STURM und DRANG
. Vasto e complesso movimento culturale e letterario della seconda metà del Settecento (1760-1785 circa), che prende il nome da un dramma del poeta Massimiliano Klinger. Nel quadro della letteratura europea lo Sturm und Drang (letteralmente "sconvolgimento e impeto") rappresenta l'ultima fase del preromanticismo col suo programma di un'integrale rivalutazione dell'irrazionale nella vita e nell'arte, in opposizione alla tradizione umanistica e accademica che, rinsaldata dall'intellettualismo illuministico, aveva dominato nella prima metà del secolo.
Preparato, nel campo del pensiero, dall'empirismo inglese, dallo scetticismo di Bayle e di Hume, dal dinamismo leibniziano e dal naturalismo di Rousseau; in quello della vita religiosa dal pietismo; nella critica, dalla riabilitazione del sentimento e della fantasia nell'estetica inglese e svizzera e dall'opera demolitrice e rinnovatrice di Lessing; infine, nel campo dell'arte, dalla lirica estatica e sentimentale di Klopstock, che adegua parola e ritmo al libero volo dell'anima verso l'infinito e l'eterno, lo Sturm und Drang, mentre con Hamann, Herder, Goethe profonda le sue radici nell'humus fecondo del protoromanticismo rinascenziale e mistico (neoplatonismo, Paracelso, Bruno, Campanella, Böhme) e prende contatto con l'estetica irrazionalistica inglese (Young, Conjectures on Original Composition, 1759), si annuncia fin dalle sue origini (Aesthetica in nuce di Hamann, 1762; Odenabhandlung, Fragmente e Kritische Wälder di Herder, 1764-69; Literaturbriefe di Gerstenberg, 1766-70; saggi estetici e critici di Klopstock, 1759 segg.) come un richiamo e un ritorno alle schiette fonti della tradizione spirituale germanica. Il mito della Natura, già celebrato con sincerità di accenti da Haller, da Ewald von Kleist, da Klopstock, prima ancora che risonasse in Germania l'infiammato appello di Rousseau, nel nuovo clima spirituale si chiarisce e si determina come una profonda esigenza della nuova anima religiosa che in Dio, piuttosto che il primo motore e il giudice, vuole riconoscere il padre e l'amore infinito (Prometheus, Ganymed, Werther). Onde la Natura è per Hamann la voce e il poema di Dio, e la storia è per Herder la reggia e il tempio dell'Eterno, dove l'uomo entra compreso da un sacro orrore, e viva veste di Dio è per Goethe il terreno divenire. Indici, tutti questi, del bisogno che assilla gli spiriti di quest'età, di rinnovarsi attraverso a un'esperienza diretta e personale del divino: per cui i simboli cristiani e paolini della rinascita, della "metanoia" del lavacro salutare, come già nel Rinascimento, stanno al centro del nuovo mondo etico e poetico, sia che si concretino nell'idea goethiana della palingenesi cosmica, o in quella herderiana del perenne rinnovarsi dell'umanità come di albero che getta sempre nuove fronde, sia che esprimano, come nel titanismo cristiano di Lenz, la volontà di opporre all'"eros" della carne l'"eros" dello spirito, oppure celino, come in Lavater, i primi germi d'un idealismo magico e teurgico.
Piuttosto che di una fede si deve dunque parlare di bisogni e di esigenze religiose, le quali, mentre riflettono i motivi fondamentali del dramma della Riforma, li complicano con quelli che scaturiscono dal dramma spirituale dell'età moderna. L'uomo, che il Rinascimento ha riconsacrato nuovo Prometeo, si rifiuta di essere il cieco strumento della provvidenza o del destino, perché si sente figlio, cooperatore ed emulo dell'Eterno. Ma davanti al titano s'erge più minaccioso e terribile il problema del male e della morte. Crolla, dinnanzi a un'analisi realistica dell'uomo e della sua storia, che ricerca l'individuale nell'intimità delle coscienze, l'illusione di vivere nel migliore dei mondi, e la stessa famiglia, ultima rocca del divino lasciata intatta dalla Riforma e definita da Hamann pietra angolare della società e supremo ideale di santità, minaccia di dissolversi, minata dal libertinismo individualistico. E come gl'istinti e le passioni dell'individuo nascono dallo stesso grembo della Natura da cui hanno origine l'istituto e gli affetti familiari, il conflitto, nel dramma degli Stürmer, che riprende e rinnova i temi tradizionali dell'odio fraterno (Leisewitz, Klinger, Lenz, Schiller), del parricidio, dell'uxoricidio, resta irresolubile perché fondato nella stessa necessità cosmica. Alle leggi della civile convivenza, ai sentimenti della pietas e dell'amore si oppone, ugualmente inviolabile e sacro, il diritto e il dovere che il genio, il superuomo, ha verso sé stesso, di procedere di esperienza in esperienza sino a fare di sé lo specchio e il centro dell'universa vita: Faust e Margherita. Nella stessa tragedia borghese, di là dal conflitto dei ceti e delle classi sociali, si rivela un dramma ben più profondo: sia che Lenz, adeguando tutti, nobili e plebei, nella stessa schiavitù della carne, scruti con sguardo implacabile le anime, nella vana attesa d'una rinascita, sia che Schiller ci faccia sentire, in Kabale und Liebe, l'impotenza dell'anima borghese a liberarsi dal suo carcere per ritrovare la propria umanità, o motivi, nei Räuber, la ribellione di Karl Moor col vedersi preclusa dal padre, che dovrebbe essere la terrena immagine del Padre celeste, la via della redenzione.
Tenebroso e tragico mondo questo in cui si divincolano i titani dello Sturm und Drang, legati alla catena del proprio inalienabile e inconfondibile carattere e collocati dal destino in un determinato punto dello spazio e del tempo. Onde, in conformità con l'interpretazione luterana e deterministica che Herder dà del mondo shakespeariano (Shakespear, nei Blätter für deutsche Art und Kunst, 1773), fine ultimo del nuovo dramma non è più l'azione, come per Aristotele e per Lessing, ma la pittura dei caratteri e l'evento (Begebenheit) provvidenzialmente preordinato per convincere l'uomo della sua miseria e dell'onnipotenza di Dio. E come il poeta non è più il signore e il sereno artefice del proprio mondo, ma liricamente e dionisiacamente rivive e patisce la "passione" del proprio eroe - l'arte è intima compenetrazione con l'oggetto, è Einfühlung, come Einfühlung è l'opera critica -, così ne viene che la sola forma adeguata alla nuova visione tragica è il rapido, incalzante succedersi di situazioni senza uscita, ciascuna in sé conchiusa e a sé bastante, eppur tutte precipitanti verso la catastrofe. E il linguaggio, aderente al precipitoso improvviso prorompere delle passioni e degli affetti, spezzato ogni nesso logico e sintattico, si fa esclamazione, grido, imprecazione, selvaggio ferino urlo, o assume, nei momenti di altissimo pathos, l'andatura solenne e maestosa dello stile profetico.
Tale, nella sua ispirazione etico-religiosa, quale risulta dagli scritti programmatici (Goethe, Rede zum Shakespearetag, 1771; Lenz, Anmerkungen übers Theater, 1774, e critica del Götz; Herder, Shakespeareaufsatz) e più dalle realizzazioni artistiche, il teatro degli Stürmer. Solo ai massimi riesce di ottenere la piena e concreta e viva espressione del fantasma interiore. In troppa parte della produzione drammatica dei "genî" la reboante e barocca turgidezza delle iperboli e delle amplificazioni retoriche deve supplire alla mancanza di quella "vivida vis ingenii", di oraziana memoria, che Lenz definiva il più proprio dono del poeta.
È facile intendere come agli Stürmer dovesse essere per sempre negata la serenità dell'epos. Onde, a prescindere dal franco tuffo nella sensualità e nel seno stesso della Natura lucrezianamente concepita come inesauribile forza generatrice ed eterna bellezza (Heinse, Ardinghello, 1787), tre vie si aprivano per evadere dal ferreo cerchio del tragico divenire: la lirica soggettiva come rappresentazione immediata del fluttuare degli affetti in un'anima di artista lontana dalle irresolubili antinomie della prassi, l'idillio e il ritorno alle fresche fonti della poesia popolare e primitiva come vagheggiamento d'una vita che ripete nel suo ritmo eternamente uguale gli eterni corsi e ricorsi della natura, infine la raffigurazione comico-satirica come superamento del tragico nella giocondità del riso. E sono queste appunto le conquiste più durevoli e più feconde dello Sturm und Drang. I lieder e gl'inni di Goethe e di Lenz, alcune delle prime liriche filosofiche dello Schiller, gl'Idillî del Maler Müller e i Volkslieder di Herder, le satire in "Knittelverse" e i frammenti dell'Ewiger Jude del giovane Goethe, accanto ad alcuni caratteri e ad alcune situazioni comiche nelle commedie di Lenz, dureranno ancora anche quando tutta la produzione tragica degli Stürmer sarà per sempre dimenticata. Qui veramente la forma, segua o non segua gli schemi tradizionali, è, così come la sognavano Hamann e Herder, viva veste e corpo palpitante della sostanza spirituale che racchiude.
Ma sopra la pleiade delle minori, tre opere emergono quale ultima sintesi e integrale espressione del mondo spirituale e poetico dello Sturm und Drang: il Prometeo, il Werther, l'Urfaust. Qui i varî generi e i più diversi atteggiamenti estetici, la tragedia, la lirica, l'idillio, la satira, si fondono in un'organica concezione totalitaria, mentre l'irruente fiamma d'una giovinezza eroica è già vigilata da una mente sovrana che tutto coordina e volge ai suoi fini; qui non più problemi né vagolanti e ululanti fantasmi, ma la stessa nostra dolorante umanità titanicamente protesa verso i vietati cieli, e insieme in sé e di sé beata, perché ha ritrovato in sé stessa operante e viva l'infinita bellezza e armonia dell'universo, immagine di un Dio che non è più soltanto l'"Opifex mundi", ma onnipresente paterno amore.
Pure, nel mondo dello spirito e in quello dell'arte che ne è il riflesso, l'antagonismo che è alle radici del movimento, fra una concezione teocentrica e cristocentrica e una concezione antropocentrica del reale, permane irresoluta e dà luogo all'aspro dibattito fra Lavater e Goethe, che pone fine alla loro amicizia. Agli ultimi inni di Lenz invocanti il Re degli Umili, alle figure degli eroi pazienti negli ultimi drammi di Klinger e nel Don Carlos dello Schiller, si oppone nel primo Meister l'ideale d'una formazione tutta estetica dell'uomo. Sarà compito delle due età successive, la classica e la romantica, di tentare nel dramma etico (Ifigenia) e nella nuova concezione della vita instaurata da Novalis, da Schleiermacher, da F. Schlegel, da A. Müller, una conciliazione dei due opposti momenti.
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