studio di settore
Metodologia economico-statistica utilizzata dall’amministrazione finanziaria per stimare l’entità dei ricavi, o dei compensi, che può essere presuntivamente attribuita in condizioni normali a un contribuente titolare di reddito da lavoro autonomo o d’impresa. Gli s. di s. sono stati introdotti dall’art. 62 sexies del d.l. 331/1993 per rendere più efficace l’azione di accertamento dell’amministrazione finanziaria nei settori dove sono più frequenti comportamenti d’opportunismo fiscale. Tale metodologia raccoglie ed elabora i dati che spiegano la capacità reddituale di un’impresa o di un professionista (luogo d’esercizio, andamento economico del settore di riferimento, locali e manodopera utilizzata). L’assenza di un campione sufficientemente ampio di contribuenti (e con caratteristiche simili) non consente l’elaborazione di dati statistici significativi; per tale ragione non è sempre consigliabile la predisposizione di uno studio di settore.
Il requisito soggettivo per l’applicazione degli s. di s. è costituito dal possesso di redditi, d’impresa o di lavoro autonomo. Sono considerate cause di esclusione dagli s. di s.: aver superato un volume d’affari superiore a 7,5 milioni di euro; aver cessato o iniziato l’attività nel corso del periodo d’imposta; essere beneficiario di tassazione forfettaria; non esercitare normalmente l’attività (per es., per ristrutturazione dei locali, procedure concorsuali o di liquidazione volontaria).
Quando il contribuente dichiara compensi o ricavi inferiori a quelli ottenuti dallo s. di s., si palesa un’anomalia statistica che può nascondere condotte d’opportunismo fiscale. A tal fine il contribuente viene definito «non congruo» rispetto all’intervallo di confidenza e sottoposto a più dettagliata attività di controllo (➔ anche accertamento). L’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente a un preventivo contraddittorio. Tale fase è finalizzata a verificare l’esistenza di situazioni che impediscono di utilizzare le presunzioni statistiche nella specifica fattispecie. Nel procedimento in contraddittorio, tuttavia, s’inverte l’onere della prova, per cui spetta al contribuente produrre la documentazione necessaria per provare la regolarità della dichiarazione. Se il contribuente non dimostra una causa che legittimi l’esclusione dal campione di riferimento, possono aprirsi due strade: la prima prevede l’adesione alle pretese dell’amministrazione tributaria con la definizione del procedimento mediante l’accertamento con adesione; la seconda l’invio dell’atto d’accertamento induttivo, con la rettifica della dichiarazione ai valori del reddito presunto. L’atto di accertamento può comunque essere impugnato dal contribuente innanzi alla competente commissione tributaria. In ogni caso, gli s. di s. rappresentano una presunzione semplice che non può autonomamente legittimare la rettifica della dichiarazione dei redditi. L’amministrazione finanziaria deve, pertanto, individuare ulteriori elementi di prova a sostegno della presunzione. A tale scopo, possono essere utilizzati dati provenienti da altre amministrazioni o registri (per es., l’acquisto di proprietà immobiliari, di veicoli o beni di lusso).
In questa prospettiva, gli s. di s. costituiscono un ausilio all’attività di accertamento, utile come indicatore di rischio per fenomeni d’opportunismo fiscale. I parametri relativi ai ricavi e ai compensi normali degli s. di s. sono pubblici; pertanto ciascun contribuente può decidere se presentare una dichiarazione congrua o meno. Quando il reddito dichiarato è superiore al parametro presunto dallo s. di s. (ipotesi di congruità), il contribuente accede al favor rei fiscale previsto dal d.l. 201/2011, la cosiddetta Manovra salva Italia. In dettaglio: non può essere assoggettato a ulteriori accertamenti induttivi; beneficia di termini di decadenza più ristretti per eventuali accertamenti analitici (3 anni in luogo di 4); l’accertamento analitico ha effetto solo se il reddito effettivo supera di più di un terzo quello dichiarato.