Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Lo Sturm und Drang (“tempesta e impeto”) si colloca sulla scena letteraria tedesca nel periodo compreso tra gli anni Sessanta e Ottanta del XVIII secolo. Il movimento, che prende il nome dall’omonimo titolo di un dramma di Friedrich Maximilian Klinger del 1776, propone un’esperienza artistica di ribellione nei confronti di valori e istituzioni vigenti e trova la sua espressione in una poetica intensamente individualista. Concetti cardine di tale estetica sono genio, originalità, popolo, natura.
Il genere autobiografico contende al romanzo il dominio nella cultura letteraria del Settecento e ne rappresenta l’immagine per la scrittura intrigante e rapsodica nella quale traluce il destino cosmopolita dell’uomo del secolo.
Collocazione temporale dello Sturm und Drang
Johann Wolfgang Goethe
Prometeo
Inni
Copri il tuo cielo, Giove,
col vapor delle nubi!
E la tua forza esercita,
come il fanciullo che svetta i cardi,
sulle querce e sui monti!
Ché nulla puoi tu
contro la mia terra,
contro questa capanna,
che non costruisti,
contro il mio focolare,
per la cui fiamma tu
mi porti invidia.
Io non conosco al mondo
nulla di più meschino di voi, o dei.
Miseramente nutrite
d’oboli e preci
la vostra maestà
ed a stento vivreste,
se bimbi e mendichi
non fossero pieni
di stolta speranza.
Quando ero fanciullo
e mi sentivo perduto,
volgevo al sole gli occhi smarriti,
quasi vi fosse lassù
un orecchio che udisse il mio pianto,
un cuore come il mio
che avesse pietà dell’oppresso.
Chi mi aiutò
contro la tracotanza dei Titani?
Chi mi salvò da morte,
da schiavitù?
Non hai tutto compiuto tu,
sacro ardente cuore?
E giovane e buono, ingannato,
il tuo fervore di gratitudine
rivolgevi a colui
che dormiva lassù?
Io renderti onore? E perché?
Hai mai lenito i dolori
di me ch’ero afflitto?
Hai mai calmato le lacrime
di me ch’ero in angoscia?
Non mi fecero uomo
il tempo onnipotente
e l’eterno destino,
i miei e i tuoi padroni?
Credevi tu forse
che avrei odiato la vita,
che sarei fuggito nei deserti
perché non tutti i sogni
fiorirono nella mia infanzia?
Io sto qui e creo uomini
a mia immagine e somiglianza,
una stirpe simile a me,
fatta per soffrire e per piangere,
per godere e gioire
e non curarsi di te,
come me.
J. W. Goethe, Inni, a cura di G. Baioni, Torino, Einaudi, 1967
La definizione di un fenomeno letterario implica necessariamente anche il tentativo di un inquadramento temporale e storico-culturale.
La collocazione temporale dello Sturm und Drang dagli anni Sessanta agli anni Ottanta del Settecento risulta piuttosto univoca; allo stesso modo l’incontro avvenuto a Strasburgo fra Johann Gottfried Herder e Johann Wolfgang Goethe nel 1770 rappresenta uno dei momenti centrali per il movimento: grazie a Herder il giovane Goethe scopre Omero, Shakespeare e i canti popolari e impara a considerare la produzione artistica come specchio dell’esperienza soggettiva di un individuo geniale.
Di recente Hans-Georg Kemper (2002) ha specificato ulteriormente la periodizzazione dello Sturm und Drang, proponendo la suddivisione del movimento in tre fasi: una fase iniziale (1758-1768), coincidente con la stesura delle opere di Johann Georg Hamann in polemica con le tendenze razionaliste dell’Illuminismo e incentrate sul concetto di genio divinamente ispirato; una fase centrale (1769-1776), caratterizzata dall’incontro a Strasburgo fra Herder e Goethe – il primo scrive Von deutscher Art und Kunst (Del carattere e dell’arte tedeschi, 1773), in cui propone il concetto di poesia popolare, il secondo il famoso inno alla genialità (artistica) Prometheus (Prometeo, 1774) e il libro che ha rappresentato una svolta nella letteratura tedesca ed europea del tempo, Die Leiden des jungen Werthers (I dolori del giovane Werther, 1774); infine una fase tarda (1777-1789), che corrisponde alla pubblicazione degli ultimi scritti di Herder, in primis quelli sulla poesia popolare di Ossian, e alla stesura dell’ Ur-Faust di Goethe, oltre che delle tragedie stürmeriane di Johann Christoph Friedrich Schiller come Kabale und Liebe (Intrigo e amore, 1782). Con il 1786, data del viaggio di Goethe in Italia, e il 1789, quando Schiller pubblica la sua poesia didattica Die Künstler (Gli artisti), si suole dichiarare la fine dello Sturm und Drang.
Dal punto di vista storico-letterario la critica più recente, superando la concezione secondo cui lo Sturm und Drang rappresenterebbe una mera reazione del sentimento alla razionalità illuminista, tende piuttosto a riconsiderare l’eredità illuminista del movimento e a riconoscere un continuum dialettico fra le due tendenze. Gli Stürmer, come del resto alcuni esponenti dell’Illuminismo, si oppongono al dogmatismo intellettuale, trascendendolo, sottolineano l’esigenza di una valutazione soggettiva della realtà e reputano l’individualità il “fondamento ultimo della nostra esistenza” (Herder). Radicalizzano inoltre la loro posizione riguardo all’importanza dei sentimenti, già accentuata dal pietismo e dalla Empfindsamkeit, affidando all’esperienza dei sensi un ruolo indispensabile per la comprensione della realtà al di là delle regole dettate dalla ragione e dai vincoli delle convenzioni.
Il culto del genio
Animati dalla volontà di ribellarsi ai precetti imposti dalla tradizione, gli intellettuali della giovane generazione degli Stürmer elevano l’individualità e la libertà a principi primi della loro poetica. L’espressione massima di tale autonomia si ritrova nella figura dell’artista-genio che, in virtù della sua originalità, si fa fautore della nuova estetica e, analogamente alla natura, crea opere originali, seguendo regole proprie e selezionando le possibilità che il suo ingegno gli offre.
Fondamentali per la concezione del genio stürmeriano sono – accanto alla traduzione tedesca, del 1760, dello scritto di Edward Young Conjectures on Original Composition (1759) – gli impulsi dati dagli scritti di Hamann e Herder. Il primo vede nel genio colui che, grazie al suo sguardo profetico, crea, similmente a Dio, una sua alternativa all’opera della natura attraverso un linguaggio personale di ispirazione divina. Nelle sue Sokratische Denkwürdigkeiten (Memorabili socratici, 1759), ad esempio, egli paragona il genio poetico al daimon socratico, conferendo così alla poesia il ruolo di “profezia secolarizzata”. Il secondo fornisce una variante dell’idea hamanniana di genio: in Fragmente. Über die neuere deutsche Literatur (Frammenti. Sulla letteratura tedesca più recente, 1767), Herder sostiene che il poeta geniale è colui che entra in concorrenza con la forza della natura e ubbidisce solamente alla forza della propria inconfondibile individualità, individualità che esprime attraverso l’originalità del suo linguaggio. Herder va oltre: anche la lingua, in quanto espressione genuina di un genio, è genio. È così che, nella lingua di ogni popolo, dunque anche e soprattutto nei Volkslieder (canti popolari), sua massima estrinsecazione, è contenuto il genio della letteratura di un’intera nazione, come ben evidenziano i suoi scritti programmatici Über den Ursprung der Sprache (Sull’origine della lingua, 1771) e Von deutscher Art und Kunst (Del carattere e dell’arte dei tedeschi, 1773).
Per illustrare la loro idea di genialità gli Stürmer forniscono esempi concreti di genio, primi fra tutti quello di Shakespeare, che già Lessing nei suoi Briefe, die neueste Literatur betreffend (Lettere concernenti la letteratura recentissima, 1759-1765) aveva fatto assurgere a modello di genio per eccellenza, contrapponendolo ai rappresentanti del classicismo francese Corneille e Racine. Nel 1771 Goethe scrive il suo famoso discorso Zum Schäkespears Tag (Per l’anniversario di Shakespeare), in cui Shakespeare, “il più grande viandante dell’umanità”, è visto come colui che, grazie alla sua forza e al suo talento, spezzando le catene della tradizione e seguendo regole proprie, riesce a riprodurre individualmente la vita vera (“nulla è natura al pari delle figure di Shakespeare”). Due anni più tardi, nel suo saggio Shakespeare (1773), Herder riprende il modello del drammaturgo inglese, definendolo come “un umano dotato di forza divina”, “un interprete della natura” che sa cogliere lo spirito vivo della storia – come avevano fatto Omero e il mitologico bardo Ossian – ed esprimerlo con immediatezza e originalità.
L’elaborazione dell’idea di genio non rimane limitata alla teoria; il suo culto trova altresì degna espressione sul piano letterario: nascono così drammi che si discostano volutamente dalle convenzioni del teatro tradizionale e presentano figure di eroi che confidano unicamente nella propria forza, come il Götz von Berlichingen (1773) goethiano. E, ancora, sorgono liriche a versi liberi che manifestano l’indignazione del genio contro ogni tradizione, prime fra tutte il famoso inno del giovane Goethe Prometheus (1773). Prometeo è qui il titano che si ribella contro gli dèi, ne decreta l’assenza dalla vita dell’uomo, e si erge, a sua volta, con una paradossale apoteosi, a creatore terreno; allo stesso modo Prometeo rappresenta la figura dell’artista, “a second Maker” (Shaftesbury) innalzato a mito nuovo per l’umanità.
Soggetto e natura
Prosa e lirica dello Sturm und Drang danno un contributo fondamentale alla ridefinizione dell’immagine della natura; una natura che non è più idilliaca come nel rococò, né mera perfezione che rimanda alla grandezza del Creatore come in Barthold Heinrich Brockes o Albrecht von Haller. È, invece, travolgente abbraccio panteistico con il cosmo, quell’abbraccio sublime che già era stato preannunciato dalle odi di Friedrich Gottlieb Klopstock. Werther, emblema dell’apoteosi soggettiva dell’io, riscopre l’universo naturale come possibilità unica di un’incomparabile esperienza individuale; per il personaggio goethiano la natura muta a seconda del suo stato d’animo. È locus amoenus al momento dell’incontro con Lotte, enfatica e impetuosa a ogni appuntamento con la giovane, ostile e minacciosa dopo l’arrivo del rivale Albert.
La natura che deve corrispondere ai sentimenti del soggetto è rintracciabile anche nella cosiddetta Erlebnislyrik, un tipo di lirica che attinge all’esperienza vissuta e sottopone la realtà a un processo di individualizzazione. Esempio emblematico è la celebre poesia Willkommen und Abschied (Il benvenuto e l’addio, 1771) di Goethe, scritta per Friederike Brion, giovane fanciulla che il poeta incontra durante una gita in Alsazia con gli amici. L’io poetico, il cui cuore batte con il trotto del cavallo, trova immediato rispecchiamento nella natura: la sera, che accompagna l’io lirico nella sua cavalcata, culla la terra; i venti fremono per l’attesa e la donna è cinta di un roseo vapore primaverile.
Altrettanto efficace è la rappresentazione del rapporto io-natura nella ballata Lenore di Gottfried August Bürger, pubblicata nel 1774 sul “Musenalmanach”, l’organo ufficiale del cosiddetto Hainbund, un gruppo di studenti di Göttingen che si dedicano al rinnovamento della poesia nazionale tedesca. La ballata racconta, con ritmo incalzante, la storia di Lenore, che in sogno cerca disperatamente il suo promesso sposo partito per la guerra dei Sette anni e mai più tornato. La natura fa qui irruzione nell’anima umana, nell’interiorità di Lenore, attraverso il suo lato demoniaco: sono infatti il buio della notte e le forze spettrali ad accompagnare la donna nella sua cavalcata notturna.
Il dramma stürmeriano
Il culto di Shakespeare non può non influenzare la predilezione degli autori stürmeriani per il genere del dramma, il più adatto a comunicare la loro ribellione artistica, a declamare la loro rivolta contro la tradizione e a portare sulla scena azioni e personaggi fortemente emozionali.
L’opposizione alle regole del teatro precedente si esprime soprattutto nel rifiuto del rigido teatro barocco e del classicismo francese, ancora legato alla Ständeklausel, e nella conseguente ripresa della tragedia borghese del XVIII secolo, che fondava la propria rappresentazione dei caratteri su vizi, virtù e passioni umane piuttosto che sulla loro ripartizione secondo il ceto sociale di appartenenza.
Nelle Anmerkungen über das Theater (Osservazioni sul teatro, 1774), Jacob Michael Reinhold Lenz sottolinea l’importanza di una caratterizzazione realistica dei personaggi, dei loro sentimenti e dei conflitti in cui sono coinvolti; nega altresì la tradizionale distinzione fra commedia e tragedia: come nella vita si fondono elementi comici e tragici, così nel teatro non sarebbe comprensibile una rigida contrapposizione degli stessi. Lenz sottotitola ironicamente i suoi drammi Der Hofmeister (Il precettore, 1774) e Die Soldaten (I soldati, 1775) con il termine “commedia”. In realtà il primo, nonostante il lieto fine, illustra la misera sorte di un povero precettore, simbolo dell’intellettuale costretto alle dipendenze altrui; il secondo mostra la rovina morale di una fanciulla piccolo-borghese sedotta e “disonorata” da un nobile ufficiale.
Questo conflitto fra società, politica e vicende private e, in particolare, fra la nobiltà corrotta e la piccola borghesia, trova la sua espressione migliore nella tragedia di Ferdinand von Walter e Luise Millerin, nel dramma “borghese” schilleriano Kabale und Liebe. Il nobile Ferdinand è innamorato di una ragazza della piccola borghesia. Sia il padre del giovane che quello di Luise sono contrari a questo rapporto: il primo è troppo legato al potere politico e alle convenzioni sociali, il secondo ha il timore di andare al di là dei limiti consentiti alla classe sociale cui appartiene, e tradisce così anche uno degli ideali più cari alla borghesia: la libertà. Persino Luise non è pronta a “disobbedire” alle imposizioni sociali; solo Ferdinand, lo stürmeriano ribelle, è disposto a opporre “l’amore focoso” al “freddo dovere”. La logica delle passioni ha tuttavia preso in lui il sopravvento sulla ragione: vittima degli intrighi del padre, crede che Luisa lo tradisca e, accecato dalla gelosia, avvelena la ragazza. Quindi, scoperta l’infondatezza del suo sospetto, si toglie la vita.