STUPEFACENTI
. Sono sostanze che, introdotte in un modo o nell'altro nell'organismo, svolgono un'azione tale da alterare notevolmente le condizioni fisiche e psichiche dell'individuo; più propriamente, secondo la limitazione farmacologica oggi invalsa, sono quelle droghe particolari (oppio e derivati, cocaina, cannabis indica) che agiscono sul sistema nervoso centrale inducendo stati di ebbrezza stuporosa, allucinazioni, sensazioni cenestesiche di varia natura, quasi sempre piacevoli.
Cenno storico. - La storia degli stupefacenti, dati i concetti classificatorî meno rigorosi che vigevano in tempi più antichi, deve prendere in esame anche sostanze diverse da quelle menzionate: sostanze, cioè, alle quali veniva comunemente riconosciuta un'azione "stupefacente" in senso lato. Così considerati, gli stupefacenti possono esser presi storicamente in esame sia dal punto di vista farmacologico, sia da quello magico, sia da quello artistico, sia da quello semplicemente voluttuario.
L'oppio fu conosciuto in età assai antiche: era noto a Erasistrato alessandrino, a Teofrasto, a Plinio il Vecchio. Si dava specialmente come ipnotico, e faceva parte della confezione della spongia somnifera, adoperata per ottenere la narcosi, a scopo chirurgico. Già prima di T. Sydenham, dall'oppio fu ricavato il laudano (medicamentum laudatum); e più tardi (F. W. A. Sertürner, 1807) il morphium (la nostra morfina). Furono quindi isolati la narcotina, la tebaina, la laudanina, e infine il pantopon (H. Sahli, 1909), che dimostrò l'azione più completa ed efficace.
La cocaina non ha una storia molto antica. La coca, venne importata nel sec. XVI, dall'America Meridionale, dove era di uso diffusissimo, in Europa. Il suo alcaloide, la cocaina, fu isolato solo alla fine del sec. XIX, e la prima sua applicazione come anestetico venne fatta per l'operazione della cateratta (1884).
La storia della Cannabis indica, da cui si ricava il ḥashīsh, ha importanza specialmente per quel che riguarda i popoli orientali (v. sotto: Etnologia); il suo uso farmacologico è rimasto sempre molto limitato.
Tra gli stupefacenti in senso lato, che ebbero storicamente un'importanza medicinale, vanno ricordate in primo luogo le Solanacee. La belladonna, conosciuta dagli antichi col nome di Solanum somniferum, si usava come narcotico e come sedativo, sia in infuso, sia in pomata. Galeno considerò la sua efficacia pari a quella dell'oppio. La sua virtù midriatica fu scoperta per caso, nel sec. XVII; poi essa venne ripresa in esame da J. E. Purkinie e da J. Paget, nel 1801, e sfruttata a scopi oculistici (operazione della cateratta). Nel 1833 Ph. L. Geiger e H. Hesse isolarono l'atropina.
La mandragora venne usata in antico, oltreché come erba magica, anche a scopo medicamentoso. Dioscuride la consiglia come ipnotico, come lenitivo e contro il morso dei serpenti; Galeno e Plinio come ipnotico. Nel Medioevo la si adoperò come sedativo, specie contro le affezioni cutanee.
Il giusquiamo, anch'esso noto nell'antichità, fu consigliato dai medici e naturalisti dell'età classica e nel Medioevo per calmare i dolori, far cessare la tosse, le flussioni degli occhi, il mal di denti. Nel sec. XIX vennero isolate la ioscina e la iosciamina.
Lo stramonio (forse la pianta descritta da Avicenna col nome di noce metella o pomo spinoso) fu anch'esso conosciuto come ipnotico e sedativo assai efficace.
Altre piante, oltre alle Solanacee, che dimostrarono virtù tali da poter essere considerate come stupefacenti, sono l'aconito, il colchico, la cicuta, la lattuga, il tasso, il tabacco, ecc. In grado maggiore o minore, esse tutte diminuivano la sensibilità, addormentavano il dolore, e insieme con questo, più o meno, l'intelligenza: secondo le dosi, dall'inoffensiva lattuga alla mortale cicuta, era tutta una gamma di "stupor" che si svolgeva dall'uno all'altro "semplice".
Accanto a queste già menzionate, occorre citare altre sostanze, prodotte dall'uomo, la cui azione più o meno si apparenta a quella degli stupefacenti: tali il cloroformio, il cloralio, il gas esilarante, l'etere. Quest'ultimo fu scoperto dal Cordo nel 1540, e costituiva lo strato superiore del prodotto della distillazione di alcool e di olio di vetriolo rettificato. Tale strato, che egli chiamò oleum vitrioli dulce era il nostro etere solforico, che da lui venne usato come cordiale. Più tardi venne scoperta la sua efficacia anestesica (C. Jackson e W. T. G. Morton), applicata primamente nel 1846. Del gas esilarante (protossido d'azoto) venne tentato, e poi ben presto abbandonato, lo sfruttamento a scopo analgesico in odontoiatria.
Nel Medioevo e oltre, gli stupefacenti ebbero una parte importante nelle pratiche di stregoneria (v. streghe e stregoneria). Le droghe adoperate inducevano uno stupor più o meno profondo, nel quale la mente del soggetto si popolava di fantastiche visioni, dipendenti soprattutto dall'ambiente e dalla predisposizione individuale. Formule particolari, invocazioni spesso sacrileghe, scongiuri, ecc., accompagnavano la somministrazione delle sostanze. Queste erano le stesse che venivano adoperate in terapia, ma mescolate sovente tra loro, e con altre, innocue o dannose, che fungevano da eccipienti. Si potevano somministrare per via orale (decotti, pillole, infusi); si potevano spalmare sulla pelle in forma di pomate; potevano essere aspirate come fumo o vapore, ecc. Comunque esse producevano le visioni meravigliose, i patti infernali, i sabba, veri solo nel delirio di chi le assorbiva. Quelle più comunemente usate a tali scopi erano l'oppio, la mandragora, la belladonna, il giusquiamo, l'aconito, il colchico, ecc.: tutte in dosi superiori a quelle medicinali.
Gli stupefacenti hanno anche avuto una "voga artistica", oggi tramontata. Poeti e romanzieri, specialmente, cercarono in questa o quella droga stimoli artificiosi alla loro attività creativa. Celebre il club dei mangiatori di ḥaschīsh, organizzato a Parigi verso la metà del sec. XIX, all'Hôtel Pimodan, dove si raccoglievano Gautier, Baudelaire e altri. All'alcool in dosi smodate, o agli stupefacenti, ricorsero, tra gli altri, Verlaine, Coleridge, De Quincey, Poe.
La storia degli stupefacenti presi a puro scopo voluttuario non sembra essere, almeno in Occidente, molto antica. Il vizio si propagò appunto dall'Est all'Ovest, e piuttosto tardi, specialmente nelle città marittime, introdottovi da funzionarî coloniali di ritorno da marinai e da donne di malaffare. Si diffuse di più quando all'oppio e al ḥaschīsh, che richiedevano manipolazioni particolari e ambiente adatto, si sostituirono gli alcaloidi. Mentre il morfinismo sorse in seguito a pratiche terapeutiche prolungate, il cocainismo nacque subito come vizio. All'uso dell'iniezione ipodermica si sostituì quello del fiuto, e nel 1908 (M. Laignel-Lavastine e C. Glenard) venne descritto il primo caso di perforazione del setto nasale da fiuto di cocaina.
L'uso degli stupefacenti si diffuse in modo allarmante, in Europa, con la guerra mondiale e nel primo dopoguerra. Ma già nel 1912 era comparsa in Francia la prima legge restrittiva sulla ricettazione degli stupefacenti, e nel 1923 analoghe disposizioni comparvero nella legislazione italiana (F. Sabatucci). In grazia di tali disposizioni, adottate più o meno da tutti gli stati civili, e anche per le mutate condizioni sociali, il vizio degli stupefacenti tende oggi gradatamente a scomparire.
Etnologia. - Gli stupefacenti, presso i popoli primitivi, vengono bevuti, fumati, masticati, mangiati, aspirati, fiutati.
Sostanze fermentate. - Sono gli stupefacenti più elementari; in esse l'alcool etilico non è sempre l'unico costituente, cosicché il loro effetto fisiologico non è da paragonare alla comune ebbrezza alcoolica. Perciò se ne accenna in questa sede (v. bevanda: Bevande fermentate).
Una sostanza che, fermentata, dà veri e proprî sintomi di stupore e si avvicina ai nostri stupefacenti è l'agarico muscarico. Esso, a piccole dosi, produce una speciale eccitazione cerebrale. Viene usato specialmente nel Camciatca. Gl'Indiani sudamericani fanno, con le frutta di un tipo speciale di acacia, una polvere che, fiutata, produce una speciale ebbrezza, quasi un'estasi. Essi hanno un apposito strumento che serve per introdurre nel naso questa polvere, chiamata parika. Un'acacia (forse la stessa) usano anche gli abitanti dell'Africa orientale, della tribù dei Masai; essa fornisce una polvere e un decotto, talmente eccitanti da produrre uno stato maniaco.
Oppio. - Sembra assodato che già nel sec. XV si fumasse l'oppio in Cina (v. oppio).
Per avere la droga adatta al fumo, si fa prima un estratto dell'oppio grezzo. Questo estratto si torrefà, poi si tratta con acqua bollente, si filtra e si evapora. In quest'ultima forma esso prende il nome di chanduz ed è adatto ad essere fumato.
La pipa ha un cannello lungo circa 50 centimetri, di legno o di metallo, e grosso in proporzione. Alla sua estremità inferiore si trova un'apertura cui si avvita il fornellino, anch'esso di metallo o di terracotta; nell'interno di questo vi è uno scodellino metallico, al cui fondo si apre un forellino. Presa, mediante uno stiletto metallico, una piccola quantità di oppio, la si espone al calore di una lampada: la pillola allora si gonfia e viene posata sullo scodellino. A questo punto la pipa è pronta. Allora il fumatore fora la pillola in modo da mettere in corrispondenza il foro con quello dello scodellino, si sdraia su un lettuccio e mette lo scodellino al di sopra di una lampada, aspirando profondamente i vapori che si sprigionano dalla droga in combustione.
In Cina l'oppio costituisce il substrato della vita criminale, data la condizione psichica cui riduce le sue vittime; fino a poco tempo fa circa il 60% dei forzati rinchiusi nelle carceri di Singapore ne erano vittime.
L'oppio oltre che fumato, può essere anche mangiato e bevuto. L'opiofagia è comune in quasi tutta l'Asia Minore, in Egitto e in Turchia. Per potere essere mangiato, deve essere unito con altre sostanze inerti, che gli conferiscano un sapore più gustoso di quel che esso non abbia naturalmente. In Persia s'impasta con miele, miristico, cardamomo, macis e cinnamono. Altre volte se ne fanno pillole, impastate di mastice, giusquiamo, ruta, assa fetida e piretro. L'oppio si beve in forma di decozione delle teste di papavero, differentemente aromatizzata, cui si uniscono anche altre droghe ed essenze: questa bevanda è specialmente diffusa in Persia e in Turchia.
Ḥashīsh. - Il ḥashīsh (v.) è uno degli stupefacenti più diffusi in Oriente e in Africa. Anche la canapa indiana viene bevuta, mangiata, fumata e masticata. Secondo il modo con il quale viene preparata, e le regioni dove si confeziona, essa prende nomi differenti: banǵ, nell'India; teriaki in alcune regioni dell'Africa; in Algeria e nell'Arabia magiun, ecc. Col ḥashīsh si possono fare decozioni o se ne possono usare i semi per fumare, ma la forma sotto la quale esso è più comunemente conosciuto è il cosiddetto dawamesk, che è l'estratto grasso delle sommità della pianta. Esso si ottiene facendo bollire con burro e poca acqua dette sommità fresche, fino a completa evaporazione di ogni umidità. Si ottiene, passando al setaccio, un liquido che presto si rapprende in una pasta giallo-verdastra dall'odore sgradevole della pianta e del burro rancido. A questa pasta si uniscono zucchero, pistacchi, vainiglia, cannella, mandorle e muschio, per renderla più gradevole; a volte vi si aggiunge anche una piccola quantità di cantaride, per ottenere il noto effetto di questa sostanza animale. Il dawamesk si presenta in pillole o in cioccolatini e si può prendere asciutto o discioglierlo in una bevanda calda. Esso produce in breve tempo, da una mezz'ora a un'ora, un'ebbrezza simile a quella dell'oppio, ma di forma e d'intensità differente.
Molti popoli fumano il ḥashīsh nel narghilè, mescolandolo con oppio, con tabacco e con erbe aromatiche; tra questi, oltre ai Turchi e agli Orientali in genere, figurano anche molti popoli dell'Africa. Presso i popoli più civili si ricorre al contrabbando per poter fumare il ḥashīsh: così, per esempio, in Egitto si vendono sigarette di forma comune, in cui le foglie della canapa sono mescolate a quelle del tabacco.
Le foglie di ḥashīsh vengono anche masticate, sole o unite ad altre sostanze aromatiche, come si faceva in Egitto anticamente.
In Persia, i semi e le foglie della canapa indiana si cuociono con i cibi o se ne fanno estratti che si condiscono con lo zucchero. Con le foglie si fa anche un masticatorio detto banǵ, mentre il polline, passato per setaccio e impastato con saliva umana, dà una pasta fortemente eccitante. Tali usanze sono molto antiche in Persia e vennero descritte fino dal sec. XVIII.
Coca. - La coca è lo stupefacente per eccellenza nei paesi dell'America Meridionale. Viene usata come masticatorio, e rappresenta un vero e proprio bisogno per gl'indigeni di un largo territorio. Le sue foglie, disseccate al sole, vengono tenute in speciali sacchetti che l'indiano porta al collo. Egli prende ogni tanto una di esse, ne forma una pallottola nel cui interno pone una certa quantità di un'altra sostanza chiamata llipta, e pone il tutto tra la guancia e i denti. La llipta è cenere di piante ricche di calce e di carbonati alcalini; ha la proprietà di decomporre più facilmente i sali della cocaina, contenuti nel vegetale, liberandone l'alcaloide. Posta la pallottola in bocca, l'indiano cicca sinché non ha estratto tutto il principio attivo del vegetale: egli può consumare, in media, da 28 a 42 grammi di foglie di coca nelle 24 ore.
Masticando la foglia di coca si avverte sul principio un sapore amarognolo e poi una sensazione quasi oleosa, amara e astringente. Tale sensazione gustativa dura circa un quarto d'ora, ma permane nello stomaco un'impressione di calore, mentre la mucosa orale diviene insensibile. È appunto questa insensibilità che, estendendosi fino alla mucosa gastrica, toglie la sensazione della fame e della sete almeno fino al limite fisiologico.
Tra i masticatori di coca (coqueros) si manifestano, non di rado, casi di cocainismo cronico, caratterizzato da dimagramento, colorito plumbeo e itterico, insonnia, ecc. L'uso di masticare la coca è antichissimo nell'America precolombiana, e gli Spagnoli lo trovarono assai diffuso nel Perù e nel Messico. Vasi destinati a contenere coca vennero trovati nelle tombe degli antichi re degli Inca: tali vasi raffigurano la testa di un coquero, con la caratteristica protuberanza in una guancia, prodotta dalla pallottolina della foglia di coca, posta tra la guancia e i denti.
Tabacco. - Il tabacco, nelle fortissime dosi usate presso molti popoli primitivi, può essere anch'esso considerato tra gli stupefacenti. Esso viene fumato, ciccato, fiutato, da solo o con l'aggiunta di altre droghe (Africa, varî paesi dell'America Meridionale).
Per la considerazione farmacologica moderna degli stupefacenti, v. cocaina; hashish; oppio.
Bibl.: A. Saurin, La Chine, l'opium et les Anglais, Parigi 1840; Moreau, Recherches sur les aliénés en Orient, in Ann. Med. Psychol., I (1843); id., Du hachich et de l'aliénation mentale, Parigi 1845; A. Maugin, Les poisons, Tours 1869; L. Pluchon, De l'opium des fumeurs, Montpellier 1887; J. Jeanselme, Fumeurs et mangeurs d'opium, in Rev. gén. des sciences pures et appl., 15 gennaio 1907; R. Meunier, Le hachich, Parigi 1909; R. Dupouy, Les opiomanes, ivi 1912; G. Sanarelli, Igiene gen. e coloniale, Firenze 1914; A. Benedicenti, Malati, medici e farmacisti, Milano 1925; Illustrierte Völkerkunde, a cura di G. Buschan, Stoccarda 1926; A. Pazzini, Alcoolismo e poesia, Roma 1926; A. Giani, Alcune notizie storiche su gli stupefacenti, in La Liguria medica, 1928, n. 7.
Diritto internazionale.
La questione sociale e umanitaria determinata dall'abuso di sostanze tossiche aventi azione stupefacente si è affacciata sul piano del diritto internazionale soltanto al principio del secolo XX. Anteriormente si ebbero interventi legislativi all'interno di stati più progrediti, mentre la lotta contro i dannosi effetti delle piante e dei prodotti stupefacenti rientrava quasi esclusivamente nell'attività di istituti missionarî religiosi e filantropici nei paesi di colore maggiormente infestati dal commercio e dall'enorme consumo di questi prodotti. Furono appunto alcune istituzioni missionarie che, verso il 1906, intensificarono i propri sforzi onde attirare l'attenzione delle potenze europee e degli Stati Uniti d'America sui disastrosi effetti dell'abuso dell'oppio nelle popolazioni della Cina.
Per iniziativa del presidente Th. Roosevelt l'idea di un intervento dei paesi maggiormente interessati a combattere il contrabbando e l'abuso degli alcaloidi in Asia, allo scopo di aiutare la Cina nell'adozione delle misure consigliate dalla grave situazione interna, si concretava nella conferenza della commissione internazionale di Shanghai (1909). Questa prima riunione ebbe principalmente carattere di studio preliminare e di documentazione; i suoi risultati servirono a porre le basi per i lavori della prima vera e propria conferenza internazionale tenuta a L'Aia nel 1912.
La Convenzione dell'Aia rappresenta, infatti, uno strumento diplomatico, impegnativo per i rispettivi governi firmatarî, e ha il merito di avere fatto della questione dell'oppio, della coca e dei loro derivati materia di diritto internazionale soggetta a controllo e a relative sanzioni. Fu allora stabilita la definizione di cosa si dovesse intendere per oppio grezzo, preparato e medicinale; furono indicate le formule chimiche della morfina, della cocaina e dell'eroina. Constatata inoltre l'enorme sovraproduzione di questi vegetali e alcaloidi, rispetto al minimo fabbisogno per gli usi medicinali leciti, fu convenuto che i quantitativi in commercio dovessero essere progressivamente ridotti. Gli stati firmatarî s'impegnavano a proibire l'esportazione dell'oppio grezzo verso i paesi dove l'importazione era vietata e a controllarla convenientemente dove era permessa entro certi limiti.
La produzione degli alcaloidi non avrebbe dovuto eccedere i quantitativi necessarî per uso medico; a tale scopo era previsto il divieto della fabbricazione, della vendita, della distribuzione e del traffico degli alcaloidi stessi senza autorizzazione speciale governativa. La situazione della Cina era oggetto di speciali clausole. Ventisette governi, oltre quelli già rappresentati a Shanghai, firmarono la convenzione dell'Aia, ma la ratifica per parte dei relativi parlamenti incontrò non lievi difficoltà, talché occorsero due successive conferenze, tenute egualmente a L'Aia, nel 1913 e nel 1914, per ottenere soltanto undici ratifiche effettive.
Lo scoppio della guerra mondiale rese ancora più difficile l'applicazione delle misure contro l'abuso e il traffico illecito degli stupefacenti per parte di quei pochi stati che avevano cominciato a introdurle nelle rispettive legislazioni nazionali. Cosicché la situazione generale della produzione, del contrabbando e del consumo, ancora aggravata alla fine del conflitto, indusse le potenze firmatarie del trattato di Versailles a impegnarsi per la messa in vigore della convenzione dell'Aia. Inoltre, in base all'articolo 23 dello stesso trattato, la Società delle nazioni veniva ufficialmente investita del controllo generale degli accordi relativi al traffico dell'oppio e delle altre droghe nocive. In seno al segretariato della lega, a Ginevra, fu creata una sezione per le questioni sociali e il traffico dell'oppio; e la prima assemblea della Società delle nazioni (1920) decise d'istituire una commissione consultiva permanente onde assicurare una stretta collaborazione fra gli stati e la lega medesima.
Nuove e più precise misure, oltre quelle già adottate, furono studiate e proposte; ma la loro applicazione trovò serî ostacoli che si manifestarono in due conferenze riunite a Ginevra (1924-1925). La prima di queste, riguardante il traffico e la produzione in Estremo Oriente, non poteva approdare a tangibili risultati per il rifiuto della Cina a firmare i nuovi accordi. La seconda, più numerosa e importante, caldeggiata dagli Stati Uniti onde limitare la produzione degli stupefacenti allo stretto indispensabile per gli scopi sanitarî e scientifici, portò a una nuova edizione, riveduta e ampliata, della convenzione e del protocollo dell'Aia. Sennonché il principio dell'applicazione graduale delle misure contro la produzione e il traffico illeciti non soddisfece i delegati americani che si ritirarono dalla conferenza, imitati dai rappresentanti della Cina.
In realtà occorreva riconoscere che il sistema attuato dalla conferenza dell'Aia esigeva profonde modificazioni per divenire un mezzo di lotta veramente efficace. L'esperienza aveva dimostrato inadeguate le restrizioni costituite dalle licenze per l'importazione degli stupefacenti, anche se generalizzate e rese obbligatorie: la produzione e il traffico clandestino, anziché diminuire, erano aumentati in misura preoccupante. La ratifica della convenzione di Ginevra incontrava serie difficoltà presso numerosi stati. Cominciò pertanto a prevalere, in seno alla commissione permanente dell'oppio, nonostante opposizioni di ogni sorta, d'ordine burocratico e politico, rivelanti spesso la tenace resistenza di forti interessi in causa, la tesi decisamente sostenuta dal governo italiano; che cioè, se il controllo generale del commercio delle droghe nocive appariva di difficile realizzazione, più facile sarebbe stata la sorveglianza del contrabbando quando fosse accettato il principio del contingentamento dei quantitativi necessarî per gli usi leciti. Si sarebbe trattato di seguire la materia prima dal luogo di produzione a quello di trasformazione; di ritrovarla al momento dell'uscita o dell'entrata nel territorio dei varî stati, dai cui magazzini non sarebbe dovuta uscire se non in base ai rigorosi certificati di prelevamento da rilasciare ai commercianti.
I risultati di un'inchiesta condotta in Persia nel 1926 da una commissione di tre membri avevano, d'altra parte, confermato la possibilità di ridurre notevolmente la produzione dell'oppio, specie nei paesi dove la coltivazione del papavero costituiva una delle principali risorse nazionali, provvedendo alla graduale sostituzione delle colture agricole.
Il progetto presentato dal governo italiano servì di base alla commissione consultiva della Società delle nazioni per l'elaborazione di un piano tendente a ottenere: 1. la determinazione del fabbisogno mondiale degli stupefacenti per usi medicinali e scientifici e la loro fabbricazione limitata a tale fabbisogno; 2. la ripartizione del quantitativo strettamente necessario fra i paesi produttori; 3. la distribuzione del prodotto a ogni paese consumatore, per gli usi leciti. A un apposito ufficio centrale avrebbero dovuto essere comunicate le richieste di quantitativi e le consegne effettuate o da effettuare, per un continuo efficace controllo sulla produzione e sulla distribuzione delle droghe in tutti gli stati del mondo.
Questo piano fu sottoposto alla conferenza internazionale appositamente convocata a Ginevra dal 27 maggio al 13 luglio 1931; ivi si addivenne all'adozione del testo di una nuova convenzione che segnò un reale progresso della lotta contro l'abuso degli stupefacenti sul piano internazionale. Come faceva rilevare il relatore della V commissione alla XII assemblea della Società delle nazioni, essa rappresentava la prima affermazione dei principî d'ordine morale e umanitario sugl'interessi puramente economici di un'industria e di un commercio che venivano a essere internazionalmente controllati. Un numero assai più esteso di droghe nocive era contemplato che non nelle precedenti convenzioni, come, ad esempio, la codeina e la diacetilmorfina. Si era tenuto conto delle riserve eccedenti il consumo annuale e preveduto il loro graduale assorbimento per gli usi legali, riducendo ancora la fabbricazione, sotto la responsabilità dei governi interessati, che s'impegnavano ad adottare misure legislative e amministrative in armonia con gli obblighi previsti nella convenzione.
L'organo centrale di controllo, dotato di larga autonomia e di opportuni poteri, veniva costituito da autorevoli membri dei tre competenti organismi: la commissione consultiva dell'oppio presso la Società delle nazioni, il comitato centrale permanente e l'ufficio internazionale d'igiene pubblica.
Un punto debole della convenzione era tuttavia rappresentato dalla deficienza di sanzioni di carattere internazionale, limitandosi queste alla pubblicazione dei pretesti addotti dagli stati che, eventualmente, avessero trasgredito gl'impegni assunti. Egualmente criticata fu la troppo libera disposizione, lasciata ai singoli governi, sui quantitativi di contrabbando sequestrato, la cui distruzione sarebbe dovuta essere meglio garantita. Ciò non toglie che la convenzione di Ginevra costituisse in ogni modo un efficace mezzo di limitazione diretta, quantitativa e qualitativa, e di controllo per tutti gli stati desiderosi di associarsi in una leale e attiva crociata contro il deprecato flagello. Il 9 luglio 1933 il nuovo strumento diplomatico entrava in vigore, dopo avere raccolto quaranta ratifiche e adesioni. Allo scopo d'integrare questa energica azione nel campo degli stupefacenti, l'assemblea della XII conferenza della Società delle nazioni nel settembre 1931 decideva d'iniziare i lavori preparatorî onde poter addivenire a un regolamento internazionale anche per quanto concerne la produzione dell'oppio greggio, la coltura e la raccolta delle foglie di coca. Tali lavori sono tuttora in pieno sviluppo.
Parallelamente, dietro proposta del governo italiano, la commissione consultiva dell'oppio si rendeva conto, nel maggio 1935, dell'urgenza di combattere l'attività delle fabbriche clandestine di stupefacenti che continuavano tuttavia ad alimentare il traffico illecito nel mondo. A tale scopo una conferenza diplomatica, riunita a Ginevra, adottava, il 26 giugno 1936, una speciale convenzione redatta in venticinque articoli. Con essa veniva altresì provveduto a rinforzare le misure stabilite nelle convenzioni precedenti e a colmare le lacune constatate in materia di procedura penale: principio della recidività internazionale, casi di estradizione, poteri e competenze di appositi uffici centrali nazionali, trasmissioni di commissioni rogatorie, ecc.; i varî stati contraenti s'impegnavano a introdurre le necessarie modifiche alle rispettive legislazioni onde meglio armonizzarle al fine comune.
Per quanto concerne più particolarmente l'oppio da fumo, occorre ricordare l'inchiesta condotta in Estremo Oriente (eccettuata la Cina) dalla commissione permanente dell'oppio, tra il settembre 1929 e il maggio 1930, e la conseguente conferenza tenuta a Bangkok (9-27 novembre 1931) dietro invito del governo siamese. Le deliberazioni dei sette stati intervenuti (Francia, Inghilterra, India, Giappone, Paesi Bassi, Portogallo e Siam) approvarono un accordo integrativo di quello di Ginevra (1925) sull'oppio da fumo e un atto finale contenente undici raccomandazioni sulle misure preventive e repressive atte a facilitare la graduale soppressione di questo speciale abuso.
Bibl.: Una vasta e completa bibliografia di diritto internazionale sulla questione degli stupefacenti è costituita dai documenti ufficiali editi a cura del segretariato della Società delle nazioni, dal 1920 in poi, nonché dai relativi riassunti periodici e dalle pubblicazioni divulgative sull'attività della lega stessa. Potranno essere pure consultati il Bulletin d'information dell'Association Internationale de Défense contre les Stupefiants, e i comunicati dell'Anti-Opium Information Bureau, organi privati di propaganda per la lotta contro gli stupefacenti.
Diritto interno.
Le disposizioni legislative che disciplinano in Italia il commercio delle sostanze tossiche aventi azione stupefacente e ne reprimono gli abusi, sono contenute nel testo unico delle leggi sanitarie approvato con r. decreio del 27 luglio 1934 (articoli 148-160). L'elenco di tali sostanze è approvato dal ministro dell'Interno, sentito il consiglio superiore di sanità, tenuto conto di quanto sia stabilito dalle convenzioni internazionali. La coltivazione, la raccolta del papavero, la produzione dell'oppio greggio e di altre sostanze stupefacenti sono interdette, salvo speciale autorizzazione del ministro dell'Interno. I contravventori sono puniti con ammende e con l'arresto (articoli 148-150). Analogamente sono regolati il commercio, il transito, l'importazione e l'esportazione di tali materie: le relative sanzioni (che giungono fino alla reclusione), oltreché dal suddetto testo unico, sono comminate dal codice penale (articoli 445-447); questo colpisce pure l'abuso individuale delle droghe nocive e la loro somministrazione ai minori di anni 16 (articoli 729-730). Formano pure oggetto di disposizioni legislative la vendita farmaceutica, la prescrizione medica delle sostanze stupefacenti (testo unico, articoli 152-155), l'assistenza sanitaria e il ricovero degl'intossicati (articoli 156-157). La vigilanza e il controllo sono esercitati a mezzo dei prefetti, coadiuvati dagli organi dipendenti, dagli ufficiali e agenti della forza pubblica, dalle capitanerie di porto e dai comandi di aeroporto (art. 160).
L'elenco degli stupefacenti determinato con circolare 21 ottobre 1934 comprende le sostanze seguenti: oppio grezzo, oppio officinale, morfina e suoi sali; diacetilmorfina (eroina), benzoilmorfina e altri esteri della morfina e i loro sali; diidrossicodeinone (di cui l'eucodal è il cloridrato), suoi sali ed esteri; diidrocodeinone (di cui il dicodid è il bitartrato), suoi sali ed esteri; diidromorfinone (di cui il dilaudid è il cloridrato), suoi sali ed esteri; acetildiidrocodeinone o acetildemetildiidrotebaina (di cui l'acedicone è il cloridrato), suoi sali ed esteri; diidromorfina (di cui il paramorfan è il cloridrato), suoi sali ed esteri, N-ossimorfina (genomorfina registrata sotto questo nome), composti N-ossimorfinici e gli altri composti morfinici ad azoto pentavalente; tebaina e suoi sali; benzilmorfina (di cui la peronina è il cloridrato) e suoi sali; metilmorfina (codeina) e suoi sali; etilmorfina (di cui la dionina è il cloridrato), e suoi sali; alcaloidi totali dell'oppio e loro sali; altri alcaloidi dell'oppio (papaverina, narcotina, narceina, ecc.) e loro sali; altri esteri ossidi della morfina e loro sali, foglie di coca; cocaina grezza; cocaina e suoi sali; ecgonina, suoi eteri ed esteri e loro sali; canape indiana. Per disposizione di legge i sanitarî, nel prescrivere i prodotti contemplati nell'elenco, devono indicare chiaramente, nelle ricette, il cognome, il nome e il domicilio dell'ammalato e segnare in tutte lettere la dose della sostanza prescritta e l'indicazione del modo di somministrazione o di applicazione nei riguardi del mezzo e del tempo. Il contravventore è punito con l'ammenda da L. 200 a L. 2000. Chiunque, poi, essendo autorizzato a vendere o preparare stupefacenti a dose e forma di medicamento, li vende e somministra in forma e in condizioni non contemplate dalla legge, è punito con l'arresto da 6 mesi a 2 anni e con l'ammenda da L. 1000 a L. 10.000, sempre che il fatto non costituisca reato più grave.
È attualmente allo studio, per parte di un'apposita commissione costituita dal ministro per l'Interno, lo schema di regolamento, per l'esecuzione delle menzionate misure legislative, destinato a sostituire il regolamento dell'11 aprile 1929. Nel frattempo, questo è stato modificato e integrato da una serie di disposizioni e di circolari ministeriali, per mantenere la legislazione italiana in armonia con le nuove esigenze sociali e con le norme delle convenzioni internazionali.