendente dalla struttura. Le forme e i calcoli che ne derivano raggiungono livelli sempre più complessi, ed è solo grazie al continuo sviluppo tecnologico dei computer e dei programmi di calcolo e di grafica 2D e 3D che è possibile risolvere problemi così onerosi, sia puramente matematici sia semplicemente di disegno, in poco tempo e con poco sforzo. In questi ultimi anni si è assistito a un eccezionale e repentino progresso tecnologico, mirato al miglioramento e, soprattutto, alla semplificazione della progettazione architettonica e strutturale. L’evoluzione dei calcolatori, lo sviluppo e il rinnovamento continuo di nuovi programmi di calcolo strutturale, hanno permesso di superare i vincoli del passato, in un’apparente assenza di limiti, generando un campo d’azione immenso con infinite possibilità. Oggi domina il coraggio di affrontare ogni difficoltà, nell’utopica consapevolezza che tutto sia possibile, che non ci siano limiti fisici o statici all’estro di chi progetta. Il futuro sarà caratterizzato da una fattibilità tecnica sempre più evidente. I vincoli che spesso determinano la realizzabilità dell’edificio, siano essi dovuti alla natura e alla qualità del luogo dove si interviene, o siano subordinati alle esigenze del progettista e della committenza, saranno sempre meno costrittivi. Infatti, la capacità di analizzare e risolvere le difficoltà e le barriere progettuali presenti è sempre maggiore, come pure la possibilità di valutare la reale incidenza dei vincoli e delle incognite, che un tempo non erano calcolabili, con precisione crescente. Ciò che prima rimaneva un problema non ponderabile, adesso diviene un elemento del sistema con il quale non è più impossibile dialogare e confrontarsi.
Ora più che mai l’architettura è vincolata solo da sé stessa, dal gusto e dalla cultura dei luoghi dove viene realizzata. Se in altri momenti storici, l’ingegneria e la scienza delle costruzioni potevano rappresentare un limite piuttosto forte per la progettazione di forme e strutture azzardate, oggi ci troviamo di fronte a un massimo livello di realizzabilità e fattibilità, soprattutto strutturale. Il computer e i nuovi programmi a disposizione hanno contribuito alla definizione e all’ampliamento di un nuovo campo d’azione con notevoli possibilità, probabilmente a svantaggio di quella sensibilità e di quel modo di progettare degli anni in cui si procedeva principalmente in maniera intuitiva, ma a vantaggio dell’acquisizione di una consapevolezza e di una capacità di affrontare problemi prima impensabili. In un passato non troppo lontano, all’epoca delle sperimentazioni iniziali per testare le capacità del cemento armato, era difficile e consentito a pochi anche solo disegnare forme che non fossero riconducibili al trilite, prima, e, in seguito, al telaio complesso. I calcoli strutturali limitavano la progettazione per la loro complessità, nonostante le forme ‘semplici’ rispetto all’evoluzione delle stesse del 21° sec., ed erano legati soprattutto alla sensibilità e all’esperienza proprie del singolo progettista.
Si può adesso fare affidamento su programmi dalla complessità crescente, ma dall’uso sempre più semplice e immediato, con tempi di elaborazione estremamente veloci; il problema più grande e oneroso è l’inserimento dei dati (input), per il quale sono necessarie anche intere giornate, ma bastano pochi minuti per avere una soluzione (output).
Così, in passato, nel tentativo di ovviare agli onerosi problemi di calcolo, si tendeva a riportare le strutture più complesse a schemi più semplici, oppure, si cercava, per es., di inserire opportunamente delle cerniere proprio dove si sapeva essere presente un momento molto complesso da calcolare; in questo modo si era in grado di risolvere più facilmente le equazioni di calcolo, annullando o diminuendo le incognite. Oggi, invece, è possibile ottenere risultati e dati precisi riguardo le reazioni e gli sforzi presenti in ogni punto della struttura e, nei casi più complessi, è sufficiente attendere qualche frazione di secondo perché il computer elabori il risultato. Questo, ovviamente, ha come conseguenza diretta la necessità di non modificare né l’architettura né la forma di un progetto, nel tentativo di semplificare il dimensionamento della struttura, la quale, ormai priva di incognite, è diventata quasi una semplice questione automatica.
L’avvento dell’informatica non soltanto consente la verifica virtuale di quanto progettato, grazie all’impiego di calcolatori e software per la restituzione tridimensionale, ma, nel caso soprattutto dell’acciaio e mediante l’impiego di ulteriori programmi applicativi specifici, ne permette anche la trasformazione diretta nelle officine, dove vengono tagliati i diversi pezzi e viene data loro la forma richiesta. Successivamente, vengono mandati in cantiere per essere assemblati.
Così, architetto e ingegnere occupano posizioni diametralmente opposte: l’architettura è sempre più legata alla sensibilità dell’artista, alla genialità dell’uomo che progetta; la struttura, al contrario, è sempre più sinonimo di risoluzione di problemi, di verifica statica legata e dipendente dall’uso del computer in maniera sempre più forte e vincolante. La sensibilità del progettista strutturale deriva, suo malgrado, da una macchina che svolge un calcolo e fornisce un risultato; ma i dati inseriti nel computer e la soluzione a cui arriva il programma, apparentemente e probabilmente esatti, devono necessariamente essere controllati e valutati dall’uomo. È il progettista a decidere quanto lavorare l’acciaio e il calcestruzzo e in quale misura sfruttarne le capacità, nell’ambito e nei limiti imposti dalle normative; a scegliere gli spessori dei materiali e la quantità di armatura e se provare a osare di più o scegliere di restare entro i margini progettuali; allo stesso modo, è anche compito non facile del progettista determinare se il risultato elaborato dal computer sia compatibile con l’insieme strutturale e architettonico, oppure no.
Nel 21° sec., attraverso il computer non si realizza soltanto ciò che era prima impensabile ma vi sono maggiori possibilità di ottenere determinati risultati, senza, ovviamente, prescindere dalle conoscenze specifiche architettoniche e ingegneristiche. In passato, il fatto di non saper disegnare e la mancanza di familiarità con il calcolo costituivano una forte limitazione per la professione dell’architetto e per quella dell’ingegnere; mentre ora questa difficoltà è più superabile. L’affidabilità e la duttilità dei programmi di calcolo hanno contribuito alla perdita di quella sensibilità, nella progettazione architettonica come in quella strutturale, che era una caratteristica di vanto per i protagonisti del 20° sec., a vantaggio di una maggiore risolutezza nell’affrontare problemi di ogni genere. Il superamento dei limiti legati alla progettazione strutturale e architettonica ha spostato l’attenzione anche su un altro tipo di problemi, un tempo considerati secondari, basati sullo studio accurato delle azioni esterne. Nel caso della progettazione dei grattacieli, per es., l’innovazione tecnologica viene realmente utilizzata per superare ogni limite conosciuto.
A Tokyo è stato addirittura progettato (nel 1995, dalla Taisei corporation) un grattacielo alto 4000 m, chiamato X-Seed 4000; in questo caso, le problematiche principali non riguardano solamente il calcolo delle strutture, ma anche, e soprattutto, i problemi collaterali di sperimentazione reale e di verifica dei carichi accidentali naturali, come, per es., le oscillazioni in punta dovute al vento e le dirette conseguenze sui materiali, gli effetti di una differente pressione atmosferica a un’altitudine così pronunciata, le reazioni e le conseguenze sulle persone che abiteranno al suo interno. In questo modo, nella progettazione si inserisce anche una componente sperimentale, con simulazioni dal vero legate alla necessità di capire, studiare e risolvere in maniera concreta le incognite poste dalle nuove frontiere. È questo il compito, per es., della galleria del vento utilizzata per ricreare le condizioni atmosferiche naturali in un ambiente circoscritto, in modo da poter valutare i condizionamenti e le reazioni delle strutture. La già citata vela della passerella centrale della nuova Fiera di Milano è stata collaudata proprio nella galleria del vento, sotto forma di prototipo, per valutare e quantificare gli effetti del vento incuneato nei crateri e nei semicrateri, previsti nella struttura di vetro e acciaio, e non verificabili con una semplice analisi dei carichi.
Anche per quanto riguarda i grattacieli, il problema maggiore è l’analisi e il confronto della struttura con i venti. Ne è un esempio il World Financial Center (2008) a Shanghai, opera dello studio Kohn Pedersen Fox associates; la forma di questo edificio è una sorta di lama, con in cima un enorme oblò realizzato appositamente in funzione delle caratteristiche dei venti più frequenti e per limitarne gli effetti sul grattacielo e su chi ne usufruisce.
L’innovazione tecnologica: i grattacieli
La tipologia costruttiva che caratterizza e incarna maggiormente la progettazione strutturale contemporanea è costituita dal grattacielo; da sempre simbolo di potere, tale tipologia è una manifestazione palese della capacità di superare qualsiasi limite, statico, costruttivo, tecnologico, ma anche estetico e culturale in senso più ampio.
I grattacieli rappresentano da sempre la più imponente e magnifica, oltre che audace, opera di architettura e di ingegneria mai concepita. Continuamente e in ogni parte del mondo, gli uomini hanno tentato di andare sempre più in alto; questa ‘competizione simbolica mondiale’, questa tendenza a toccare il cielo, coinvolge società finanziarie e uomini di potere, operai e ingegneri, sia nell’intenzione di esaltare l’avanzamento e il progresso tecnologico raggiunto sia per celebrare e sottolineare la propria potenza e ricchezza. Ma, mentre nel secolo scorso, ogni primato rimaneva indiscusso per decenni, sembra che oggi la corsa verso l’alto abbia tempi ben più ristretti.
Le Petronas Towers, dello statunitense Cesar Pelli, a Kuala Lumpur, hanno detenuto il record mondiale in altezza (452 m per 88 piani) dal 1998, anno della loro realizzazione, fino al 2004; le torri sono caratterizzate, oltre che da una tecnologia costruttiva piuttosto sofisticata, anche da un ponte (skybridge), sospeso a 170 m di altezza, che consente di spostarsi da una torre all’altra. Nel 2004 il primato è stato conquistato dal Taipei 101 (o Taipei Financial Center) a Taiwan, progettato dallo studio C.Y. Lee & partners; la torre, orientaleggiante, è composta da moduli, o ‘pagode’, sovrapposte e di dimensione decrescente, su un basamento a tronco di piramide. Il grattacielo, alto 449 m (508 m considerando anche l’antenna con cui termina) per 101 piani, è servito da ascensori, alcuni anche a due piani, che viaggiano a una velocità di 16,83 m/s. L’eccezionale struttura portante è costituita da due colonne in acciaio per ogni angolo, riempite con un cemento speciale; all’interno, un’anima di 16 colonne è collegata mediante travi a quelle esterne ogni 8 piani, per una maggiore stabilità e sicurezza. La facciata, completamente a vetri, è ancorata a una griglia esterna, autonoma rispetto alla struttura portante. Infine, una sfera d’acciaio del diametro di 5,5 m, situata al centro degli ultimi piani e sostenuta da pompe idrauliche, ha la funzione di controbilanciare, con le sue oscillazioni, le inclinazioni dovute all’azione dei forti venti in quota e dei terremoti.
L’ultimo record è stato conquistato, nel 2007, dalla Burj Dubai, terminata nel 2009 su progetto di Adam Smith dello studio Skidmore, Owings & Merrill (SOM). Con un’altezza di 828 m (compresa l’antenna), è la più alta opera mai realizzata dall’uomo, con un buon margine di scarto rispetto alla seconda, ed è visibile da oltre 90 km di distanza. Il grattacielo è caratterizzato da una soluzione in pianta ispirata a un particolare fiore (Hymenocallis), molto diffuso nella città di Dubai, ed è servito dai più veloci ascensori al mondo, i quali si muovono a una velocità di circa 18 m/s.
Un altro, forse utopico, progetto è poi il già citato X-Seed 4000 di Tokyo. Si tratta non solo dell’edificio più colossale mai immaginato, ma anche di uno dei più giganteschi progetti mai concepiti: il principale ostacolo che ne ha impedito finora la costruzione sembra sia stato di ordine economico. L’idea prevedeva, oltre ai già citati 4000 m di altezza, una base di 6000 m e 800 piani utili, i quali sarebbero stati in grado di accogliere l’intera popolazione di una grande città, ossia circa un milione di persone.
La gestione del progetto
Grazie al computer, la gestione di forme complesse è diventata fattibile. È ormai possibile pensare e disegnare figure e sagome che abbiano qualsiasi dimensione e posizione nello spazio, completamente gestite in un ambiente virtuale o attraverso la scansione tridimensionale di modelli reali, con la possibilità di operare su di esse tutte quelle verifiche e modifiche atte a renderle realizzabili. Oggetti dalla forma non ben definita, quali possono essere le superfici esterne degli edifici di Gehry, oppure le opere ideate dal gruppo Coop Himmelb(l)au, vengono razionalizzati e definiti attraverso questo processo tecnologico. Così, una semplice superficie diviene un oggetto composto da un reticolo di aste e di nodi, che sostiene pannelli di chiusura. La gestione di tale processo mediante sofisticati software permette non solo di effettuare un’operazione di scomposizione della superficie in parti assemblabili, con una relativa semplicità e senza snaturare la forma originale, ma ne consente, soprattutto, il controllo della fattibilità e della costruzione. La gestione del problema attraverso il computer permette di conoscere l’effettiva dimensione di ogni parte, con precisione millimetrica o comunque coerente con il sistema produttivo, e anche di gestire la messa in produzione e il conseguente assemblaggio in cantiere dei componenti. Tali metodologie non erano praticabili in passato, e sicuramente non nei tempi e con il controllo oggi garantiti. I metodi costruttivi attuali consentono di gestire il modello realizzato dall’architetto in modo che possa essere studiato dall’ingegnere, il quale lo scompone in elementi-base calcolati, con una dimensione, una forma e una geometria che ne consenta la fattibilità costruttiva e statica, per poi passare nei computer dell’officina, dove si producono componenti effettivamente costruibili e assemblabili. Questo iter progettuale-realizzativo non riguarda unicamente strutture complesse o dalle forme ardite, ma anche e soprattutto edifici tradizionali con strutture semplici a travi e pilastri. La vela della nuova Fiera di Milano costituisce un buon esempio di assemblaggio e gestione delle parti in cantiere; lunga 1300 m e larga 32 m (più di 41.000 m2), è composta da oltre centomila pezzi, tutti differenti tra loro, dove ogni singolo elemento è stato disegnato, calcolato, verificato, prodotto e assemblato in un solo anno.
La realtà gestionale contemporanea, attraverso l’uso del computer e dei nuovi programmi, è completamente cambiata, e il cantiere è diventato un luogo di elevata automazione. In Cina, per es., per realizzare alcuni nuovi grattacieli, vengono utilizzati sistemi completamente robotizzati di montaggio delle parti, in cui un’impalcatura estremamente complessa, dotata di gru e bracci meccanici, realizza e assembla l’edificio, aggrappata a un nocciolo centrale; i bracci della gru, dotati di lettori ottici, riconoscono i codici a barre degli elementi prefabbricati e sistemati nell’area di cantiere e li collocano nella posizione esatta prevista. Ultimato un livello, la struttura meccanica si muove e si sposta verso l’alto, per proseguire nella realizzazione del livello successivo.
Progettazione ecosostenibile
Un aspetto fondamentale, qualificante e necessario della progettazione contemporanea è la sostenibilità. Nella nostra cultura estremamente versatile e variegata, accanto a una crescita urbana smisurata, costituita da megalopoli di 20 milioni di abitanti, con edifici e grattacieli da record, si è infatti diffuso un interesse particolare per un maggiore rispetto del pianeta. Questa nuova modalità di progettare e costruire si inserisce nel concetto molto più ampio di sviluppo sostenibile, concetto che sta coinvolgendo, in maniera sempre più radicale, tutti gli aspetti ambientali, economici e sociali della società.
La progettazione sostenibile, da idea utopica di ricerca di un equilibrio tra la natura e l’uomo, si è trasformata in un’azione internazionale concreta, grazie all’emanazione e alla divulgazione della direttiva 2002/91/CE del Parlamento europeo. Tale direttiva, facendo riferimento a un ambito internazionale, ha fornito norme e regolamenti per la pratica professionale, per la trasformazione dell’ambiente e per la nuova morfologia dell’edificato; occupandosi principalmente del punto di vista energetico, essa si esprime anche a proposito delle tecnologie e dei materiali, del comfort, degli aspetti economici e sociali, e infine del rispetto e della tutela di risorse come il suolo e l’acqua. La green architecture – la progettazione e costruzione di edifici e città con un forte carattere di ecocompatibilità – si sta sviluppando in tutto il mondo con una tale rapidità che è lecito ipotizzarne un’espansione e una considerazione sempre maggiori nell’immediato futuro. La progettazione ecosostenibile si può generalmente dividere in due grandi gruppi di sperimentazione – architettonica nelle forme e strutturale nello scheletro – diametralmente opposti. Una tendenza è caratterizzata, strutturalmente, da edifici piuttosto semplici nell’aspetto, costituiti da pochi piani, per i quali sono state riprese metodologie e tecniche costruttive del passato, caratteristiche del periodo che ha preceduto il Movimento moderno, in cui risulta dominante l’uso del legno, per quanto riguarda sia i rivestimenti esterni sia le strutture.
La seconda, invece, definibile high-tech, è dominata da forme futuriste e spettacolari, del tutto simili a edifici analoghi e non ecosostenibili, ma ad alimentazione energetica quasi completamente autonoma. È il caso della Hearst Tower di New York, progettata dallo studio Foster & partners e ultimata nel 2006, la quale è composta per l’80% da acciaio proveniente da materiale riciclato e consente un sensibile risparmio energetico grazie all’utilizzo di un sistema di raffreddamento e umidificazione dell’aria basato sulla raccolta di acqua piovana. Questo secondo aspetto dell’architettura sostenibile è sperimentato in modo particolare nei Paesi arabi dove negli ultimi anni stanno sorgendo innumerevoli esempi di grattacieli a risparmio energetico (green skyscrapers). Nella città di Manama, nel Bahrein, l’architetto sudafricano Shaun Killa, proprio nel 2008, ha ultimato la realizzazione del World Trade Center che è costituito da due torri gemelle a punta, collegate da tre enormi pale eoliche (del diametro di 29 m), le quali forniscono il 15% del fabbisogno energetico dei due fabbricati. È invece ancora in fase di realizzazione a Dubai la Rotating Tower (progetto del 2007), opera di David Fisher. La torre (420 m) sarà composta da 80 piani indipendenti l’uno dall’altro, in grado di ruotare intorno a un asse centrale per mezzo della forza del vento, in modo da modificare continuamente forma e panorama. Questo esempio dinamico di architettura sarà fornito di 48 pale orizzontali, disposte tra i piani, e di un impianto solare installato sul tetto che garantiranno energia sufficiente ad alimentare la torre e anche altri fabbricati. Alcuni studi di architettura, come Foster & partners e Steven Holl architects, stanno già pensando di allargare il concetto di edificio energeticamente autosufficiente anche ai centri residenziali e alle città. Ad Abu Dhabi, nel Golfo Persico, è già iniziata la realizzazione della prima città che non produce né anidride carbonica né rifiuti: Masdar. Il nuovo insediamento sarà infatti fornito di un sistema di desalinizzazione dell’acqua del mare e di un sistema di riciclaggio dei rifiuti e delle acque di scarico.
Sembra proprio che non sia più sufficiente progettare e realizzare edifici che siano solo tecnologicamente e formalmente straordinari: è necessario ragionare in maniera ecosostenibile, unendo al progresso tecnologico una particolare sensibilità ambientale.
Bibliografia
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