Vedi STUPA dell'anno: 1966 - 1997
STŪPA (v. vol. VII, p. 533)
p. 533). India. - Nome sanscrito (in pāli thūpa e anche dāgaba) indicante un monumento religioso, originariamente destinato a contenere reliquie funerarie, reso sacro dai buddhisti successivamente alla morte (parinirvāṇa) del Buddha, avvenuta nel V sec. a.C. (?). Non è facile stabilire con precisione la sua forma originaria, ma sembra che essa sia stata quella di un tumulo, onorato con fiori, stendardi e altri emblemi, e talvolta rivestito di pietre o mattoni. La tradizione secondo cui accrescere le dimensioni di uno s. causa l'acquisizione di meriti religiosi si rifletteva spesso nella rifoderatura (ācchādaya) del nucleo originario, intervento che aumentava dimensioni e ricchezza del monumento. Iscrizioni, cronache antiche e testimonianze archeologiche confermano che molti importanti s. vennero ingranditi diverse volte.
Le più antiche testimonianze dirette sullo s. datano dall'epoca dell'imperatore Aśoka (c.a 273-232 a.C.), che al culmine del suo potere governò, o quanto meno esercitò la sua sovranità, su tutta l'India, a eccezione dell'estremità meridionale. Intorno al 261 a.C., Aśoka fu convertito al buddhismo dal maestro Upagupta di Mathurā, come vuole la tradizione in seguito all'orrore e al rimorso per i massacri compiuti durante la conquista del Ralinga (attuale Orissa). S. risalenti con sicurezza all'epoca maurya sono noti nel tarāī nepalese (p.es. a Gotihawa, dove accanto allo s. sorge ancora la parte inferiore di una colonna di Aśoka, v. nepal). Sono costruiti ad anelli concentrici, non legati l'uno all'altro, di mattoni cotti di forma trapezoidale attorno a un asse ligneo centrale (yūpa). In India, una precisa forma iconografica dello s. è identificabile a partire dal 100 a.C. circa. Il monumento, massiccio e di grandi dimensioni, consiste in un'emisfera (aṇḍa) poggiante su un basamento (medhi), la cui terrazza serviva da percorso processionale per il rito della circumambulazione (pradakṣiṇāpatha), accessibile per il tramite di una doppia scalinata (sopāna). Sulla sommità dell'aṇḍa poggiava una grande sovrastruttura di pianta quadrata (harmikā) da cui fuoriusciva un palo (yaṣṭi), che costituiva l'estremità superiore del grande pilastro assiale sorgente dal suolo e attraversante il nucleo dello stūpa. Lo yaṣṭi sosteneva un ombrello rituale (chattra), oppure una serie di ombrelli disposti su più registri sullo yaṣṭi (chattrāvalī). L'intero monumento era circondato, al livello dello spiccato, da un pradakṣiṇāpatha esterno, racchiuso da una palizzata di pietra (vedikā), demarcante lo spazio sacro del monumento. La vedikā presentava una forma caratteristica derivata da una più antica struttura lignea costituita da pali (staṃbha) collegati da tre travi trasversali (sūci). Le quattro facce dell'harmikā sono infatti lavorate a imitazione di una vedikā; ciò lascia supporre che anche Yharmika fosse originariamente una piccola recinzione lignea, posta sulla sommità del tumulo e destinata a delimitare lo spazio sacro dello yaṣṭi e degli stendardi cerimoniali e delle ghirlande con cui si onorava il monumento. Nella vedikā esterna, spesso finemente lavorata a rilievo, si aprivano a volte quattro portali (toraṇa), ritualmente posti in corrispondenza dei quattro punti cardinali. A partire dal 100 a.C. circa i toraṇa furono spesso riccamente scolpiti con scene tratte da storie buddhiste.
Durante la costruzione dello s. veniva risparmiata una piccola camera per le reliquie, in genere vicino alla base del pilastro assiale. Le sacre reliquie, solitamente minuscole, erano depositate insieme a gioielli simbolici o perle all'interno di un piccolo reliquiario di pietra, di cristallo di rocca o d'oro, a sua volta racchiuso in una cassetta-reliquiario. Il tutto veniva permanentemente rinchiuso nella camera. Doni di valore e reliquie aggiuntive potevano essere collocati in altri punti dello s. e nel suo spazio sacro, in special modo in occasione di un suo ingrandimento.
La forma esterna del monumento può essere analizzata considerando il Grande Stūpa di Sāñcī (ν. vidiśā), il cui aṇḍa, tuttavia, non si conserva in tutta la sua altezza e la cui harmikā poggia ora, dopo il ripristino primonovecentesco del monumento, sull'emisfera troncata. Lo s. fu ingrandito cinque volte e assunse la sua forma definitiva nel I-II sec. d.C. In pianta è chiaramente visibile l'orientamento rituale dei quattro toraṇa. Quando il buddhismo si diffuse nel resto dell'Asia la forma dello s. subì modifiche assorbendo tradizioni locali.
L'origine dello s. buddhista è descritta nel Mahāparinibbānasūtta, formato dai racconti lasciati dai compagni del Buddha alla fine della sua vita terrena. Il Buddha, all'età di circa 80 anni, aveva lasciato la città di Vaiśālī per recarsi più a N, a Śrāvastī, l'amato rifugio da cui poteva godere della vista dell'Himālaya. Sopraffatto dalla stanchezza e dalla malattia, egli conseguì il parinirvāṇa appena dopo un giorno di viaggio da Vaiśālī, assistito dal fedele Ānaṇḍa e da altri discepoli, nella città di Kusināra (Kuśināgara, v.), nel paese dei Malia. «Allora i Malla di Kusināra chiesero al venerabile Ānaṇḍa: «Che cosa si dovrebbe fare, Signore, dei resti del Tathāgata (il Buddha)?" «Come gli uomini trattano i resti di un re dei re, così, o Vāsettha, essi dovrebbero trattare le spoglie del Tathāgata [...]. Un dāgaba dovrebbe essere eretto in onore del Tathāgata al quadrivio. E chiunque vi deporrà ghirlande o profumi o dipinti, o porgerà il proprio saluto, oppure quieterà il suo cuore in sua presenza - egli da ciò ricaverà profitto e gioia per lungo tempo»» (Mahāparinibbānasūtta, VI, 33). Quindi i Malla allestirono la pira funebre regale (ibid., vi, 34-35), e dopo aver ricevuto segni dal cielo e compiuto atti di reverenza (ibid., vi, 36-49) la cremazione rituale ebbe termine. L'avvenimento successivo richiama gli antichi riti in onore di un re defunto (ibid., vi, 50): «Allora i Malla di Kusināra circondarono le ossa del Beato nella sala consiliare con una grata di lance e con un bastione di archi; e lì, per sette giorni, resero a esse onori e reverenza, rispetto e omaggio, con danze e musiche, e con ghirlande e profumi».
Prima che le reliquie fossero definitivamente deposte, la notizia della morte del Buddha raggiunse il regno del Magadha, il cui re Ajātaśatru richiese che fossero inumate nel suo regno. I Licchavi di Vaiśālī, gli Śākya di Kapilavastu, i Buli di Allakappa, i Koliya di Rāmagrāma, un brahmano di Vethadīpa e il ramo di Pāvā dei Malia (ibid., VI, 51-57) avanzarono richieste simili. I Malia di Kusināra si appellarono a Droṇa, un saggio brahmano che consigliò di dividere le ceneri in otto parti (ibid., vi, 59-60). Ognuno degli otto re, nel proprio regno, elevò un «sacro tumulo» sulla porzione delle reliquie che gli era toccata e onorò lo s. con grandi festeggiamenti. Vi erano in tutto dieci s. contenenti le reliquie del Buddha; i Moriya di Pipphalivana, giunti a divisione delle reliquie avvenuta, portarono via le braci della pira funebre.
Su un pannello scolpito del pilastro occidentale del portale Ν del Grande stūpa di Sāñcī è riprodotta una scena che rappresenta i gioiosi festeggiamenti presso lo s. con i quali i Malla resero onore alla loro parte di reliquie. Ovviamente il rilievo di Sāñcī raffigura uno s. del I sec. d.C. circa, quando si era già sviluppata una precisa iconografia monumentale. L'opportunità di confrontare la possibile concezione originaria dello 5. e il tradizionale rito del suo ingrandimento è offerta dagli scavi degli antichi tumuli, che alcuni studiosi considerano pre-buddhisti, di Lauriyā-Naṇḍangarh (v.), caratterizzati da ripetute foderature realizzate con diversi tipi di terreno, provenienti dai letti di differenti fiumi. Non è emersa nessuna prova di una loro origine funeraria, tuttavia T. Bloch rinvenne lo spezzone di un grande palo assiale alla base del tumulo N, conficcato nel terreno imbevuto di acqua. Alla base dello stesso tumulo, fortemente erosa, N. G. Majumdar scoprì un muro circolare in mattoni di accurata fattura, chiaramente un più tardo intervento atto a proteggere un monumento considerato sacro.
La conversione di Aśoka al buddhismo è documentata nei suoi editti imperiali, iscritti sul fusto di colonne litiche dai capitelli finemente scolpiti fatte erigere dall'imperatore nei siti buddhisti da lui visitati. Il grande Dharmarājika («Dhāmek») s. di Sārnāth (v.), situato in prossimità della colonna di Aśoka di cui si conservano lo spezzone inferiore e il capitello con leoni, è reputato fondazione di Aśoka, nonostante i numerosi ingrandimenti subiti fino verso il VII sec. d.C.; anche il Dharmarājika 5. di Taxila è, nel suo stato originario, fondazione di Aśoka. Il pellegrinaggio compiuto dall'imperatore maurya nei siti buddhisti del tarāī nepalese, ossia la regione di pianure e basse colline al confine settentrionale dell'India, ha trovato testimonianza nel rinvenimento, avvenuto a Rummindei, di un fusto di colonna iscritta di Aśoka posta a segnalare il sito del «Giardino» di Lumbinī dove il Buddha venne alla luce (v. nepal).
Nei rilievi sulle vedikā e sui portali degli s. di Bhārhut e di Sāñcī il Buddha non è rappresentato in forma iconica. La sua presenza è indicata per il tramite di simboli quali un trono vuoto sormontato da un chattra (ombrello cerimoniale), i Buddhapāda (le sacre impronte), l'albero della bodhi (l'Illuminazione), o lo stesso stūpa. A partire dal I-II sec. d.C., quando il dominio kuṣāna si estese all'India gangetica, divenne usuale rappresentare il Buddha in forma antropomorfa, quale immagine da venerare (v. Buddha). Gli s. più importanti continuarono a essere venerati e ingranditi, ma sempre maggiore sviluppo ebbero i templi destinati a ospitare le immagini sacre e i monasteri, quali centri di insegnamento. Lo s. rimase il monumento principale del complesso monastico, ma venne a trovarsi al centro di una grande corte, circondato col tempo da numerosi s. minori, spesso finemente decorati, innalzati sui resti di santi monaci e anche di laici.
A S dei monti Vindhya molti importanti monumenti sorsero sul basso corso dei fiumi Krishna e Godavari. Gli s. di Jaggayapeta, Bhattiprolu, Ghaṇṭaśālā e di molti altri centri, venuti alla luce in sempre maggior numero negli ultimi decenni (v. veṅgipura), sono quasi completamente espoliati, e sono poche le sculture che ne testimoniano la magnificenza nei primi secoli dell'era volgare. Numerosi rilievi del grande s. di Amarāvatī furono messi in salvo nel XIX sec. e sono ora conservati nel Government Museum di Madras e nel British Museum di Londra. È possibile osservare su alcuni di questi rilievi rappresentazioni dello s. nel periodo della sua massima gloria, intorno alla fine del II sec. d.C. Va notata la caratteristica peculiare dello s. dell'India meridionale, gli aggetti - āyaka - presenti però anche a Vaiśālī, in corrispondenza di ciascun punto cardinale, sormontati da cinque pilastri.
Un'interessante sopravvivenza di un'arcaica tradizione buddhista si può riconoscere nelle grotte-santuario (caityagṛha) che hanno all'interno uno s. scavato nella roccia, sempre associate a monasteri rupestri, come a Kārlī e Bhājā.
Śrī Laṅka. - L'isola fu il primo regno fuori dell'India ad accogliere il buddhismo, tramite una missione inviata dall'imperatore Aśoka nel 251 o 250 a.C. al re Tissa di Tāmraparnī e guidata da Mahendra (Mahinda), fratello minore, o forse figlio, di Aśoka. Il re Tissa fu convertito al buddhismo e un monastero venne edificato nella sua capitale, Anurādhapura; inoltre il re fece costruire il primo s. dell'isola che, secondo la tradizione, contiene una clavicola del Buddha. Presso il santuario fu piantato un ramo dell'albero della bodhi. Lo s. porta lo stesso nome del monastero - Thūpūrāma - e sebbene abbia subito numerosi rifacimenti è tuttora meta di pellegrinaggi. Mahendra si stabilì nell'isola e vi morì all'inizio del regno del successore di Tissa, Uttara (c.a 207-197 a.C.). Le sue ceneri furono divise e deposte in una serie di dāgaba a lui consacrati, il più famoso idei quali è quello costruito presso la sommità della collina sacra di Mihintaḷē, c.a 12 km a E di Anurādhapura, dove aveva avuto luogo il primo incontro tra Mahendra e il re Tissa. Lo s. di Mihintaḷē presenta molte affinità architettoniche con il Thūpārāma, sebbene anch'esso sia stato notevolmente restaurato.
Dhuṭṭagāmanī (161-137 a.C.), un principe della casata di Mahāgāma, sconfitti i Tamil che avevano conquistato Anurādhapura, pose l'intera isola sotto la sua sovranità. Costruì due dāgaba nella capitale ricostruita, di dimensioni maggiori rispetto a tutti gli altri già esistenti nell'isola. Il primo di essi, il Maricavaṭṭi (Mirisvati dāgaba), si tramaṇḍa che sia stato innalzato sopra lo scettro del re e che contenga reliquie. Il secondo, il Mahāthūpa («grande s. ») di Dhuṭṭagāmanī, tradizionalmente denominato Ruvanväli, «ghirlaṇḍa di gioielli», era - all'epoca della sua costruzione - il più grande dāgaba di tutto il mondo buddhista. Di dimensioni ancora maggiori è il Jetavana dāgaba, fatto costruire in una solida struttura in mattoni dal re Mahāsena (c.a 362-389 d.C.), a costituire il luogo di culto centrale di un terzo grande monastero ad Anurādhapura.
L'aṇḍa dei più antichi dāgaba singalesi è alquanto più slanciata rispetto alla forma spiccatamente emisferica tipica dell'India, presentandosi con una curva lievemente parabolica. Alla sua sommità era un'harmikā quadrata. Non si dispone di dati certi sulla forma esatta della sovrastruttura originaria (yaṣṭi e chattrāvalī); l'insieme degli interventi di restauro ha avuto come esito un'alta guglia conica recante delle divisioni incise, atte a simboleggiare i vari livelli della chattrāvalī, oggi riconosciuta come terminazione superiore tipica degli s. singalesi.
Birmania. - Da fonti epigrafiche indiane sappiamo che Aśoka inviò missionari dell'India alla Suvarṇabhūmi, la «Terra d'oro», solitamente identificata con la Birmania meridionale, ma probabilmente includente altri territori e isole della regione costiera. Analogamente le cronache birmane dichiarano che a Thatön (Sudhammavatī), nella Birmania meridionale, il buddhismo fu introdotto da due missionari maṇḍati da Aśoka, Sona e Uttara.
A Thatön, dove sorse una delle città principali dei Môn, sono state riportate alla luce immagini scultoree induiste ed è stato individuato un antico centro buddhista.
Anche la popolazione Pyu, il cui regno si estendeva nel bacino dell'Irrawaddy, fu sottoposta all'influenza indiana. Nel corso del I millennio d.C., i Pyu costruirono città con edifici in mattoni e caratterizzate da un peculiare impianto urbanistico presso Prome, Shwebo e Taung- dwingyi.
Nelle rovine di Śrīlkṣetra, fuori le mura della vecchia Prome, si conservano tre alti s., il Bawbawgyi, il Payagyi e il Payama. L'indagine archeologica ha consentito di riconoscere nell'antica Prome un centro del buddhismo Theravāda, sebbene vi siano state rinvenute immagini sia Mahāyāna che hindu. Le rovine di Beikthano, c.a 20 km a O di Taungdwingyi, costituiscono ciò che resta di una tipica città Pyu in mattoni: tuttavia essa non ha restituito immagini religiose buddhiste o hindu. Nel regno dei Pyu il buddhismo era probabilmente circoscritto ad alcuni centri commerciali.
Nel corso del IX sec. d.C., sia il regno Môn che il regno Pyu furono sopraffatti da invasori provenienti dallo Yunnan. Una più tarda ondata di invasori, i Birmani, originari delle montagnose regioni del Nord, si spinsero verso S per insediarsi nella piccola piana dove il fiume Chindwin si unisce all'Irrawaddy. Fu qui che il re Anôratha (1044-1077 d.C.) diede origine alla dinastia di Pagan. Secondo le cronache Anôratha fu convertito al buddhismo Theravāda dal monaco Shin Arahan di Thatön. Rilievi di basamenti e immagini scultoree rinvenuti nell'area sacra dello s. Shwesandô di Pagan testimoniano i legami del buddhismo con i culti locali. L'imponente gruppo di templi e s. buddhisti fatti edificare dai re di Pagan nel corso dei due secoli si rivelano di particolare bellezza.
Gli s. birmani (zedi) sono strutture solide; l'aṇḍa, a forma di campana, di cupola o di bulbo, poggia su un ampio basamento costituito da una serie di terrazze di misure decrescenti verso l'alto. L'harmikā è di solito assente: l'alta terminazione del monumento, di forma conica, sorge direttamente dalla sommità dell'aṇḍa.
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(J. Irwin)
Nord-Ovest del Subcontinente Indiano e Asia Centrale. - II Gandhāra, che sarà qui inteso nella sua accezione più ampia, ossia come il territorio compreso tra l'Afghanistan orientale e il Panjab, ebbe un ruolo cruciale nell'evoluzione tipologica dello stūpa. E in questa regione che al modello tradizionale di s. - una semplice emisfera (aṇḍa) con o senza basamento di pianta circolare (che pure ha lasciato qui importanti testimonianze) - furono apportate innovazioni formali significative. Da queste ebbe origine, intorno agli inizi dell'era volgare, quello che H. G. Franz definisce lo s. «classico», che trova nel basamento di pianta quadrata il suo principale tratto distintivo (v. oltre).
Fatta eccezione per la categoria degli s. -torre dell'oasi di Turfan, che sembra siano da considerare esito specificamente locale, le tipologie dei numerosissimi s. conservatisi in Asia centrale (in particolare nel Xinjiang), anche se spesso in condizioni assai deteriorate, traggono origine dalla tradizione gandharica. Data l'esistenza di questo legame evolutivo tra le due regioni, la presente sintesi sarà basata su un criterio tipologico piuttosto che geografico.
Per quanto concerne le tecniche costruttive e i materiali impiegati, la maggioranza degli s. delle regioni collinari e montuose del Nord-Ovest indiano è costituito da un nucleo di pietre con un paramento in una più accurata muratura in blocchi di schisto o talco, o in mattoni crudi (nella pianura gandharica e in alcune aree afghane), in certi casi reso più solido da una struttura muraria interna radiale (p.es. nel Dharmarājika a Taxila). Il monumento era poi rifinito da uno strato di stucco e le pareti dei corpi cilindrici presentavano spesso una ricca decorazione in pietra a rilievo figurato, all'interno di un inquadramento architettonico costituito da semicolonne o lesene, cornici e basi modanate. Questa produzione scultorea di soggetto buddhista costituisce la fonte principale per la nostra conoscenza dell'arte del Gandhāra. Benché le strutture conservate non ne serbino traccia, anche il legno potrebbe aver trovato impiego nella costruzione degli s., soprattutto se di dimensioni particolarmente imponenti. Come suggerisce A. Foucher, potrebbero essere state lignee le strutture del gigantesco s. che ancora si ergeva a Peshawar all'epoca della visita di Xuanzang (VII sec.), fatto costruire, secondo la tradizione, dal re Kaniṣka.
In Asia centrale l'assenza o estrema scarsezza di pietra imponeva l'uso del materiale da costruzione principe della regione, il mattone crudo; anche qui la muratura era rifinita da un rivestimento di argilla o gesso, e in questi materiali era realizzata anche la decorazione figurata, della quale, soprattutto nel Xinjiang, ci è pervenuta un'ampia documentazione. Solo in alcune zone è attestato un uso parsimonioso della pietra per la realizzazione di parasoli (chattra), rivestimenti e decorazioni, p.es. in Battriana (Airtam, Kara Tepe).
Ricorderemo inoltre che gli s. gandharici, e come questi anche i centroasiatici, si differenziano dai più antichi s. dell'India per l'assenza della vedikā, la balaustra esterna che racchiude lo spazio destinato alla circumambulazione rituale del monumento (pradakṣiṇāpatha); in alcuni casi (Butkara I e Saidu Sharīf) la balaustra è presente sul corpo dello stūpa.
S. con basamento di pianta circolare. - Nel Nord-Ovest indiano se ne contano alcuni esempî la cui fondazione è datata, con un indice variabile di sicurezza, a una fase molto antica della presenza del buddhismo nella regione, in alcuni casi a epoca maurya. Oltre a monumenti noti da lungo tempo, come gli s. a basamento circolare di Mānikyāla e di Jamālgaṛhī e lo s. Dharmarājika di Taxila, appartiene a questa categoria anche il Grande stūpa di Butkara I, nello Swāt, oggetto di indagini approfondite da parte della Missione Archeologica Italiana in Pakistan (Faccenna, 1980). Il monumento, fulcro dell'area sacra, ha rivelato cinque periodi costruttivi, attribuiti, sulla base dei reperti monetari, a un arco cronologico compreso tra il III sec. a.C. e l'VIII sec. d.C. Nel corso del tempo lo s. di Butkara si accresce progressivamente nelle dimensioni e subisce svariati rimaneggiamenti e interventi decorativi che tuttavia non ne modificano sostanzialmente la forma originaria, mentre lo spazio circostante viene occupato da un numero crescente di s. di minori dimensioni, per la maggior parte appartenenti al più tardo tipo a basamento quadrato. Va inoltre ricordato che tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C. il Grande stūpa viene circondato da una serie di colonne; di queste si conservano le basi che denotano una certa varietà tipologica.
Lo s. a basamento circolare ha lasciato testimonianze anche in Asia centrale, risalenti tuttavia a non prima dell'epoca kuṣāna. A questo modello appartiene il più antico degli s. del complesso buddhista di Kara Tepe e lo s. principale del vicino monastero di Fayaz Tepe (diam. di base c.a 3 m), successivamente inglobato in un più imponente s. a basamento quadrato. In epoca alquanto più tarda (III-IV sec. d.C.) questa tipologia è esemplificata dai due s. M.III e M.V di Miran, nel Xinjiang sud-orientale. Entrambi i monumenti, con base circolare modanata (diam. c.a 4 m), tamburo cilindrico e aṇḍa, sono inseriti in costruzioni di pianta quadrata, probabilmente prive di copertura, decorate all'interno da pitture di soggetto buddhista che costituiscono il principale supporto per la cronologia del sito. Di tipo analogo a quello degli s. di Miran sono alcuni esemplari in miniatura (in bronzo e in legno) da Loulan.
S. con basamento di pianta quadrata. - Sue caratteristiche peculiari sono la sostituzione del tradizionale basamento circolare con uno di pianta quadrata, che può articolarsi in due o tre corpi di dimensioni decrescenti verso l'alto, e l'interposizione di un tamburo cilindrico tra il basamento e l'aṇḍa, che conferisce al monumento una forma più slanciata. Gli s. di maggiori dimensioni presentano, solitamente sul lato N, una scalinata d'accesso alla sommità del corpo di base.
Lo s. con basamento quadrato compare intorno agli inizî dell'era cristiana; il Franz (1980) ne indica l'esempio più antico nello s. «dell'aquila bicipite» di Sirkap (Taxila), datato agli inizi del I sec. d.C., la cui base è ornata da una serie di nicchie sormontate da coperture a timpano, ad arco «a caitya» e a toraṇa, ma che non presenta decorazione figurata, fatta eccezione per i motivi zoomorfi. Appartiene a questa tipologia la stragrande maggioranza degli s., sia isolati sia all'interno di monasteri, nel Gandhāra propriamente detto come nello Swāt, nei complessi monastici di Taxila, nel Panjab, come in quelli di Haḍḍa, in Afghanistan. Un ulteriore contributo allo studio dell'evoluzione di questo tipo di monumento nel Nord Ovest è fornito dalle rappresentazioni di s. in disegni rupestri nell'alta valle dell'Indo, che coprono un arco cronologico compreso tra il I sec. a.C. e il XIII sec. d.C. (Ebert, 1994). Una tipologia peculiare all'area gandharica è quella dello s. a colonne (Faccenna, 1986), così detto proprio perché le colonne, che in altri s. poggiano sul pavimento intorno al monumento (Grande Stūpa di Butkara I) o ai suoi angoli (s. di Pānr, nello Swāt), sono collocate sulla sommità del basamento di pianta quadrata, in corrispondenza degli angoli, entrando in un legame organico con il monumento (Saidu Sharīf e Tokar Dara, nello Swāt, s. ΤΚι di Tapa Kalān a Haḍḍa, s. del Block G a Sirkap). Costruite, a seconda dei siti, in blocchetti di talco o in mattoni crudi, esse hanno conservato di rado l'elemento di coronamento che, tuttavia, a Saidu Sharīf e a Sirkap è costituito da un capitello persepolitano sormontato da leone, del tutto simile a quello che corona le colonne di s. rappresentati in rilievi gandharici; in questi notiamo inoltre che l'altezza delle colonne raggiunge l'apice del parasole o il suo primo disco. Con ogni verisimiglianza esse rappresentavano simbolicamente emanazioni del Buddha, incarnato nel pilastro assiale dello s. principale.
Lo s. a base quadrata è il tipo più diffuso in Asia centrale. Gli esempî più antichi (I-II sec. d.C.) sono venuti alla luce a Kara Tepe; alla stessa epoca si data la «torre di Zurmala», anche questa nell'area di Termez. Di particolare interesse storico, sebbene di cronologia dibattuta, è l'imponente s. n. 1 di Gyaur Kala (Merv), in mattoni crudi, che ha rivelato quattro fasi costruttive datate tra il IV e il VI/VII sec.; nell'ultima fase la base raggiungeva c.a 15 m di lato. Anche questo s. riproduce uno schema formale gandharico e il rapporto con il Nord Ovest indiano è sottolineato dalla presenza di due colonne alla sommità della scalinata di accesso (Pugačenkova, Usmanova, 1995). Nel Xinjiang, fatta eccezione per Karašahr e Turfan, s. a base quadrata si ritrovano praticamente in tutti i complessi buddhisti indagati lungo i due tracciati della «via della seta» (Kašgar, Niya, Miran, Loulan, Kuča). I metodi di indagine e il deplorevole stato di conservazione (spesso se ne conserva solo la base) rendono in molti casi ardua una ricostruzione attendibile di questi monumenti; altrettanto difficile è generalmente stabilire ima cronologia precisa, tuttavia non sembra vi siano esempî databili con certezza a prima del III-IV sec. d.C. Esemplari di dimensioni ragguardevoli sono stati individuati a Kašgar (s. di Kurgan-tim, 49 x 40 m c.a) e Subaši (nella «città orientale», s. con base misurante 20 m di lato). In alcuni siti sono attestati s. a basamento quadrato ma privi di tamburo.
S. di pianta stellare (o cruciforme). - Variante relativamente tarda del tipo precedente, esso presenta quattro scalinate di accesso alla sommità del corpo di base, una al centro di ciascun lato. La testimonianza più antica sembra si debba identificare con il grande s. di epoca kuṣāna di Fayaz Tepe, in Battriana, che ingloba uno s. a base circolare (v. sopra). In area gandharica appartiene a questa tipologia lo s. di Bhamāla (Taxila), che, datato al V-VI sec., è approssimativamente coevo di altri esempî venuti alla luce in Asia centrale, il più noto dei quali è lo s. di Rawak (IV-VI sec.), nel Xinjiang, misurante 23,50 m di lato alla base. Del medesimo tipo, ma di dimensioni assai più contenute (base 3,7 m di lato), è lo 5. F.VI di Farhād Beg Yailaki, nella stessa regione. Nel V-VI sec., il Grande Stūpa di Ušturmullo (Taǰikistan meridionale), originariamente (III-IV sec.) dotato di una sola scalinata, assume pianta stellare; nel VII sec. ritroviamo la medesima tipologia nel monastero di Afina Tepa, sempre in Tajikistan, sia nello s. principale (28 m di lato alla base) sia in alcuni s. minori, e nell'area sacra di Tapa Sardār, presso Ghazni (Afghanistan), testimoniata da cinque piccoli s. votivi con basamento di pianta stellare poggiante su un fiore di loto dai petali rovesciati; in uno di essi le pareti del basamento sono decorate da immagini a rilievo del Buddha stante. Un gruppo di s. in miniatura venuto fortuitamente alla luce a Gūdul-e Āhangarān, non lontano da Tapa Sardār (Taddei, 1970), riproduce lo stesso modello formale, sebbene in alcuni casi manchi la base lotiforme; ottenuti a stampo, misurano alla base dai 3 ai 12 cm (in genere c.a 9 cm). Esemplari del tutto affini ai suddetti (ma senza base lotiforme) provengono dai complessi buddhisti di Aǰina Tepa e Khišt Tepe, che si aggiungono a quelli rinvenuti agli inizi del nostro secolo da A. Stein a Kharakhoto, nel Xinjiang. Ampiamente attestati anche in India e in Tibet, questi oggetti, che possono recare la formula di fede iscritta al loro esterno o su una tavoletta inserita al loro interno, avevano verisimilmente la funzione di consacrare s. più grandi.
S.-torre. - Testimoniato quasi esclusivamente nell'oasi di Turfan e noto anche come «Pfeilertempel», secondo una definizione coniata da A. Grünwedel, lo s. -torre è un alto edificio di pianta quadrata che può avere una terminazione emisferica. Ve ne sono a pareti esterne lisce («Pfeilertempel π» a Qočo), o suddivise in diversi registri mediante cornici («tempio y» a Qočo, «stūpa Tempel» a Toyuq), a volte di forma progressivamente rastremata verso l'alto. In altri casi essi presentano una grande nicchia alla base di ciascun lato, ospitante una immagine di culto, e in alto file sovrapposte di nicchie più piccole, anche queste destinate a contenere sculture (p.es., s.-torre ρ e W a Qočo); in certi casi i registri di nicchie potevano essere rientranti procedendo verso l'alto (Grande Stūpa di Sïrkup, Turfan). La fase di transizione tra il tipo gandharico e lo s.-torre potrebbe essere rappresentata dal «tempio Y» di Qočo, consistente in un imponente basamento articolato in tre corpi progressivamente rientranti, ciascuno con una fila di nicchie, sormontato da un corpo di pianta quadrata, anche questo decorato da nicchie. Di forma analoga sono il c.d. Taisan di Astāna e uno s. di Mori-tim (Kašgar). A Yar e a Qočo («tempio P») troviamo infine un interessante tipo di impianto monumentale costituito da una piattaforma quadrangolare (74 m di lato a Yar) su cui poggiano un grande 5. centrale, con base quadrata con una nicchia su ciascun lato e scalinata sul lato Ν (Yar) o su tutti i lati (Qoco), sormontata da tamburo cilindrico e aṇḍa, circondato da quattro più piccoli s. -torre; altri quattro gruppi di cinque 5.-torre sorgevano ai quattro angoli della piattaforma. Entrambi i monumenti si datano intorno al- l'VIII sec. e sono di probabile committenza uigura.
La questione dell'origine di questa tipologia non è facilmente risolvibile data l'incertezza che grava sulla cronologia delle relative testimonianze, collocate approssimativamente tra il VI e l'VIII secolo. Genericamente ricollegati a una tendenza alla verticalizzazione già presente nel Gandhāra, della quale rappresenterebbero un esito estremo, è pur vero che questi monumenti non mostrano una evidente parentela formale con le tipologie note nel Nord- Ovest indiano e in Asia centrale occidentale. La comparsa di simili strutture turrite (con cornici, ma senza nicchie) nei rilievi di Yungang (ultimo quarto del V sec.) potrebbe provare un'origine cinese. Tuttavia il Franz (1980, p. 43 ss.) adduce argomenti convincenti a sostegno dell'ipotesi contraria, cioè che l'influsso si sia esercitato da Ovest verso Est e che gli s.-torre del Xinjiang siano da porre all'origine di certi tipi di pagoda.
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(C. Lo Muzio)
Cina: v. pagoda.