Stupefacenti. Novita normative e assestamenti giurisprudenziali
La sostanziale stabilità dell’impianto normativo fissato, nelle sue linee generali, dal d.P.R. 9.10.1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope) non ha escluso, nell’ultimo anno, l’insorgenza di questioni nuove o controverse nell’applicazione concreta della legge, sia in sede di giurisdizione (pressoché esclusivamente penale), sia in sede amministrativa. Persistono, in particolare, vecchi problemi e nodi irrisolti, per la cui soluzione si sono, in più di un caso, investite le Sezioni Unite penali della Corte di cassazione. Purtroppo, anche in questo settore, una legislazione incerta non ha giovato alla chiarezza delle soluzioni giurisprudenziali, spesso oggetto di deprecabili contrasti. Considerati i fallimenti registrati sin qui nella lotta alla diffusione della droga con strumenti di pura repressione, forse è giunta l’ora di studiare un approccio diverso, in cui sia posta in primo piano l’educazione, e non la punizione, delle giovani generazioni.
In un Paese, come il nostro, che non ha mai curato di avere, verso il tema “stupefacenti”, strategie diverse da quella repressiva – pur nell’accertata presenza di una larga maggioranza della popolazione non ostile a processi di portata antiproibizionista, se non altro con riguardo alle “droghe leggere” – non è un caso che il testo unico del 1990 si sia arricchito, nel corso del 2011, di ulteriori novità che confermano le tendenze rigoristiche della precedente legislazione.
1.1 I più recenti interventi normativi. Ambiti definitori
Difatti, se il più recente intervento legislativo, attuativo di normativa comunitaria in materia di precursori di droghe, era dovuto a seguito della delega contenuta nell’art. 45 l. 4.6.2010, n. 96 (Legge comunitaria 2009), non dovuto appariva il più aspro trattamento sanzionatorio attuato con il conseguente d.lgs. 24.3.2011, n. 50, che ha previsto, all’art. 1, modifiche al testo unico quasi sempre in termini di più accentuata severità. In particolare, è stato integralmente sostituito l’art. 70, che individua ora, al comma 1, le «sostanze classificate o precursori di droghe», in gran parte coincidenti con quelle classificate nelle categorie 1, 2 e 3 dell’allegato I al reg. (CE) 11.2.2004, n. 273/2004 e dell’allegato al reg. (CE) 22.12.2004, n. 111/2005, compresi miscele e prodotti naturali contenenti tali sostanze. Il rinvio alle tabelle comunitarie comporta, da un lato, la sostituzione dell’elenco dei precursori già allegato allo stesso d.P.R. 9.10.1990, n. 309, dall’altro la recezione, nell’elenco, di eventuali nuove sostanze che fossero, in futuro, inserite nelle tabelle comunitarie (cd. rinvio mobile).
Sono esclusi dalla nozione di precursore i medicinali, i preparati farmaceutici, le miscele, i prodotti naturali e gli altri preparati contenenti sostanze classificate, ma composti in modo tale da non poter essere utilizzati o estratti con mezzi di facile applicazione o economici.
Sempre l’art. 70, co. 1, definisce, poi, gli «operatori» e dà la nozione di «immissione sul mercato» delle sostanze classificate.
1.2 Le norme penali
Non è possibile in questa sede una illustrazione dettagliata dei vari profili su cui la novella ha inciso, e in particolare di quelli disciplinati dai commi del nuovo art. 70 immediatamente successivi al primo, riguardo alle modalità di esercizio delle attività aventi ad oggetto le sostanze classificate.
Serve qui soffermare l’attenzione sulle disposizioni che configurano le sanzioni penali poste a presidio dell’osservanza degli obblighi relativi all’esercizio di attività concernenti sostanze classificate. E accennare, naturalmente, ai loro rapporti con la disciplina preesistente.
L’immissione sul mercato di precursori di categoria 1, nonché la detenzione, l’importazione o l’esportazione degli stessi senza licenza, integra il delitto previsto nell’art. 70, co. 4, ed è punita con la reclusione da quattro a sedici anni e con la multa da 15.000 a 150.000 euro.
Il comma citato prevede inoltre una circostanza aggravante speciale – che comporta la reclusione da sei a venti anni e la multa da 26.000 a 260.000 euro – allorché l’autore del fatto sia titolare di licenza o autorizzazione rilasciata per sostanze diverse o sia soggetto registrato per le attività relative ai precursori di categoria 2 o 3. Ove ricorra tale aggravante è prevista, in caso di condanna, l’irrogazione della pena accessoria della revoca della licenza e del divieto di ulteriore rilascio per i successivi sei anni. La stessa disposizione prevede che, «con la sentenza di condanna», il giudice disponga anche la sospensione dell’attività svolta dall’operatore registrato per un periodo non inferiore a quarantacinque giorni e non superiore a un anno e sei mesi. Non sembra che l’uso di una formula lessicale diversa (nel primo caso «alla condanna consegue la revoca … »; nel secondo «con la sentenza di condanna il giudice dispone inoltre ... ») comporti conseguenze di rilievo. È certo che, in caso di “patteggiamento” cd. allargato, anche in considerazione dell’equiparazione – qui non oggetto di deroga – della relativa sentenza a una pronuncia di condanna (art. 445, co. 1-bis, c.p.p.), le predette pene accessorie debbano essere applicate. È arduo, infatti, pensare che la seconda di esse (sospensione dell’attività) consegua solo a sentenza emessa all’esito di un rito implicante la piena cognizione del merito da parte del giudice. Nulla autorizza a ritenere, in particolare, che l’espressione «sentenza di condanna» non comprenda anche la pronuncia emessa all’esito del giudizio abbreviato o dello stesso rito di “patteggiamento allargato”. Per di più, nella formula di legge sussiste un’evidente continuità logica tra prima e seconda sanzione, sottolineata dall’inoltre con cui si “aggiunge” la seconda misura punitiva. Né si potrebbe plausibilmente attribuire a un elemento ambiguo il senso di un tecnicismo che sembra esulare dai fini di un legislatore non qualificabile come esempio di perfezione.
Le stesse condotte, ad eccezione della detenzione, integrano l’elemento materiale anche del meno grave delitto previsto dall’art. 70, co. 6, ove vengano realizzate in assenza di registrazione dai soggetti che vi sono invece tenuti nei termini già indicati.
Il comma in esame prevede più figure di reato con autonomi trattamenti sanzionatori, secondo che oggetto dell’attività illecita siano i precursori di categoria 2 o 3, per i quali ultimi, peraltro, l’unica condotta di rilievo penale è quella dell’esportazione.
Nel primo caso la pena è quella della reclusione da tre a otto anni e della multa da 6.000 a 60.000 euro, mentre nel secondo è quella della reclusione fino a quattro anni e della multa fino a 2.000 euro.
Analogamente a quanto già esposto con riguardo alle figure delittuose succitate, è prevista un’aggravante speciale per l’ipotesi che il fatto sia commesso da soggetto qualificato, e cioè da soggetto titolare di una licenza o di una registrazione relativa ad altre tipologie di precursori; anche in tal caso la formulazione letterale è del tutto sovrapponibile a quella già esaminata a proposito del delitto di immissione sul mercato e detenzione di precursori senza licenza e pone gli stessi problemi interpretativi, con la medesima soluzione già esposta.
Va, peraltro, aggiunto, che – date le pene più miti previste – qui non può escludersi l’accesso al patteggiamento ordinario, che preclude l’irrogazione delle pene accessorie (art. 445 c.p.p.).
Ulteriori ipotesi delittuose sono indicate nel co. 10 dell’art. 70 per i casi di esportazione o importazione in assenza di autorizzazione, se richiesta. Anche in quest’ambito sono incluse più norme incriminatrici che prevedono sanzioni differenziate, secondo che l’illecito riguardi i precursori di categoria 1 o quelli di categoria 2 o 3. Tali sanzioni sono individuate mediante un rinvio a quelle previste, rispettivamente, dai co. 4 e 6 dello stesso art. 70 per i delitti di violazione dell’obbligo di licenza o di registrazione.
La tecnica utilizzata («chiunque … è punito ai sensi del comma …») sembra avallare l’idea che il rinvio operi solo quoad poenam e non anche riguardo alle circostanze aggravanti previste dai citati commi ed alle conseguenti pene accessorie.
Infine, con un’integrazione dell’art. 74, co. 1, d.P.R. n. 309/1990, l’associazione finalizzata al narcotraffico è stata estesa anche ai precursori, salvo che le attività illecite non abbiano ad oggetto le sostanze classificate nella categoria 3 delle tabelle. Sono stati anche estesi ai precursori oggetto di confisca l’obbligo di distruzione e la disciplina delle relative modalità di cui, rispettivamente, ai co. 4 e 5 dell’art. 87 dello stesso testo unico.
Infine, l’art. 2 d.lgs. n. 50/2011 ha inserito gli stessi delitti menzionati in precedenza anche nell’elenco previsto dall’art. 9, co. 6, l. 16.3.2006, n. 146, dei reati per il cui accertamento la polizia giudiziaria e le autorità doganali possono, in caso di necessità, differire od omettere gli atti di propria competenza. Da ultimo, sono state anche previste tre figure di contravvenzione, punite tutte con pena alternativa (arresto fino a un anno o ammenda da 300 a 3.000 euro) e quindi suscettibili di oblazione facoltativa. Per due di esse è prevista una clausola di riserva espressa che le rende configurabili solo ove il fatto non costituisca un più grave reato.
In caso di condanna è in facoltà del giudice, anche quando infligga la sola pena pecuniaria, irrogare la pena accessoria della revoca della licenza con divieto di ulteriore rilascio per un periodo di quattro anni e della sospensione da un mese a un anno delle attività concernenti i precursori di categoria 2 e 3.
La prima delle contravvenzioni, prevista dal co. 11 dell’art. 70, riguarda la violazione dell’obbligo di fornire all’interno del territorio dell’Unione i precursori di categoria 1 soltanto a operatori in possesso di licenza per l’utilizzo delle medesime sostanze.
La seconda, contemplata nel co. 16 dell’art. 70, si realizza con la violazione degli obblighi di comunicazione alla Direzione centrale per i servizi antidroga del Ministero dell’interno circa le operazioni di importazione, esportazione e transito verso paesi extracomunitari o di commercio con paesi comunitari di precursori di categoria 1 e 2, ovvero anche di precursori di categoria 3, ove tali operazioni siano soggette ad autorizzazione.
La terza contravvenzione è prevista invece dal co. 19 dello stesso articolo e riguarda le condotte di ostacolo o impedimento allo svolgimento delle attività di vigilanza, controllo e ispezione attribuite al Ministero della salute e per la cui esecuzione lo stesso può avvalersi degli organi di polizia. A tal fine il co. 18 dell’art. 70 stabilisce che gli operatori sono tenuti a esibire ai funzionari del Ministero della salute e agli appartenenti alle forze di polizia tutti i documenti inerenti alla licenza o alla registrazione.
È presto per poter tracciare un quadro completo degli effetti delle novità alle quali si è accennato nel precedente paragrafo, anche se non possono mancare osservazioni di prima lettura accanto a qualche indicazione già fornita nel corso dell’esposizione.
2.1 I rapporti delle nuove fattispecie con l’assetto normativo previgente
Vengono anzitutto in rilievo i rapporti con le disposizioni precedentemente in vigore.
La riscrittura delle figure di reato previste dall’art. 70 e l’abrogazione di quella contenuta nel co. 2-bis dell’art. 73, disposta dal d.lgs. n. 50/ 2011, determina una successione di leggi penali nel tempo e, con essa, dà luogo ai consueti connessi problemi interpretativi, prevalentemente legati alla ritenuta discontinuità o continuità normativa.
Nell’esame delle fattispecie previste dal “vecchio” e dal vigente testo di legge, sembra di poter affermare con certezza come identica sia la ratio ispiratrice delle une e delle altre: si è in presenza, in entrambi i casi, di reati di pericolo, funzionali alla tutela degli stessi beni giuridici cui presiedono le incriminazioni delle attività illecite aventi ad oggetto le sostanze droganti vere e proprie.
Attraverso la repressione di condotte riguardanti i precursori, la tutela viene notevolmente anticipata fino a coprire addirittura, mediante ipotesi contravvenzionali, l’adempimento di obblighi funzionali.
Se questo è vero, non sembra poter essere invocata, in relazione alle nuove incriminazioni, discontinuità con le precedenti, se non sotto il duplice profilo del novum di alcune figure di reato, di nuove circostanze aggravanti e di aggravamento della tipologia di illecito.
Difatti, su un piano generale, le condotte tuttora penalmente rilevanti continuano a riguardare la violazione dell’obbligo, variamente modulato, di operare con i precursori solo previa autorizzazione dell’autorità e di quello di agevolarne l’attività di vigilanza. Né le modifiche apportate dalla novella alla disciplina amministrativa delle sostanze classificate in categoria 1 sembrano tali da comportare effetti di discontinuità sul versante penale.
Pertanto, nei casi in cui il legislatore abbia reso più severe le pene previste per quelle fattispecie in relazione alle quali può formularsi un giudizio di continuità normativa, deve trovare applicazione il trattamento più favorevole per i fatti commessi prima dell’entrata in vigore della novella.
Nell’unico caso di modificazione in mitius (pena prevista per il delitto di immissione sul mercato di precursori di categoria 1 meno severa di quella fissata nell’abrogato co. 2-bis dell’art. 73), il più favorevole regime sanzionatorio introdotto dalla novella è applicabile anche ai reati commessi prima del suo avvento e non ancora definiti con sentenza irrevocabile.
Fatta questa premessa, va segnalato che:
a) nuova è la previsione della condotta di detenzione senza licenza, la quale pertanto è destinata a operare solo per il futuro, mentre le altre attività già penalmente rilevanti, se esercitate in assenza di autorizzazione, sono sostanzialmente sovrapponibili a quelle ora ricondotte alla nozione di attività di immissione sul mercato per come definita dal d.lgs. n. 50/2011 (in senso strettamente letterale il cd. “immagazzinamento” potrebbe dar luogo a qualche dubbio; ma è verosimile ritenere che al banco giudiziario i dubbi sarebbero fugati agevolmente, tenuto conto della identità di ratio);
b) anche la contravvenzione prevista dall’art. 70, co. 16, appare di nuovo conio, giacché punisce la violazione di un obbligo di comunicazione già previsto nel previgente testo dello stesso articolo al comma 3, ma non presidiato da sanzione penale;
c) un connotato di novità si riscontra anche per la circostanza aggravante ricollegata al possesso di una licenza o di una registrazione per sostanze diverse da quelle oggetto dell’operazione;
d) è stata trasformata in delitto la contravvenzione di esportazione senza permesso di sostanze classificate in categoria 2 e 3 (già co. 13 del “vecchio” art. 70) e pertanto, pur a fronte dell’evidente continuità tra le due previsioni, ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2011 continua ad applicarsi la più favorevole disposizione del citato comma 13.
2.2 Questioni aperte
Non è agevole redigere un elenco delle questioni alle quali la disciplina posta dal d.lgs. n. 50/2011 potrà dare luogo nelle sue applicazioni pratiche.
E non è un caso che sin qui non risultino in giurisprudenza decisioni che abbiano affrontato alcuna delle questioni alle quali si è fatto cenno nel corso dell’esposizione.
Uno dei problemi sicuramente più seri riguarda proprio l’incipit della novella, che aspirerebbe a definizioni puntuali e precise: obiettivo che non potrebbe dirsi raggiunto, sia con riguardo ai profili oggettivi delle fattispecie descritte, sia relativamente all’individuazione dei destinatari dei precetti penalmente sanzionati.
Difatti, come si è sottolineato, sono espressamente esclusi dalla nozione di precursore i medicinali, i preparati farmaceutici, le miscele, i prodotti naturali e gli altri preparati contenenti sostanze classificate, ma composti in modo tale da non poter essere facilmente utilizzati o estratti con mezzi di facile applicazione o economici. Questa vaga e generica formula è idonea a prestarsi, per la sua elasticità, a molteplici interpretazioni (non importa se in bonam o in malam partem: da un lato si potrebbero frustrare le finalità punitive della legge, dall’altro si potrebbero violare diritti dei singoli). E questo di certo si presta a lesione dei principi di tassatività e determinatezza propri del diritto penale.
Anche sul versante soggettivo, la terminologia adoperata dal d.P.R. n. 50/2011 non si può additare a modello di chiarezza.
Difatti, da un lato, alcuni reati potrebbero apparire come propri degli «operatori». Ci si intende qui riferire, in particolare, a quelli concernenti l’esportazione o l’importazione in difetto di autorizzazione ovvero attuate violando l’obbligo di comunicazione alla Direzione centrale per i servizi antidroga o a quello di ostacolo ai controlli, trattandosi di fattispecie che parrebbero presupporre, appunto, la preventiva assunzione della qualifica di «operatore». In realtà anche i più gravi delitti – e cioè quelli di cui ai commi 4 e 6 del nuovo testo dell’art. 70 – potrebbero dover essere classificati nel medesimo modo, pur essendo realizzabili da “chiunque”, dal momento che gli obblighi la cui violazione sanzionano sono posti a carico degli stessi «operatori», rispettivamente, dai co. 3 e 5 dell’articolo.
Per questa parte, dunque, sembra che la novella abbia ristretto, rispetto alla previgente disciplina, l’area dell’intervento penale in materia di precursori.
Tuttavia, in contrario senso, va rilevato sia che il soggetto attivo della maggior parte delle fattispecie previste dal legislatore viene individuato attraverso la formula tipica dei reati comuni («chiunque»), sia che è discutibile l’effettiva idoneità selettiva della definizione legale di «operatore», data la sua genericità e la mancanza di espressi riferimenti normativi alla natura professionale o anche solo abituale delle attività che lo identificano.
A ciò si aggiunga che la previsione di aggravanti legate proprio al possesso di qualifiche soggettive parrebbe far propendere l’interprete per l’ipotesi che la fattispecie-base non configuri un reato proprio.
In definitiva, la formulazione della norma è non poco ambigua sul punto e non è dunque agevole determinare l’effettivo ambito soggettivo di applicazione delle nuove incriminazioni.
Qui, dunque, l’intento chiarificatore, nato dal rilievo della sovrapposizione tra le fattispecie configurate nel previgente testo dell’art. 70 e quella dell’ora abrogato co. 2-bis dell’art. 73, la quale aveva indotto a ritenere che le prime configurassero reati “propri”, mentre la seconda desse vita a un reato comune, non pare abbia realizzato i suoi obiettivi, fugando i dubbi che era destinato a sciogliere.
Se ancora nessuna pronuncia ha interessato la novella sui precursori, nella giurisprudenza di legittimità hanno continuato ad essere dibattute, anche nell’ultimo anno, alcune questioni in tema di stupefacenti, quantunque si tratti di ormai di materia oggetto di elaborazione pluridecennale.
Su una prima questione, riguardante l’aggravante speciale dell’ingente quantità nei reati concernenti il traffico illecito – tema sempre arduo per le ricadute sul principio di determinatezza – sono intervenute a fare chiarezza le Sezioni Unite, ritenendo che essa non è ravvisabile quando la quantità sia inferiore a duemila volte il valore massimo in milligrammi (valore-soglia), determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m. 11.4.2006, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice del merito1.
In un ambito analogo, che in qualche modo riecheggia quanto già esposto a proposito delle incertezze che persistono sulla qualificazione come stupefacente di questa o quella sostanza, va segnalata la controversa natura della “6 monoacetilmorfina”, che, secondo un indirizzo prevalente, è stupefacente, mentre non lo è secondo un orientamento minoritario2.
Va, peraltro, segnalato che tale contrasto, nato sull’interpretazione del d.m. 11.4.2006, dovrebbe cessare di per sé, dopo l’approvazione del decreto del Ministro della salute 11.6.2012 di aggiornamento delle tabelle contenenti l’indicazione delle sostanze stupefacenti e psicotrope di cui al testo unico (avuto riguardo, specificamente, all’inserimento nella Tabella I delle sostanze “6-monoacetilmorfina” e “3-monoacetilmorfina”).
È stata invece rimessa alle Sezioni Unite, e assegnata per l’udienza del 18 ottobre 2012, la questione della riconducibilità al reato di istigazione pubblica all’uso illecito di sostanze stupefacenti dell’attività di pubblicità (nella specie realizzata mediante un sito internet), di semi di piante idonee a produrre sostanze stupefacenti (nella specie varie tipologie di semi di cannabis).
Sostanzialmente due orientamenti si contrappongono nella giurisprudenza di legittimità, dei quali il primo ritiene sufficiente il fatto della pubblicità dei semi a integrare il reato, mentre il secondo esige un quid pluris rispetto alla mera propaganda del prodotto, finalizzata all’istruzione per la coltivazione e, in maniera non equivoca, all’uso del prodotto stesso3. Una giurisprudenza abbastanza variegata si registra in tema di “uso di gruppo” di droga, anche per gli aspetti diversificati con cui nella pratica, si presenta tale “uso”.
In particolare, dopo l’inserimento del co. 1-bis nell’art. 73 t.u. ad opera della legge 21.2.2006, n. 49, è parso ad alcuni collegi della Corte di cassazione che il legislatore del 2006 non abbia mai ritenuto l’uso di “gruppo” delle sostanze stupefacenti penalmente irrilevante.
Si è, infatti, osservato che una cosa è “l’uso personale” di sostanze stupefacenti, altra e ben diversa cosa è “l’uso esclusivamente personale” (secondo il nuovo testo), espressione questa che, proprio in virtù dell’avverbio, dovrebbe condurre a un’interpretazione più restrittiva rispetto a quella corrente nella vigenza del precedente testo. Da ciò l’affermazione che non può più farsi rientrare nell’ipotesi di consumo esclusivamente personale il cd. uso di gruppo, del quale è una sottospecie sia il caso in cui un gruppo di soggetti dia mandato a uno di essi di acquistare dello stupefacente, sia l’altra ipotesi in cui l’intero gruppo procede all’acquisto di stupefacente destinato ad essere consumato collettivamente4.
Sennonché, altri collegi, nel caso specifico di mandato all’acquisto di droga conferito a uno degli assuntori, hanno motivatamente dissentito da una siffatta impostazione.
Si è, infatti, osservato che ancorare all’introduzione di un avverbio un ritenuto capovolgimento di legge, in assenza di una non equivocabile indicazione, tanto più necessaria avuto riguardo all’esito referendario (d.P.R. 5.6.1993, n. 171), e tenuto altresì conto che l’espressione «non esclusivamente personale» suggerisce all’interprete l’impressione di un’aggiunta ridondante, superflua e pleonastica, significherebbe avallare un’interpretazione di difficile compatibilità con il principio di determinatezza che discende direttamente dalla Costituzione.
In più, ammesso che la finalità sia quella di sanzionare comunque l’uso di gruppo, nelle due variabili dell’uso di gruppo vero e proprio (stricto sensu) e dell’uso comune di un bene oggetto di previo mandato all’acquisto, essa sarebbe comunque espressa male, con la conseguenza che, in ogni caso, nel dubbio interpretativo, dovrebbe prevalere l’opzione più favorevole al reo.
Peraltro, tale orientamento subordina a una serie di precise condizioni l’irrilevanza penale dell’uso di gruppo in caso di mandato all’acquisto.
È, infatti, richiesto:
a) che l’acquirente-mandatario, il quale opera materialmente (o conclude) le trattative di acquisto, sia anche lui uno degli assuntori;
b) che sia certa sin dall’inizio l’identità dei componenti il gruppo, nonché manifesta la comune e condivisa volontà di procurarsi la sostanza destinata al consumo personale “in gruppo” e si sia del pari raggiunta un’intesa in ordine al luogo e ai tempi del relativo consumo;
c) che gli effetti dell’acquisizione si trasferiscano direttamente in capo agli interessati, senza passaggi mediati5. Anche sulla questione della rilevanza del concreto effetto drogante di una sostanza stupefacente permane contrasto nella giurisprudenza della Corte di cassazione, pur dopo una decisione a Sezioni Unite6 secondo la quale la circostanza che il principio attivo contenuto nella singola sostanza oggetto di spaccio possa non superare la cosiddetta “soglia drogante”, in mancanza di ogni riferimento parametrico previsto per legge o per decreto, non ha rilevanza ai fini della punibilità del fatto.
Difatti, a un indirizzo allineato alla sentenza delle Sezioni Unite7 se ne contrappone un altro secondo il quale il reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990 può dirsi integrato solo qualora venga dimostrato, con assoluta certezza, che il principio attivo contenuto nella dose destinata allo spaccio o comunque ceduta sia di entità tale da poter produrre un concreto effetto drogante8.
Quest’ultimo orientamento prende le mosse dal principio di offensività della condotta che, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale9, opera sul duplice versante della previsione normativa, «sotto forma di precetto rivolto al legislatore di prevedere fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo» (cd. offensività in astratto) e dell’applicazione giurisprudenziale, come criterio interpretativo affidato al giudice, «tenuto ad accertare che il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l’interesse tutelato» (cd. offensività in concreto).
Sicché, quando la condotta non è idonea a mettere a repentaglio il bene giuridico tutelato dalla norma, viene meno la riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta, «perché la indispensabile connotazione di offensività in generale di quest’ultima implica di riflesso la necessità che anche in concreto l’offensività sia ravvisabile almeno in grado minimo, nella singola condotta dell’agente, in difetto di ciò venendo la fattispecie a rifluire nella figura del reato impossibile»10.
Principi, questi, affermati in materia di coltivazione non autorizzata dalle Sezioni Unite del 2008, ma destinati a proiettare la loro operatività anche sull’intera disciplina degli stupefacenti, investendo, in particolare, la fattispecie di cui all’art. 73 t.u., tipico esempio di reato di pericolo, rispetto al quale la Corte costituzionale ha già avuto modo di ritenere operante il principio di offensività11.
Ancora, è insorto contrasto giurisprudenziale12 sulla natura dell’art. 93 t.u., che prevede l’estinzione della pena per il condannato che nei cinque anni dalla sospensione della esecuzione ex art. 90 t.u. (se sia una disposizione “penale” o “processuale” e quindi se debba trovare applicazione retroattiva in mitius o sia preclusa nei confronti del condannato per il quale, al momento dell’entrata in vigore del testo vigente, l’esecuzione della pena detentiva avesse già avuto luogo).
Infine, mette conto di segnalare che è stato ritenuto illegittimo costituzionalmente l’art. 275, co. 3, c.p.p. nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, è applicata la custodia in carcere, salvo che siano acquisiti elementi da cui risulta che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva altresì l’ipotesi in cui risulti che le esigenze stesse possano essere soddisfatte con altre misure13.
1 Cass. pen., S.U., 24.5.2012, n. 36258, Biondi. Per quanto valga, va ricordato che, dopo una risalente decisione delle Sezioni Unite (21.10.2000, n. 17) che aveva ritenuto la sussistenza della aggravante allorché il quantitativo dello stupefacente, pur non raggiungendo livelli massimi, fosse idoneo ad agevolarne il consumo nei riguardi di un rilevante numero di tossicodipendenti, molte decisioni delle sezioni semplici avevano contraddetto tale orientamento, tentando di indicare criteri oggettivi di valutazione (da ult., Cass. pen., 14.1.2011, n. 12404; ma si veda già, sulla medesima lunghezza d’onda, Cass. pen., 2.3.2010, n. 20119).
2 Così Cass. pen., 11.10.2011, n. 46197; Cass. pen., 13.1.2011, n. 7965; Cass. pen., 1.4.2011, n. 14431, sul rilievo che essa è un monoestere della morfina e, come tale, da considerare iscritta nella tabella I allegata al d.P.R. n. 309/1990; contra, Cass. pen., 13.1.2011, n. 7974, sotto il profilo che, avendo la nozione di stupefacente natura legale, non è consentito all’interprete dilatare la tassativa previsione della tabella, includendovi una sostanza in essa non indicata.
3 Nel primo senso Cass. pen., 20.5.2009, n. 23903; Cass. pen., 23.3.2004, n. 22911; Cass. pen., 24.9.2009, n. 38633; Cass. pen., 5.3.2001, n. 16041; nel secondo, Cass. pen., 17.1.2012, n. 6972. Da non dimenticare che Cass. pen., S.U., 24.4.2008, n. 28605, in materia di coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, ha stabilito che il giudice deve comunque verificare in concreto la valenza offensiva della condotta, cioè l’idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile.
4 In tal senso Cass. pen., 20.4.2011, n. 35706; Cass. pen., 13.1.2011, n. 7971; Cass. pen., 6.5.2009, n. 23574.
5 In questi termini Cass. pen., 27.2.2012, n. 17396; Cass. pen., 12.1.2012, n. 3513; Cass. pen., 27.4.2011; Cass. pen., 26.1.2011, n. 8366.
6 Cass. pen., S.U., 24.6.1998, n. 9973.
7 Cass. pen., 4.11.2010, n. 5130/2012; Cass. pen., 15.5.2003, n. 29958; Cass. pen., 8.11.2000, n. 13315; Cass. pen., 13.5.1999, n. 6864; Cass. pen., 13.6.2001, n. 33576.
8 Cass. pen., 13.12.2011, n. 6928/2012; Cass. pen., 19.11.2008, n. 6207/2009; Cass. pen., 12.1.2000, n. 3584.
9 C. cost., 24.7.1995, n. 360 e 23.7.1996, n. 296.
10 C. cost., 24.7.1995, n. 360.
11 C. cost., 27.3.1992, n. 133 e 11.7.1991, n. 333.
12 Per la prima soluzione, che sembra anche la più plausibile, Cass. pen., 10.1.2012, n. 4339 e Cass. pen., 1.3.2011, n. 14650. Per la seconda, Cass. pen., 6.12.2007, n. 3950/2008.
13 C. cost., 22.7.2011, n. 231, confermata da C. cost., 12.10.2011, n. 269.